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Venerdì, 18 Dicembre, 2009 - 13:16

Fiaccolata a Milano il 19 dicembre contro il massacro di animali

Per opportuna informazione e riflessione e, se volete, partecipazione.
Ciao
Antonella
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Il Natale per gli animali non è un giorno di “festa”, ma il momento del sacrificio alle tavole di chi festeggia.

Ecco il perché di questa fiaccolata: per ricordare che la salvezza di tanti animali dipende anche dalle scelte alimentari di ognuno di noi. Se non vogliamo essere complici di questi massacri, distanziamoci dal consumo di
carne e allora Natale sarà per tutti una vera “festa”.

Partecipa anche tu alla FIACCOLATA
Sabato 19 dicembre a MILANO
Ritrovo in Piazza Oberdan (Porta Venezia) Ore 16.30

Perché il consumo della carne diventi una vecchia e brutta abitudine che ci siamo lasciati alle spalle e perché avvenga finalmente quell'evoluzione etica e morale di cui l'umanità ha bisogno se vuole avere ancora un posto e
un ruolo positivo su questo pianeta.
Unitevi a noi, affinché in piazza ci siano tante e tante luci di speranza per i nostri comuni amici: gli animali.

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Domenica, 20 Settembre, 2009 - 17:11

chiusura delle scuole civiche serali: la profezia si avvera!

Chiusura dei Corsi del Civico Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato IPIA (paritario serale), di via Rubattino.

Con determina del 3 agosto 2009, tutte le classi, dal primo al quinto anno, dell'IPIA sono state chiuse. Si tratta di una storica istituzione del Comune di Milano in zona 3: la sede originaria è sempre stata in via Deledda (piazzale Loreto), fin dalle sue origini negli anni ’60; il trasferimento in via Rubattino, avvenuto 4 anni fa, doveva essere solo temporaneo, in attesa del completo adeguamento dell’edificio comunale in Via Deledda.
La scuola serale per studenti-lavoratori di via Rubattino rappresenta l’unica realtà in zona che offra l’opportunità di un miglioramento della condizione sociale e lavorativa; spesso è il luogo del reinserimento in un percorso di studi di sicuro sbocco professionale; per altri versi, negli ultimi anni, rappresenta anche un luogo privilegiato di incontro, conoscenza e confronto fra studenti italiani e stranieri, i quali ultimi trovano così il miglior viatico di inserimento nel tessuto culturale e lavorativo cittadino.
L'istituto forma impiantisti elettrici e tecnici elettronici
, e ha sempre un elevato numero di iscritti, da 18 a 25 studenti per classe. Gli studenti-lavoratori iscritti all'IPIA hanno ricevuto a fine agosto una lettera dal Comune con la quale sono stati invitati a iscriversi all'IPSIA Marelli oppure all'ITIS Giorgi.
Ora, il Marelli è un istituto professionale statale che si trova però in via Livigno, zona Nord Ovest - Maciachini, davvero fuori zona per un’utenza che gravita - per la residenza o per il lavoro - sulla zona est di Milano: per molti di loro la sede proposta sarebbe difficilmente raggiungibile considerando l’orario di inizio delle lezioni serali, intorno alle 17.30, quando il traffico è più intenso e per essi ciò significherebbe impossibilità di frequenza.
Il Giorgi, che presenta problematiche logistiche simili (è ubicato in viale Liguria), non è neanche un istituto professionale, è un istituto tecnico e come tale rilascia un diploma alla fine del quinquennio con l’esame di Stato, ha una struttura didattica completamente diversa e per accedervi gli studenti devono superare un esame di idoneità/integrativo al quale nessuno li ha preparati. L'indicazione del Giorgi non tiene peraltro conto del fatto che chi ha scelto il professionale lo ha fatto innanzitutto perché al termine dei primi tre anni si ottiene, con esame interno, un diploma di qualifica di impiantista elettrico/elettronico che permette di svolgere subito un lavoro specializzato nel settore, con mansioni e competenze secondo le norme di legge.

