IO VIVO IN PACE E VOGLIO LA PACE!!
Peacelink, relativa alla missione italiana in Afghanistana, se volesse
aderire (ed ho visto che concorda con me) può farlo su
http://www.petitionspot.com/p
Le allego la lettera,
grazie,
Ettore Lomaglio Silvestri - promotore
LETTERA APPELLO AI PARLAMENTARI DELL'UNIONE: VIA DALL'AFGHANISTAN
Vorremmo, se ci consentite, dire la nostra sulla questione Afghanistan.
La pace è spesso stata considerata un valore, quindi un fine, un qualcosa
da raggiungere, e per cui qualsiasi mezzo è consentito.
Per questo motivo esiste, nel campo militare, il motto "si vis pacem para
bellum", ossia "se vuoi la pace prepara la guerra", considerando la guerra
come deterrente e quindi come mezzo per raggiungere una pace.
Per Gandhi e per tutti i veri pacifisti, tra cui ci sono anche io, la pace
è un principio, ossia un metodo di vita, un modo di essere che
naturalmente porta alla pace.
Quindi vale il principio "si vis pacem, para pacem", se vuoi la pace
prepara la pace. Si dice anche che si è in guerra non solo quando la
guerra è in atto, ma anche quando la guerra è in potenza, ossia quando si
lavora per prepararsi alla guerra.
Per questo motivo noi viviamo in uno stato di perenne guerra, in quanto
determinate ed istituzionalizzate parti dei nostri popoli sono addestrate
per andare in guerra.
Ponendo dette premesse e per sintetizzare, posto come dovuto ed
indiscutibile il ritiro delle nostre truppe dall'Iraq, teatro di guerra
che non ci appartiene, oggi si discute se bisogna continuare a permanere
in Afghanistan.
Si giustifica tale presenza come necessaria ponendo la questione che gli
afghani hanno bisogno del nostro aiuto non militarmente ma civilmente.
Ma questo non comporta assolutamente la presenza dell'esercito in
Afghanistan.
Come dice Gino Strada, se gli afghani hanno bisogno di ospedali, perché
mandargli carri armati?
Allora, invece di mandare militari, mandiamo personale civile, medico,
infermieristico, strutture mediche, esperti politici o quant'altro, ma non
militari in armi.
A questo punto sentiamo il dovere morale e il diritto civile di chiedere a
chi abbiamo eletto a rappresentarci al Parlamento e che è pacifista per
principio, di non votare il rifinanziamento della missione in Afghanistan,
ma a porre le basi per un finanziamento o un sostegno a quelle missioni
civili già presenti, come appunto quella di Emergency.
Diversamente potrebbero venire meno le motivazioni di fondo che ci
spingono a sostenere l'attuale governo.
IO VIVO IN PACE E VOGLIO LA PACE
1)Ettore Lomaglio Silvestri
2)Norma Bertullacelli
3) Massimo Dalla Giovanna
4) Comitato per la pace "Rachel Corrie"
5) Social Forum Valpolcevera
6) Maria Teresa Morresi
7) Associazione culturale Sconfiggiamo la mafia
8) Piero Cannistraci
9) Serena Pisano
10) Associazione Regionale Lazio per la lotta contro le illegalità e le
mafie "Antonino Caponnetto"
11) Elena ROMA CIRCOLO L. CIMINELLI P.R.C. Amendolara
12) Ivano Dalla Giovanna - Genova
13) Fabio Eboli
14) Albino Garuti
15) Fabrizio Fiorilli
16) Andrea Manganaro
17) Matteo Lotario (?)
18) Sergio Ruggirei
19) Rossana Montecchiani
20) Giacomo Alessandrini
21) Stefania Volonghi
22) Roberto Stoppini
--
IO VIVO IN PACE E VOGLIO LA PACE
Ritratto di una capitale assediata
BAGHDAD — La ragazzina fragile con la folta massa di capelli neri e le braccia minute giace quasi immobile, tremando leggermente e respirando piano dietro la tenda nel Pronto soccorso. Il sangue macchia il suo pigiama arancione e il telo di plastica blu sotto di lei; una flebo nutre il suo corpo ferito.
