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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Venerdì, 26 Ottobre, 2007 - 15:37

"case dell'acqua"

Allego la delibera  che fa seguito allla proposta di realizzare case dell'acqua sul territorio della zona, voatta all'unanimità dal consiglio.

Venerdì, 26 Ottobre, 2007 - 09:51

SALVIAMO LA VITA AI BAMBINI ROM

SALVIAMO LA VITA AI BAMBINI ROM

Un digiuno di protesta e di proposta

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case;

Voi che trovate tornando la sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce la pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì e per un no.

Questi versi scritti da Primo Levi di ritorno dal lager ci commuovono e ci
indignano. Ma solo se rimangono sulla carta, se restano confinati nella
Storia, in un lontano passato. Eppure sarebbe facile accorgersi che ci
parlano anche del presente. Di questo presente in questa città di Milano. Ma
anche di Roma, di Livorno, di Bologna, di Pavia…

A Milano, con maggior sistematicità, determinazione e fors’anche cattiveria,
da tempo è in atto una sorta di “pulizia etnica”. Gli sgomberi forzati dei
campi rom hanno letteralmente e fisicamente buttato sulla strada centinaia
di persone, compresi anziani e malati, donne e bambini. Sgomberi effettuati
senza concedere alternative e senza che rispondessero a una qualche
strategia da parte dell’amministrazione pubblica che non fosse semplicemente
quella, brutale, di buttare queste persone nella disperazione, rendendo loro
la vita così dura da costringerle ad andarsene.

Una logica, oltre che cinica, miope. Perché queste persone non hanno un
Paese dove tornare. Anche nei luoghi da cui sono arrivati sono soggetti a
repressione e discriminazione, dunque non si capisce perché e come
potrebbero tornarvi.

La politica degli sgomberi senza alternative produce e produrrà solo una
maggiore sofferenza e disperazione, comporta il fatto che centinaia di
persone sono costrette a vivere come topi, all’addiaccio, nel fango. In
condizioni non troppo dissimili da quelle di cui raccontava Primo Levi.
Anche oggi si può infatti essere scacciati e schiacciati, si può rischiare
di morire per un sì o per un no. A Milano, a Pavia. O a Roma, dove pochi
giorni fa è morto Francesco, piccolo rom di due mesi, congelato dal freddo
in una tenda dove era stato confinato con i suoi genitori dalla politica
degli sgomberi.

Ogni anno nelle grandi città si parla di «emergenza freddo», come fosse un
fatto anomalo ed eccezionale. Di questa prevedibilissima emergenza muoiono
ogni anno decine e decine di bambini e anziani, di rom e di senza dimora. E
ogni anno assistiamo alle ipocrite e pilatesche lacrime di coccodrillo di
troppi amministratori pubblici.

Il Comune di Milano, dopo lo sgombero del campo di San Dionigi, si era
impegnato a garantire un minimo di risposta almeno a donne e bambini,
ospitandoli nel dormitorio pubblico di viale Ortles. Pur di fronte allo
smembramento delle famiglie, era meglio del niente. Eppure anche questa
piccola e minima cosa non è stata realmente garantita. Basta nulla per
perdere anche questa minuscola possibilità.

·        Da venerdì 19 ottobre una madre e i suoi quattro bambini, di cui
tre piccolissimi e in cattive condizioni di salute, sono in strada, cacciati
dal dormitorio perché si erano assentati due giorni, per assistere un
parente malato. Ora si trovano senza il minimo riparo, mentre cresce il
freddo e cominciano le piogge.

Di fronte a queste drammatiche situazioni, da mesi le istituzioni locali e
la prefettura si girano dall’altra parte. Fingono di non vedere, di non
sapere, di non avere responsabilità e doveri. Associazioni, forze sociali,
sindacati hanno inutilmente rivolto loro appelli, chiesto interventi e
risposte.

Noi non abbiamo più nulla da chiedere al sindaco, all’assessore o al
prefetto. Il loro silenzio e immobilismo sono più eloquenti di tanti
discorsi. Del resto, troppe parole e riunioni sono state sinora
generosamente, e inutilmente, spese. Le parole, infatti, non costano molto.
Come don Abbondio non si poteva dare un coraggio che non aveva, così queste
istituzioni non possono dar mostra di responsabilità che evidentemente non
avvertono.

·        Da lunedì 29 ottobre noi, come singole persone più che come
esponenti di associazioni, effettueremo un digiuno totale, durante il quale
sosteremo fisicamente, ogni giorno, in piazza della Scala, davanti a Palazzo
Marino.

Non per rivendicare qualcosa. Semplicemente per testimoniare e denunciare
che quattro bambini sono stati buttati per strada, che rischiano di
ammalarsi e anche di morire. Per chiedere a tutti e a ciascuno “Se questo è
un uomo”, se è tollerabile che tutto ciò accada nella ricca e democratica
Milano, se davvero non è possibile dare un segno di umanità e una risposta
concreta a quei bambini e al problema generale di cui essi sono parte e
drammatica rappresentazione.

