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.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Venerdì, 24 Ottobre, 2008 - 16:51

Abbiamo cominciato per non fermarci

Abbiamo cominciato per non fermarci

Cronaca selvaggia di una mobilitazione in divenire.

Lunedì il cielo di Milano è grigio come spesso accade, poche decine, davanti alle facoltà più attive, bisogna avere il gusto della scommessa per occupare il rettorato della Statale, in via Festa del Perdono, ma forse sta già spirando un vento inusuale, nel deserto di atenei e accademie a Milano, nella città capitale della dequalificazione universitaria, dei baroni più pavidi e calcolatori, della frammentazione sociale del tessuto studentesco, dove il territorio si può costruire solo a partire dalle lotte, e dunque, da poco e niente, negli ultimi dieci anni. Sarà l’ondata di calore che arriva ininterrottamente, con il ritmo di un battito cardiaco, oramai da anni, dalle scuole superiori, sarà che quella generazione meticcia metropolitana, appena risvegliata, sempre più si sente precaria ma viva, intelligente perchè ha a che fare con il sapere ogni giorno, ma incazzata perchè lo trova inutile per autodeterminarsi. Sarà forse che i venti nella pianura padana arrivano senza essere fermati dalle montagne, ma qualcosa sta cambiando.
Martedì di fronte al Senato accademico ci sono 500 persone, spuntano i tecnici amministrativi, i dottorandi, ci si sente il corpo vivo dell’Ateneo e, ad essere tenuti fuori dalla stanza dei Bottoni, non si rimpiange nulla, nessuna delegazione, nessuna perplessità, monta l’indignazione e la consapevolezza che il tempo è adesso.
Mercoledì e Giovedì le assemblee di facoltà, i numeri si inseguono, sembrano impossibili, 250 a mediazione culturale, un sesto degli iscritti, altrettanti a festa del perdono, poco meno a scienze politiche, e, c’è dell’incredibile, 500 in Bicocca, mentre l’accademia aperta da due giorni è già in fermento, ragazzi giovanissimi, soprattutto dei primi due tre anni, ritrovano il gusto di decidere in autonomia, di essere protagonisti minuto per minuto, di immaginare una piazza e soprattutto di sentirsi tanti, mai abbastanza, ma forti, in crescita, con un futuro davanti. La prospettiva, quello che manca alla vita dei precari è proprio quello che non manca questa volta alla lotta e si vedono finalmente i primi ricercatori, da qualche parte addirittura i docenti. Abbiamo cominciato per non fermarci più è una delle parole d’ordine.
Per immaginarsi venerdì, bisognerebbe avere, come nelle narrazioni delle battaglie, una cartina di fronte a sè, tre i cortei ufficiali che attraversano la città, sindacati di base, maestre e insegnanti da Piazza Missori e il concentramento studentesco in Largo Cairoli. Come al solito si attendono migliaia di studenti medi, i cortei interni della settimana sono un segnale del fatto che le decine di concentramenti davanti alle scuole si faranno sentire, in ogni angolo della metropoli, ma questa volta c’è un fatto nuovo. Se il territorio si costruisce nelle lotte, o meglio nelle relazioni sociali da esse prodotte, possiamo azzardare che venerdì è nata l’università a Milano, si è aggiunto un pezzo al territorio della libertà insubordinata dei saperi ed è un pezzo importante, che da altre parti traina, ma qui si trova soltanto sui libri di storia. Da sei punti differenti, concentrati al centro e al nord-est della città, parte il mondo dell’università, l’abitudine ad andare in piazza è scarsa, o risale appunto alle scuole superiori, ma quella di trovarsi di fronte ai portoni è una sfida che assomiglia a un salto nel vuoto. Eppure i sei torrenti arrivano tutti al fiume, c’è anche chi arriva in poche decine e troverà poi i compagni di corso in largo Cairoli, ma già da Cordusio lo spezzone è imponente, lo striscione dice "Facoltà e accademie in mobilitazione permanente, non pagheremo noi la vostra crisi". Si passa via Dante con il camion, come accade solo nelle grandi occasioni e da quel momento in poi i numeri hanno ragione di tutto i resto, non esistono più percorsi stabiliti, ma solo la voglia di invadere la metropoli e anche gli sbirri se ne rendono conto. Cairoli, Ripamonti, assedio al provveditorato, blocchi metropolitani delle circonvallazioni, occupazione di scienze politiche in corteo, tutto assieme, contemporaneamente, perchè gli studenti medi e universitari e il corteo di Missori che si erano riuniti per arrivare in 50.000 al provveditorato sanno disperdersi nuovamente, ognuno a praticare un obiettivo, ognuno a dire dove vuole, quello che vuole. Un altra volta è manif sauvage, non è passato neanche un mese dal 20 settembre, i camion in galleria, la corsa meticcia fino a via Zoretti, l’odio mosso d’amore non è più scandito dal grido Abba Vive (eppure Abba vive, ancora, nelle nostre lotte) ci siamo spostati su un terreno apparentemente più classico, quello della formazione, ma la generazione è la stessa, precaria, meticcia, metropolitana, (anche il corriere se ne accorge il giorno dopo). Essere incontrollabili è la nostra passione, forse perchè allude alla libertà, forse perchè è un modo in cui riusciamo a esprimere potenza e rabbia, senza lasciare la felicità e l’entusiasmo dietro l’angolo.
