Denunciamo Paola Binetti
Chiediamo inoltre all’Ordine nazionale dei Medici di pronunciarsi in modo chiaro e definitivo e di prendere le distanze da queste abberranti affermazioni.
C’è da chiedersi infine come la Binetti possa militare in un partito il cui leader, Walter Veltroni, solo una settimana fa, ha denunciato l’omofobia dilagante in Italia.
Cultura a Milano: RESPIRO INTERNAZIONALE O FIATO CORTO?
Riporto un articolo apparso su ChiamaMilano di oggi, 31 ottobre 2008
Cordiali saluti a tutti/e
Antonella Fachin
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RESPIRO INTERNAZIONALE O FIATO CORTO?
Il Sindaco nomina un nuovo, collaborativo, Assessore alla cultura ed evita la mina del rimpasto
“Finazzer chi?” il Consigliere comunale azzurro mostra un certo stupore nell’accogliere la notizia della nomina del nuovo Assessore alla cultura. Dalle voci che abbiamo raccolto non è il solo. Il fascinoso Finazzer Flory non sembra essere ai vertici della hit parade della notorietà tra i banchi di Palazzo Marino, e non si capisce se ciò vada a maggior danno di quei consiglieri comunali “ignoranti” o del successore di Sgarbi.
È comunque fuor di dubbio che con la nomina del nuovo Assessore alla cultura il Sindaco abbia messo a segno un doppio colpo: da una parte ha individuato un personaggio meno ingombrante e più collaborativo del vulcanico neo Sindaco di Salemi, il quale appena appresa la notizia ha definito la nomina di Finazzer illegittima e ha minacciato di adire alle vie legali; dall’altro ha stoppato nuovamente le velleità di rimpasto –nutrite soprattutto dal gruppo consiliare di Forza Italia– fattesi ancor più insistenti dopo la firma del decreto Expo da parte del Governo.
I malumori non serpeggiano solo tra gli azzurri, anche dalla Lega, nonostante commenti ufficiali favorevoli alla nomina del successore di Sgarbi, c’è più d’una perplessità, al di là della facile ironia di chi ha individuato nel cognome un po’ esotico del nuovo Assessore il mantenimento della promessa fatta dal Sindaco dopo la cacciata di Sgarbi: il nuovo responsabile della cultura sarà un nome di respiro internazionale.
Anche nel comitato di saggi che il Sindaco aveva costituito per affiancarla nella gestione del dopo-Sgarbi la nomina di Finazzer Flory non è stata presa bene.
Appena noto il nuovo Assessore è arrivata la lettera di dimissioni firmata da cinque nomi di tutto rilievo del milieu culturale meneghino: Andrée Ruth Shammah, regista e direttrice del Teatro Franco Parenti, Gianni Canova critico cinematografico, Massimo Vitta Zelman, editore, Davide Rampello, Presidente della Triennale, Enrico Micheli, finanziere ma anche ex Presidente del Conservatorio. Forse aspiravano a quella poltrona? Probabilmente, a detta di molti, ognuno di loro l’avrebbe occupata meglio.
Finazzer Flory garantisce una gestione tranquilla di quel poco cui le politiche culturali sono state ridotte ormai da un ventennio e soprattutto va a coprire la quindicesima poltrona in Giunta sulle sedici consentite dalla legge. A questo punto l’unico vacante posto da assessore rimane quello delle attività produttive, per il momento gestito ad interim, dopo la cacciata di Tiziana Maiolo, dall’Assessore Terzi. I consiglieri di Forza Italia dovranno accontentarsi. Speravano in due poltrone: quella alle attività produttive e quella nuova di Assessore al bilancio se il sindaco avesse rinunciato a quest’ultima delega e tenuto quella alla cultura.
Invece, gli scontenti che si lamentano sin dalla formazione delle liste per le ultime elezioni politiche che hanno escluso alcuni consiglieri che speravano di approdare a Roma, saranno costretti a rimuginare ancora.
Intanto il governo cittadino sembra ricalcare sempre più quello nazionale: un uomo –o donna– solo al comando, i pochi ruoli chiave occupati da fidatissimi e figure poco ingombranti sulle poltrone di minor peso.