Giovedì, 25 Ottobre, 2007 - 14:56

Democrazia e religione

Riporto articolo di Ezio Mauro direttore di Repubblica in risposta ai dictat assordanti e intollerabili del vaticanismo di Bertone.

Democrazia e religione

di EZIO MAURO

www.repubblica.it

"Finiamola". Con questo invito che ricorda un ordine il Cardinal Segretario di Stato della Santa Sede, Tarcisio Bertone ha preso ieri pubblicamente posizione contro l'inchiesta di Repubblica sul costo della Chiesa per i contribuenti italiani, firmata da Curzio Maltese. "Finiamola con questa storia dei finanziamenti alla Chiesa - ha detto testualmente il cardinal Bertone - : l'apertura alla fede in Dio porta solo frutti a favore della società". Per poi aggiungere: "C'è un quotidiano che ogni settimana deve tirare fuori iniziative di questo genere. L'ora di religione è sacrosanta".

Non ci intendiamo di santità, dunque non rispondiamo su questo punto. Ma non possiamo non notare come il tono usato da Sua Eminenza sia perentorio e inusuale in qualsiasi democrazia: più adatto a un Sillabo.
L'attacco vaticano riguarda un'inchiesta giornalistica che analizza i costi a carico dei cittadini italiani per la Chiesa cattolica, dalle esenzioni fiscali all'otto per mille, al finanziamento alle scuole private, all'ora di religione: altre puntate seguiranno, finché il piano di lavoro non sia compiuto.

Finiamola? E perché? Chi lo decide? In nome di quale potestà? Forse la Santa Sede ritiene di poter bloccare il libero lavoro di un giornale a suo piacimento? Pensa di poter decidere se un'inchiesta dev'essere pubblicata "ogni settimana" o con una diversa cadenza? E' convinta che basti chiedere la chiusura anticipata di un'indagine giornalistica per evitare che si discuta di "questa storia"? Infine, e soprattutto: non esiste più l'imprimatur, dunque persino in Italia, se un giornale crede di "tirar fuori iniziative di questo genere" può farlo. Salvo incorrere in errori che saremo ben lieti di correggere, se riceveremo richieste di rettifiche che non sono arrivate, perché nessun punto sostanziale del lavoro d'inchiesta è stato confutato.


La confutazione, a quanto pare, anche se è incredibile dirlo, riguarda la legittimità stessa di affrontare questi temi. Come se esistesse, lo abbiamo già detto, un'inedita servitù giornalistica dell'Italia verso la Santa Sede, non prevista per le altre istituzioni italiane e straniere, ma tipica soltanto di Paesi non democratici. In più, Sua Eminenza è il Capo del governo di uno Stato straniero che chiede di "finirla" con il libero lavoro d'indagine (naturalmente opinabile, ma libero) di un giornale italiano. Dovrebbe sapere che in Occidente non usa. Mai.

Stupisce questa reazione quando si parla non dei fondamenti della fede, ma di soldi. E tuttavia se la Chiesa - com'è giusto - vuole far parte a pieno titolo del discorso pubblico in una società democratica e trasparente, non può poi sottrarsi in nome di qualche sacra riserva agli obblighi che quel discorso pubblico comporta: per tutti i soggetti, anche quelli votati al bene comune. Anche questo è un aspetto della sfida perenne, e contemporanea, tra democrazia e religione.

(25 ottobre 2007)