Si fa un gran parlare di “presidio del territorio”. Polizia di Stato, Carabinieri, Polizia Locale possono fare molto ma non certo creare e gestire luoghi di aggregazione, di istruzione e formazione al lavoro. Nelle civiche scuole serali si formano cittadini, e famiglie: grazie agli studi svolti, i diplomati riescono a trovare più facilmente il lavoro corrispondente alla loro preparazione, così integrandosi pienamente nel tessuto sociale.
Il Comune di Milano possiede un patrimonio importante di personale esperto e di competenze, sedi diffuse sul territorio, anche periferico della città, e attrezzature di laboratorio di alto valore formativo: le scuole civiche serali sono in grado di avvicinare la scuola alle esigenze del mercato del lavoro.
Incredibilmente, ora il Comune sta operando per lo smantellamento e/o drastico ridimensionamento di un efficace strumento di presidio del territorio e di crescita non solo professionale ma anche civica dei suoi cittadini! Il Comune risparmierebbe di sicuro con la chiusura della scuola IPIA e di tutti gli altri corsi o classi (licei, istruzione tecnica, idoneità), ma il costo lo pagherà tutta la città in termini di una potenziale popolazione studentesca senza possibilità di istruzione e formazione perchè la gran maggioranza dei frequentanti i civici corsi non potrebbe sostenere i costi proibitivi delle scuole private.

In sostanza, il Comune di Milano sta smantellando il suo patrimonio di cultura e formazione professionale e sempre più reale sta diventando l'ipotesi, direi la profezia (agghiacciante) che Piero Calamandrei fece sulla scuola pubblica.
Calamandrei fu giornalista, giurista, politico e docente universitario durante il fascismo, uno dei pochi a non avere né chiedere mai la tessera del partito.
Nel febbraio del 1950 al III congresso dell’Associazione a Difesa della Scuola Nazionale, Calamandrei fece un discorso sulla scuola, parole che sono purtroppo attualissime. Pubblico il suo discorso per chi non l'avesse mai letto e per i ragazzi, le giovani generazioni di Milano e dell'Italia: leggetelo ne vale la pena per aprire gli occhi e il cervello... ne va del vostro futuro!

Non consentiamo all'assessore Moioli di smantellare e impoverire le civiche scuole serali di Milano, da sempre esempio di eccellenza e fiore all'occhiello della nostra città!

Cordiali saluti a tutti/e
Antonella Fachin
Consigliera di Zona 3
CapogruppoUniti con Dario Fo per Milano
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“Quando la scuola pubblica è cosa forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell’articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia.
Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo. La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: - che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. - che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c’erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l’espressione, “più ottime” le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro.
La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.
Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito.
Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime.
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina.
L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto:
- rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
- attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.
- dare alle scuole private denaro pubblico.

Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. »
la fase più pericolosa di tutta l’operazione […]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito […]. Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato”. Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […]. Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla […].
E venuta così fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico. Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private.
Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno […]. Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? » un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […].
Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito“. Piero Calamandrei, 1950

Mercoledì, 27 Maggio, 2009 - 18:30

Scuola, presidio al Provveditorato, Gatti: “Tagli inaccettabili”

Scuola, presidio al Provveditorato, Gatti: “Tagli inaccettabili”
Milano, 27 maggio 2009. Il candidato Presidente alla Provincia di Milano per la coalizione di Sinistra (Lista Un’altra Provincia, PRC e PdCI), Massimo Gatti, ha partecipato nel pomeriggio di oggi al presidio indetto dall’ Assemblea delle scuole del milanese davanti all’Ufficio Scolastico Provinciale di Milano per protestare contro i tagli imposti alla scuola pubblica dalla riforma Gelmini.
“I numeri parlano chiaro: solo nella provincia di Milano meno 470 maestre/i, meno 400 docenti nelle superiori, meno 790 personale ata, meno 900 docenti alle medie e aumento generalizzato del numero di allievi per classe. Sono cifre inaccettabili. – ha dichiarato Massimo Gatti - Per fortuna che il Provveditore aveva promesso che i tagli non ci sarebbero stati!
Si lasciano per strada centinaia di lavoratici e lavoratori mettendo a serio rischio il regolare inizio dell’anno scolastico. Il Provveditore anziché rinchiudersi nel suo ufficio dorato, rifiutandosi di incontrare la delegazione dell’ Assemblea delle scuole del milanese, dovrebbe piuttosto spiegare in che modo intende affrontare il prossimo anno scolastico di fronte a questi tagli pesantissimi.
Bene hanno fatto oggi docenti, personale ata, studenti e genitori a protestare contro questo ennesimo tentativo di colpire la scuola pubblica e contro la riforma Gelmini che nei fatti è già stata bocciata dallo straordinario movimento dell’Onda e dalle migliaia di cittadini che anche quest’anno hanno scelto in massa il tempo pieno riducendo la scelta del maestro unico a percentuali minime.
La scuola pubblica, laica e democratica la scuola della Costituzione va difesa e valorizzata come una grande priorità. Continueremo a sostenere la lotta dei genitori, dei docenti, degli studenti e di tutte le lavoratrici e i lavoratori, per impedire gli esuberi e per impedire che si affermi la politica del duo Tremonti-Gelmini che mira unicamente al completo smantellamento della scuola pubblica”.

