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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Mercoledì, 30 Aprile, 2008 - 15:26

La nuova destra - Corrado Guzzanti

La nuova destra

Corrado Guzzanti

Il Manifesto
29 aprile 2008

Non ce l'abbiamo con i neri e gli africani
solo non vogliamo che ci rubino il lavoro.
Non ce l'abbiamo con gli omosessuali
solo non vogliamo che ci contaminino col loro morbo.
Questa è una destra nuova che vuole battersi per il
rispetto della civiltà e della democrazia.
Non ce l'abbiamo con gli zingari,
solo non vogliamo che mettano in pericolo
la nostra comunità.
Non ce l'abbiamo cogli extracomunitari,
solo non vogliamo che occupino le nostre case.
Questa è una destra nuova che vuole mettersi
dalla parte del cittadino e del lavoratore.
La pelle, la lingua, la razza non c'entra.
E se non capite questo siete degli ebrei

Martedì, 29 Aprile, 2008 - 13:17

Roma non è più città aperta: ora però basta con i capri espiatori

Anche Roma non è più una città aperta. E' chiusa, serrata, impraticabile dalla cultura della solidarietà e socialità che l'ha sempre contraddistinta in questi ultimi 15 anni di buon governo.
Abbiamo fatto appelli come coscienze democratiche e antifasciste affinchè si potesse arginare l'arrivo disastroso di uno squadrista picchiatore al Campidoglio: Alemanno non è la destra che vuole, anche se l'operazione non è ancora avvenuta, lavare in una grande lavacro la propria origine di certo non costituzionale e non europea, presentandosi come liberale e conservatrice. Alemanno ha un passato che risuona come fortemente revanscista, provocatore, appartenente a squadre organizzate di picchiatori, vicini e assoldati dalle fila rautiane. E' la destra neofascista e reazionaria, dell'intolleranza e della violenza, della prevaricazione e della prepotenza.
Valentino Parlato aveva scritto chiaramente nel suo appello su Il manifesto di proseguire sull'onda lunga di una grande manifestazione nazionale per il 63° anniversario della Liberazione a Roma ad affermare la decisa difesa della Capitale da un pericolo che sarebbe stato devastante, demolitore non solo di anni e anni di amministrazione dedicata a uno sviluppo sociale e alla crescita civile, ma anche di una tradizione culturale e civica che vede nella tolleranza e nel cosmopolitismo la propria base fondante di una capitale europea fatta di differenze e di coesione pacifica.
Questo non è avvenuto e ieri sera, la notte della capitale, al Campidoglio difronte a una finestra aperta sulla piazza con affacciato il neofascista vincitore una massa di individui esaltati con braccio alzato e scritte del tipo "Campidoglio oppio", croci celtiche, frasi apologetiche di fascismo.
E' una destra pericolosa quella che si accinge a governare il paese e Roma. Il dato che risulta chiaro è questo: una coalizione che avrà sicuramente riflessi di questo nuovo "equilibrio" interno derivante da un'affermazione, che sta diventando minatoria, della Lega Nord nel settentrione, quella forza che organizza spedizioni puntiive contro i nomadi, a Milano, ricordo Salvini e le ronde "padane", oppure quella forza che ogni volta attenta alle basi dello stato democratico intimando l'uso dei fucili qualora i propri progetti di scomposizione del Paese non venissero perseguiti; di un'alleanza nazionale molto missina al centro, e precisamente in quell'enclave che era la capitale e che, se fosse stata confermata nella sua maggioranza, avrebbe potuto garantire un freno forte di esempio politico di amministrazione nei riguardi di un'azione futura di governo sicuramente irresponsabile e dannosa alla società. Quindi avremo una maggioranza parlamentare dove le pulsioni xenofobe e razziste legaiole, al sapore poujadista e fortemente autoritario, unite alle tendenze neofasciste revansciste di una destra che ancora esiste e persiste, inquina, la realtà che aspira a diventare "popolare ed europea" alle prese con evidenti "correnti" apologetiche e molto nostalgiche.
La caduta di Roma nelle mani dell'alemanno invasore, ricordo una vignetta di Vauro su Il Manifesto del 25 aprile del giovane guerrigliero romano contro il barbaro minaccioso, è grave per la dimensione nazionale delle conseguenze che da essa derivano.