Non ha più di 10 anni, è stata vittima di una granata di mortaio che ha colpito il quartiere di Dura, a Baghdad, una vittima di una guerra in cui pallottole e bombe e razzi arrivano dal nulla e dappertutto, e in cui ricostruire chi ha sparato a chi è inutile.
Visitare il complesso dell'ospedale Yarmuk nel centro di Baghdad da molto tempo fa parte della routine nel coprire gli eventi violenti in Iraq. Ma domenica, dopo che sono scoppiati combattimenti fra gang rivali sunnite e sciite nel quartiere di Jihad, non c'erano testimoni feriti da intervistare, né particolari da raccogliere sui combattimenti.
Invece, l'ospedale era un ritratto tetro, insanguinato e disorientante di una città assediata: uomini morti, sistematicamente colpiti alla testa, giacevano nei congelatori; bambini muti, feriti, provenienti da tutta la città portavano nella carne metallo bruciato; parenti straziati dal dolore urlavano al cielo in cerca di risposte.
A metà pomeriggio, tutte le dozzine di vittime della violenza di Jihad erano già chiuse nella camera mortuaria refrigerata, o si aggrappavano alla vita in un altro ospedale meglio attrezzato per trattare ferite da arma da fuoco sparate alla testa a bruciapelo.
Oppure giacevano ancora morti nelle strade del quartiere di Jihad e del vicino Furat, nella zona ovest di Baghdad, isolati dalle forze Usa e da quelle irachene.
Qui non c'erano indizi su chi avesse iniziato la sparatoria, quale gruppo di uomini armati fosse venuto da quale quartiere, quali armi fossero state utilizzate, che numero di soldati e poliziotti fosse arrivato o quanto rapidamente gli elicotteri Usa avessero iniziato a volteggiare al di sopra dei violenti scontri confessionali a Jihad.
C'era solo una sfilata spaventata, insanguinata di vittime di altri attentati, sparatorie, e razzi, e i loro cari, molti svegli solo a metà, terrorizzati, che urlavano in agonia o si lamentavano in silenzio.
Un ragazzo di circa 12 anni, con una enorme fasciatura avvolta attorno alla parte centrale dell'addome, si trascinava in un corridoio assieme a sua madre. Era stato ferito da una bomba in un campo, uno degli innumerevoli residui militari sparsi in tutto il paese.
Un altro paziente con una fasciatura attorno all'addome, Abdul Rahman, 17 anni, era stato ferito da colpi di arma da fuoco nel quartiere di Dura. Era in attesa in una lunga coda per la benzina, avanzando poco a poco con l'auto di famiglia in una fila che si allungava per chilometri.
"Da quando ero giovane ho vissuto in mezzo alla guerra, e questo me l'aspettavo da molto tempo", dice Alanali Jenabi, una dottoressa del Pronto soccorso di 25 anni che risponde alle domande dei pazienti e riempie i moduli, con i guanti da chirurgo ancora insanguinati. "Ma non mi aspettavo numeri come questi, e negli ultimi due giorni tutti i miei pazienti erano bambini".
Altri nel Pronto soccorso e nei reparti sono stati feriti durante scontri ad Amariya o a Dura, ad A'adhamiya o a Karkh, e in altre parti della città.
Madri, padri, e zie, preoccupati e in lutto, con le mani che coprono la bocca, gli occhi pieni di lacrime, entrano in fretta nei reparti e vagano senza una direzione precisa.
In una stanza, Abdul-Hussein Jassem, 49 anni, vittima di una autobomba guidata da un attentatore suicida contro una moschea sciita la notte precedente, si contorce dal dolore con ferite al torace cilindrico, appena cosciente, mentre i suoi due fratelli camminano rabbiosamente per la stanza.
