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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Martedì, 25 Marzo, 2008 - 20:38

Il riconoscimento alleato di via Rasella

Il riconoscimento alleato di via Rasella
da Il Manifesto del 23 marzo

L'attentato di via Rasella del 23 marzo 1944 continua a stimolare posizioni revisionistiche che lo vorrebbero ridurre a «terrorismo». Ma durante la guerra erano gli stessi comandi inglesi a considerarlo un legittimo atto di resistenza

Marco Clementi
In Italia la storia della resistenza è stata oggetto di una serie di revisioni da parte di storici e saggisti, che hanno cercato di rileggere aspetti del fenomeno alla luce dei mutamenti politici europei degli ultimi decenni. I risultati non sempre sono stati all'altezza delle attese, ma in alcuni casi hanno avuto il merito di sollevare importanti quesiti, sui quali è bene confrontarsi anche a distanza di molto tempo, riguardanti per esempio il numero e il ruolo dei partigiani prima e dopo la liberazione del paese, le differenze tra le diverse anime della resistenza, la composizione sociale delle brigate partigiane, la corrispondenza al vero di vari «miti», da quello della resistenza tradita alla mancata epurazione nelle zone liberate. Libri che hanno avuto una larga diffusione, come quelli di Giampaolo Pansa dedicati al «sangue dei vinti» hanno suscitato polemiche, spesso accompagnate dal tentativo più generale di screditare in parte, o interamente, il movimento resistenziale italiano, che fu uno dei più importanti in Europa.
Il tema legato alla resistenza, del resto, divenne un oggetto di divisione e revisione già pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Se in un primo tempo, per esempio, i sovietici erano stati propensi a valutare l'esperienza partigiana italiana nel suo complesso e in modo equilibrato, distinguendone le varie anime e tendenze, già nel 1948 la lettura di quegli anni si era ideologizzata e un libro come La storia della resistenza di Luigi Longo poté essere pubblicato a Mosca solo dopo un'attenta revisione finalizzata a esaltare la guerra di popolo guidata dai comunisti e porre in ombra l'apporto delle forze politiche di diverso orientamento, che dovevano passare per elementi guidati dagli alleati al fine di boicottare l'incidenza di quello che fu chiamato già nel 1945 il vento del Nord. In tale prospettiva, fatti come il proclama Alexander del novembre 1944, sul quale si tornerà tra breve, sono stati giudicati alla stregua di un tradimento e come la prova della malafede alleata.
L'uso politico di via Rasella
La storiografia più recente ha registrato anche una tendenza opposta. Importanti studi, come quello di Franco Giustolisi dal titolo L'armadio della vergogna, riguardante gli incartamenti sulle stragi tedesche in Italia dimenticati in luoghi reconditi delle procure, non solo hanno fatto nuova luce sulle repressioni, ma hanno cercato di ricollocare nel loro contesto storico le azioni dei partigiani e dei Gruppi di azione (Gap) che agivano nelle città occupate. Tra gli atti di guerra che allora vennero condotti contro l'esercito tedesco, il più conosciuto e che ha catalizzato le maggiori polemiche è stata l'azione di via Rasella, un attacco portato dai Gap all'esercito occupante che il 23 marzo del 1944 provocò la morte di 33 uomini della undicesima compagnia del reggimento Bozen, comandato dal maggiore Helmut Dobbrick, e di sei italiani, tra cui un bambino.
Il giorno dopo, il 24 marzo, 335 italiani, tra cui 154 persone a disposizione dell'Aussenkommando, sotto inchiesta di polizia, 23 in attesa di giudizio del Tribunale militare tedesco, 16 persone già condannate dallo stesso tribunale a pene varianti da 1 a 15 anni, 75 appartenenti alla comunità ebraica romana, 40 persone a disposizione della Questura romana fermate per motivi politici, 10 fermate per motivi di pubblica sicurezza, 10 italiani arrestati il 23 nei pressi di via Rasella, una persona già assolta dal Tribunale militare tedesco e, infine, tre non identificate, furono condotti nelle cave di pozzolana lungo la via Ardeatina. Qui furono massacrati dai tedeschi comandati da Herbert Kappler. Per questo crimine, lo stesso Kappler e altri ufficiali tedeschi, tra cui Erich Priebke, sono stati processati poi e condannati dalla giustizia italiana.
Nel corso dei decenni seguiti alla fine della guerra le polemiche su via Rasella non si sono spente. Da un lato, dopo la riabilitazione «dei ragazzi di Salò», operata in Italia a molti livelli istituzionali, si è cercato di dare una nuova dignità a chi aveva aderito alla Repubblica mussoliniana. Dall'altro, dopo l'11 settembre 2001 e l'inizio della cosiddetta «guerra al terrorismo», alcuni eventi sono stati riletti sotto una luce nuova e atti di guerra come quelli di via Rasella sono stati interpretato come atti di terrorismo. Infine, qualcuno ha anche ipotizzato che via Rasella, in realtà, fu organizzata per provocare la reazione tedesca e condurre alla liquidazione del gruppo «Bandiera Rossa», scomodo per il Pci e in parte arrestato dai tedeschi.