B.P.
scuola pubblica: Gli scontri a Roma
Gli scontri di ieri a Roma
QUANDO LI CONOSCI NON LI EVITI
QUANDO LI CONOSCI NON LI EVITI
staffetta interculturale per non dimenticare Abdoul
ore 20.45 - Auditorium P. Maggioni
Via Don Milani, 6 - Cernusco sul Naviglio
AfroSound Alafia (afro)
Black & White (afro beat)
Roberto Carusi (attore)
Erminia Dell'Oro (scrittrice)
Cheikh Tidiane Gaye (scrittore)
Betty Gilmore (cantante e poetessa)
Michel Koffi (griot)
Kossi Komla-Ebri (scrittore)
Toma L’Arge & Corona Reyes (crew hip hop)
Misho & Skone (mc hip hop - reggae)
Henri Olama (afro beat)
Roberto Pedretti (docente universitario)
Candelaria Romero (attrice e scrittrice)
Vigevano Massive (dj reggae)
Itala Vivan (docente universitaria)
Zanko El Arabe Blanco (rap - hip hop)
Africa 80 * ANPI * Ass. Cittadini dal Mondo * Ass. Culturale Albanese G. K. Skanderbeg * Ass. Roberto Camerani * Banca del Tempo * Bottega Eticomondo * CNGEI Scout Laici * ColorEsperanza * Comitato per non dimenticare Abba, per fermare il razzismo * FNP CISL * Forum del Terzo Settore Martesana * Operazione Cachoeira de Pedras * Per una Libera Università delle donne * Scuola di Italiano per Stranieri * So. Ba. Di. Ma. Lo. * SPI CGIL
Se non ora quando. Aggiornamenti appello
Se non ora quando?
per una Commissione d'inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia nel territorio milanese
A Milano la mafia esiste. I fatti dimostrano che nella "capitale finanziaria" la corruzione persiste in modo invasivo. Vincenzo Macrì, componente della Direzione Nazionale Antimafia, assicura che "Milano è la vera capitale della "ndrangheta". Si parla anche di mafia, camorra, sacra corona unita. A testimoniarlo sono fatti giuridicamente sottoposti a procedimenti penali ancora in corso. Politica ed economia intessono relazioni pericolose con esponenti delle cosche.
Diversi sono stati gli omicidi di stampo mafioso commessi negli ultimi mesi, ricordiamo per ultimo Cataldo Aloisio, 34 anni, freddato nel Nord Ovest di Milano da un colpo di pistola alla nuca.
Come spiega Gianni Barbacetto, un potere non più occulto si è insediato nella città e come una idra multitentacolare tende a pervaderne il tessuto sociale, economico e politico.
L'emergenza in città viene indirizzata verso i Rom, oppure verso i furti e le rapine che sono in netto calo negli ultimi anni: il resto non sussiste. Non si comprende che spesso la microcriminalità esiste perché esiste la macrocriminalità delle organizzazioni mafiose.
La mafia a Milano, come scrive nel suo libro Giampiero Rossi, permane ormai da tempo in diversi settori: dai piccoli spacciatori sulla strada ai consulenti finanziari, ai commercialisti, ai direttori di banca negli uffici "ovattati" del centro cittadino, capitale del "business".
La macrocriminalità ricicla il denaro che gli viene fornito da una certa finanza bancaria e di borsa che, pur non essendo organica alla "cosca", rimane complice di un sistema di corruzione e di inquinamento della libera concorrenza.
La mafia è un problema culturale, asserisce Giovanni Impastato, fratello di Peppino. E anche nel Nord la cultura dominante è quella dell'illegalità.
Occorre creare una Commissione di controllo sugli appalti dell'EXPO, una commissione speciale d'inchiesta sugli interessi mafiosi attivi nel territorio cittadino: la proposta giace in Consiglio Comunale, nonostante l'apprezzamento trasversale che ha ottenuto.
La società civile, l'associazionismo per la legalità, Don Gino Rigoldi, Libera, intellettuali e uomini di cultura hanno più volte avanzato la proposta, anche precedentemente all'assegnazione dell'EXPO a Milano. Ma l'amministrazione è sempre apparsa sorda di fronte a una richiesta corale di fare fronte all'emergenza dell' illegalità mafiosa, corrosiva della convivenza civile e sociale della nostra città.
Occorre subito attivare ogni forma utile a riportare a Milano la cultura della legalità, che è cultura di democrazia, giustizia sociale ed eguaglianza.