Giovedì, 25 Ottobre, 2007 - 14:54

E' tempo di dire basta alle ingerenze ecclesiastiche

Ma qualcuno dimentica che un principio assoluto di diritto internazionale consiste nel garantire e nel tutelare il diritto di autodeterminazione e indipendenza degli stati, dei popoli, che non possono essere eterodiretti da nessuna autorità che autoritariamente si impone nell'ordinamento voluto democraticamente di un Paese. In Italia esiste un Paese straniero, che non aderisce all'Unione Europea, che si assume il privilegio e la potestà di intervenire negli affari giornalistici e nel diritto di libertà di informazione giornalistica esercitata da un quotidiano, uno dei più diffusi in Italia: questo stato estero è lo Stato del Vaticano che ingerisce nelle libere, sottolineo libere, decisioni redazionali ed editoriali di un quotidiano. Quali esse siano, purchè non lesive della dignità di singole persone attraverso campagne infondate e menzognere, come sembrano essere i servizi egregiamente e puntualmente redatti da qualche mese da La Repubblica sui costi dello stato estero per l'erario statale italiano e, direttamente, la spesa che grava sulle casse singole delle famiglie italiane. In Italia esistono esenzioni per la tassazione ICI, previste da una famigerata legge iniqua approvata dallo scorso governo Berlusconi, non solo per i patrimoni ecclesiastici ma anche per sedi di organizzazioni legate alla Chiesa con finalità di lucro e commerciali. Conosciamo tutti quanto come sia in positivo il bilancio di attività complessiva esercitata dal circuito turistico delle gite devozionali. Tutti conosciamo, anche, l'8 per mille donato alla Chiesa ogni anno, come se in Italia il nostro Paese dovesse finanziare le casse patrimoniali di un altro soggetto internazionale sovrano; ma sappiamo anche le concessioni alle scuole private confessionali, i privilegi e le deroghe, sia contributive sia anche professionali, esistenti per l'insegnamento dell'ora di religione. Ancora la Chiesa si esprime con un netto "nec possumus", ossia la totale chiusura verso un confronto lineare, utile anche a chiedere alla stessa autorità chiarimenti e giusitifcazioni all'esistenza di queste regole alquanto inique e assurde, medioevali, feudali, privilegi lontani di un vaticanismo che si è fatto ormai secolarizzazione.
Bertone ha lanciato l'utlimatum e ha emesso un anatema contro la redazione di Repubblica, a cui va tutta la mia solidarietà e sostegno personale e politico, culturale e civile: sembra di ritornare agli anatemi di Giulio II, dell'era dell'inquisizione, della caccia alle streghe, all'infedele, all'eretico. Tempi terribili, dove si generarono guerre di religione, dove il sigillo della fede eterna veniva strumentalizzato per operazioni di conquiste espansionistiche e colonialistiche: da quella condotta contro i seguaci di Pietro Valdo a quelle condotte nella Terra Santa, teatro secolare di uccisioni barbariche, a quelle, infine, protratte contro gli indigeni dell'America Latina, considerati persone da civilizzare e da catechizzare, in una concezione distorta di civismo e di rispetto della dignità umana, fondamento della cultura sociale e civica.
Posso dire che questo atteggiamento anacronistico si ritorce contro la stessa Chiesa, che tende sempre più a distanziare il proprio potere di direzione dall'idem sentire di un popolo di credenti, che accettano e accolgono con curiosità e con senso di tolleranza le ipotesi della modernità, dalla libertà personale all'autoafermazione del civis, sotto ogni aspetto.
Una distanza che rende sempre meno rappresentativa la Chiesa come istituzione, acuendo un contrasto millennario.
E' ora di dire BASTA a queste volgari e inedite ingerenze ofensive dell'integrità democratica e laica, pluralista e illuminista del nostro Paese che si fonda su un principio universale, quello della tolleranza e dell'eguaglianza: principi presenti anche in quella cultura della dottrina sociale della Chiesa ormai abbandonata da anni e anni di osservanza dei dettami del potere e della sua perpetuazione da parte delle alte gerarchie curiali.

Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

Mercoledì, 24 Ottobre, 2007 - 14:36

Una scienza responsabile per un cibo sostenibile

Appello al mondo della scienza
Una scienza responsabile per un cibo sostenibile
Per aderire all’appello, vedere la nota in fondo (*)

www.liberidaogm.org

Tra il 15 settembre e il 15 novembre 2007 si verifica qualcosa di nuovo. Un dibattito nazionale, promosso dalla Coalizione ITALIAEUROPA - LIBERI DA OGM, rimette al centro delle decisioni importanti i cittadini. Tutti gli attori del sistema agroalimentare italiano, vale a dire le organizzazioni dell’agricoltura, dell’artigianato, della piccola e media impresa, della grande distribuzione, del consumerismo, dell’ambientalismo e della cooperazione internazionale, si ritrovano intorno a un interesse comune. E insieme tornano a dialogare con i cittadini di “qualità e sostenibilità degli alimenti”.

Il dibattitto non può prescindere dall’appoggio di tutti gli scienziati e gli studiosi che comprendono il valore della sostenibilità dell’innovazione scientifica e tecnologica. In ambito agricolo, la questione riveste un significato cruciale. L’agricoltura europea deve affrontare criticità sempre più pressanti, che richiedono scelte appropriate sia sul piano politico ed economico, sia sul piano scientifico e tecnologico. Per fare qualche esempio, si pensi alla sfida lanciata all’agricoltura europea dai cambiamenti climatici e dalle urgenti misure fissate dal Protocollo di Kyoto. Ma si pensi anche alla necessità di ridurre i fertilizzanti di sintesi e i liquami zootecnici per rispettare la Direttiva nitrati dell’Unione Europea (91/676/CEE). Si tratta di sfide che si giocano interamente sulla capacità di scegliere innovazioni sostenibili e conformi alla normativa ambientale.

Lo sviluppo del sistema agroalimentare, nel nostro Paese, deve tenere conto di alcuni fatti essenziali. Nella stragrande maggioranza dei casi le dimensioni dell’impresa agricola italiana sono contenute, per la morfologia del territorio e per la storia socioeconomica nazionali. L’Italia quindi non ha alcuna possibilità di competere sulla quantità della produzione, con bassi margini di guadagno, ma può e deve competere sulla qualità, con alti margini di guadagno in particolare nell’esportazione. Tale affermazione è avvalorata dalla crescente domanda di alimenti tipici e genuini espressa dai cittadini italiani ed europei.
Con queste premesse, i costi economici, ambientali e sociali di un’agricoltura sempre più dipendente dal petrolio, dalla chimica industriale e dai brevetti sarebbero enormi e privi di senso.