Ma sul piano locale penso a quello scritto da Marco d'Eramo sulle pagine de Il Manifesto, dove paventava una serie di aggressioni al territorio dell'urbe, dove gli appetiti palazzinari delle varie "bande della Magliana" esistenti, dei "Ricucci quotidiani" dell'agro pontino, si affacceranno e determineranno la linea di una devastazione ambientale senza precedenti. Ma la privatizzazione del territorio sarà anche presente nell'espropriazione di spazi pubblici e aperti, di luoghi di contaminazione attiva, di aggregazione sociale alternativa, imponendo quel pensiero unico prevaricante che è tipico della logica affaristica. Sul piano culturale, poi, avremo vere e proprie repressioni del "diverso", dell'"altro", di colui che è debole, emarginato, magari in Italia perchè fuggitivo da situazioni disperate, magari in Italia perchè nomade e alla ricerca di una garanzia e difesa della propria autonomia di cultura. Avremo sgomberi magari condotti con il pugno di ferro alla "decorato", come ne è esempio Milano in questi ultimi decenni, avremo periferie presidiate, isolate, ingabbiate, accerchiate per insediare nelle persone quella paura del diverso, già presente e alimentata per, poi, strumentalizzarla, come il grave fatto che ha sconvolto Roma qualche giorno fa, di violenza su una donna, e da subito opportunisticamente cavalcato elettoralmente dall'"alemanno" per guadagnare consensi. La volontà è sempre la stessa: mettere l'uno contro l'altro armati alla base della piramide, soffocando spazi di partecipazione e permettendo, così, una libera e autoreferenziale gestione del pubblico in modo affine ai propri interessi economici individuali e corporativistic, è occasione per dirlo in presenza di una destra rieditata romana.
Il centrosinistra non è riuscito a mobilitare alle urne le stesse persone che avevano, al primo turno, riversato il proprio consenso su Rutelli: neppure tutte e tutti coloro che hanno scelto Zingaretti alla Provincia, rendendolo vincente, fortunatamente anche se il valore condizionante della provincia è sempre molto limitato, hanno scelto Rutelli per il Comune. Molte e molti si sono astenuti.
Mi meraviglia Federico Rampini di Repubblica che accusa la sinistra di avere "tradito", die ssere stata l'organizzatrice di una serie di franchi tiratori, addirittura accusando le forze che ne fanno parte di avere tollerato che molti propri elettori facessero voto disgiunto scegliendo Alemanno. Ma credo che siamo ai limiti della "fantapolitica" e del je accuse senza riflessione e ponderazione.
Io vorrei solo sottolineare che l'astensione è aumentata, era già alta al primo turno rispetto al 2006, e al secondo è duplicata. Molte persone hanno preferito andare a Ostia piuttosto di votare Rutelli. Lo so: sarebbe stato giusto recarsi alle urne, avrei voluto votare anch'io, pur essendo residente a Milano, soltanto per dare un voto in più contro una destra irresponsabile e impresentabile, inquietante, revanscista. L'appello che le varie pagine de Il manifesto e di liberazione testimoniano l'alto senso "frontista" che ha animato gli accorati inviti di andare a esprimere la propria preferenza per Rutelli sindaco per evitare l'imbarbarimento democratico e civico della capitale. Non è colpa della sinistra pensando ad arcane e roccambolesche dietrologie, caro Rampini. E' il fatto che molte persone non si sono arrecate alle urne: e bisogna domandarci il perchè e non cercare di trovare difese insensate e infondate che possano scagionare le responsabilità di molti. Io non me la sento, ora, di accreditare la responsabilità a questo o quell'altro partito della coalizione di centrosinistra, ma è chiaro che anche il PD ha le sue grosse responsabilità che vengono da lontano, da scelte che hanno abbassato, eliminato, la pregiudiziale antiberlusconiana come pregiudiziale antifascista unitaria contro una destra nazionale antieuropea. Forse il leader plebiscitariamente eletto alle primarie dovrebbe rivedere le proprie "tattiche" per ora un po' difettose.
Se non si riesce a fare una seria analisi del fatto che coscienze antifasciste e democratiche non siano state neppure sfiorate dalla necessità presente e rilevante di evitare la vittoria di una destra di questa pericolosa matrice neofascista, preferendo astenersi.
Forse se si riuscisse a pensare a questo e a cimentiarci in una seria analisi sociologica e culturale del perchè dell'astensionismo, si potrebbe sperare che le prossime volte non ci sia quell'aumento costante di astensioni, che avrà una radice, una causa, senza trovare subito, come è tradizione, il colpevole fisico o, peggio, colpevolizzare chi non si è presentato alle urne.
Ripartiamo con un altro metodo, perchè i tempi sono molto bui e grevi. E forse occorrerebbe riflettere sul fatto che chi vuole affossare la sinistra forse diventa spettatore passivo di virate spaventose verso destra.