Ti chiediamo di aderire a questo appello che alcune cittadine e cittadini indirizzano all'Amministrazione Comunale affinché si chieda subito e si approvi una Commissione d'Inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia a Milano, coerentemente con quanto sostenuto da più relatori nell'incontro in memoria di Peppino Impastato, tenutosi proprio a Palazzo Marino il 16 settembre 08.
Invia la tua adesione all'indirizzo listafoappello@gmail.com scrivendo:
aderisco all'appello " Se non ora quando? Appello per una Commissione d'inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia nel territorio milanese da inviare all'Amministrazione Comunale di Milano".
scuola pubblica: IL GIORNO DOPO
Mi sembra un’analisi realistica e realizzabile del movimento della scuola
Antonella Fachin
www.retescuole.net
Milano , 29/10/2008
IL GIORNO DOPO. Michele Corsi
Il governo ha convertito in legge il decreto 137. Lo ha fatto a gran velocità, come sta accadendo per tutti i provvedimenti che riguardano la scuola e l'università. Si è giustamente condannata quest'arroganza, ma non ci si è soffermati sul perché: perché coartare tempi, porre la fiducia, impedire dibattiti? Per disprezzo nei confronti delle Camere? Ma se dispongono di una maggioranza larghissima! La risposta mi pare semplice: discussioni parlamentari prolungate avrebbero facilitato la circolazione di informazioni tra genitori e insegnanti, e dunque avrebbe aumentato la loro capacità di reazione. Hanno sbagliato i calcoli? Direi di sì.
Il movimento, questo movimento, non cessa d'allargarsi. Non credo che i nostri governanti, ed anche l'opposizione, si rendano davvero conto di quel che sta accadendo nel Paese. E' un movimento dal basso, molecolare, incontrollato che sta prendendo forma dall'inizio di settembre, anche se della sua esistenza i media si sono accorti solo ora. Le sue molecole sono i comitati misti genitori-insegnanti delle elementari e delle scuole d'infanzia. Solo nel milanese ne sorgono di nuovi quotidianamente. Il governo dice che sono manovrati dalla sinistra. Magari, qualcuno di noi potrebbe dire. E invece è proprio la scomparsa della sinistra e di una credibile e combattiva opposizione che ha fatto comprendere a tutti che per salvare la scuola si doveva far da sé, senza delegare.
Il governo spera che, grazie alla velocità d'azione, questa massa di gente tornerà a casa. Di nuovo, si sta sbagliando. Le tappe forzate imposte da Berlusconi hanno aumentato la rabbia e l'indignazione del movimento. La frustrazione non si sta trasformando in senso d'impotenza e depressione, perché in queste settimane abbiamo sperimentato la nostra forza. Senza l'aiuto di nessuno abbiamo imposto ai media e all'intera opinione pubblica l'urgenza della scuola e dell'università.
E' una forza che deriva dalla determinazione, dalla fantasia, ma anche da un fattore molto semplice, che ha spaventato sempre, nei secoli, qualsiasi governo in carica: la forza dei numeri. Siamo tanti. E più il movimento si ramifica dalle grandi città sino ai piccoli comuni, più questi numeri diventano popolo. Ed è l'unico fattore in grado di fermare chi ci governa. Berlusconi può ignorare il movimento, ma non i sondaggi che per la prima volta lo danno in calo, e proprio grazie alla scuola. E tra un po' ci saranno le amministrative... La Gelmini ha dato per persi gli insegnanti, altrimenti non direbbe tali e tante castronerie, nessuno può permettersi però di dar per persi i genitori. Il popolo della scuola è una valanga di lavoratori del settore, ma anche, e ancor di più: papà, mamme, nonni, studenti...