"Non c'è esercito iracheno", dice Ahmed Jassem, il fratello più anziano. "Non c'è polizia. Non c'è nulla che impedisca ai terroristi di uccidere direttamente i fedeli".
"Se vai sul tetto di casa tua, vieni colpito dalle pallottole", dice Abdul-Wahed Jassem, l'altro fratello, con una barba folta e folti capelli bianchi sulla testa - gli occhi che bruciano di collera. "Se esci dalla porta ci sono colpi di mortaio. Se vai al mercato ci sono autobombe. Se vai per le strade vieni assassinato. Cosa abbiamo fatto per meritare questo? Perché sta succedendo a noi?"
In un cortile, alcuni parenti estraggono da un fuoristrada il corpo pallido, esanime di un uomo sulla trentina, un'altra vittima delle sparatorie di Jihad, dicono funzionari dell'ospedale. Un parente urla "Dio è grande, Dio è grande!" mentre il corpo viene portato nel reparto di medicina legale dell'ospedale.
Il direttore della sicurezza è più o meno l'unica voce di certezza nell'ospedale.
Elenca il bilancio raccapricciante della giornata: otto corpi dal quartiere di Furat, sette da quello di Dura, 21 da quello di Jihad, tutti con ferite da pallottole e segni di tortura.
"Sono stati uccisi oggi", dice il direttore della sicurezza, un uomo tarchiato con una camicia rossa e una pistola nella fondina contro le costole. "Lo sappiamo perché il sangue è ancora caldo. Lo sappiamo dal corpo".
Parla a condizione che il suo nome non venga pubblicato per timore di venire ucciso a sua volta.
Squilla il telefono. Stanno arrivando altri quindici corpi dai combattimenti nel quartiere di Jihad. Il direttore della sicurezza convoca il capo della camera mortuaria, un uomo alto, corrucciato, con sopracciglia spesse e una fronte prominente, che gli dice che le tre celle frigorifere sono piene.
Fuori dalle enormi celle frigorifere, la puzza della carne in decomposizione opprime i visitatori, dando loro il voltastomaco.
All'interno giacciono corpi bianchi come il gesso, alcuni impilati in ordine sulle rastrelliere, altri collocati casualmente su barelle metalliche, le teste insanguinate da ferite da pallottole, la pelle che viene via con segni di torture, i polsi e le caviglie arrossati da legacci successivamente rimossi.
"E' una guerra confessionale e adesso è dichiarata", dice il direttore della sicurezza. "Vediamo cinque sunniti uccisi, cinque sciiti uccisi. Due cristiani uccisi, due sabei [o mandei – minoranza religiosa che segue una religione gnostica molto antica NdT] uccisi. Sta succedendo. Il governo non sta facendo niente. Il piano per la sicurezza non sta funzionando".
Un soldato concitato si avvicina a un gruppo di giornalisti e chiede di vedere i loro tesserini di identificazione. I giornalisti presentano le loro credenziali, assicurandogli che si limiteranno a chiacchierare con i pazienti ed eviteranno di fare fotografie o di causare qualsiasi problema.
"Non c'è alcun problema che potreste causare", dice il soldato, scuotendo la testa costernato mentre si calma e si presenta come Akram Karim Hassan. "Nelle strade avvengono uccisioni di massa. Che cosa potreste farci di più?"
Una guardia del corpo dice ai giornalisti che è ora di lasciare l'ospedale da un ingresso di servizio e di tornare al loro ufficio. Si sta facendo tardi, dice, e all'ospedale Yarmuk ci sono rimasti già troppo.