Lunedì, 15 Dicembre, 2008 - 11:01

DISINFORMAZIONE SULLA SCUOLA

DISINFORMAZIONE SULLA SCUOLA di Gennaro Carotenuto
(www.gennarocarotenuto.it)
Vi invito a leggere il pezzo di Gian Antonio Stella sul Corriere dell'11 dicembre. Parla ancora di Università e di corsi di laurea inutili in sedi periferiche inventate dal nulla e probabilmente nessuno dei dati che cita è sbagliato. Ma il pezzo è soprattutto un fulgido esempio di disinformazione. Date un'occhiata veloce. L'idea è che l'Università malata, baronopoli, ecc. e che quindi Mariastella Gelmini ha ragione ad usare l'accetta. L'articolo è un pezzo di bravura nell'indicare una metastasi ma per nascondere di chi è la colpa di quella metastasi. "È tutta lì, la fotografia della follia dell'Università italiana" scrive Gian Antonio.
Peccato che la fotografia di Stella sia stata taroccata col Photoshop e la colpa non sia delle Università, ma dell'ideologia del territorio voluta da banche e confindustrie locali. Le sedi periferiche - Stella si esercita nell'estetica del trovare i casi limite - i corsi di laurea con un solo iscritto o in paesi che hanno la colpa di non stare in provincia di Vicenza, non le hanno volute le Università, le ha volute la Confindustria. Questa, meno di dieci anni fa, teorizzava che fossero necessarie almeno 200 università (ovvero raddoppiarle, sempre con soldi pubblici ovviamente) perché l'Università doveva espandersi nel territorio. Lo hanno imposto, facendo sprecare miliardi alle università, non ha funzionato e adesso si nascondono e danno la colpa all'Università pubblica.
Sono le amministrazioni ma soprattutto le banche e le confindustrie locali, che cavalcando l'autonomia universitaria hanno offerto sedi in collocazioni improbabili, dettando corsi assurdi secondo l'ideologia per la quale le Università servivano solo a preparare tecnici collegati all'impresa e al territorio. Corsi come quelli che cita Stella, "Scienze e Tecnologie del Fitness e dei Prodotti della Salute", che Stella bolla come " follia dell'Università italiana", furono invece follia della new economy ma soprattutto follia dell'ideologia mercatista. E' la sciagura del 3+2, che le università hanno subito, ad aver preteso la moltiplicazione dei corsi in specializzazione sempre più ristrette per le quali non c'è più tempo di preparare un veterinario ma bisogna immettere nel mondo della precarietà un esperto di cani, un altro di gatti e un altro di bufale.
E andiamo a scavare, perché Stella si diverte a fare il bravo scopritore di sprechi ma è molto superficiale nella sua pseudodenuncia. Stella addita al pubblico ludibrio quello che secondo lui è un caso limite: a Celano, nella Marsica, in Abruzzo, un corso di ingegneria agroindustriale con 17 professori per 7 studenti. Per Stella non ha senso. Stella dimostra ignoranza e sfiora il razzismo quando definisce Celano "un borgo montano sperduto nel nulla" e riecheggia il George Bush per il quale l'Iraq era "un angolo oscuro e remoto del mondo".
Adesso non ha senso per Stella l'Università a Celano. Ma dieci anni fa ... Dieci anni fa, sembra un secolo, era Letizia Moratti che teorizzava, d'accordo con la Confindustria, l'Università diffusa nel territorio. L'Università di sua natura è accentratrice e aveva sempre paventato lo svilimento e la licealizzazione del triennio, l'assurdità delle sedi periferiche, che si è poi puntualmente verificata. E quindi non c'è nulla che il Corriere della Sera non abbia sostenuto in quel corso di ingegneria agroindustriale che doveva preparare tecnici locali per l'agroindustria di un territorio agricolo come quello della Marsica. Adesso, invece di fare autocritica, il Corriere dà la colpa all'Università.