Qualcuno in qualche stanza sta cercando di mettere in pratica le parole che per l'età Cossiga dice ora a ruota libera, dopo averle nascoste per anni. Non ero molto cresciuto all'epoca, ma ricordo quando l'allora ministro degli interni chiedeva l'unità nazionale perché gli "studenti criminali" devastavano l'Italia. L'abbiamo sempre sospettato, ma ora lo dice lui: era tattica, e un bel po' di vetrine le hanno spaccate i suoi agenti. Davvero pensiamo che non ritenteranno lo stesso gioco? Di imbecilli di parte nostra disposti a giocare il suo gioco francamente ne vedo pochini. Vedo anzi molta ingenuità. Come quegli studenti che a Roma immaginavano che fosse davvero possibile manifestare insieme a quelli di estrema destra. Dobbiamo ancora e soltanto contare sul numero. E allargarlo, perché il movimento non ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità: non tutte le università si sono mosse, gli insegnanti delle superiori e delle medie sono fermi, tanti comuni piccoli e medie città devono essere raggiunte, le assemblee informative coi genitori le dobbiamo ancora organizzare in tanti posti... Siamo milioni, perché questi sono i numeri della scuola e dell'università pubblica, e dobbiamo porci nelle condizioni di "essere" quei milioni.
Alcuni immaginano che ora si torni a casa. E qui forse è mancato uno sforzo di comunicazione da parte del movimento. Occorre dunque ribadire alcuni concetti. Quella che è stata approvata è una legge che è solo un pezzetto di tutti gli adeguamenti legislativi che dovranno essere votati per far passare i tagli, tagli che sono stati votati il 6 agosto con l'art.64 della legge n.133. Devono ancora uscire le leggi che riguardano medie, superiori, università e scuole d'infanzia, devono ancora uscire i loro regolamenti attuativi, come del resto anche le misure previste dalla 137 prevedono altri passaggi prima di essere applicate. Del resto i tagli saranno spalmati su tre lunghi anni. Gli otto miliardi di tagli alla scuola troveranno piena sistemazione nella legge finanziaria, che deve essere ancora votata. Abbiamo davanti molti mesi di resistenza nelle scuole e nelle università. Sarà dura? Sì certo, ma vediamola anche dal loro punto di vista: una mobilitazione che non cessa e che arriverà sino al momento delle iscrizioni, e poi della formazione degli organici, contestando punto per punto, anno dopo anno... Non è la prima volta che una legge è approvata e i suoi contenuti non applicati. Ne sa qualcosa Fioroni, che pure lui avrebbe voluto tanto tagliare... (sì, meno della Gelmini, ma la differenza tra loro, dunque, è di quantità?). Occorre, però, attrezzarsi a questa lotta: consolidando le strutture di movimento, mettendole in collegamento tra loro, praticando l'unità dal basso, inventando forme di lotta prolungate e sostenibili...
Sento molto parlare in queste ore di referendum. E' un errore. Significa mettere in piedi una macchina che assorbe una quantità enorme di energie per esiti per di più incerti, e in un momento in cui la lotta è appena cominciata. Se ne potrà parlare, certo, ma non prima di aver percorso sino in fondo ogni possiblità di mobiltazione nelle scuole, nelle università, nelle strade. Nel frattempo le forze dell'opposizione istituzionale potrebbero fare una cosa molto carina: adeguare i loro programmi e le loro proposte. Il PD è ancora dell'idea di tagliare alla scuola pubblica non 8 ma 6 miliardi, per esempio? La proposta di referendum però ci mostra che almeno un passetto l'hanno fatto: la richiesta del ritiro della 137, perché fino ad una settimana fa non erano su questa linea. Bene, ora ne chiediamo un altro di passetto: la richiesta di abrogare gli articoli della 133 che riguardano scuola e università. Sì, perché anche se si facesse il referendum sulla 137, rimarrebbe la 133, ovvero i tagli. E il dibattito sarebbe: i tagli ci sono, nelle elementari non li attuiamo, e allora chi facciamo fuori?
Lo sciopero del 30 mostra chiaramente la strada da seguire. Certo, di scioperi non ne potremo far tanti, ma sappiamo essere creativi nel trovare nuove forme di lotta. E' uno sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali maggioritarie, ma di cui tutto il movimento si è impossessato. Sarà uno sciopero con manifestazioni dall'ampiezza senza precedenti. Berlusconi sperava, approvando il giorno prima il decreto, di demotivare rispetto alla partecipazione. Il successo di questa giornata speriamo gli mostri senza ombra di dubbio che continua a sbagliare valutazione: siamo solo all'inizio.