Alessandro Rizzo

Martedì, 29 Aprile, 2008 - 07:57

Bella ciao

Dopo aver partecipato all'imponente manifestazione del 25 Aprile, siamo andati a Palazzo Marino. Qui si svolgeva il rinfresco offerto dall'Amministrazione Comunale ai milanesi. Nel cortile la banda suonava pezzi diversi. Abbiamo chiesto di suonare Bella ciao e ci è stato opposto un netto rifiuto anche da Manfredi Palmeri, presidente del Consiglio Comunale che rappresentava il sindaco Moratti. Alla fine ci siamo messi a cantare lo stesso Bella Ciao seguiti da molte delle persone presenti. Un battimani liberatorio ha concluso il nostro canto.

Sabato, 26 Aprile, 2008 - 15:10

discorso tenuto il 25 aprile a cinisello balsamo

 
Ringrazio il Comune di Cinisello Balsamo, il Sindaco Zaninello, il settore organizzazione manifestazioni, Patrizia e Billie, il presidente del consiglio comunale Fasano, e particolarmente l’ANPI di Cinisello Balsamo, per avere dato in questa due giorni di ricorrenza del 63° anniversario della liberazione dell’italia dal nazifascismo, da un’infamia inventata in Italia, un volto e una caratteristica partecipata, veramente partecipata, ma socialmente avvertita come necessaria, escludendo quel rituale, importante chiaramente per ricordare e fino a oggi avvenuto, di cerimonia istituzionale, ma spesso sfociante in un ricordo utile ma fine a sé stesso, in un tributo giusto e fondamentale, ma non reso incisivamente attuale, vivente, concepito come parte integrante della nostra cultura.
Questa è stata un’occasione per dare un segnale che vuole concepire l’esigenza tutta attuale di attuare la costituzione tramite un impegno delle nuove generazioni nell’antifascismo: mi rendo disponibile in futuro, ma futuro prossimo, a portare avanti in modo costante e coerente un impegno di coinvolgimento delle giovani generazioni, come comune ma anche come città metropolitana di milano, la provincia con l’assessorato barzaghi sta lavorando molto in questo senso, con le scuole, primi riferimenti, primi target a cui rivolgerci, luoghi dove deve essere attuato il metodo pedagogico della resistenza.
Oggi siamo in questa piazza, come in tante altre piazze d’italia, a dire a gran voce che la Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza, vi ricordate Calamandrei “Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo  dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione."?, è ancora attuale, che deve essere, come l’ANPI ha ricordato nella sua ultima conferenza regionale, attuata tramite un impegno antifascista che deve sapere coinvolgere soprattutto le giovani generazioni, e mi metto in questa dimensione.
Io penso a un impegno antifascista che sia anzitutto impegno culturale per una rivoluzione etica e morale in questo paese, che è strutturato su visioni utilitaristiche, individualiste, provinciali, fortemente corruttibili le coscienze tramite nuove forme di vassallaggio e di “servitù” intellettuale e opportunistica: il fascismo mantiene uno stato feudale, di rottura di una convivenza civile, dove nessuno è libero di procedere autodeterminandosi e liberandosi dai propri bisogni, ma dove tutte e tutti sono posti l’uno contro l’altro, mantenendosi alla base di quella che viene detta “piramide sociale” e lottando contro chi vive nelle stesse condizioni sociali. Un panorama dove hobbsianamente possiamo parlare di una lotta di tutti contro tutti, “homo homini lupus”, dove l’uomo diventa nemico per un altro uomo, in un atto di esaltazione del superomismo e della fedeltà cieca e indiscutibile nell’uomo forte, nell’homo novus.
La Costituzione è negazione di questa deriva e decadenza civile e morale: vuole non solo riscattare l’uomo e la sua dignità, ridando libertà al Paese, ma vuole programmare, è la sua la caratteristica di essere testo precettivo, un nuovo mondo altro e possibile, riprendendo le basi della nostra cultura storica, quella illuminista.