Anche le colture geneticamente modificate sono antieconomiche. Com’è documentato dagli studi più avanzati di economia delle produzioni agricole, l’agricoltura transgenica non conviene, e la ragione è molto semplice: il rapporto costi/ricavi dell’agricoltura transgenica è sostanzialmente il medesimo dell’agricoltura tradizionale, ma il suo mercato è ristretto per la scarsa accettazione mostrata dai consumatori. D’altra parte, al di là dell’analisi economica, le valutazioni sulle scelte agricole devono tenere in considerazione l’obbligo di rispettare il Principio di Precauzione – previsto dal Diritto internazionale e dal Trattato dell’Unione Europea – per evitare i rischi potenziali degli organismi geneticamente modificati. Da questo punto di vista, il presente appello fa propri i principi presentati dalla Società Italiana di Ecologia nel documento Scienza e Ambiente 2002 (scaricabile www.dsa.unipr.it/site).

Il sistema agroalimentare europeo custodisce nella tipicità delle sue tradizioni e delle sue risorse buona parte del potenziale innovativo necessario alla sua ripresa. La convenienza di far leva su quel potenziale per consolidare processi produttivi e filiere sostenibili è sotto gli occhi di tutti. Nel breve termine, quindi, occorre mettere a frutto tutte le competenze e le innovazioni utili a conservare e valorizzare la diversità dei prodotti locali nel rispetto del territorio. Per esempio, si possono usare tecniche innovative di migliormento genetico, che non fanno ricorso all’ingegneria genetica, perché le varietà agricole esprimano caratteristiche desiderabili per l’ambiente. Anche gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica avanzata non possono attendere, dal momento che i danni provocati dai cambiamenti climatici presto richiederanno di studiare e adottare misure di risparmio idrico, chimico ed energetico lungo tutto il ciclo di produzione.

In Italia e in Europa molte delle risorse e delle competenze necessarie a raggiungere queste finalità esistono già, ma è giunto il momento di trasformarle in programmazione e operatività di sistema. L’obiettivo è ricostruire un patto sociale forte intorno alla sicurezza e alla salubrità degli alimenti, definendo un modello di sviluppo ben ancorato alla realtà a vantaggio della collettività di oggi e di domani. Un modello che, se trasferito nel contesto dell’Unione Europea, può innescare un vero salto di qualità delle politiche comunitarie a cui i cittadini guardano con maggior interesse.

L’Italia e l’Europa sono oggi chiamate a scegliere tra i grandi profitti di poche imprese multinazionali e gli interessi di un’intera cittadinanza. La comunità scientifica, a prescindere dalle distinzioni culturali e disciplinari, ha una grande responsabilità in questa scelta. Firmare l’appello Una scienza responsabile per un cibo sostenibile è anzitutto un atto di civiltà della scienza: un atto semplice, che restituisce agli scienziati il loro ruolo insostituibile nell’emancipazione della società.(*)

(*) Per aderire è sufficiente inviare una mail ai seguenti indirizzi:
modonesi@fondazionedirittigenetici.org
c.scaffidi@slowfood.it
digitando “adesione appello” nel subject e indicando i seguenti dati nel messaggio:
– nome e cognome
– qualifica
– ente di affiliazione
– città
– e-mail

I dati personali saranno utilizzati esclusivamente per l’adesione all’appello e trattati conformemente alla normativa sulla riservatezza.