La contemporaneità della crisi economica e dei tagli a scuola e università costituisce una sorta di metafora. I governi di tutto il mondo, dopo averci per vent'anni catechizzato sulle virtù del mercato lasciato libero dall'intervento statale, i soldi (statali) per le banche li hanno trovati subito. E, nello stesso identico momento, tolgono soldi all'istruzione, in Italia, ma anche in Francia: i soldi, che poi sono i nostri soldi, scorrono e vanno da qua a là, dalle nostre aule ai loro conti. La manifestazione autorganizzata del milanese il 30 sarà aperta da uno striscione retto simbolicamente da tutti i soggetti sociali coinvolti nella lotta: maestre, universitari, medi. C'è scritto: "scuola e università non pagheranno la vostra crisi".
Tremonti, benefattore delle banche, Gelmini, ladra di scuola: decidiamo noi quando la partita è chiusa.
Michele Corsi, Retescuole
Dalla scuola alla cultura: da Milano la mobilitazione
La scuola pubblica riceve un colpo mortale da parte del Governo Berlusconi, il quale autoritariamente approva in procedura d'urgenza un decreto, il 133, passato come formalmente decreto Gelmini, ma in realtà scritto e predisposto dal ministro Tremonti, che potremmo scherzosamente chiamare "mani di forbice", verso cui tutto il mondo scolastico ha palesato opposizione, critica e contrasto, dagli insegnanti ai genitori, dalle ricercatrici e ricercatori ai docenti, ai rettori, alle studentesse e agli studenti che ogni giorno esprimono la propria contrarietà propositiva con mobilitazioni coinvolgenti e lezioni in piazza. La scuola pubblica è affossata. E' un corpo posto in una bara, come bene hanno inscenato nell'ultima manifestazioni diverse studentesse e diversi studenti di varie università italiane.
E' estremismo chiedere che il contenuto devastante della ormai legge Tremonti, scusate Gelmini, venga totalmente rivisto, in quanto taglia, non risparmia, fondi cospicui alle voci di spesa per il sostegno alla didattica scolastica e universitaria, alle strutture scolastiche e alla ricerca scientifica? Coloro che vivono il mondo della scuola e delle università rivendiano una loro titolarità: essere protagonisti della propria dimensione, che non è particolare interesse corporativo ma, bensì, un valore istituzionale, mi si passi questo termine prestato dal discorso fatto da Calamandrei nel 1950 in difesa della scuola pubblica, da tutelare per il benessere futuro comune e per la crescita sociale e civica della cittadinanza, del Paese.
Mentre un corteo di manifestanti a Milano, stamattina, all'alba di una giornata uggiosa sia per quanto concerne il tempo, sia per quanto concerne il destino di questo nostro stato in declino, la sindaca Moratti si trovava a Roma in un vertice di maggioranza di governo e ha dato pubblica comunicazione della nomina del prossimo asessore alla cultura a Milano. Non solo le crisi di maggioranza si risolvono ormai in stanze e luoghi diversi dal Parlamento, come insegna Berlusconi e i suoi accoliti fedeli al governo; non solo le leggi si scrivono in piena estate, quelle meno popolari, posiamo dire anche se non si comprende cosa sia popolare in questo centrodestra anomalo, sulla scrivania di casa Tremonti: ma anche le questioni che concernono l'amministrazione comunale, il suo futuro, le scelte di governo, vengono prse fuori dai contesti consiliari, o in "apparati tecnici" ad hoc formati, come per i parcheggi e la valutazione della loro sostenibilità, oppure in sale affrescate da meravigliosi dipinti nei Palazzi romani. L'assessore, ha deciso la Moratti, scusate la Brichetto, è Finazzer Flory, una eclettica espressione del mondo dell'arte, uomo dalla fervida creatività e inventività, sopratutto nella creazione di circuiti piuttosto lucrosi del mondo della cultura memneghina, sempre più degradato a mero spettacolo.
Nessuna discussione previa è stata fatta, come in un feudo in cui la qualifica di vasallo o di valvassore veniva gentilmente concessa e revocata dall'illustre e magnanima figura del potente territoriale. Oppure come nello Stato del Vaticano del 1700 quando le qualifiche di nobile venivano concesse a questo o quell'altro servizievole individuo o casata familiare, a discrezione totale della divina volontà papalina.