Riportare in questo giorno di ricordo le cose nella loro proporzione storica non è un'impresa che può avvenire con un breve saggio. Né, del resto, è facile ricomporre quella che da molti è stata chiamata «la memoria divisa», che nel nostro paese sembra volersi non ricomporre mai o, nel caso, secondo una del tutto arbitraria par condicio, che in storia, invece, non dovrebbe avere quartiere. Prima della caduta del muro di Berlino i danni anche di una certa storiografia sono stati elevati e ci vorranno decenni per porre riparo a tutto ciò che una presunta lettura marxista - ma più semplicemente ideologica - ha provocato.
Il proclama di Alexander
Due documenti molto chiari su ciò che allora era l'attitudine alleata nei confronti dei partigiani italiani, possono comunque aiutarci nel tentativo. Sono entrambi firmati dal comandante in capo delle forze alleate in Italia, il generale Alexander; uno è molto noto, il suo già citato proclama, l'altro un po' meno, ed è un Warnings, un avvertimento. Nel novembre del 1944 Alexander chiese ai partigiani di tenere le posizioni invernali per poi riprendere la parte finale della lotta in primavera. Il proclama diceva questo:
«Patrioti! La campagna estiva, iniziata l'11 maggio e condotta senza interruzione fin dopo lo sfondamento della linea Gotica, è finita: inizia ora la campagna invernale. In relazione all'avanzata alleata, nel periodo trascorso, era richiesta una concomitante azione dei patrioti: ora le piogge e il fango non possono non rallentare l'avanzata alleata, e i patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l'inverno. Questo sarà molto duro per i patrioti, a causa della difficoltà di rifornimenti di viveri e di indumenti: le notti in cui si potrà volare saranno poche nel prossimo periodo, e ciò limiterà pure la possibilità di lanci; gli alleati però faranno il possibile per effettuare i rifornimenti».
Si aggiungeva che si dovevano conservare le munizioni, attendere nuove istruzioni, «approfittare però ugualmente delle occasioni favorevoli per attaccare i tedeschi e i fascisti», continuare «nella raccolta delle notizie di carattere militare concernenti il nemico; studiarne le intenzioni, gli spostamenti, e comunicare tutto a chi di dovere». Inoltre, «le predette disposizioni possono venire annullate da ordini di azioni particolari», mentre «nuovi fattori potrebbero intervenire a mutare il corso della campagna invernale (spontanea ritirata tedesca per influenza di altri fronti)». Dunque «i patrioti siano preparati e pronti per la prossima avanzata». Infine, Alexander pregava «i capi delle formazioni di portare ai propri uomini le sue congratulazioni e l'espressione della sua profonda stima per la collaborazione offerta alle truppe da lui comandate durante la scorsa campagna estiva».
Tutto ciò, in quelle condizioni, era non solo ineccepibile, ma un riconoscimento di alta considerazione per il lavoro che stavano compiendo gli italiani oltre le linee dell'occupante. Avrebbe forse Alexander dovuto chiedere ai partigiani di organizzare la sollevazione generale, che in quel momento sarebbe sicuramente stata repressa dai tedeschi? Alexander, in realtà, stimava fortemente i partigiani italiani e fu leale nei loro confronti. Un mese prima del proclama egli aveva diffuso con tutti i mezzi a disposizione (etere, manifestini) il Warning, l'avvertimento rivolto agli ufficiali e agli uomini tedeschi affinché non usassero il pretesto delle azioni dei patrioti per commettere crimini contro la popolazione civile.
Nel Warning si constatava che i massacri di civili italiani stavano diventando ogni giorno più frequenti; il fatto, però, che in un certo luogo dei patrioti italiani avessero portato a termine un'azione militare contro gli occupanti, non giustificava da parte di questi ultimi alcuna azione di rappresaglia contro la popolazione o persone in attesa di processo, che doveva essere considerata un crimine di guerra. Gli ufficiali e gli uomini tedeschi che si erano o si sarebbero macchiati di tali azioni, sarebbero stati considerati dei criminali e processati nei paesi in cui tali crimini erano stati perpetrati. Si chiedeva alla popolazione italiana e ai partigiani di prendere nota dei nomi dei reparti tedeschi responsabili, dei luoghi e delle modalità con cui le rappresaglie erano condotte, e si elencavano alcuni degli eccidi di cui al momento si era a conoscenza. Tra questi, al primo posto Alexander citava proprio quello delle Fosse Ardeatine, seguito da quello di Stia, di Civitella Val di Chiana e Roncastaldo.
Atti di guerra
La posizione del generale inglese è molto importante per comprendere l'attitudine degli alleati nei riguardi dei nostri partigiani. Essi erano i patrioti che al di là delle linee svolgevano un'importante azione finalizzata alla cacciata degli occupanti. Nessuna azione poteva giustificare una reazione tedesca contro la popolazione. Al contrario, gli atti dei partigiani, compresa via Rasella, furono sempre considerati come legittimi atti di guerra contro l'occupante, appoggiati dagli alleati con ogni mezzo propagandistico a disposizione. Contrariamente a quanto si può supporre, in alcuni casi non c'è bisogno di andare a cercare molto lontano una legittimità che, in quegli anni, era cosa non solo scontata, ma assolutamente condivisa da tutto il fronte antifascista.