Stella poi gioca ... 17 professori per 7 studenti. A chi non è addentro Stella fa credere che siano 17 stipendi da pagare. Balle. Almeno una dozzina sono sicuramente precari, dottorandi, assegnisti retribuiti con poche centinaia di euro per un intero corso universitario e una speranza oramai svanita di carriera. Gli altri forse sono docenti strutturati, ma mica di stanza a Celano. Nell'ideologia difesa da Stella del tanto a peso andranno a Celano mugugnando per completare il loro orario di lavoro (misurato sulla docenza), quando più produttivamente per tutti potrebbero stare in sede (l'Aquila, Roma ...) a far ricerca.
Ammette Stella che: "Il tutto è finanziato ("Noi non ci rimettiamo un euro", ci tiene a spiegare il rettore dell'Università dell'Aquila Ferdinando di Orio) da un Consorzio voluto dal Comune, banche e alcune aziende locali". Bravo, è tutto qui il punto. Altro che follia dell'Università! E' il libero mercato bellezza. Gli enti locali non servono ad attrarre sviluppo? Cosa succederà adesso col federalismo?
Quello che omette di dire Stella, perché sennò il suo articolo non andrebbe rubricato nella categoria "follie dell'Università" ma in quella delle "vergogne della Confindustria" o delle banche, è che i famosi "privati" spesso poi non rispettano gli impegni presi. Semplicemente non pagano e allora nelle sedi periferiche non arrivano i computer, non ci sono le aule, i soldi, le biblioteche, i collegamenti Internet promessi.
I soldi non vogliono metterli loro, ma pretendono che li metta lo Stato. Questo non li può mettere e allora quelli che l'università in periferia avevano voluto si ricredono sul fatto che la sede universitaria dia lustro al paesello e abbandonano con una mano davanti e l'altra di dietro gli studenti e le famiglie che ci avevano creduto e le stesse università invitate ad investire parte dei loro magri bilanci per espandersi nel territorio.
La verità è che le Università pubbliche hanno onorato gli impegni anche nelle sedi periferiche, mentre i privati, le confindustrie, le banche, non lo hanno fatto. E adesso che ci hanno ripensato, che c'è crisi, che l'utopia dei corsi di laurea in "Etologia degli Animali d'Affezione" non hanno funzionato, adesso che tutti hanno capito quello che l'Università sapeva da sempre, ovvero che quella dell'Università diffusa sul territorio era una balla, cercano di fare lo scaricabarile. E uno Stella disponibile si trova sempre.

Lunedì, 15 Dicembre, 2008 - 10:51

RETROMARCIA SULLA SCUOLA

RETROMARCIA SULLA SCUOLA di Gennaro Carotenuto
(11 dicembre - www.gennarocarotenuto.it)
Sembra, si rumoreggia, si dice in giro, che del maestro unico, della chiusura delle scuole disagiate, dell'aumento degli alunni per classe e di tutte le altre boiate non se ne faccia più niente, per un anno almeno e poi chissà.
Sembra, si rumoreggia, si dice in giro che il maestro unico diventerà a richiesta, come i funghi o il prosciutto sulla pizza al taglio.
Sembra, si rumoreggia, si dice in giro, che a Mariastella Gelmini sia stato detto di mettersi lì in un angolo a giocare col Cavaliere e lasciar fare i grandi.
Vedremo, incrociamo le dita, perché sarebbe un bene per la scuola italiana. Lasciateci però levare due sassolini da una tonnellata l'uno dalle scarpe:
Il "governo del fare" dovrebbe sotterrarsi. La "consecutio" normale delle cose infatti è completamente ribaltata ed è diventata:
si approva un decreto legge in 30 secondi o in nove minuti;
lo si converte in legge, possibilmente con voto di fiducia, perché si sa, con questa opposizione non si può avere a che fare;
mesi dopo si convocano le parti sociali e si comincia a discutere da zero sospendendo l'entrata in vigore di quella che nel frattempo è legge dello Stato.
Tutti quelli che hanno difeso a spada tratta il maestro unico e tutto il resto, dovrebbero andare a incatenarsi in Viale Trastevere ed entrare in sciopero della fame e della sete. Se fossero persone serie. Se vivessimo in un paese serio.