Così è avvenuto. Tanto è che lo stesso Assessore Sgarbi, ormai liquidato dalla sindaca, sorpreso da tale nomina repentina sia uscito con la frase:"La Moratti non può nominare nessun mio successore alla guida dell'Assessorato alla Cultura, in quanto nessuna revoca della delega formalmente è giunta nei miei confronti".
Ci si chiede come mai lo stato della cultura a Milano e in Italia sia in totale decadenza. Oltre ai fondi che vengono sempre più soppressi dal governo per tale voce, vuoi per fare fronte alla normativa che abroga l'ICI indistintamente e a beneficio dei più ricchi, come sottolineava giustamente l'onorevole Di Pietro nella trasmissione di Ballarò di ieri sera, la politica culturale a Milano viene guidata e costruita a tavolino dai soliti noti, escludendo quel variegato e vivace panorama esistente di vitalità creativa indipendente.
Non esiste a Milano, a differenza di Torino, Bologna, Firenze, Venezia, un momento di eccellenza dove comunemente si metta insieme esperienze diverse in specifici campi creando contaminazioni positive e con valenza e di qualità internazionale. Iniziative atomizzate, totalmente incoerenti, fortemente uniche, non nell'esclusività ma nella capacità di esclusione, non in rete: è il panorama inquietante di un modello culturale che dissepa ogni possibilità di creazione di un circolo virtuoso a favore di uno sviluppo e di una fruizione universale dell'offerta culturale.
Occorre invertire la rotta, creando la proposta con il coinvolgimento dei soggetti attivi e partecipativi del tessuto civico e culturale della città.
E' arrivato il momento.
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano
Dario Fo nella Statale occupata
Dario Fo nella Statale occupata
Repubblica.it
La Lista Fo a fianco della scuola pubblica
La Lista Fo è a fianco degli studenti, dei ricercatori, degli insegnanti e dei genitori nella difesa della scuola pubblica.
Per la democrazia
Un camion carico di spranghe
Un camion carico di spranghe
e in piazza Navona è stato il caos
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti
di CURZIO MALTESE
(Embedded image moved to file: pic27753.jpg)Un camion carico di spranghe e
in piazza Navona è stato il caos
Gli scontri di ieri a Roma
AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che
vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il
mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione
degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti
da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi
minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle
di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati,
paonazzi.
Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono
arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente
ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo,
menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o
quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si
muove.
Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni,
spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei
tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere
studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra
i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno
sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da
gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo
di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università
di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito
alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!"
dicono le professoresse.
Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il
funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei
studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza
la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il
funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa
incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del
funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è
un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La
professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta
al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto
un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe
che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra?
È un reato e voi dovete intervenire".
Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino:
"Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma
Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?".
"Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare
passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La
professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico,
è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti
mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non
sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente
parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione,
mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo
allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i
bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete
scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto
letto sul giornale, non ci avrei mai creduto".
Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo
Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano
professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un
intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io
quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti
pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti
devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono
delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della
polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza
pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i
docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine
sì".
È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri,
negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce
dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di
polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di
seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di
essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il
tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La
battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".
Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro:
"Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si
va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice
questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e
aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il
finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della
Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige
contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza.
Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le
saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.
Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di
scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai
sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di
sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano
riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina
ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le
braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente,
Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una
manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si
ritrae.
A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con
la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo
e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di
un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica
che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello
più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai
voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in
piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare
le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da
stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo
giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il
metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".
(30 ottobre 2008)
«Facciamo l'ipotesi»
Piero Calamandrei
Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un
partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la
Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su
Roma e trasformare l'aula in un alloggiamento per manipoli; ma vuole
istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per
impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di
partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere
imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino
sotto il fascismo c'è stata.
Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi
teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a
screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire
le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito,
di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste
scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia perfino a
consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono
migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi a quei
cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle
scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Così la
scuola privata diventa una scuola privilegiata. .
Il partito dominante, non potendo apertamente trasformare le scuole di
stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la
prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, questa è la ricetta.
Bisogna tenere d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa
in tre modi, ve l'ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che
vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non
controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno
i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare
alle scuole priva te denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole
private denaro pubblico.
(in Scuola Democratica, 20 marzo 1950)
http://www.unita.it/view.asp? IDcontent=80419