Ma noi dobbiamo nel difendere come giovani la Costituzione, opporci fin da oggi a chi esalta progetti di revisionismo, che è uno strumento fine al potere di legittimare ogni pretesa di imporre la propria forza e la propria ideologia come unica ideologia possibile. Gran parte del revisionismo parla di guerra di liberazione come guerra civile, nel momento in cui vuole equiparare vincitori e vinti, coloro che combatterono per la libertà, riscattando l’Italia e l’Europa e chi, invece, scelse, per diversi motivi, di adoperarsi per proseguire quella scia di sangue e di repressione disumana e genocida che fu il regime nazifascista, assoldandosi nelle fila dell’occupante straniero.
Il 25 aprile è la festa della Libertà. Non possiamo dire altro, come scrisse Claamandrei. E la libertà non può essere la conclusione di una guerra civile, dove una parte rimane sconfitta, mentre il concetto di libertà è assoluto, riguarda tutte e tutti.
Drammatiche le parole di un futuro forse probabile ministro, Marcello Dell’Utri, che ha sostenuto: "Se dovessimo vincere noi revisioneremo i libri di storia". E’ preoccupante l’uso strumentale della storia e della cultura da parte del potere. E’ preoccupante che ci sia un vento che voglia negare che quello che è stato, e che è stato drammaticamente tragico, eseguito e voluto da alcuni uomini, sia oggi negabile e sottoposto a revisione nel merito. Dove poter dire studiare la storia perché in futuro l’umanità non ripeta certe barbarie? Si vuole usare alcune tragedie per fini politici e ricordare la Resistenza insieme ad altri fatti che sono totalmente autonomi implica necessariamente il mettere in discussione la dignità e l’autorevolezza storica, civile ed etica che la resistenza ha comportato e ancora porta con sé. La Regione Lombardia ha finanziato un’iniziativa per ricordare le foibe: è vero è fatto storico indiscutibile. Fu una tragedia. Ma è stata letta, come cita la delibera regionale, sotto un’ottica strumentale e faziosa, considerando questa pagina terribile della storia d’Italia e di Slovenia in modo decontestualizzato dal procedere degli eventi: le foibe esistevano prima del 1945, erano state istituite dal regime fascista contro le minoranze slovene del Friuli Venezia Giulia. Un altro esempio di antipatriottismo del fascismo, dove si armano connazionali e concittadini contro altri concittadini, che hanno vissuto insieme la tradizione civica e culturale della stessa terra dei padri, fatta di valori di tolleranza e di eguaglianza.
La matrice revisionista è sempre la stessa: espungere frasi dal contesto, connettere fonti disparate e non omogenee, forzare i contenuti del testo: tutto il classico armamentario del negazionista tecnico.
Ma oggi più che mai risuonano come attuali le parole di Pasolini, che nella sua ultima intervista rilasciata a Furio Colombo, intravedeva tempi duri e tristi per il Paese, fatti di decadenza civile, perdita di libertà e indipendenza, di campagne di denigrazione delle diversità, di imposizione di stili e modelli di vita stereotipati e omologanti, tipici non di un semplice pensiero unico, quello del prevalere del più forte sul più debole ma, bensì, di una cinica logica di imposizione e di prepotenza.
L'Italia sta marcendo
in un benessere che è
egoismo, stupidità,
incultura, pettegolezzo,
moralismo, coazione,
conformismo: prestarsi
in qualche modo a
contribuire a questa
marcescenza
è, ora, il fascismo.
Pier Paolo Pasolini,
Vie Nuove n. 36,
6 settembre 1962