Martedì, 25 Marzo, 2008 - 20:26

Tg, più Pdl per tutti. Poi c'è il Pd

Tg, più Pdl per tutti. Poi c'è il Pd
da Il MANIFESTO del 22 marzo

Per il Cavaliere la violazione della par condicio è irrilevante: la «legge liberticida» non dovrebbe esistere e l'Agcom «deve guardare alla sostanza delle cose». Ovvero: è giusto che il suo partito abbia più spazio in tv L'Authority invia un richiamo alla Rai e alle tv private: l'informazione politica premia i partiti maggiori, in particolare il Popolo delle libertà

Mi. B.
Roma
L'Authority per le comunicazioni non badi a norme e regolamenti, ma «guardi alla sostanza delle cose: un partito che viene votato dal 50% degli italiani deve poter esporre i suoi programmi ai cittadini per un voto consapevole più di un partito che ha l'1%». Per quanto riguarda Silvio Berlusconi, la legge «liberticida» sulla par condicio non ha mai avuto motivo di esistere e dunque potrebbe tranquillamente essere ignorata da chi dovrebbe garantirne l'applicazione, nonostante possa essere difficile come dice il commissario Michele Lauria. E invece l'Authority ha inviato un richiamo alle emittenti pubbliche e private chiedendo «l'immediato riequilibrio dell'informazione politica tra tutte le liste partecipanti alla campagna elettorale». Perché, in particolare nei tg, l'Agcom ha rilevato, nella settimana dal 10 a 17 marzo, un trattamento privilegiato nei confronti di Pd e Pdl rispetto a tutte le altre forze politiche, una disparità di trattamento tra queste ultime e, tra i due partiti maggiori, uno squilibrio in favore della lista di Berlusconi e Fini.
La parte del leone (berlusconiano) la fa il Tg4, che al partito del capo dedica il 53,65% del tempo contro il 15,66 del Pdl e il 7,93 della Sinistra arcobaleno. Sul tg di Emilio Fede, Socialisti (6,86) e Idv (4.37), ottengono più dell'Udc (3,79), ma pure della Lega (2,75).
Rispetto alle altre testate, sul Tg5 di Clemente Mimun la situazione per la Sinistra arcobaleno va meglio: ottiene il 17,30% del tempo di parola contro il 34,86 del Pdl e il 23,59 del Pd. L'Udc è al 6,46 e gli altri sotto. A Studio Aperto il Pdl è al 37,80%, il Pd al 21,89 e al terzo posto, con il 7,86, si piazza l'Idv.
Sui Tg Rai, il Pdl ha la meglio in tutte le edizioni, seguito dal Pd, che forse in ossequio ai sondaggi su Tg1 e Tg2 è sette punti sotto, mentre sul Tg3, più ottimista, il distacco è di meno di un punto, ma sempre a favore del Pdl. Il Tg1 assegna a Sinistra arcobaleno e Udc poco più del 9% e gli altri sono tutti sotto il 3. Pari merito Arcobaleno-Udc anche sul Tg2 (sotto il 7%), mentre sul Tg3 la sinistra è al 13,61 e Casini all'11,75. E ancora, sul Tg La7 svetta il Pdl, al 41,71% contro il 19,44 del Pd con il 15,46 a Di Pietro, il 12.99 dei socialisti e il 7,58 della Sinistra. Questi i dati relativi a tutte le edizioni. Per quanto riguarda le edizioni principali, sul Tg1 migliora la performance del Pd (i punti di distacco dal Pdl scendono a circa 4), mentre restano invariati gli altri risultati. Sul Tg2, Pdl al 37,62 e Pd al 22,70, Sinistra all'8,9 e Udc al 7,78, gli altri dal 3 circa in giù. Al Tg3, dopo Pdl e Pd migliorano Arcobaleno (va al 15,38%) e l'Udc, tutti gli altri sono sotto il 2. Il Tg4 si ridimensiona (Pdl al 39,18% e Pd al 18.24, poi socialisti al 10,17, Sinistra all'8,84, Di Pietro al 6,48% e Udc al 5,62). Il Tg5 invece rispetto alla media di tutte le edizioni premia ancora di più il Pdl, così come Studio Aperto.
Proprio ieri la Sinistra arcobaleno ha presentato un nuovo esposto all'Agcom. Ma anche il Pd Fabriizio Morri protesta per lo squilibro «a favore di Berlusconi e della sua coalizione e a danno di Veltroni», trascurando che tutti gli altri restano ancora più indietro.

Venerdì, 21 Marzo, 2008 - 21:16

rapporto AI: Iraq cinque anni di carneficina e disperazione

Rapporto di Amnesty International sull’Iraq: cinque anni di carneficina e disperazione

Cinque anni dopo l’intervento militare guidato dagli Usa che spodestò Saddam Hussein, l’Iraq rimane uno dei paesi più pericolosi al mondo dal punto di vista dei diritti umani.

È quanto ha affermato oggi Amnesty International, pubblicando il rapporto “Carneficina e disperazione”. Secondo l’organizzazione per i diritti umani, gli attacchi e gli omicidi settari da parte dei gruppi armati, le torture e i maltrattamenti da parte delle forze governative e la continua detenzione di migliaia di persone sospette (molte delle quali da lungo tempo, senza accusa né processo) da parte delle forze statunitensi e irachene hanno avuto un impatto devastante, costringendo oltre quattro milioni di iracheni a lasciare le proprie case.

Milioni di dollari sono stati spesi per la sicurezza, ma oggi due iracheni su tre non hanno ancora accesso all’acqua potabile e almeno uno su tre (otto milioni di persone) sopravvive grazie agli aiuti d’emergenza.

“L’amministrazione di Saddam Hussein fu proverbiale per le violazioni dei diritti umani” – ha affermato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International – “ma la sua destituzione non ha portato alcun sollievo alla popolazione irachena”.

Migliaia di persone sono state uccise o gravemente ferite e comunità che in precedenza vivevano in uno stato di relativa quiete sono state trascinate in aperto conflitto. La popolazione civile ha pagato il prezzo più alto. Per molte donne, che ora sono minacciate dai militanti religiosi, le condizioni sono peggiori rispetto ai tempi di Saddam Hussein.

Secondo il rapporto di Amnesty International, anche nella relativamente calma regione settentrionale curda, i passi avanti economici non sono stati accompagnati da un maggiore rispetto dei diritti umani.

“Continuano a giungere segnalazioni di arresti arbitrari, detenzioni e torture anche dalle province curde” – ha sottolineato Smart – “e il dissenso politico è scarsamente tollerato. Oppositori politici sono stati imprigionati senza processo mentre i cosiddetti delitti d’onore, in cui le donne sono assassinate dai propri familiari, restano un problema profondamente radicato che le autorità criticano ma non affrontano in maniera adeguata”.

Nessuno è in grado di stabilire esattamente quante persone siano state uccise in Iraq a partire dall’invasione diretta dagli Usa del marzo 2003. Secondo la ricerca più estesa, condotta congiuntamente dall’Organizzazione mondiale della sanità e dal governo iracheno e pubblicata nel gennaio di quest’anno, dal marzo 2003 al giugno 2006 sono state uccise più di 150.000 persone. Le Nazioni Unite hanno affermato che nel 2006, ultimo anno su cui sono disponibili dati, sono state uccise almeno 35.000 persone.