Martedì, 23 Ottobre, 2007 - 14:32

Allarme urbanizzazione selvaggia e non vincolata

E' allarme chiaro quello lanciato da alcuni studiosi del Politecnico di Milano, tra cui Maria Cristina Treu, che parla di superamento della soglia minima di urbanizzazione del suolo. Un tempo sorgevano campagne e parchi, soprattutto cascinali, dove ancora era presente uno stile di coltivazione rurale e agricolo tradizionale, nei perimetri della città, nei comuni limitrofi, nelle adiacenze alle periferie, dove un'edificazione popolare e convenzionale spinta determinava un contrasto tra cemento e verde, tale da invitare i residenti della grande mela lombarda a emigrare in provincia per cercare un po' di quella sostenibilità umana sempre più messa a rischio nell'urbe.
Oggi anche chi abita fuori e ha optato per questa scelta non ha più respiro e vede la sua casa contornata di cantieri sempre maggiori e sempre più imrevisti e imprevidibili nella loro crescita, nella loro costituzione: manca, spesso, informazione tra gli uffici amministrativi che si occupano di piani di intervento urbano o di edilizia privata o di modifiche delle volumetrie, e la cittadinanza, spesso non coinvolta nelle scelte di partecipazione alla programmazione del territorio. Il problema precipuo rimane, spesso, l'impossibilità a definire canali di partecipazione civica e civile, comunale, municipale, dove le persone possano dare un proprio contributo costruttivo sul governo amministrativo del territorio: a Milano, per esempio, molti progetti di edilizia privata non sono più suscettibili di visione, verifica, esame e approvazione da parte delle realtà istituzionali consiliari locali, dai consigli circoscrizionali, spesso aventi potere solamente consultivo in ottica puramente "facoltativa", allo stesso consiglio comunale, dove neppure le commissioni sono interpellate nella fase istruttoria e, spesso, il tutto viene solamente portato all'atttenzione degli organi amministrativi e dei settori preposti.
Non esiste programmazione urbana, giustamente denuncia Legambiente Lombardia: ed è per questo che il 7 novembre la stessa associazione organizzerà una giornata per raccogliere firme per implementare uno studio di proposta legislativa regionale, alla stregua di quella nazionale, dove il Ministero ha in primis dettato le linee guida e di principio, in cui si possano vincolare anche gli stessi oneri di urbanizzazione, spesso destinati dai singoli comuni a opere di servizio civile e sociale, ma implicanti ancora l'istituzione di nuovi fabbricati che cementificano ulteriormente la città. L'idea è quella di corrispondere a una quantità precisa di edifici una quantità ugualmente precisa e ponderata di area verde, di modo da adottare uno sviluppo equilibrato dell'urbanizzazione, sempre più adottante schemi di genere anarchico e fortemente selvaggio, senza vincoli, senza linee di indirizzo, senza una logica utile a rendere sostenibile il sistema urbano complessivo.
Dicevamo che la Provincia ha superato i livelli minimi di urbanizzazione delle proprie aree: avverrà, se prosegue questa impostazione edificatrice del costruttivismo e sviluppismo fine a se stesso, che tra qualche anno accadrà ciò che già sta per accadere in alcuni contesti urbani, Sesto San Giovanni per esempio, dove il 100% del territorio edificabile è stato sottoposto a piani di urbanizzazione e di cementificazione, privando il territorio del giusto equilibrio tra aree verdi e aree edilizie.
Ha ragione l'assessore ai parchi e ai giardini della Provincia, Pietro Mezzi, il quale sostiene che in un'epoca di rivoluzione dei sistemi urbani attuali, dato il venire meno del tessuro industriale, dato il passaggio di una società economica fondata sull'industrializzazione e la produzione materiale a una società economica basata e fondata sul terzo settore, dei servizi e della comunicazione, dove aumentano le cosidette aree dismesse, ex capannoni industriali dalle alte volumetrie, occorre dare equlilibrio tra il progressivo avanzamento dell'edificazione e il progressivo e naturalmente necessario aumento delle aree verdi, quelle naturali, che possono garantire la tutela di uin benessere e di uno sviluppo umano e sociale compatibile e sostenibile. La percentuale dell'area urbanizzata schizzerà dal 34 al 42,7 per cento, secondo le stime, seguendo questo modello di sviluppo: il 45% è la soglia massima delle aree complessive e oggi presenti e libere per poter rientrare ancora nella classazione di sviluppo edilizio sostenibile, contenibile, ambientalmente assorbibile nel suo impatto. Il Parco Agricolo Sud, come tutta l'area su/sud-ovest, rimangono gli spazi che possono ancora garantire un controbilanciamento dell'avanzamento delle aree urbanizzate: ma è chiaro che se oggi possiamo dire che solo il 19% delle aree disponibili sono state edificate, in un futuro prossimo appetiti di varia dimensione di differenti case edificatrici potrebbero avventarsi su quesa "isola felice" di natura, agricoltura e ruralità ancora tradizionale, in cui spesso troviamo ancora funzionanti e produttive cascine di rilevanza storica e sociale ormai adicata sul territorio lombardo.
Ocorre invertire la rotta: anche in vista del nuovo regolamento edilizio sottoposto a revisione da parte dell'amministrazione comunale, dove non si recepisce il principio del controllo programmatico politico del territorio per una pianificazione logica e sistemica, fortemente equilibrata dello sviluppo urbano con le esigenze di benessere e di condivisione degli spazi vitali della cittadinanza, del diritto all'ambiente e a goderne la sua portata. Penso che il recepimento di una legge che possa rispondere alla proposta, lanciata dal Ministero dell'Ambiente, e condivisa dagli assessorati regionali preoposti, del giusto equilibrio tra aree urbanizzate e aree liberamente sviluppate come zone verdi e naturali, sia l'unica normazione di cornice e generale all'interno della quale, poi, con coerenza e conseguenza amministrativa, determinare articolati del regolamento che possano rendere vincolante questo principio e questa logica, linea di indirizzo, all'interno delle strutture municipali, Milano in primis, rendendo i medesimi principi vincolanti nel sistema urbano singolo.
Sostengo appieno la proposta e la giornata di mobilitazione del 7 novembre indetta da Legambiente perchè urge arginare uno sviluppismo selvaggio che apporterà invivibilità e forte disagio sociale, economico, territoriale e culturale della città prossima e futura. Città futura diceva Gramsci come luogo di convivenza pacifica e di solidarismo, in un'ottica di perfetto equilibrio di rapporto con l'ambiente e con la natura.
Un caro saluto
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