Essere giovani antifascisti oggi, nell’anno del 60° anniversario della costituzione, significa opporsi a questo stato di cose, a questo terreno di coltura di una decadenza culturale e civile che porta al fascismo, all’intolleranza, alla disintegrazione della convivenza civile, nel mentre ci sono forze politiche, lo denuncia anche il cardinale Tettamanzi, cavalcano le pulsioni più bieche e infami, volgari dell’indole umana, alimentando atti intimidatori e di violenza razzista, xenofoba, omofoba. E’ un dato preoccupante quello che vede opera vincere le pulsioni più razziste e destabilizzanti, quelle che qualche mese fa organizzarono un assalto incendiario alle abitazioni dei nomadi, legittimamente e regolarmente presenti sui territori comunali.
Proprio perché sono convinto che oggi la frase e il monito di Calamandrei, “Ora e sempre Resistenza”, sia un impeto morale e attuale rivolto a noi giovani generazioni, di riscatto e di vigilanza affinché la libertà, che è cosa preziosa, venga tutelata e preservata ogni giorno, perché non ci si debba in futuro capire che essa è fondamentale e vitale per l’esistenza umana nel momento in cui ne siamo privati, come lo stesso giurista fiorentino diceva. Ma vediamo nella storia della Repubblica quanti giovani hanno anche sacrificato la propria vita per esprimere quell’innegabile esigenza di dare attuazione a un antifascismo non solo di “facciata”, ma anche di sostanza, auspicando forme di democrazia progressiva, citiamo Curiel, dove il concetto di libertà si possa sposare con il concetto di giustizia sociale e di eguaglianza, dove le parole romantiche e di grande impulso culturale di Che Guevara, che sono riscatto libertario per tutto il genere umano, che sono l’antitesi di quello che possano essere presupposti di un mondo altro e possibile, perché necessario: “Fino a quando il colore della pelle non sarà considerato come il colore degli occhi noi continueremo a lottare”. Parlo di quella generazione di “nuovi partigiani” di “nuova resistenza”, che oggi giustamente viene rivalutata e che si è composta di insigne figure di giovani che con l’immaginazione volevano proseguire quell’impegno di attuazione dei principi e dei valori, attuazione spesso non contemplata, spesso sospesa, della Lotta di Liberazione iscritti nella Costituzione, proprio in momenti difficile dove era più possibile movimenti di repressione e di reazione, come la strategia della tensione e come i tentativi di colpi di stato, i “rumori di sciabole”: mi riferisco a Varalli, a Zibecchi, a Franceschi, a Brasili, ad Ardizzone, a tutti coloro che da sempre hanno vigilato contro movimenti neofascisti e reazionari, opponendosi con la forza del proprio ideale e della propria imaginazione in un riscatto dell’umanità tutta, come indica la nostra Costituzione. A loro dobbiamo rifarci, proseguendo con coerenza, nonviolenza, che è più forte e incisiva della violenza, diceva Gandhi, costanza e determinazione in quella strada e lungo percorso che ci porterà ad attuare i valori culturali iscritti nella nostra Carta fondamentale. Il Comitato di difesa della Costituzione, che ebbe una vittoria esaltante e che tutt’ora deve essere presa come riferimento politico innanzitutto e dato imprescindibile contro chi vorrebbe mettere le mani sulla Carta in gran parte non applicata né ottemperata, che in ogni paese, comune, circoscrizione si è costituito e ha visto una grandissima partecipazione di cittadine e di cittadini che si opponevano con gli strumenti referendari a un vile e indegno colpo di mano contro una Costituzione considerata ancora oggi attuale e punto di riferimento in Europa come alta elaborazione giuridica, istituzionale, civile e culturale, nonché testo letterario, rivisto da Marchesi. Ebbene la maggioranza degli aventi diritto ha detto NO a un progetto di destabilizzazione e di annientamento dello spirito democratico progressivo scritto in quella Carta.
Volevo concludere con una poesia di Brecht, “Prima di tutti vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendermi e non c'era rimasto nessuno a protestare..." Non perdiamo tempo e proseguiamo sull’impegno antifascista e di pedagogia all’antifascismo e ai valori della resistenza.
 