Il costante problema dell’insicurezza ha pregiudicato i tentativi di restaurare l’ordine, ma anche quando le autorità irachene sono state messe in grado di far rispettare i diritti umani, hanno ampiamente fallito. I processi sono regolarmente iniqui, con condanne emesse su prove estorte con la tortura. Centinaia di persone sono state condannate a morte.

“Questo è uno degli aspetti peggiori per il futuro. Anche di fronte a evidenti prove della tortura commessa sotto i loro occhi, le autorità irachene non hanno portato i responsabili di fronte alla giustizia, né gli Usa e i loro alleati li hanno stimolati a farlo” – ha concluso Smart.

FINE DEL COMUNICATO                                                                                     Roma, 17 marzo 2008

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

Venerdì, 21 Marzo, 2008 - 20:08

Stop the fever-Fermiamo la febbre del pianeta

Ci vorrebbero ben 5 Lombardie interamente ricoperte di alberi per assorbire l'elevata produzione di CO2 emessa sul nostro territorio regionale. E' inimmaginabile, seppure sia un'interessante e accattivante proiezione onirica, ma è la realtà scientifica chiara di un risultato oggettivo conclusivo di una lunga ricerca indetta da Legambiente Lombardia. Tre Italie, invece, colme di alberi per assorbire l'anidride carbonica emessa sul nostro territorio nazionale.
«Stop the fever-Fermiamo la febbre del pianeta» è il nome della campagna che si aprirà il 26 marzo con momenti artistici di esecuzioni musicali, piece teatrali, biciclettate serali, apposizioni di segnaletiche che dissuadono il fluido veicolare continuo del traffico caotico cittadino, reading di poesie e di brani letterari. Aprirà la grande manifestazione un concerto di un famoso emergente artista africano, Youssou N'Dour, all'Alcatraz, lo stesso 26 marzo. Tutto ciò che concerne la strumentazione tecnica e i materiali per amplificazione sonora sono ecosostenibili e compatibili con il rispetto dell'ambiente: microfonature e strumenti che saranno alimentati da fonti di energia rinnovabile e naturale, quale quella solare. Bisogna invertire la tendenza, come sostiene Legambiente stessa, del nostro sviluppo e abbassare la febbre che sta ammorbando il nostro pianeta. L'aumento delle emissioni di anidride carbonica, di polveri sottili, quali PM 10, PM 2,5, che portano il nostro Paese a essere uno dei primi trasgressori degli impegni stilati con il Protocollo di Kyoto, comporta chiaramente e inevitabilmente un aumento progressivo del clima apportando forte nocumento all'equilibrio bio-climatico.
Invertire la rotta, anche partendo dall'arte e dalla cultura, da interessanti e coinvolgenti momenti musicali e culturali, vernissage e kermesse, che non fanno altro che aumentare la forza incisiva del messaggio che vogliamo rivolgere alla cittadinanza: cambiate i consumi.
Il 7 giugno concluderà l'evento e la campagna un grande appuntamento culturale e artistico: sempre a basso consumo di energia e all'insegna della sostenibilità delle fonti e al loro rinnovamento.
Qualcosa cambierà? Forse in futuro non vedremo più come unica speranza avere 5,7 lombardie di alberi per assorbire un aumento esponenziale di Co2: soprattutto se invece di costruire impianteremo alberi nuovi, difenderemo le aree agricole oggi esistenti e fortemente sofferenti, indurremo i nostri vicini a usare fonti di energia rinnovabile e a risparmiare nel consumo di energia.

Alessandro Rizzo

Giovedì, 20 Marzo, 2008 - 16:56

Agevolazioni fiscali per l’abbonamento ATM: chi lo sa?

Agevolazioni fiscali per l’abbonamento ai mezzi pubblici: chi lo sa?

 
L’incentivo all’utilizzo dei mezzi pubblici deriva anche e soprattutto da misure fiscali agevolanti e che rendono quest’ultimo competitivo rispetto a quello del mezzo privato, automobilistico.
La finanziaria 2008 prevede fino al 31 dicembre la possibilità di detrarre dall’IRPEF, all’atto della dichiarazione dei redditi, il 19% dall’imposta lorda sull’acquisto di abbonamenti al trasporto pubblico locale, sempre in un ambito di importo non superiore a 250 euro. I conti sono presto fatti e il diritto al rimborso, che la legge economica dello stato riconosce, è notevole sia numericamente, sia anche come questione di principio e di titolarità giuridica.
Siamo in procinto della stagione della dichiarazione dei redditi: gran parte dei residenti milanesi sono alle prese con i vari moduli. Un diritto, però, viene reso attuativo solamente se se ne è a conoscenza, ovviamente: in caso contrario rimane un buon enunciato di grande prestigio ma “à la carte”. L’organo deputato a informare la propria cittadinanza di questa opportunità fiscale non è altro che il Comune, il quale avrebbe il compito di rendere conoscenti tutti dell’esistenza di questa possibilità, incentivando, così, senza nessun tipo di disposizione consiliare, delibera o determina, e senza nessun onere, assestamenti di bilanci vari, l’utilizzo dei mezzi pubblici e l’abbandono della tanto amata automobile. Tutto questo influirebbe, chiaramente, non solo su una modifica dei comportamenti delle persone, ma anche su una mobilità sostenibile, quindi eco compatibile, quindi più economica, meno dispendiosa di risorse e di energia, fluida e decongestionata a livello cittadino. Ma fino a oggi ancora nessuno è venuto a conoscenza da parte del Comune di questa possibilità, nonostante diversi consiglieri de L’Unione abbiano più volte invitato l’amministrazione a provvedere, così come avvenuto per il tanto decantato ecopass, a strutturare una pubblicizzazione diffusa della disposizione e dell’opportunità consentita dalla legge finanziaria 2008. Che cosa si attende? Si aspetta il 31 dicembre per garantire un’utile e giusta informazione su questa possibilità per la cittadinanza?
 