Martedì, 11 Novembre, 2008 - 13:14

Educatori in strada: il Comune chiude un altro servizio educativo

Niente piu' educatori in strada: il Comune di Milano chiude un altro servizio educativo 
Non è uno slogan per contrastare il precariato delle professioni educative, ahinoi. È invece la constatazione che un altro servizio educativo del Comune di Milano ha chiuso i battenti.
L'Educativa di Strada, gestita nelle nove zone di decentramento cittadino da altrettante cooperative sociali, su appalto del Settore Servizi per la Famiglia (Ufficio Sostegno Educativo), si rivolgeva ai giovani tra gli 11 e i 20 anni, non legati a strutture educative stabili.
Ovunque ci sia uno spazio in cui sostare, potenzialmente può incontrarsi una compagnia che magari ha bisogno, desiderio o curiosità di incrociare il proprio sguardo con adulti in grado di dare informazioni, raccogliere richieste, progettare attività che rendano il tempo libero tempo che può (se vogliono) essere reinventato creativamente.
Ma per essere meno generici, e per calarci un po' in zona 2.
La cooperativa che ha gestito il servizio dal 2001 al 2008 si chiama COMIN, e lavora da queste parti dal 1975, occupandosi di minori in carico ai Servizi Sociali (accoglienza in comunità, accompagnamento individuale e di gruppo, promozione dell'affido familiare e molto altro), di famiglie, di promozione socioculturale a diversi livelli. Denominatore comune di tutti i servizi della cooperativa, e principio cardine dell'Educativa di Strada, era ed è la costruzione di legami all'interno della comunità sociale. Legami tra le diverse generazioni, tra italiani e stranieri, tra ragazzi e ragazze, legami con i servizi del territorio.
Legami che creano la sensazione di trovarsi in strade sicure, o meglio in strade che si possono prendere cura di ciascuno, facendolo sentire a casa propria.
Ma facciamo qualche esempio, e diciamo qualche numero.
Nei sette anni di lavoro, l'équipe dell'Educativa di Strada in zona 2 stima di aver contattato complessivamente (conoscendone nomi e spesso storie) almeno cinquecento ragazzi. E sa che agli “eventi” organizzati in zona ne sono passati per lo meno 4000. Le stime, crediamo, sono al ribasso.
Cosa si è fatto, di preciso? Si sono trascorse molte ore (in media tre o quattro ogni pomeriggio della settimana e per tutto l'anno solare) sulle panchine a chiacchierare con i giovani; si sono accompagnati tanti ragazzi a cercare lavoro presso agenzie private e servizi pubblici; si sono organizzati gruppi di studio e si sono svolti incontri individuali per parlare di problemi specifici.
Si sono organizzati concerti, visione di film, eventi dedicati alle controculture, momenti dentro le scuole per parlare di orientamento e servizi territoriali; si è collaborato con gli altri servizi presenti in zona; si è promosso il protagonismo dei giovani artisti; si sono prodotti insieme ai ragazzi materiali informativi che traducessero con loro e per loro le “regole” del mondo dei grandi (la legge sugli stupefacenti, solo per fare un esempio); si sono realizzati video e mostre fotografiche.
Soprattutto, quattro educatori hanno girato in lungo e in largo la zona, fino a conoscerla come le proprie tasche.
E la stessa cosa è avvenuta nel resto della città. Da quattro a sei operatori per ogni zona di decentramento. Storie diverse, metodi diversi, ma finalità molto simili. E adesso?

