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.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Mercoledì, 29 Ottobre, 2008 - 17:08

Dalla scuola alla cultura: da Milano la mobilitazione

La scuola pubblica riceve un colpo mortale da parte del Governo Berlusconi, il quale autoritariamente approva in procedura d'urgenza un decreto, il 133, passato come formalmente decreto Gelmini, ma in realtà scritto e predisposto dal ministro Tremonti, che potremmo scherzosamente chiamare "mani di forbice", verso cui tutto il mondo scolastico ha palesato opposizione, critica e contrasto, dagli insegnanti ai genitori, dalle ricercatrici e ricercatori ai docenti, ai rettori, alle studentesse e agli studenti che ogni giorno esprimono la propria contrarietà propositiva con mobilitazioni coinvolgenti e lezioni in piazza. La scuola pubblica è affossata. E' un corpo posto in una bara, come bene hanno inscenato nell'ultima manifestazioni diverse studentesse e diversi studenti di varie università italiane.
E' estremismo chiedere che il contenuto devastante della ormai legge Tremonti, scusate Gelmini, venga totalmente rivisto, in quanto taglia, non risparmia, fondi cospicui alle voci di spesa per il sostegno alla didattica scolastica e universitaria, alle strutture scolastiche e alla ricerca scientifica? Coloro che vivono il mondo della scuola e delle università rivendiano una loro titolarità: essere protagonisti della propria dimensione, che non è particolare interesse corporativo ma, bensì, un valore istituzionale, mi si passi questo termine prestato dal discorso fatto da Calamandrei nel 1950 in difesa della scuola pubblica, da tutelare per il benessere futuro comune e per la crescita sociale e civica della cittadinanza, del Paese.
Mentre un corteo di manifestanti a Milano, stamattina, all'alba di una giornata uggiosa sia per quanto concerne il tempo, sia per quanto concerne il destino di questo nostro stato in declino, la sindaca Moratti si trovava a Roma in un vertice di maggioranza di governo e ha dato pubblica comunicazione della nomina del prossimo asessore alla cultura a Milano. Non solo le crisi di maggioranza si risolvono ormai in stanze e luoghi diversi dal Parlamento, come insegna Berlusconi e i suoi accoliti fedeli al governo; non solo le leggi si scrivono in piena estate, quelle meno popolari, posiamo dire anche se non si comprende cosa sia popolare in questo centrodestra anomalo, sulla scrivania di casa Tremonti: ma anche le questioni che concernono l'amministrazione comunale, il suo futuro, le scelte di governo, vengono prse fuori dai contesti consiliari, o in "apparati tecnici" ad hoc formati, come per i parcheggi e la valutazione della loro sostenibilità, oppure in sale affrescate da meravigliosi dipinti nei Palazzi romani. L'assessore, ha deciso la Moratti, scusate la Brichetto, è Finazzer Flory, una eclettica espressione del mondo dell'arte, uomo dalla fervida creatività e inventività, sopratutto nella creazione di circuiti piuttosto lucrosi del mondo della cultura memneghina, sempre più degradato a mero spettacolo.
Nessuna discussione previa è stata fatta, come in un feudo in cui la qualifica di vasallo o di valvassore veniva gentilmente concessa e revocata dall'illustre e magnanima figura del potente territoriale. Oppure come nello Stato del Vaticano del 1700 quando le qualifiche di nobile venivano concesse a questo o quell'altro servizievole individuo o casata familiare, a discrezione totale della divina volontà papalina.
Così è avvenuto. Tanto è che lo stesso Assessore Sgarbi, ormai liquidato dalla sindaca, sorpreso da tale nomina repentina sia uscito con la frase:"La Moratti non può nominare nessun mio successore alla guida dell'Assessorato alla Cultura, in quanto nessuna revoca della delega formalmente è giunta nei miei confronti".
Ci si chiede come mai lo stato della cultura a Milano e in Italia sia in totale decadenza. Oltre ai fondi che vengono sempre più soppressi dal governo per tale voce, vuoi per fare fronte alla normativa che abroga l'ICI indistintamente e a beneficio dei più ricchi, come sottolineava giustamente l'onorevole Di Pietro nella trasmissione di Ballarò di ieri sera, la politica culturale a Milano viene guidata e costruita a tavolino dai soliti noti, escludendo quel variegato e vivace panorama esistente di vitalità creativa indipendente.
Non esiste a Milano, a differenza di Torino, Bologna, Firenze, Venezia, un momento di eccellenza dove comunemente si metta insieme esperienze diverse in specifici campi creando contaminazioni positive e con valenza e di qualità internazionale. Iniziative atomizzate, totalmente incoerenti, fortemente uniche, non nell'esclusività ma nella capacità di esclusione, non in rete: è il panorama inquietante di un modello culturale che dissepa ogni possibilità di creazione di un circolo virtuoso a favore di uno sviluppo e di una fruizione universale dell'offerta culturale.
Occorre invertire la rotta, creando la proposta con il coinvolgimento dei soggetti attivi e partecipativi del tessuto civico e culturale della città.
E' arrivato il momento.

Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

INTERVISTA A DARIO FO: SIAMO ALLO SFASCIO CULTURALE. LA CRISI ECONOMICA? UNA TRUFFA!

INTERVISTA di Giovanni Zambito. Alla Casa dei Teatri di Roma dal 15 ottobre 2008 all’11 gennaio 2009 è visitabile la mostra di arte e di teatro di Dario Fo e Franca Rame dal titolo "Pupazzi con rabbia e sentimento" (Infoline: tel. 06.0608 - 06.45460693). Attraverso più di 100 quadri si può conoscere il Dario Fo dei giorni nostri, pittore, scenografo, costumista, attore, regista, scrittore, premio Nobel per la letteratura 1997, e il Fo giovane pittore degli anni ’30-’40 allievo dell’Accademia di Brera, ambiente che gli consente di conoscere artisti e intellettuali decisivi per le sue scelte future. Decisivo anche l’incontro, nel 1951, con Franca Rame, compagna di vita e di lavoro alla quale è dedicata un’intera sezione del percorso.

La mostra racconta di un Dario Fo scrittore internazionale che, prima di affrontare la parola, ama raccontare col colore ciò che andrà ad esprimere. I suoi dipinti sono circondati da fondali di scena, arazzi, pupazzi in disequilibrio, abiti di scena della sartoria Pia Rame, da teatri per burattini e per le marionette della famiglia Rame. L’incontro delle famiglie Fo e Rame si sviluppa poi tra fotografie di scena, manifesti e locandine, disegnati dallo stesso Fo, e dalla rassegna video degli spettacoli più celebri. Dopo tanto errare tra colori e forme, la pittura ci porta al teatro.
La mostra è a cura di Marina De Juli, Dominique Gobbo, Eliel Ferreira, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali-Comune di Roma, dalle Biblioteche di Roma e da ETI Ente Teatrale Italiano, in collaborazione con Zètema Progetto Cultura e Roma Multiservizi.
Clandestino Web ha intervistato il premio Nobel che ha discettato di cultura, teatro, tv, informazione, politica e crisi economica.
Perché il titolo "Pupazzi con rabbia e sentimento"? La rabbia stessa non è un sentimento?
"I maestri di musica sono soliti ripetere "da capo, con sentimento" e magari ci aggiungono pure "con forza e sentimento". Noi abbiamo preferito sostituire la forza con la rabbia perché è della satira e del grottesco nascere dalla disperazione, dal risentimento, dal renderti conto che sei in un mondo di ingustizie, da sempre carico di sopraffazione, mancanza di libertà e soprattutto di rispetto per i deboli e per quelli che non hanno possibilità di avere voce in capitolo. E allora ci prendiamo il compito di sostituire queste voci mancanti e di dare voce alla presa di coscienza e alla conoscenza dei disastri della nostra cultura del nostro tempo e soprattutto la disinformazione, che è diventata non un incidente ma un progetto".
In che senso?
"A cominciare dalla televisione che taglia tutti i programmi che abbiano un minimo senso di informazione, di conoscenza. Un programma in cui raccontavo i grandi pittori è stato trasmesso dopo la mezzanotte e ciò nonostante siamo riusciti a superare il milione di media per puntata. In prima serata invece ci sono dei programmi veramente indegni, che fanno abbassare la conoscenza, il senso civile e della generosità; si arriva così all'ottusa dimostrazione dell'imbecillità soltanto corporea e non dico sessuale, che è una cosa ben più alta, ma solo corporea".
Come se lo spiega?
"La televisione oramai si fa non attraverso la produzione diretta delle compagnie e delle strutture, ma si dà in appalto a gruppi legati ai politici che impongono i propri temi con la chiave dell'ascolto: quindi più fai cose indegne però spettacolari vuote di senso, che non creino i problemi della ricerca, dell'informarti a tua volta, del nascere, crescere e di comunicare ad altri, più fai un servizio pessimo a tutta la Nazione, specialmente ai giovani".
E il teatro?