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

Mercoledì, 19 Marzo, 2008 - 20:33

Via Feltrinelli 16: il sindaco intervenga con urgenza

COMUNICATO STAMPA

Via Feltrinelli 16: il sindaco intervenga con urgenza

La drammatica denuncia degli abitanti di via Feltrinelli e via Santi sulle conseguenze della

presenza di amianto nelle loro case che abbiamo ascoltato oggi nel corso della Commissione

Consiliare merita una attenzione del tutto particolare. Noi quelle parole le abbiamo ascoltate

anche con emozione ed indignazione.

Le risposte dell'ass. Verga possono valere in termini ordinari: le discuteremo e vigileremo perché

si traducano in fatti.

Quando, tuttavia, si sente di casi di morti, di persone che lottano contro il cancro, di altre e gravi

patologie connesse ad una situazione abitativa sulla quale da troppi anni si tarda ad intervenire

il problema diventa emergenza straordinaria.

Riteniamo allora giusto ricordare che è il Sindaco per legge che deve vigilare sulla salute dei

cittadini.

E' il Sindaco che aspettiamo si muova nelle prossime ore per interventi immediati che devono

ridare ai cittadini la certezza di non essere condannati ad una intollerabile decimazione ("sarò io

il prossimo a morire, o i miei figli?").

Se ancora una volta la politica, la civica amministrazione non sapranno dare risposte, ci

impegniamo a stare a fianco di quanti cercheranno ascolto e giustizia in altri luoghi.

Basilio Rizzo Consigliere Comunale Lista Uniti con Dario Fo per Milano

Alessandro Rizzo Consigliere di Zona 4 Lista Uniti con Dario Fo per Milano

Milano, 19 marzo 2008

Mercoledì, 19 Marzo, 2008 - 13:29

Presidio a Milano ore 16,30 Pzza della Scala per Tibet

PRESIDIO A MILANO IL 20 MARZO ORE 16,30 IN pzza  della  Scala  PER TIBET

In solidarietà alla protesta dei monaci e della popolazione
tibetana, il
Partito Umanista appoggia
il presidio
di protesta…

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Martedì, 18 Marzo, 2008 - 16:09

Fausto e Iaio, il dolore continua

A trent'anni dall'uccisione dei due ragazzi in via Mancinelli

Fausto e Iaio, il dolore continua
Andavano ad un concerto al Leoncavallo. In tre gli spararono. Libro e dvd raccontano il tragico 18 marzo che gelò mezza Milano

www.vivimilano.it

MILANO - «Sono le 21.17, interrompiamo le trasmissioni per una notizia appena arrivata. Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, giovani di diciannove anni, sono stati uccisi in via Mancinelli, dietro al centro sociale Leoncavallo, dove doveva tenersi un concerto blues. Stavano andando al concerto, sono stati inseguiti da tre individui e uccisi a colpi di pistola. I loro corpi sono ancora per terra».
Il tono concitato tipico dei cronisti di Radio Popolare quel 18 marzo 1978 gelò il sangue a mezza Milano; parole che emozionano ancora oggi quanti ricordano, con rabbia e dolore, quell'attentato di cui non si sono mai trovati i colpevoli. Per riflettere su ciò che avvenne in quel tormentato mese di marzo (due giorni prima del duplice omicidio fu sequestrato Aldo Moro) è uscito il libro+dvd «Fausto e Iaio trent'anni dopo» (Costa e Nolan).
Un testo firmato da familiari, amici, rappresentanti delle associazioni tra cui il giornalista Daniele Biacchessi (curatore del capitolo che riassume i fatti). «La difficoltà di ottenere giustizia, è il dato più doloroso», sottolinea Biacchessi. «Ci sono nomi e cognomi ma non c'è stata volontà di tradurre le intuizioni dei magistrati in un processo penale.
Realtà comune ad altre tragedie italiane, dalla strage di Brescia a Piazza Fontana». La seconda parte del libro raccoglie le testimonianze di nomi della cultura e della politica, da Gad Lerner a Paolo Hutter. Le loro parole si uniscono alle poesie lasciate sul marciapiede di via Mancinelli, dai ventenni di allora e di oggi.
«I pensieri e le emozioni di chi era ragazzo nel 1978», continua Biacchessi, «diventano quelle di chi ha conosciuto lo stesso dolore con la morte di Carlo Giuliani e di Dax». «La vera forza del libro», conclude la sorella di Iaio, Maria Iannucci. «sta nel dire che c'è un'Italia disposta a lottare: il passato non si archivia».
INFORMAZIONI - Oggi alle ore 17 in via Mancinelli amici e familiari di Fausto e Iaio incontrano il quartiere In scena Alle 21.30 al Teatro di Ringhiera (via Boifava 17, ingr. 6 euro), dopo la presentazione del libro a cura di D. Biacchessi, va in scena «Fausto e Iaio, due ragazzi come noi», del Teatro Garage, diretto da Angelo Prati
Livia Grossi
Martedì, 18 Marzo, 2008 - 14:08

«Così concilio Chavez e la City E ora sogno la rivoluzione verde»

«Così concilio Chavez e la City E ora sogno la rivoluzione verde»
A colloquio con Ken «il rosso» Livingstone, che si ricandida alla guida di Londra
La riduzione delle emissioni, il lavoro, il multiculturalismo e il declino degli Usa. Intervista a tutto campo con il carismatico leader laburista inglese. Che guarda a Cuba, al Venezuela e soprattutto alla Cina. Apre alle imprese «etiche» e bacchetta i no global Chavez ci vende il petrolio per i nostri autobus a 20 milioni di dollari in meno l'anno e noi usiamo i soldi che risparmiamo per ridurre della metà le tariffe C'è bisogno di una Tobin tax e io, sindaco, dovrei avere il potere di redistribui
Doreen Massey
Londra
www.ilmanifesto.it