(Traduzione di Ornella Sangiovanni)
Associazione Docenti precari Milano e Provincia
Organizza per Giovedì 13 luglio alle ore 10.00
un SIT IN davanti al
CSA di Milano - Via Ripamonti 42
PER SOLLECITARE IL GOVERNO A
- aumentare il numero delle immissioni in ruolo eventualmente
ricorrendo anche a nomine giuridiche al fine di permettere almeno la
copertura dei posti resi vacanti dai pensionamenti
- eseguire una corretta revisione degli organici che al momento
risultano “falsi e fuorvianti”
- produrre un piano pluriennale di assunzioni che garantisca un
futuro a coloro che prestano servizio da anni nella scuola statale
- approvare il documento della VII commissione relativo ad una
pronta risoluzione del problema del precariato scolastico
- non disattendere quanto espressamente dichiarato nel programma
elettorale dell’Unione, pag 234 :” lotta ad ogni forma di precarietà, con
l’immediata copertura di tutti i posti vacanti, immettendo in ruolo
coloro che già lavorano nella scuola”
In campagna elettorale era stata promesso di “INVESTIRE NELLA SCUOLA”
(pag. 227 del Programma dell’Unione) e non è accettabile che, per ora,
l’unica forma di “investimento” sia stata l’approvazione delle 20.000
unità che erano peraltro state previste dal governo precedente.
Il documento della VII commissione permanente della Camera presenta
delle proposte sicuramente condivisibili e di facile attuazione che
comportano investimenti minimi.
Invitiamo, quindi, in particolare il ministro Padoa – Schioppa a
elaborare un piano economico che non si limiti “ai soliti tagli” e a
considerare seriamente una soluzione al precariato della scuola in modo che
ci sia una svolta “vera” affinché le parole spese in campagna
elettorale non restino, come è stato in questi ultimi anni, soltanto parole.
Pag. web: www.adpm.it
e-mail : info@adpm.it
L'amaca Michele Serra
Le parole di Roberto Calderoli sulla Nazionale francese ("piena di negri, islamici e comunisti") sono al tempo stesso schifose e ridicole, proprio come è schifoso e ridicolo il razzismo. Ma quest´uomo dalle idee schifose e ridicole è stato, fino a poche settimane fa, ministro della Repubblica, e artefice di importanti riforme. Le sue dichiarazioni sulla Francia ci aiutano a tenere desto il ricordo di che cosa è stato il governo Berlusconi: un governo che ha portato i razzisti, e il razzismo, nel cuore delle istituzioni repubblicane.
Basterebbe questo per ricordare il berlusconismo come una fase infelicissima e vergognosa della nostra storia nazionale. Tutto il resto, comprese le peripezie giudiziarie del fu-leader e la sua iscrizione alla P2, le sue grottesche gaffes all´estero, la sua arroganza politica, è pessima cosa ma fa ancora parte della tradizionale maleducazione civile di un pezzo di Italia. Ma i razzisti al potere, caduto il fascismo, non li avevamo mai avuti. È stato il governo Berlusconi a portarceli. Non dimentichiamocelo mai, per favore. E grazie davvero a Calderoli per avercelo ricordato.
Afghanistan e non solo: la vera posta in gioco
Nelle ultime settimane si è parlato molto della missione italiana in Afghanistan e discusso all’infinito se sia giusto o no rifinanziarla.
Come umanisti, la nostra posizione è chiara: checché ne dica il governo, questa non è una missione di pace sotto l’egida dell’ONU, giacché nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza ha mai autorizzato la Nato ad assumere il comando dell'Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza) in Afghanistan. Eppure dall’agosto 2003 a guidare la missione non è più l’ONU ma la Nato, ossia di fatto il Pentagono.
La nostra presenza in Afghanistan rappresenta un servile adeguamento alla politica terrorista degli Stati Uniti, capaci solo di rispondere con invasioni, massacri, bombe e torture alla violenza altrettanto bestiale dei terroristi.
Restare in Afghanistan significa assecondare le favole della “caccia a Bin Laden” o del “riportare la democrazia dove prima c’erano i burqua”, quando sappiamo benissimo che l’Afghanistan costituisce un territorio strategico per gli interessi degli Stati Uniti.
Rifinanziare la missione significa infine continuare a violare l’articolo 11 della Costituzione, che afferma chiaramente il ripudio della guerra come strumento di soluzione dei conflitti internazionali, anche quando questa viene travestita da “missione umanitaria.”