Martedì, 23 Ottobre, 2007 - 08:44

Ascolto

Ascoltare ed essere ascoltati.
Discutere, discutere, discutere a tu per tu, dei vari argomenti che vengono di volta in volta proposti, da amici del nostro movimento piuttosto che da avversari politici o da gente che dei partiti politici e della loro arrogante presunzione di infallibilità  ne ha ampiamente piene le tasche.
I cittadini milanesi, di qualunque opinione siano, desiderano "ascolto", ma l’ascolto è un’arte sopraffina che richiede sacrifici e umiltà.
Si può parlare di migliaia di metri cubi di cemento, in prossimità di un laghetto naturale, che da molti è percepito come un obbrobrio, sfuggito al controllo regionale mediante l'uso improprio di strumenti e meccanismi giuridici pur previsti dalla citata legge regionale. Problemi inerenti una ipotizzata condominializzazione dei complessi di case popolari milanesi sono in qualche modo percepiti, pur nella loro difficoltà teorica e tecnica, dalla gente.
La mancanza di ascolto nasce, infatti, da una grave malattia dei nostri giorni: l'indifferenza. Prima ancora di non sentirsi capiti, si vive l'angoscia che nessuno dia retta alle nostre parole: potremmo dire qualsiasi cosa, urlare il nostro dolore, sussurrare un'abissale disperazione, contrapporre una diversa opinione o un rimprovero, e avremmo in ogni caso il timore di vedere attorno gente distratta o, peggio, risponde senza sapere cosa.
Ecco, perché c’è bisogno di convegni, comizi e riunioni: la paura dell'indifferenza. Il dramma dell'inutilità di tanti incontri è dato proprio dal fatto che la gente non ascolta più perché ha paura del silenzio o di fare brutta figura. Possibile che non abbia niente da dire? Mica sarà tutta stupida! Per sentire l'altro ci vuole umiltà e pazienza: la prima è il rovescio dell'aggressività, della protervia e dell'arroganza, che alligna in particolare fra gli uomini di partito; la seconda fa a pugni con il decisionismo, cioè con quella presunta dote che oggi si crede essere indispensabile per diventare una persona "che conta". Noi, dobbiamo scegliere una strada diversa, quella di parlare al cuore e alla mente dei nostri concittadini, chiunque essi siano. Solo così saremo ascoltati, fatta cultura vera e avremo  fatto politica vera.
Ernestina Ghilardi
Consigliere Zona sette

Sabato, 20 Ottobre, 2007 - 09:23

Milano e l'EXPO' 2015

Milano sembra essere la città favorita ad ospitare l'Expò 2015. Martedì arriveranno in città gli ispettori per verificarne le condizioni, ospiti del Sindaco Moratti che li riceverà assieme ai presidenti di Provincia e Regione. Per questo da un pò di tempo Milano si sta "facendo bella". Vengono ripuliti i muri - non tutti, ma forse seguendo la logica del percorso che faranno gli ispettori -, i cestini del centro lucidati, spazzate le strade e i luoghi di interesse culturale. Bisogna dare atto a questa Amministrazione che molto è stato fatto. Unico neo rimangono le periferie, ma qui gli ispettori non andranno!. Basta girare per alcuni quartieri ed accorgersi di come il degrado la faccia da padrone: esempi per tutti sono le case popolari del Giambellino e di via Faenza/Famagosta. Milano è come una donna che si rifà il trucco, coprendosi di cerone, lasciando intatte le rughe sottostanti. L'occasione dell'Expò non va sprecata, può dare rilancio ad una città addormentata e in parte ripiegata su se stessa. Occorre però che l'occasione non sia a vantaggio dei soliti noti, costruttori, immobiliaristi che già fiutano l'affare con le aree agricole che si renderanno libere e potranno essere edificate, ma vada a vantaggio della città che vive, lavora, studia, favorisca i ceti più deboli, giovani ed anziani. Soprattutto sia l'occasione perchè anche chi è svantaggiato ne abbia un beneficio. Sarà così?. Mi auguro non si ripeta quanto accaduto con i mondiali '90. Un altro auspicio è che il sindaco Moratti e la sua amministrazione proseguano - anche dopo martedì -nella pulizia delei muri della città, soprattutto là dove c'è più bisogno: nelle periferie.A.Valdameri