Venerdì, 25 Aprile, 2008 - 18:35

Bella Ciao

Riprendo dopo un  lungo periodo di riposo politico a scrivere su questo

blog per esprimere una mia personale soddisfazione per la celebrazione del 25 aprile nella Mia Zona 6.

In piazza Miani nello spazio dove è ubicato il monumento ai caduti per la libertà di tutti gli italiani alle ore  11 l'ANPI

alla presenza di molti cittadini ha dato vita ad una bellissima manifestazione con canti partigiani e discorsi politici.

La presenza di molti giovani  ha detto un vecchio partigiano nel discorso introduttivo alle celebrazioni è un segnale molto importante

al fine di tramandare i valori della Resistenza alle nuove generazioni.

Nel pomeriggio una folta delegazione della zona 6 ha partecipato alla grande manifestazione del 25 aprile da porta Venezia al Duomo.

Buon 25 Aprile a Tutti

G.Maurello

 

Giovedì, 24 Aprile, 2008 - 14:18

Per un 25 aprile di Resistenza a Roma, Milano, in Italia

Il 25 aprile è Festa di Aprile, dove rieccheggia più che mai quest'anno con capacità incisiva lo spirito delle parole nel monito di Calamandrei, "Ora e sempre Resistenza".

Ho letto l'appello lanciato da diverse realtà, giornalistiche e politiche, antifasciste e democratiche a fare del 25 aprile un segnale di opposizione seria e convinta a una deriva pericolosa, che può essere conseguente a determinati dati elettorali, verso la cancellazione della memoria e dei valori della Resistenza, che scrissero la nostra Costituzione, proprio nel 60° anniversario dalla sua formazione e scrittura.  Leggo che il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha ufficialmente detto che il 25 aprile e il 1 maggio sarà in vacanza, via da Milano, dopo avere partecipato, gli anni scorsi, alle manifestazioni e avere gridato nel 2007 sul palco, alla presenza del Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, "Viva la Resistenza", nonchè nel 2006 avere accompagnato il proprio padre partigiano, almeno così sembra, per tutto il corteo. Lei quest'anno ha deciso di prenotare un lungo soggiorno fuori "porta" e non presenziare, prima volta nella storia della Milano postbellica e repubblicana, al corteo per le celebrazioni della Festa della Liberazione. Sarà forse il risultato delle contestazioni che ricevette due anni fa in Corso Vittorio Emanuele? Non si comprendono le ragioni reali, ma si può presumere che il riconoscimento fondante di questa giornata da tutti non è recepito e ci sono alcuni esponenti, tra cui anche il prossimo presidente del consiglio, nostro malgrado, che non partecipano alle mobilitazioni di questa importante data. Io credo, poi, che ogni figura amminsitrativa e politica debba essere esposta e cogliere con senso di responsabilità e riflessione ogni motivo di dissenso e di critica: non arroccarsi in una chiusura pretestuosa e, a parere del sottoscritto, alquanto provocatoria.
Il panorama attuale alla vigilia del grande giorno, del giorno che rifondò il Paese ridandogli quella dignità, indipendenza e democrazia reale vilipese e annientate dalla ferocia di una dittatura aberrante nazifascista, non è certamente, a livello politico e culturale, dei migliori: un deputato della PDL, Selva, quello che prese l'autoambulanza in servizio per arrivare in tempo a un appuntamento in televisione e che con grande sfacciataggine esaltò in pubblico questo suo indegno comportamento, si permette di dire che la festa del 25 aprile dovrebbe essere cancellata dal calendario delle ricorrenze repubblicane, mentre un condannato con sentenza di primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, Marcello Dell'Utri, si autoproclama come colui che dovrò revisionare tutti i libri di storia e cancellare da essi la cosidetta "retorica della Resistenza". Infine abbiamo la decisione del comune di centrodestra di Alghero che ha vietato cantare nei cortei del 25 aprile "Bella Ciao", procurando, così, la presenza di due cortei, uno comunale, l'altro in dissenso, giustamente, per un atto di una portata indegna.