Ci incontriamo nell'ufficio di Ken all'ottavo piano della City Hall e stiamo ancora chiacchierando, prima di cominciare davvero l'intervista, quando Ken esce correndo dalla stanza e rientra sventolando un documento. La vecchia energia e entusiasmo non sono chiaramente diminuiti. «Guarda - dice - guarda qui... Stiamo progettando di presentare questo il 27 febbraio. E' la strategia di riduzione del carbone per la città fino al 2025-30. E può essere realizzato. Si può davvero ottenere il 60% di riduzione nelle emissioni. Si basa tutto sul cambiamento di atteggiamento e sulle tecnologie esistenti. Tutto ciò che serve è la volontà politica».
E come si genera?
Ah... beh, continuando instancabilmente a parlare di queste cose. Bisogna acquistare consenso, spingere tutto in avanti. Vedo almeno un ministro alla settimana e lo faccio da sei anni e mezzo. Sì fanno progressi dolorosamente lenti, e di tanto in tanto si torna indietro, magari perché uno di questi ministri ti dice che serve un'altra pista a Heathrow.
La tua priorità ora paiono essere i cambiamenti climatici.
Sì, ma se non riusciremo a ridurre le emissioni di carbonio sarà una catastrofe. I capitalisti più sensibili riconoscono il problema. Al tempo del Greater london council (Glc), l'arena politica internazionale rispecchiava la divisione di classe nella società e le imprese avevano totalmente aderito al Thatcher-pensiero. Ma le grandi imprese adesso sono un alleato forte su tutta una serie di questioni, dai cambiamenti climatici al miglioramento della specializzazione della forza lavoro, all'investimento nei trasporti pubblici. Non sono più loro il nemico, sono i comuni (sia quelli in mano ai laburisti che quelli guidati da conservatori e liberali). E poi c'è il governo, che è terrorizzato da quello che potrebbe dire il Daily Mail.
Parli molto di rendere Londra una città globale sostenibile. Quando eravamo nel Glc ci preoccupavamo di evitare che Londra diventasse thatcheriana. C'è qualcosa di equivalente oggi?
Allora stavamo promuovendo una strategia economica alternativa. E avevamo anche un piano per ridurre il numero di abitanti da 8 milioni e mezzo a 6. Ma le cose sono andate al contrario. Adesso bisogna lottare per contenere il più possibile la crescita di Londra. La densità immobiliare è aumentata del 300% per ettaro in quattro anni. E dato che la maggioranza della popolazione mondiale oggi vive in città bisogna trovare il modo di farle funzionare in maniera sostenibile. Poi c'è la questione della struttura. Nel Glc abbiamo fatto il possibile per impedire il declino dell'industria manifatturiera e nulla per incoraggiare business e finanza, ma quella battaglia è stata completamente persa. I servizi commerciali e finanziari sono raddoppiati e rappresentano oltre un terzo dei posti di lavoro a Londra, mentre l'industria è scesa a 300mila posti e sta ancora calando. La situazione che abbiamo di fronte certamente non è quella che avremmo scelto. A produrla è stato il big bang della Thatcher.
Finora le cose su cui ti sei concentrato sono la City e i cambiamenti climatici. Quando parli di Londra come città globale, cosa intendi?
Beh, mi pare chiaro che Londra si sia avvicinata a città come New York.
In che termini?
In termini di servizi finanziari e commerciali, ma anche di come viene percepita dal resto del mondo. Qui succedono tante cose, sempre più giovani scelgono di trasferirsi qui anziché a New York. E l'altro grande cambiamento è che la popolazione nera e asiatica è raddoppiata dai tempi del Glc. Quindi siamo di fronte a una città che è certo la capitale della Gran Bretagna ma che a tutti gli effetti è una città globale.
Nel senso di avere tutto il mondo in una sola città...
Sì. A Londra si parlano 300 lingue, a New York 200. Il grande vantaggio che abbiamo rispetto ad altre città miste è che le etnie e i luoghi qui si mescolano meglio. Una persona su venti qui è di etnia mista, ma non è così a New York. Perciò queste idee di scontro di civiltà e terrorismo globale non hanno alcun senso.
Il multiculturalismo di cui parli è diverso da quello americano...
Sì, negli Usa si tratta di condividere i valori americani, e quindi i cittadini sono definiti come italo-americani, messico-americani. Noi qui diciamo invece che questa è una città in cui ognuno mantiene la propria identità ma partecipa alla città. Nel mondo ci sono oggi diverse importanti culture e nessuna di queste potrà prevalere sul lungo periodo. Devono imparare a coesistere. Se guardiamo al tasso di crescita della Cina, è chiaro che fra dieci o vent'anni supererà gli Usa, il che sarà uno shock devastante per la psiche americana. E' per questo che sono a favore degli stati uniti d'Europa: sarebbe bello esserci.
In questo senso sei esplicitamente contrario all'egemonia Usa...
Sono contro qualunque egemonia. In questo momento abbiamo la possibilità che il mondo decida che cosa gli piace delle varie culture, che la gente scelga quali pezzi delle culture degli altri ignorare e quali invece adottare, far propri.
Nonostante tutto Londra è ancora il luogo di produzione di un neoliberismo che ha sostenuto il Washington consensus e ha prodotto ogni sorta di disastri e ingiustizie in giro per il mondo. Tu sei abbastanza esplicitamente contrario al neoliberismo e lo hai detto, eppure questo è il cuore del London Plan. Non voglio che tu riconcili queste cose, vorrei che mi dicessi come usi le due cose insieme...
All'interno di quello che tu chiami neoliberismo c'è il brutto e il bello. Voglio dire, c'è la negazione dei cambiamenti climatici, ma ci sono anche Bp e ora Shell che dicono che qualcosa va fatto. Questo per dire che le contraddizioni sono molte. Non è un complesso militare-industriale, non sono Bush, Cheney e Halliburton che dominano tutto questo.
Dunque ci sono contraddizioni o brecce nel sistema con le quali puoi lavorare...
Sì. Ma dovresti davvero parlare con i manager delle grandi imprese per chiedere perché lavorano con me. Io ho il cruccio di dover avere a che fare con istituzioni come le grandi banche che sono responsabili di problemi come l'enorme debito. Ma le banche devono avere a che fare con me.
Ok, ma questo significa che continui a sostenere la City e il suo corollario di industrie di servizi, che le chiami o meno neoliberiste...