Venerdì, 19 Ottobre, 2007 - 14:32

Partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche

Si parla molto di partecipazione dei cittadini alle decisioni dell’amministrazione pubblica, purtroppo si parla e basta!
Nonostante le parole della Sindaca che immagina il Comune trasparente, o meglio con le sue parole:
 “Il Comune deve essere per i milanesi come una casa di vetro: apriamo le porte dell’istituzione municipale alla Città,per far conoscere i nostri interventi e sottoporli alla valutazione di tutti” (dal periodico del Comune di Milano “Le Porte di Milano”)
Purtroppo in Consiglio di zona sette si è persa l’opportunità di far sentire l’importanza dei cittadini e concretizzare le parole della Sindaca Letizia Moratti.
Visto l’esito negativo della votazione sulla delibera consiliare riguardo al “Regolamento per la partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione urbana”, per molti dei consiglieri di zona 7,  i cittadini sono utili solo ed esclusivamente in fase di elezioni quando gli si chiede di esprimere un voto o una preferenza. Una volta raggiunto lo scopo di essere eletti, il cittadino perde valore e diventa un ostacolo anche per chi è stato eletto.
La motivazione con cui è stata respinta già in commissione la proposta di regolamento è la seguente:
La commissione, “delibera di esprimere  parere negativo poiché il nuovo regolamento per la partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione urbana” tenderebbe a burocratizzare ulteriormente le funzioni dell’istituzione, rendendo altresì praticamente ininfluente la funzione dei consigli di zona, togliendo il necessario livello di rappresentanza ai consiglieri eletti. Si tenderebbe così a sostituire le scelte e le decisioni politiche delle commissioni istruttorie, aperte a tutti i cittadini, dei consigli di zona e del consiglio comunale con forme assembleari che estenderebbero i tempi già eccessivamente lunghi della macchina burocratica dell’amministrazione in materia di urbanistica, trasformando di fatto l’organismo politico in una specie di assemblearismo permanente che causerebbe estreme difficoltà di scelte tempestive”.
Ritengo che l’informazione ai cittadini non sia una burocratizzazione  in quanto si parla del bene dei cittadini stessi, il territorio, e non di un bene della pubblica amministrazione. Invece questo bene viene trattato come se fosse un bene privato.
Inoltre ritengo aleatorio e privo di fondamento che la partecipazione dei cittadini alle scelte dell’amministrazione possa in qualche modo togliere rappresentanza ai consiglieri eletti, anzi darebbe forza ai consiglieri in quanto avrebbero dalla loro parte il consenso dei cittadini facendo così pesare il loro ruolo istituzionale. In quanto poi alle “estreme difficoltà di scelte tempestive” bhe! lasciatemi almeno sorridere: quali scelte in materia urbanistica possono mai essere tempestive.
Purtroppo i cittadini, sono considerati alla stregua di sudditi, in quanto non vengono adeguatamente informati sulle scelte importanti, ed in particolare sulle scelte di trasformazione urbana. Sembra passare una sola parola d’ordine:”non disturbate il manovratore”.
Un appello mi sento di fare come cittadino: partecipate alle commissioni ed ai consigli zona, non è più tempo di delegare! E’ necessario partecipare, e soprattutto essere informati. L’informazione è potere! E il territorio è del cittadino.
Vi allego il documento bocciato dalla Commissione Affari Istituzionali e dal Consiglio di Zona 7
Una quasi buona notizia: è stata approvata la mozione, anche se in parte purgata dalle parole” Trasparente”  e dalla seconda frase del deliberato “entro un raggio di circa 1.000 metri avente come centro il luogo effettivo della variante.” sulla maggior pubblicizzazione dei manifesti riguardanti le varianti al territorio. E’ un piccolo passo avanti. (allegato documento integrale della mozione)
Saluti
Isidoro Spirolazzi
Consigliere Zona 7 Milano

Lunedì, 15 Ottobre, 2007 - 09:15

ancora sui CAM: si riapre la questione

Rispondo alla lettera di una signora abitante in Ponte Lambro e preoccupata per possibili esternalizzazioni dell'erogazione dei servizi e di gestione dei medesimi all'interno delle strutture dei CAM, in particolare quello di Via Parea.

Chiaramente la notizia che la signora Bassano ha fornito è testimonianza di un pericolo che io da tempo ho paventato e che da tempo sto cercando, a livello cittadino, di arginare, di affrontare, creando le condizioni perchè nessun tipo di esternalizzazione della gestione dei servizi erogati dai CAM a Milano venga attuata.
Il perchè viene denunciato nelle parole della stessa signora Bassano, che ringrazio per la sua lettera e che leggo ella sua lettera una preoccupazione di dover vedere un presidio di collettivizzazione e partecipazione, di aggregazione civile e sociale, venire meno all'interno di un contesto urbano fortemente degradato e dove l'emarginazione spesso confina con la deviazione sociale, soprattutto negli strati generazionali più giovani.
Gentile signora Bassano la privatizzazione dei CAM deve essere scongiurata per diversi fattori e motivi.
Sappiamo tutte e tutti noi quanto si sia già destrutturato l'iniziale funzione dei CAM nel momento in cui la delibera Gallera, l'ex assessore al decentramento, determinò, nel 2003, il passaggio dei CTS, i precedenti centri territoriali sociali, da cts a cam: il camibamento non era solamente nominalistico ma, bensì, era fortemente sostanziale e incideva nel sistema organizzativo e strutturale dei centri medesimi. Prima nei CTS si aveva una partecipazione forte e coinvolgente della cittadinanza utente, delle lavoratrici e dei lavoratori, delle associazioni operatrici nella gestione dei centri. Ora questo elemento di aggregazione condivisa non è più possibile, in quanto le attività, che rimangono di qualità per molti aspetti, in quanto erogate grazie alla professionalità di animatrici e animatori validi, di soggetti operatori di rilevanza, non sono condivise dall'utenza nella sua complessità e da chi nelle strutture opera. Si parla di accentramento della gestione dei servizi CAM nelle mani dell'amministrazione, dico amministrazione, centrale, sia essa decentrata di zona, sia essa comunale. Tante sono le occasioni in cui abbiamo da pronunciarci come consiglieri di zona, in modo quasi indotto e vincolante, su progetti di corsi o di eventi che sono statti già visionati e accolti dall'amministrazione decentrata, dal settore decentrato, con tanto di bando e di contratto di collaborazone definito e stipulato. Neppure il momento consiliare, quello circoscrizionale, può prendere parte alla decisione sull'accoglimento delle proposte o, semplicemente, alla definizione dei criteri e delle linee guida di programmazione dei servizi. Tutto viene deciso e diretto da soggetti altri rispetto all'utenza, agli operatori, a noi consiglieri, con grave nocumento della condivisione politica della gestione dei servizi.