Manif sauvage non è solo una bella indicazione, occorre soffermarsi sul concetto di selvaggio, che non appare per la prima volta nella storia d’Italia e d’Europa, ma appare ogni volta caratterizzato da novità ed efficacia, cioè creatività e blocco della produzione. Innanzitutto stiamo parlando di un modo di essere più che di una istanza, stiamo parlando della composizione sociale delle lotte, cioè una generazione dai quindici ai trant’anni, dove però i più protagonisti ne hanno 20, 21. Dietro non c’è nessun fardello, nessuna reminescenza ideologica o sentimento di appartenenza politica, ma la convinzione di poter cambiare, costruire e l’esperienza di sfuggire al controllo, ognuno lo ha imparato, perchè oggi la libertà è condizione per la sopravvivenza materiale.
Ci sentiamo metropolitani e nessuno vede il motivo di mettere a punto un programma, di tracciare prima una strada. Sarà la fiducia nell’intelligenza collettiva, o una nuova idea del territorio, ma la mobilitazione procede tappa per tappa, con l’unica certezza che abbiamo cominciato per non fermarci più. Una delle paure più grosse, ad esempio, è quella di chiudersi dentro atenei e facoltà, quella dell’occupazione ad oltranza, non è amore per la legalità costituita, solo non c’è rimpianto per gli anni delle lotte perdute, né ansia di scegliere la prima cosa che viene in mente. Probabilmente è abitudine all’uso dell’intelligenza, a prevedere su un futuro incerto, lavorando su una rosa di possibilità, un significato, un segno, per poi farlo esplodere.
Chiudiamo i cancelli per aprirli e invadere le strade e le piazze, blocchiamo la didattica per riprendere la formazione, riaprire le libere università e accademie. Lezioni in piazza, blocchi a singhiozzo, cortei interni, occupazioni a tempo indeterminato, pratiche di autoformazione e di autogestione, blocchi del traffico, invasioni delle stazioni, assedi ai senati accademici, ai provveditorati, ai ministeri, ai ministri hanno questo tratto in comune, è una protesta selvaggia perchè può applicare la forza ovunque, mentre la accumula, in questo senso non ha regole nè binari che non siano quelli pragmatici dell’efficacia e della longevità.
Una nuova idea del territorio appunto, anche su questo bisogna tornare.
A Milano non esistono cittadelle universitarie, ma una diffusa rete connettiva di produzione del sapere fatta di licei, scuole professionali, scuole altamente professionalizzanti alternative alle università, alcuni atenei privati di alto livello, la Statale, con due sedi in centro a Milano, una a Sesto San Giovanni e la zona delle facoltà scientifiche, chiamata città studi, a nordest, vicina alla maggior parte dei dormitori universitari (quelli che non sono a S.Leonardo o a Corvetto), e alla sede principale del Politecnico, università di punta dell’Aquis. Ancora c’è l’altra sede del Politecnico a Bovisa (profondo nordovest), la Bicocca, con la sua organizzazione separata e il suo prorettore, che la notte pare una città fantasma.
Aggiungendo a tutto questo la precarietà della vita e il conseguente scorrere disomogeneo del tempo, si capisce come lungo le linee del reticolo del sapere e della formazione non vi sia lo spazio per la costruzione di socialità e di cooperazione libera. La "comunità" che caratterizzava i templi della formazione pubblica non esiste più, è stata cancellata, ma non è il caso di piangere sul latte versato, perchè il suo affondare si porterà dietro la casta baronale, che ne illuminava la via inquadrandola e facendone gerarchia.