Qui però non si tratta solo di una questione di politica interna, o di una disputa tra le varie anime della sinistra italiana. La questione è più ampia e investe temi di enorme importanza e gravità come il disarmo e la necessità di una vera politica estera di pace, in alternativa a quella imperialista degli Stati Uniti.
Alcuni dati possono aiutare a capire la posta in gioco.
· La guerra è un grande business: le esportazioni di armi rappresentano un giro d’affari di 21 miliardi di dollari all'anno e i maggiori produttori ed esportatori di armi leggere sono i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Usa, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna).
· Negli ultimi dieci anni la spesa militare mondiale è aumentata del 2,4 % l’anno, raggiungendo nel 2005 l’incredibile cifra di 1.120 miliardi di dollari.
· Moltissimi paesi hanno sostenuto le invasioni statunitensi in Afghanistan e Iraq. Non sono sempre gli stessi (per es. la Germania e la Francia hanno mandato truppe in Afghanistan, ma non in Iraq e la Spagna le ha ritirate dall’Iraq per mandarle in Afghanistan), ma la sostanziale sottomissione alla politica USA è evidente. In Iraq la cosiddetta “Coalizione dei volenterosi” che ha appoggiato l’invasione americana nel 2003 era composta all’inizio da 52 paesi, molti dei quali hanno poi ritirato le truppe per la pressione dell’opinione pubblica contraria alla guerra. Meno noto è il caso dell’Afghanistan, dove 35 paesi hanno mandato truppe o in qualche modo sostenuto l’invasione.
· La Nato si muove al di fuori degli accordi del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, violandoli apertamente. Gli Stati Uniti hanno dislocato 480 bombe in otto basi aeree di sei paesi Nato europei.
· In tutto il pianeta rimangono 30.000 testate nucleari, sufficienti a distruggerlo per intero 25 volte.
Di fronte a dati spaventosi come questi, è evidente che qui non si tratta semplicemente di sganciarsi da una singola missione militare, ma di impostare una politica estera che vada in direzione opposta a quella seguita finora. Questo non può essere uno sforzo individuale di un paese, ma come minimo dovrebbe diventare la direzione imboccata da tutta l’Europa.
Stiamo parlando di una politica estera basata sul ripudio della guerra come mezzo per risolvere i conflitti internazionali e sul riconoscimento della pace come diritto fondamentale di popoli e individui.
Una politica estera che preveda:
· l’uscita dalla Nato, in quanto chiaro strumento della politica imperialista statunitense.
· il ritiro di tutti gli eserciti invasori dai territori occupati
· la ricerca del dialogo e della mediazione diplomatica per risolvere i conflitti
· il disarmo progressivo
· la riconversione dell’industria bellica.
Può sembrare una “mission impossibile”, ma è inutile ingannarsi: questa è la posta in gioco. E l’unica forma per imporre questa agenda ai governi, anche “amici”, consiste nella costruzione di un’alternativa non prevista nel copione dei potenti. Un’alternativa basata sul rafforzamento dei vincoli tra i popoli, l’appoggio reciproco, la solidarietà, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la mobilitazione e la pressione su coloro che pretendono di decidere il destino di tutti.
11/7/2006
Guerra in Afghanistan...
ALLA C.A. DI ALEX ZANOTELLI
DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA (in forma di
lettera pubblica)
CARO ALEX, SERVE UNA TUA PAROLA SAGGIA
Non so
quanti morti, ovviamente tra la debole ed indifesa popolazione civile,
abbia finora provocato la guerra in Afghanistan.
Il Senatore Martone
ha "sparato" la cifra di 200.000 vittime.
Sono 200.000 donne, uomini,
bambini sacrificati sull'altare dell'"esportazione della democrazia" a
suon di bombe sui villaggi.
Ora Enduring Freedom, a guida americana, e
ISAF della NATO passano alla "fase 3": espansione nell'Area Sud ed Area
Est.