A Roma da le pagine de Il Manifesto si invitano le coscienze democratiche e antifasciste a mobilitarsi il 25 aprile in Piazza per dare un segnale chiaro di riscatto della parte migliore di questo nsotro Paese, la parte più viva e sana, che vuole resistere a ogni tentativo di ripristinare condizioni di destabilizzazione dell'ordine repubblicano e democratico, agendo sulla memoria, cancellandola dai libri, dalle coscienze civiche, dalla storia dell'Italia, a due giorni dal voto per scegliere se confermare l'amministrazione di centrosinistra o, invece, consegnare la capitale nelle mani di un esaltato post missino, da sempre evidenziatosi per atteggiamenti fortemente reazionari e negazionisti, Gianni Alemanno, al seguito di una coalizione di forze che non si risconoscono nella nostra Carta Costituzionale, nelle fondamenta del nostro stato Repubblicano nato dalla Resistenza, che si pongono al di fuori dell'arco delle culture che scrissero quella carta che ancora oggi è considerata punto di riferimento europeo per un progetto di democrazia compiuta, progressiva e reale.

Mi associo a questo appello con forza e determinazione, convinzione. Credo anch'io che il dato elettorale di Roma potrebbe essere un presupposto politico per dire che c'è volontà di opporsi a pericolose derive di destra, una destra irresponsabile e revisionista, che già pone in essere palesi indicazioni di destrutturare il sostrato culturale e civico di convivenza dmeocratica e sociale nel nostro Paese, tessuto connettivo di 60 anni di Repubblica antifascista.

Occorre ripartire da Roma per dire che esiste ancora un'Italia che vuole resistere e che resistendo difende e attuerà i valori e principi della nostra Costituzione, come recita un documento approvato dalla conferenza regionale dell'ANPI in Lombardia:"Attuare la Costituzione, non solo difenderla, operazione già necessaria e imprescindibile".

Ripartiamo da Roma per fermare le derive plebiscitarie di una destra antieuropea e xenofoba.