Oggi si tratta di realizzare un nuovo territorio, è la suggestione, antica come il mondo, di fondare città, qualcuno lo chiama esodo, ma è semplicemente sperimentare forme di vita, scoprire che si può imparare senza subire la lezione di politiche pubbliche di un apostolo di Friedman e che si può festeggiare la sera nella propria facoltà, per di più senza spendere lo stipendio di una settimana.
Finalmente ci si sente studenti, un pezzo della fauna precaria che sa di poter combattere in un posto preciso, dove va a lezione! Per questo assume una importanza l’assemblea di facoltà... della Statale? Si quella di Sesto San Giovanni!, universitario? No dell’Accademia di Belle Arti! E’ una nuova idea, se non di comunità, sicuramente di comune: territorio comune, obiettivo comune, condizione comune, passioni comuni.
L’intelligenza selvaggia non è del selvaggio, ma proprio dei lavoratori della conoscenza, del cognitariato precario, della jungla metropolitana.
E’ intelligenza che non è cultura, non ha nulla di sacrale. Con l’intelligenza e la creatività oggi ci si guadagna il pane, ma non solo, si surfa la legalità e la burocrazia, si concorre sul mercato o lo si sabota, in ogni caso bisogna farci i conti. Per questo i lavoratori della conoscenza la utilizzano come un’arma selvaggia, hanno capito oramai che proprio lì, sul campo del sapere si combatte la vera battaglia. Si è parlato, giustamente, di saperi di parte e di classe, oggi il capitale vive il paradosso di avere bisogno e paura del nostro cervello, per questo il concetto di libertà torna ad essere il più potente, ci si batte per i liberi saperi e non è soltanto uno slogan.
Gelmini, Tremonti, Brunetta sono all’attacco con lo spirito del capitale in crisi, sanno che devono colpire duro, ma che ogni crisi è un’opportunità di ristrutturare, quello che forse dimenticano, o che non possono evitare, è che sia anche un’opportunità per noi, soggetti sociali molteplici colpiti dalla scure. L’opportunità di ritrovarci e cogliere il senso dei tanti discorsi fatti in questi anni dalla talpa che scavava, uno su tutti: se il sapere, la mobilità, la cooperazione sono diventate centrali, allora siamo in grado di bloccare la produzione e il 17 è stato, non dimentichiamocelo, uno degli scioperi più efficaci degli ultimi anni, come si capisce dalle parole di De Corato che, il giorno della manifestazione, inveisce contro questi studenti che bigiano e bloccano tutto almeno una volta alla settimana.
Se questo è il carattere delle mobilitazioni, significa che siamo ben oltre la mera conoscenza del decreto, per rispondere a MariaStella Gelmini, lo abbiamo letto, o ne abbiamo condiviso la portata, ma questo non è nè l’inizio nè la fine, eravamo stanchi della vecchia università, stanchi dei baroni, delle fondazioni, dei fondi privati, dei ricatti e a chi taglia di netto milioni di euro possiamo dire soltanto: "dovete darci il denaro e poi ne riparliamo, poi".
Respiro lungo, una legge già passata e una lotta che non ha intenzione di stancarsi, una composizione meticcia, mille colori che riempiono una piazza, una attitudine selvaggia, forza intelligente, conoscenza della mappa, strada per strada, aula per aula, voglia di fare piazza pulita, intenzione di ricominciare, tanti giovani incazzati, cioè una moltitudine... sembra che, almeno potenzialmente stiamo marciando verso Parigi, quando, seppure in maniera complessa le Banlieues e i lavoratori della conoscenza hanno lottato assieme e vinto.
Non bisogna amare le mitologie, dunque torniamo a Milano, in Italia, dopo avere girato lo sguardo al mondo, la sfida però è proprio questa, inventare ed essere un movimento nuovo, non per la lettura sociologica dei giornali, non in modo retorico ma nella pratica dei conflitti e nella produzione della nostra vita, inaugurando una stagione in cui accumulo e rottura possano essere una sola cosa.
Collettivo di Scienze Politiche - Milano
Collettivo Aut.Art - Accademia di Belle Arti di Brera 1 e 2
Collettivo di Mediazione culturale - Sesto San Giovanni
Alcuni studenti di: Festa del Perdono, Politecnico, Bicocca.