 
L'Assessore Moioli ha convocato le cooperative all'inizio di giugno, e ha detto che il servizio non poteva essere valutato nella sua efficacia, per cui veniva sospeso. Non condividiamo questo parere, e l'abbiamo fatto presente: i materiali per disporre una valutazione sono stati prodotti, non solo negli ultimi tempi, ma sempre, nel corso degli anni, così come richiesto, e forse oltre quanto richiesto: rendicontazioni quali-quantitative, relazioni sui gruppi, sulla rete e sui luoghi visitati.
Dati raccolti ogni trimestre e puntualmente inviati all'Ufficio Sostegno Educativo.
Attendiamo spiegazioni, e intanto siamo preoccupati, perché un servizio educativo che vive negli spazi dell'informalità, impiega pochissimo tempo a perdere il contatto con il territorio.
È una cosa che sta già avvenendo: gli educatori lavorano altrove, le relazioni con i gruppi si sfilacciano, la rete di cui l'Educativa di Strada si prendeva cura vede i suoi nodi allentarsi.
Siamo preoccupati, ma allo stesso tempo sappiamo che molti cittadini della zona condividono questa preoccupazione con noi, e speriamo che la voce di tutti possa diventare un coro ascoltato da chi ha deciso che gli educatori non dovevano stare più per strada.
Beh, se volete qualche informazione, scriveteci, e vi risponderemo volentieri:
eds@coopcomin.it
Luisa Dell'Acqua, Renzo Foti,
Eloisa Spino, Rocco Del
Nero, Alessia Cattaneo
(educatori di strada della cooperativa COMIN, non più in servizio dal giugno 2008).

Venerdì, 31 Ottobre, 2008 - 10:57

scuola pubblica: Gli scontri a Roma

Gli scontri di ieri a Roma

 
Caschi, passamontagna e bastoni. E quando passa Cossiga un anziano docente urla: "Contento ora?"
Un camion carico di spranghe e in piazza Navona è stato il caos.
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti.
 
di CURZIO MALTESE

 

Aveva l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi.
 
Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove.
 
Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse.
 
Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire".
 
Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: "Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?". "Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto".
 
Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì".
 
È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".
 
Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: "Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.
 
Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae.
 
A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit-in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".
 
(30 ottobre 2008)

Giovedì, 30 Ottobre, 2008 - 11:00

scuola pubblica: IL GIORNO DOPO

Mi sembra un’analisi realistica e realizzabile del movimento della scuola
Antonella Fachin
www.retescuole.net
Milano , 29/10/2008 
IL GIORNO DOPO. Michele Corsi
Il governo ha convertito in legge il decreto 137. Lo ha fatto a gran velocità, come sta accadendo per tutti i provvedimenti che riguardano la scuola e l'università. Si è giustamente condannata quest'arroganza, ma non ci si è soffermati sul perché: perché coartare tempi, porre la fiducia, impedire dibattiti? Per disprezzo nei confronti delle Camere? Ma se dispongono di una maggioranza larghissima! La risposta mi pare semplice: discussioni parlamentari prolungate avrebbero facilitato la circolazione di informazioni tra genitori e insegnanti, e dunque avrebbe aumentato la loro capacità di reazione. Hanno sbagliato i calcoli? Direi di sì.

Il movimento, questo movimento, non cessa d'allargarsi. Non credo che i nostri governanti, ed anche l'opposizione, si rendano davvero conto di quel che sta accadendo nel Paese. E' un movimento dal basso, molecolare, incontrollato che sta prendendo forma dall'inizio di settembre, anche se della sua esistenza i media si sono accorti solo ora. Le sue molecole sono i comitati misti genitori-insegnanti delle elementari e delle scuole d'infanzia. Solo nel milanese ne sorgono di nuovi quotidianamente. Il governo dice che sono manovrati dalla sinistra. Magari, qualcuno di noi potrebbe dire. E invece è proprio la scomparsa della sinistra e di una credibile e combattiva opposizione che ha fatto comprendere a tutti che per salvare la scuola si doveva far da sé, senza delegare.