Beh, sostengo ancora che bisogna avere una Tobin tax e che io dovrei avere il potere di redistribuire ricchezza togliendola ai super ricchi di Londra.
Ecco cosa volevo sapere. Perché l'altro problema è che Londra sta diventando anche la capitale dell'ineguaglianza e questo ha un'enorme ricaduta sulle politiche per la casa...
Sì. Ma questo non dipende dalle grandi imprese, questo dipende dal governo Labour. E' abbastanza chiaro che a Londra i guadagni lordi di quella piccola élite sono così fuori dai limiti che si potrebbero ricavare un bel po' di tasse.
E allora perché non battersi per questo?
Non vedo alternative. Non c'è possibilità che questo governo, o Gordon Brown, mi diano il potere di redistribuire la ricchezza a Londra. Così sono legato a un sistema fiscale molto meno progressista di quello che avevo al Glc, che era fantastico.
Allora al governo stai dicendo che bisognerebbe tassare i ricchi?
Certo. Ma non spreco il fiato a cercare di convincere Gordon Brown. Però se non avessi una strategia così centrata sulla finanza non potresti redistribuire qualcosa?
E su cosa dovrebbe essere centrata? Dovrei ricostruire l'industria? Questo non è il mondo che crei, questo è il mondo in cui sei.
Ma aumenta l'ineguaglianza.
Sì. Ma dato che la finanza oggi è la fonte maggiore e più importante di posti di lavoro a Londra, allora non possiamo dire che l'abbandoniamo, perché naturalmente questo ci porterebbe ad una catastrofica recessione. Quindi è un problema. Si fa il possibile per ricostruire l'industria nel settore creativo. Ma alla fine siamo ingabbiati in quella struttura.
Questo è il punto...
Lo so, ma a New York è uguale. La cosa interessante è stata anche che New York e Londra sono cresciute diventando virtualmente il riflesso una dell'altra in termini di struttura del lavoro. Entrambe sono città in cui la popolazione sta crescendo, entrambe sono città varie, entrambe sono città che in termini culturali non hanno quasi nulla in comune con il resto del paese. Ed entrambe sono al centro dell'amministrazione dell'economia globalizzata.
Esattamente.
Beh, datemi poteri dittatoriali e saremo in grado di fare qualcosa su questo. Se si facesse qualcosa a Londra, la finanza si sposterebbe semplicemente a Parigi o Shanghai. Bisogna costruire strutture globali di progressisti, laburisti e verdi per affrontare il problema. Se improvvisamente il governo Labour mi desse la libertà di gestire l'intera faccenda e io rimettersi mano al sistema fiscale, la finanza si trasferirebbe in un altro posto. Ma, fortunatamente per noi, avrebbero dei problemi a spostarsi in altre parti d'Europa. Ma non è solo una questione di che cosa fa la sinistra. Adesso abbiamo Bill Gates che dice "ho guadagnato 35 milioni di sterline e non posso spenderli, dovrò realizzare qualcosa di progressista con questi soldi". E Warren Buffet ha praticamente detto la stessa cosa. C'è Clinton che corre di qua e di là per convincere le ditte a donare medicinali e strumentazioni mediche economiche al terzo mondo.
Fanno qualcosa di diverso da te, però. Fanno cose per cercare di evitare che i problemi appaiano così gravi, mentre quello che tu ti proponi di fare è cercare di cambiare il funzionamento delle cose. Non solo esercizi ginnici.
No, ma neanche quello che stanno facendo Gates, Buffet e Clinton a proposito dei cambiamenti climatici. La Fondazione Clinton sta davvero spingendo su questa questione. Clinton sta negoziando con grandi compagnie la possibilità di passare alla produzione di semafori a risparmio energetico. L'idea è assicurare che Chicago, New York, Londra e Los Angeles li comprino e magari pure Parigi e Berlino, e perciò il prezzo si abbasserà così da avere un effetto a lungo termini. Questo genere di cose è molto interessante. Durante la guerra fredda, sia che ci si schierasse con l'Urss che con gli Stati uniti, quasi ogni questione politica interna rifletteva gli stessi schieramenti. Ma adesso non è così semplice.
Tu hai fatto certamente parecchio in termini di relazioni globali, hai già detto che hai molte iniziative in piedi con Cuba, la Cina, la Russia, il Venezuela. Puoi dirci qualcosa in più?
In tutto questo la questione centrale è quella cinese. La cosa interessante della Cina è che, nonostante abbia adottato la sua forma di capitalismo, in realtà non è un semplice capitalismo. La nostra opinione iniziale che avremmo avuto un legame da città a città con Shanghai ben presto è stata cancellata quando ci siamo resi conto che tutte le più grandi decisioni globali ottengono ancora il via libera dalla macchina del partito a Pechino. E in ogni nostra trattativa con la leadership del Partito comunista cinese abbiamo visto che sono sinceramente orgogliosi di aver sollevato 200 o 400 milioni di persone dalla povertà.
Qual è il ruolo di Londra allora?
Il ruolo di Londra è quello di fare il possibile per incoraggiare legami tra quello che sta emergendo in Cina e in India, le forze progressiste dell'occidente, le forze progressiste del sud America e via dicendo.
Ok, dimmi ora un po' di Chavez. Che succede?
Chavez è consapevole del fatto che non possiamo redistribuire ricchezza. Così ci vende il petrolio per i nostri autobus a 20 milioni di dollari in meno l'anno e noi usiamo i soldi che risparmiamo per ridurre della metà le tariffe sugli autobus in modo che tutti ne possano usufruire.
Da una parte ti allei con Chavez, dall'altra vai a Davos.
Ci vado per parlare di cosa possiamo fare sui cambiamenti climatici.
Che ne pensi del movimento no global? Hai sostenuto il social forum.
Si, ma bisogna isolare i violenti. Non penso che siano tutti provocatori, ma dal collasso del comunismo è nata una generazione di giovani arrabbiati che sono cresciuti senza l'esperienza all'interno di organizzazioni comuniste o trotzkiste o nel sindacato. E poiché non sono stati addestrati nel marxismo e non hanno imparato da gente che gli ha spiegato che questa è una lotta lunga una vita, si sono arrabbiati e sono usciti a spaccare vetrine. Mi dispiace, ma questa gente è un lusso che non possiamo permetterci. Non lascio che un venticinquenne arrabbiato che fra vent'anni sarà un bancario senza scrupoli e si sarà dimenticato tutto mi faccia venire rimorsi. Ho investito la mia intera vita adulta nel cercare di portare avanti la causa socialista.