Questo è un primo elemento che denota come, in caso di esternalizzazione, di privatizzazione delle strutture, neppure il settore decentrato amministrativo potrà ingerire nella programmazione delle iniziative e delle attività: tutto sarà di competenza dei soggetti convenzionati che potranno liberamente, senza alcun controllo pubblico, erogare servizi che, proprio perchè con criteri che afferiscono più agli interessi particolari e non a quelli generali, non sempre corrisponderanno alle esigenze e alle bisogna della cittadinanza residente in loco. Fino a oggi la struttura dei CAM, ancora meglio prima quando erano CTS, rispondevano alle esigenze della sociologia della residenza del luogo: si effettuavano percorsi condivisi e che aggregavano soggetti associazionistici, da una parte, animatrici e animatori, dall'altra, con alta conoscenza del luogo dove andavano a operare, rispondendo a diritti e istanze consolidate, rispondenti alla cittadinanza che usufruiva di quelle strutture. Da domani questo non sarà più possibile: tutto procederà in modo totalmente svincolato dalla geografia delle aspettative della cittadinanza, ma, bensì, alle esigenze di mercato e autoreferenziali di soggetti esterni eroganti servizi che non saranno definiti previamente analizzando i contesti sociali e culturali in cui si vanno a presentare. Semplicemente avremo strutture che non erogheranno servizi controllabili dall'utenza e rispondenti al quartiere.

Ma questo è solo un elemento negativo di quanto si sta procedendo a fare: l'altro elemento è la precarietà e l'incertezza delle operatrici e degli operatori, gli animatori, già precari in gran parte, non "regolarizzati dall'amministrazione comunale", e futuribili persone senza impiego tra qualche mese, dato che i soggetti che subentreranno nella gestione dei servizi saranno non obbligati a mantenere i rapporti di lavoro con le animatrici e gli animatori impiegati oggi giorno. Questo singifica eliminare uno strato consolidato nei tempi di competenze e di professionalità che, invece di essere promosse e valorizzate con una stabilizzazione dei rapporti di lavoro, sono soggetti al pericolo di venire "licenziati".

La ringrazio, veramente, per la sua lettera che indica come si stia attivando un processo assolutamente contrastabile: il rischio è quello di vedere un sistema organizzativo simile a quello esistente per l'erogazione dei servizi da parte dei Centri di Aggregazione Giovanile, da qualche anno esternalizzati, quindi non controllabili nell'erogazione dei servizi, spesso in difficoltà in quanto i soggetti convenzionati col comune per l'erogazione dei servizi, spesso cooperative di lavoro, sono ritretti in termini economici e finanziari assolutamente inadeguati alle esigenze strutturali.
Vediamo come il Centro Giovanile esistente in Ponte Lambro avesse ormai da tempo ridotto la fascia di apertura giornaliera in quanto i termini economici della convenzione sono assolutamente scarsi rispetto ai servizi che devono essere erogati in loco.

Cercherò, in consiglio di zona, di riportare l'attenzione su questo tema in quanto esige risposte chiare e di netta contrarietà a simili scenari di svendita al miglior offerente della gestione dei servizi, con tutti i gravami e i cascami che abbiamo visto potersi abbattere sia sull'utenza, sia sulla popolazione di animatrici e animatori senza occupazione, pur avendo capacità professionali attestate e confermate da anni di lavoro e di egregia esperienza.

La informerò sull'evolversi: per il momento giace una mozione presenbtata dal sottoscritto e firmata da diverse colleghe e diversi colleghi de L'Unione in Consiglio di Zona dove si chiede al consiglio stesso di affermare il carattere pubblico della gestione dei servizi erogati dai CAM. Giace, ma penso che sia occasione di riprenderla.

Un cordiale saluto
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4

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