Facciamo, per essere ottimisti, altri 50.000 morti?
Io capisco che
il bau bau del voto UDC faccia tremare a molti, a quanto pare piu'
attenti alla politica istituzionale che al pacifismo, le vene ed i
polsi.
Ma credo che occorra anche conservare il senso della misura e
delle proporzioni.
Questa paura sugli "equilibri politici", basata
sulla logica machiavellica del calcolo dei rapporti di forza, ci deve
far chiudere gli occhi per l'avallo ad una guerra che, oltre tutto, si
proiettera' presto in un attacco, forse atomico, contro l'Iran?
"Riduzione del danno" potrebbe essere che, finalmente, qualcuno a Bush
le canti chiare. Magari - perche' no? - il nostro Paese, con un
sussulto di vero orgoglio nazionale.
Dovremmo farlo in nome della
Costituzione, va bene; ma soprattutto in nome dei "poveracci" afghani
(e iraqeni, e palestinesi, e somali, ecc,) che rischiano veramente, da
un aggravamento dei bombardamenti umanitari, tutti i loro beni ed, in
senso forte e proprio, la vita, quella loro, quella delle famiglie,
quella delle comunita' in cui risiedono e lavorano.
Il terrore, per
loro, indicibile ed artigliante, e' molto piu' concreto e fondato del
nostro blando timore per i "disastri" provocabili dai politicanti
italiani e dal loro principe, Silvio Berlusconi.
Diceva Gandhi: per
poter capire se una nostra azione e' buona o cattiva pensiamo alle
conseguenze pratiche che produrra' sull'ultimo dei poveri che
conosciamo. Se lo fara' star meglio, l'azione passiamola per buona. Se
lo fara' stare peggio, l'azione va data senz'altro per cattiva.
Non
credo che possa essere considerata una buona cosa provocare ai poveri
contadini afghani la preoccupazione di dover scrutare il cielo per
controllare se grandineranno o meno missili o bombe...
Ne' l'uso dei
lanciafiamme mi sembra il metodo piu' indicato per bonificare le
coltivazioni di oppio...
Caro Alex,
In questi giorni sulla vicenda
del voto per il rifinanziamento delle missioni militari stiamo
assistendo ad uno psicodramma degno di miglior causa.
Otto senatori
sono stati messi sotto processo dai loro colleghi semplicemente
perche' intendono restare fedeli al buon senso pacifista, quello che
rimane ancorato al signicato tangibile delle cose, essendo capace di
distinguere, come il giorno dalla notte, le scelte di vita da quelle
di morte.
Sono otto senatori che permangono nell'idea che hanno
solennemente esternato e pubblicizzato i loro gruppi parlamentari
quando hanno aderito, suonando a pieno fiato le trombe mediatiche,
all'appello redatto da te, inseme a Strada, Ciotti e Dall'Olio.
Sono
otto persone che ti hanno ascoltato e capito. Me lo stanno
esplicitamente ripetendo e confermando per telefono i vari Malabarba,
Turigliatto, Burgio, Giannini, col tono accorato di chi sta subendo
pressioni ai limiti del ricatto e delle minacce ...
Mi sembrerebbe - a
questo punto - opportuna una tua presa di posizione pubblica, che
avrebbe una valenza pesantissima: lasciate in pace quei digraziati, se
proprio volete prendervela con qualcuno, ci sono qua io. Io, a nome del
pacifismo autonomo e conseguente, sono il mandante, loro sono gli
esecutori di quello che, a quanto pare, considerate un "delitto":
voler continuare a ripudiare la guerra, come prescrive la nostra
Costituzione.
La prossima volta, cari politici di qualsiasi colore,
prima di aderire a cuor leggero ai miei appelli, rifletteteci bene:
non si scherza con le cose serie, con la speranza di un mondo che, per
ottenere la pace, prepari la pace e non voti la guerra. Aderite
percio' con riflessione e convinzione profonda ad una concezione
pacifista che deve scuotere gli schemi ed i luoghi comuni della
politica tradizionale.