"Il rapporto tra il pubblico e l'attore e palcoscenico è così di routine e non c'è mai qualcuno che bestemmia uscendo dal teatro non perché non gli sia piaciuto ma perché le idee che portano avanti non collimano con quelle che tiene addosso lo spettatore. E gli spettatori che s'indignano e che ripensano alla propria indignazione e hanno un travaglio nel momento in cui stesso vedono e ridono, e poi bestemmiano per la risata che hanno fatto in controtempo con il loro pensiero, è un portamento che fa crescere il teatro: è la cognizione di determinare uno scontro dentro il teatro che fa sì che io e Franca ancora oggi si abbia la possibilità di avere teatri pieni di anziani e di giovani".
Come garantire al teatro la sua sopravvivenza?
"Se non si torna a fare teatro diretto al tempo in cui vivi, il teatro muore. Se parli di qualcosa che è estraneo alla vita quotidiana, alla lotta, alla disperazione, alla rabbia, ai sentimenti veri, alla cultura, il teatro crolla".
Qualche esempio di questo tipo di teatro?
"Proprio il mio spettacolo che è in scena al Teatro Valle "Sotto paga! Non si paga": gli attori sono bravissimi (Marina Massironi e Antonio Catania sono i protagonisti, ndr) perché credono in quello che dicono mentre recitano, impostato sul dramma della crisi dei mutui, di persone che hanno sgobbato una vita intera per farsi una casa e che se la vedono sequestrare dalle banche. Se una cosa del genere fosse accaduta nel Medioevo, questi tizi sarebbero finiti alla gogna".
Che idea ha di questa grave crisi generale?
"Sono tempi di grandi preoccupazioni che tutti conosciamo benissimo sull’economia e sul disastro delle banche. È una situazione tragica: una delle cose che maggiormente mi fa risentire è che quando si riferiscono all'America parlano soltanto di errori riferendosi alla spregiudicatezza con cui è stata gestita la faccenda, perché si sono buttati a pretendere che ci fosse uno Stato felice, allegro e soprattutto spendereccio oltre la misura che ci si poteva permettere. Ma figli di puttana! perché non dite la verità?".
Cioè?
"La verità è che c'è stata una truffa organizzata che dura da dieci anni e di cui si conoscevano già le risultanze e quello che sarebbe accaduto a noi di lì a poco. Anzi, è durato oltre misura. Perché non si racconta che si sono vendute delle azioni che erano vuoti, lordure, una presa per il sedere, una rapina a mano armata contro la popolazione? 35 milioni di persone in America hanno goduto di questa allegra gestione. Ma questo non lo dicono e tale tsunami sta arrivando da noi perché qui si è avuto lo stesso andamento, e si sono vendute di queste obbligazioni vuote, di carta e sono delle distruzioni totali che peseranno per anni addosso".
A livello culturale, secondo lei, come siamo messi?
"Oggi non si deve fare ironia, fare politica o parlare di morale, ma si deve solo far battuta, lo sfottò, che è la forma più bassa culturale della risata e dello sghignazzo. Noi siamo arrivati a questo e occorre compiere un salto mortale a rovescio: non si capisce che si può sacrificare un aereo di attacco con possibilità di lancio di bombe atomiche che noi abbiamo comprato nel numero di 110 e che costano ognuno oltre un miliardo per non parlare dei costi di conduzione e i problemi connessi. Ebbene: basterebbe togliere il 10% di lì per avere a posto tutta la nostra situazione culturale, dal teatro all'opera e invece stiamo annegando: vedo compagnie che saltano, opere che non si fanno, si fanno cose con lo sputo. Io giro il mondo e in Spagna ho visto un apporto alla cultura che noi ci sogniamo e la Francia e l'Inghilterra lo stesso: lì vedi il fermento che continua. Noi siamo gli ultimi e addirittura dopo la Grecia, che ci ha superato nel rapporto tra popolazione e spese per la cultura". Giovanni Zambito.
Commento di Alessandro Rizzo inserito Mer, 29/10/2008 17:11