Il governo spera che, grazie alla velocità d'azione, questa massa di gente tornerà a casa. Di nuovo, si sta sbagliando. Le tappe forzate imposte da Berlusconi hanno aumentato la rabbia e l'indignazione del movimento. La frustrazione non si sta trasformando in senso d'impotenza e depressione, perché in queste settimane abbiamo sperimentato la nostra forza. Senza l'aiuto di nessuno abbiamo imposto ai media e all'intera opinione pubblica l'urgenza della scuola e dell'università.

E' una forza che deriva dalla determinazione, dalla fantasia, ma anche da un fattore molto semplice, che ha spaventato sempre, nei secoli, qualsiasi governo in carica: la forza dei numeri. Siamo tanti. E più il movimento si ramifica dalle grandi città sino ai piccoli comuni, più questi numeri diventano popolo. Ed è l'unico fattore in grado di fermare chi ci governa. Berlusconi può ignorare il movimento, ma non i sondaggi che per la prima volta lo danno in calo, e proprio grazie alla scuola. E tra un po' ci saranno le amministrative... La Gelmini ha dato per persi gli insegnanti, altrimenti non direbbe tali e tante castronerie, nessuno può permettersi però di dar per persi i genitori. Il popolo della scuola è una valanga di lavoratori del settore, ma anche, e ancor di più: papà, mamme, nonni, studenti...

Qualcuno in qualche stanza sta cercando di mettere in pratica le parole che per l'età Cossiga dice ora a ruota libera, dopo averle nascoste per anni. Non ero molto cresciuto all'epoca, ma ricordo quando l'allora ministro degli interni chiedeva l'unità nazionale perché gli "studenti criminali" devastavano l'Italia. L'abbiamo sempre sospettato, ma ora lo dice lui: era tattica, e un bel po' di vetrine le hanno spaccate i suoi agenti. Davvero pensiamo che non ritenteranno lo stesso gioco? Di imbecilli di parte nostra disposti a giocare il suo gioco francamente ne vedo pochini. Vedo anzi molta ingenuità. Come quegli studenti che a Roma immaginavano che fosse davvero possibile manifestare insieme a quelli di estrema destra. Dobbiamo ancora e soltanto contare sul numero. E allargarlo, perché il movimento non ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità: non tutte le università si sono mosse, gli insegnanti delle superiori e delle medie sono fermi, tanti comuni piccoli e medie città devono essere raggiunte, le assemblee informative coi genitori le dobbiamo ancora organizzare in tanti posti... Siamo milioni, perché questi sono i numeri della scuola e dell'università pubblica, e dobbiamo porci nelle condizioni di "essere" quei milioni.

Alcuni immaginano che ora si torni a casa. E qui forse è mancato uno sforzo di comunicazione da parte del movimento. Occorre dunque ribadire alcuni concetti. Quella che è stata approvata è una legge che è solo un pezzetto di tutti gli adeguamenti legislativi che dovranno essere votati per far passare i tagli, tagli che sono stati votati il 6 agosto con l'art.64 della legge n.133. Devono ancora uscire le leggi che riguardano medie, superiori, università e scuole d'infanzia, devono ancora uscire i loro regolamenti attuativi, come del resto anche le misure previste dalla 137 prevedono altri passaggi prima di essere applicate. Del resto i tagli saranno spalmati su tre lunghi anni. Gli otto miliardi di tagli alla scuola troveranno piena sistemazione nella legge finanziaria, che deve essere ancora votata. Abbiamo davanti molti mesi di resistenza nelle scuole e nelle università. Sarà dura? Sì certo, ma vediamola anche dal loro punto di vista: una mobilitazione che non cessa e che arriverà sino al momento delle iscrizioni, e poi della formazione degli organici, contestando punto per punto, anno dopo anno... Non è la prima volta che una legge è approvata e i suoi contenuti non applicati. Ne sa qualcosa Fioroni, che pure lui avrebbe voluto tanto tagliare... (sì, meno della Gelmini, ma la differenza tra loro, dunque, è di quantità?). Occorre, però, attrezzarsi a questa lotta: consolidando le strutture di movimento, mettendole in collegamento tra loro, praticando l'unità dal basso, inventando forme di lotta prolungate e sostenibili...