Siate coraggiosi come richiede il grave momento
e la vostra responsabilita' di rappresentanti del popolo: dipende da
voi una svolta in politica estera che attivi autentiche missioni
disarmate di pace: perche', riprendo la citazione di Gandhi
dell'appello di Strada e mio, "Non c'è una strada che porta alla pace,
la pace è la strada".
Tanti tagli sbagliati ed ingiustificati!!
Decreto Bersani: tanti sì, ma sulla scuola non mancano tanti tagli
sbagliati ed ingiustificati!
Il Ministro dell’Istruzione nelle sue dichiarazioni sui provvedimenti
di contenimento della spesa pubblica aveva affermato che le scuole
avevano “già dato”.
Queste rassicurazioni avevano trovato fino a ieri un riscontro nel
testo del Decreto Legge 223 dove, in verità, non compare nessun riferimento
esplicito alle istituzioni scolastiche. Però il conflitto che è tuttora
in corso tra il Ministero dell'istruzione e il Ministero del Tesoro
sulla restituzione delle somme accantonate ci ha allertato e ci ha spinto
a sviluppare tutte le ricerche possibili per avere la certezza che,
almeno questa volta, le scuole non fossero toccate dalla scure dei tagli.
E' stato così che questo lavoro di tipo “investigativo” ci ha spinto ad
approfondire la formulazione dell'art. 25 del Decreto Legge 223 dove,
con riferimento agli accantonamenti di spesa previste si parla
genericamente di “unità previsionali di base” delle amministrazioni centrali.
Con nostro sconcerto la lettura degli allegati, più di 70 pagine, ci ha
fatto scoprire che all'interno delle unità previsionali di base del MPI
sono comprese anche quelle degli uffici scolastici regionali e delle
istituzioni scolastiche, mentre le scuole non statali invece non
sembrerebbero toccate da queste misure.
Pertanto, se non ci sarà la modifica del Decreto, che chiediamo sin da
ora con forza, per le scuole si prospettano 4 anni di ulteriori
gravissime restrizioni che metteranno in discussione, a questo punto, anche lo
stesso funzionamento dei servizi.
Nei prossimi giorni pubblicheremo una scheda di approfondimento dove
illustreremo le misure e le modalità della riduzione delle spese che,
secondo le previsioni del Decreto, arriva fino al 2009.
Roma, 7 luglio 2006
Parco delle Cave
- da mesi il Gestore (Italia Nostra- Boscoincittà) attende il rinnovo della Convenzione con il Comune per la gestione e la manutenzione
- non procedono i lavori dell’area Cava Ongari-Cerutti (lato Via Diotti-Quinto Romano)
- il futuro insediamento Pompeo Marchesi, così massiccio, che non mancherà di invadere, con la sua ombra e con grosso impatto, quella parte di Verde
- il parere negativo dato in una delle ultime sedute del Cons. Zona 7 all’inserimento della Cascina Linterno e delle aree adiacenti nel perimetro del Parco delle Cave.
Denuncia sul caldo sui mezzi pubblici ATM
5.Belle queste segnalazioni, non mi fanno sentire sola nel mio rapporto ormai d’odio con l’Atm……
Ecco le mie:
Sempre linea 71: questa volta a Romolo lunedì 10, lì gli orari ci sono, saltata la corsa delle 18.25. Risultato: per me che ero lì alle 18.15 attesa di 20 minuti dato che l’altra corsa è partita alle 18.35.