Martedì, 18 Marzo, 2008 - 13:54

Festival “Milano: Cinque Giornate per la Nuova Musica”

Il CENTRO MUSICA CONTEMPORANEA, con sede a Milano, è un nuovo ente per la promozione della musica classica contemporanea e della sperimentazione artistica musicale. La finalità di promozione del Centro per la Musica Contemporanea si concretizza attraverso una serie di attività, quali l’allestimento di nuove produzioni, la realizzazione di concerti e manifestazioni, il sostegno dell’attività di ricerca stilistica e tecnologica, la creazione di collaborazioni con le istituzioni musicali nazionali e internazionali. Strumenti del Centro per la Musica Contemporanea sono: una struttura dotata di apparecchiature tecnologiche, un ensemble specializzato nell’interpretazione del repertorio classico contemporaneo (il TEMA Ensemble), la collaborazione con un’istituzione formativa specializzata nel settore contemporaneo (l’Accademia Internazionale TEMA di Milano per il perfezionamento e la Musica Contemporanea), una vasta utenza legata a manifestazioni dall’ampia risonanza territoriale (Festival “Milano: Cinque giornate per la Nuova Musica”).
Il Festival “Milano: Cinque Giornate per la Nuova Musica” rappresenta un’esperienza esclusiva per la promozione della musica contemporanea e sperimentale, nonché un’importante vetrina per artisti, compositori, editori, discografici e costruttori di strumenti, attivi in questo importante settore, grazie alla sezione "integrazioni sonore".
Il Festival ha da sempre cercato di animare il territorio cittadino attraverso la collaborazione con locali, istituzioni e utenze diverse, quali: Blue Note Milano, Centro Asteria, Circolo Filologico Milanese, Comune di Milano, Fondazione A. Mazzotta, Fornace Curti, JCS srl, La Casa 139, NordEst Café, PAC, Pirelli RE, Provincia di Milano, Scimmie, Sound Metak, Triennale Milano, ZonaBovisa ed altri.
All’interno della manifestazione non è prevista divisione di generi o mezzi d’esecuzione, unico requisito è l’innovatività e l’alta professionalità dell’offerta.
Gli spettacoli, si svolgono  su tutto il territorio cittadino (teatri, locali, musei, sale da concerto, spazi aperti) dal 18 al 22 marzo 2007, ovvero in coincidenza con le storiche 5 giornate.
Il Festival “Milano, 5 Giornate per la Nuova Musica”, alla sua IV Edizione nell’anno 2008, ha esordito a Milano - città poliedrica per l’arte e la cultura - quattro anni fa, incidendo in una specifica direzione: dare spazio, suono, vita ad un ambito preciso della vita musicale, ovvero quello genericamente connotato come classico contemporaneo.
Le espressioni artistiche si incrociano; sempre più diffusamente si parla della necessità di intessere fila tra l’arte pittorica, quella poetica, quella musicale, quella elettronica, quella cinematografica, estetica, quella culinaria, quella di...qualsiasi genere. E quasi sembra obbligato stupirsi di ciò...ma senza comprendere il perchè. Non vi è mai stata società alcuna in cui le forme espressive non si siano combinate tra loro, in cui non si sia cercato di valicare i confini del conosciuto, o mediante la riproduzione sconfinata del “medesimo” , oppure mediante l’allontanamento dallo “stesso”.
E allora cosa vogliamo noi raccontare di “Nuovo” sulla Musica con questo Festival?
Nulla in realtà. Vogliamo solo cercare di dire a che punto siamo, dove la Musica è arrivata e non in tutti i suoi generi poichè – perdonateci per questo – ma non amiamo i tuttologi ! Vogliamo solo cercare di capire cosa succede ove si Ricerca, vogliamo portare allo scoperto tutti gli ambiti di Ricerca Viva, senza censure di sorta. Un grande cordone ombelicare che vada dal centro alla periferia di Milano e viceversa, una rete unita e non divisa dalle differenze, anzi irrobustita dalle differenze stesse e dalla consapevolezza della necessità del diverso per l’accrescimento della propria ricchezza culturale.
Non è un caso che noi insistiamo nel cercare di realizzare il nostro Festival nelle date storiche delle mitiche Cinque Giornate: ogni anno dal 18 al 22 marzo noi cerchiamo di dimostrare positivamente l´efficacia dell'iniziativa che Milano, città da sempre pioniera nell’arte come nella cultura, può ancora svolgere se mobilitata in modo consapevole e con la giusta determinazione di elevati obiettivi che la rendano nuovamente forza trainante nell’Europa Culturale di oggi.
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