Sento molto parlare in queste ore di referendum. E' un errore. Significa mettere in piedi una macchina che assorbe una quantità enorme di energie per esiti per di più incerti, e in un momento in cui la lotta è appena cominciata. Se ne potrà parlare, certo, ma non prima di aver percorso sino in fondo ogni possiblità di mobiltazione nelle scuole, nelle università, nelle strade. Nel frattempo le forze dell'opposizione istituzionale potrebbero fare una cosa molto carina: adeguare i loro programmi e le loro proposte. Il PD è ancora dell'idea di tagliare alla scuola pubblica non 8 ma 6 miliardi, per esempio? La proposta di referendum però ci mostra che almeno un passetto l'hanno fatto: la richiesta del ritiro della 137, perché fino ad una settimana fa non erano su questa linea. Bene, ora ne chiediamo un altro di passetto: la richiesta di abrogare gli articoli della 133 che riguardano scuola e università. Sì, perché anche se si facesse il referendum sulla 137, rimarrebbe la 133, ovvero i tagli. E il dibattito sarebbe: i tagli ci sono, nelle elementari non li attuiamo, e allora chi facciamo fuori?

Lo sciopero del 30 mostra chiaramente la strada da seguire. Certo, di scioperi non ne potremo far tanti, ma sappiamo essere creativi nel trovare nuove forme di lotta. E' uno sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali maggioritarie, ma di cui tutto il movimento si è impossessato. Sarà uno sciopero con manifestazioni dall'ampiezza senza precedenti. Berlusconi sperava, approvando il giorno prima il decreto, di demotivare rispetto alla partecipazione. Il successo di questa giornata speriamo gli mostri senza ombra di dubbio che continua a sbagliare valutazione: siamo solo all'inizio.

La contemporaneità della crisi economica e dei tagli a scuola e università costituisce una sorta di metafora. I governi di tutto il mondo, dopo averci per vent'anni catechizzato sulle virtù del mercato lasciato libero dall'intervento statale, i soldi (statali) per le banche li hanno trovati subito. E, nello stesso identico momento, tolgono soldi all'istruzione, in Italia, ma anche in Francia: i soldi, che poi sono i nostri soldi, scorrono e vanno da qua a là, dalle nostre aule ai loro conti. La manifestazione autorganizzata del milanese il 30 sarà aperta da uno striscione retto simbolicamente da tutti i soggetti sociali coinvolti nella lotta: maestre, universitari, medi. C'è scritto: "scuola e università non pagheranno la vostra crisi".

Tremonti, benefattore delle banche, Gelmini, ladra di scuola: decidiamo noi quando la partita è chiusa.

Michele Corsi, Retescuole

Mercoledì, 22 Ottobre, 2008 - 12:04

Festa per una Scuola di qualità

Una segnalazione:
Il comitato delle scuole zona 3 di milano vi invita alla festa "PER UNA SCUOLA DI QUALITA'", che si terrà in Piazza Leonardo da Vinci a Milano sabato 25 ottobre, dalle 14 alle 19.
Festa per una Scuola di Qualità
Giochi, parole, musica e panini a tempo pieno
 
Sabato 25 ottobre
Piazza Leonardo da Vinci
- mezzi pubblici: tram 33, 23, filobus 90, 91, MM 2 fermata Piola -
Dalle 14,00 alle 16,30: animazione e giochi per bambini con i Centri Rousseau, laboratori teatrali, esibizione dei ginnasti della Società Propatria, atelier di writing, storie cantate da Giovanni Caviezel e storie animate dagli Amici della Casa del Sole del Parco Trotter, danze popolari, giochi circensi con gli allievi della Piccola scuola di circo e molto altro.
Dalle 16,30 alle 19,00: Parole, musica e cabaret per una buona scuola, con l’Orchestra di via Padova, i Teka-pi e molti altri artisti. Non mancheranno un video-intervento di Moni Ovadia e una sorpresa-cabaret con gli artisti di Zelig.
 
La festa è aperta a tutti, grandi e piccini,
da 0 a 110 anni. Vi aspettiamo numerosi!
Portate una buona torta!!
Per una Scuola Piena di… Tempo
A cura del comitato per una scuola di qualità delle scuole di zona 3

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