Non posso dare giorni precisi, dovrei dare tutti i giorni del mese…….In particolare, però, questo me lo ricordo: venerdì 7 mattina, 8.45, altezza Romolo, sono riuscita a salire, ma ho effettuato tutto il viaggio in bilico sui gradini, tenendomi con un braccio e in punta di piedi, appiccicata a tutti, tra sudori, puzze e afa terribili. Ah, che gioia iniziare così la giornata, per me che soffro di pressione bassa è fantastico……
OGNI GIORNO E’ COSI’: nessun rispetto per gli orari, a volte ne arriva una dopo 15 minuti, a volte ne arrivano tre dopo 2, super affollamento, calca, delirio. Aria condizionata????? Ah, ah, ah….. Io spintono tutti per accaparrarmi il posto di fronte al finestrino, onde evitare di svenire, ma quando si ferma ai semafori è terribile, senti tutti i 40 gradi misti a tanfi e sudori.
I modi dei conducenti? Maleducati a livelli impensabili, se chiedi spiegazioni sei solo un rompipalle e ti becchi insulti.
I modi dei controllori? INTOLLERABILI. I classici sceriffi che più che controllare eseguono spedizioni punitive ottuse. Hanno dei modi osceni, irritanti, pensano di essere chissà chi solo perché hanno il potere di fare multe, wow.
E io ho la tessera magnetica che carico regolarmente ogni mese. Che squallore.
6. ti giro tre mail che ho mandato ieri all'ATM come reclamo, per l'eccessivo affollamento della metropolitana negli orari di punta e il caldo soffocante....
Descrizione reclamo: NON SI PUO' FAR VIAGGIARE LA GENTE IN METROPOLITANA PRESSATA IN UNA MANIERA OSCENA, CON LA RIDUZIONE DELL'ORARIO NELLA FREQUENZA DI METROPOLITANE URBANE E INTERURBANE, SI VIAGGIA COME BESTIE, AL CALDO E IN UN AFFOLLAMENTO FUORI DAL NORMALE. PRENDERO' SERI PROVVEDIMENTI, ANCHE UNA DENUNCIA SE NECESSARIO PER IL DISSERVIZIO, QUESTO E' MOLTO GRAVE, OLTRETUTTO PAGARE PER VIAGGIARE IN QUESTA MANIERA E' VERGOGNOSO, VERGOGNATEVI
Giorno: 12/07/2006
Ora: 08
Minuti: 50
Mezzo: Metro
Linea: M1
Descrizione reclamo: vi ho gia' scritto innumerevoli volte, naturalmente senza aver visto finora dei miglioramenti, non so il motivo per cui raccogliete reclami se poi non fate nulla per migliorare il servizio. Se
qualcuno decidesse di fare una protesta seria contro il servizio ATM io sarei la prima a farla, perchè dovete vergognarvi di far pagare il biglietto alla gente e farla viaggiare in condizioni a dir poco disastrose,
di caldo soffocante e affollamento di treni.Non mi stancherò mai di dirvi: VERGOGNATEVI
Giorno: 12/07/2006
Mezzo: Metro
Linea: M1
Descrizione reclamo: non mi stancherò mai di continuare a scrivervi, fino ad intasarvi la posta, per segnalare un disservizio nell'orario ridotto della metropolitana...non si può viaggiare così, come ve lo dobbiamo dire???se un giorno dovessi mai sentirmi male vi farò una denuncia e andrò fino infondo, perchè è vergognoso viaggiare in condizioni del genere....
Giorno: 12/07/2006
Mezzo: Metro
Linea: M2
Gentile signora,,
prendiamo atto del suo reclamo relativo alla programmazione del servizio metropolitano estivo.
Al riguardo la informiamo che la programmazione degli orari delle linee metropolitane e di superficie deriva dall'analisi della domanda di trasporto rilevata su ciascuna tratta, tenendo conto dei giorni feriali /
festivi, della fascia oraria e della stagionalità.
Le linee sono monitorate in modo costante sulla base di un programma di sorveglianza dell'esercizio, al fine di adeguare l'offerta dei servizi alla domanda espressa dalla Clientela.
E' comunque stata ns cura segnalare il contenuto del suo reclamo al competente settore aziendale, per le dovute verifiche circa l'adeguatezza del servizio attualmente proposto.
Cordiali saluti,
atm spa - relazioni con i clienti