Alessandro Rizzo

Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano

Consiglio di Zona 4 Milano 

Lunedì, 21 Aprile, 2008 - 15:12

Giornate della Danza

Milano, città che danza: per tre giorni il Comune di Milano festeggia l’arte di Tersicore in tutte le sue forme, con spettacoli, performance, esibizioni dal vivo, workshop e lezioni aperte.
La danza da vedere e da praticare, come arte, piacere, intrattenimento, ma anche come salute e benessere.
Gli Assessorati alla Cultura, Sport e Tempo Libero, Salute del Comune di Milano promuovono e realizzano, con la cura organizzativa di Arci Milano e ArtedanzaE20, in collaborazione con ATM, la seconda edizione delle Giornate della Danza, ampliandola, rispetto all’anno scorso, dal 27 al 29 aprile.  Partecipano, così, anche quest’anno, ai festeggiamenti per la giornata della danza, istituita dall’UNESCO e che ricorre il 29 aprile, data di nascita di Jean-George Noverre (1727), fra i primi teorici dell’arte coreutica.
Le Giornate della Danza chiudono Milano Aprile Danza, ovvero un mese denso di appuntamenti dedicati alla danza.
Quindici i luoghi, duecento gli artisti coinvolti, oltre settanta appuntamenti in un percorso urbano che si snoda dal centro, cuore della manifestazione, agli spazi più decentrati della città: Galleria Vittorio Emanuele, Palazzo Reale, Informagiovani, Loggia dei Mercanti, Fabbrica del Vapore (DiDstudio ed Edificio Luigi Nono Uno), Accademia Teatro alla Scala, Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, Teatro Out Off, Teatro degli Arcimboldi, Banchina del tram di Corso Magenta, Piazza Fontana, Piazza Castello, Via Cantù, Porta Genova.
La manifestazione si inaugura domenica 27 aprile alle 10.30 con una straordinaria apertura dell’Accademia Teatro alla Scala: gli aspiranti danzatori dagli 11 ai 14 anni (livello intermedio) e dai 15 ai 22 anni (livello avanzato) hanno l’opportunità di seguire due lezioni di danza classica con il Maestro Frédéric Olivieri. Prosegue alle 14 all’Informagiovani di via Dogana 2 con Danza in Video, a cura di CRO.ME, e alle 16 con Danzare l’Arte, performance di giovani allievi del MAS, che traggono ispirazione dalle mostre di Bacon, Balla e Canova, attualmente in corso a Palazzo Reale. Per accedere alle performance è necessario munirsi del biglietto d’ingresso alle mostre.
Per gli amanti di tutte le forme di danza e di ballo, dalle 17 alle 20, un grande momento di festa: all’Ottagono in Galleria Vittorio Emanuele il Ballo di Primavera diventa occasione di intrattenimento e di svago con balli di gruppo, che vanno dalla disco-dance all’hip hop e ai balli latino-americani, tanto amati dai giovani, dalle danze tradizionali africane al tango e alla mazurca. Alle 19 esecuzione straordinaria della Civica Orchestra di Fiati di Milano con musiche per banda e valzer viennesi.
Lunedì 28 e martedì 29 aprile, dalle 17 alle 19, è la volta di Danzare la città, la città che danza con un variegato palinsesto di performance, all’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele e alla Loggia dei Mercanti.
Nelle stesse giornate, alla Fabbrica del Vapore, è offerta a tutti una vetrina di workshop gratuiti, curati da insegnanti e coreografi di rilievo con un’attenzione particolare rivolta alla disabilità. Nelle stesse giornate la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi dà la possibilità di seguire i suoi corsi, che spaziano da lezioni teoriche a pratiche.
la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi dà la possibilità di seguire i suoi corsi, che spaziano da lezioni teoriche a pratiche.

Martedì 29 aprile, in collaborazione con ATM, Un Tram che danza percorre la città e diventa palcoscenico per performers e danzatori. Partendo da Piazza Castello, sosta in Via Cantù, Piazza Fontana e Porta Genova, prima di terminare la sua corsa al Teatro degli Arcimboldi per l’evento finale della manifestazione.
Nel foyer del teatro le giovani artiste Giovanna Soletta, Naomi Berrill e Claudia Zannoni intrattengono il pubblico all’ingresso con una performance di danza aerea e musica dal vivo, dal titolo Danzare l’aria.
Evento nell’evento, alle ore 21, il Comune di Milano presenta, al prezzo eccezionale di € 12, un grande coreografo di fama internazionale, Jean-Claude Gallotta, un atteso ritorno in città, con, in prima milanese, la sua creazione Des gens qui dansent.
Prima dello spettacolo, l’ospite d’onore, Ismael Ivo, coreografo brasiliano e Direttore del Settore Danza della Biennale di Venezia (di cui illustra il programma la mattina stessa a Palazzo Reale) legge il messaggio al mondo della Danza, quest’anno scritto da Gladys Faith Agulhas, dedicato alla disabilità.
Altri spettacoli e performance, già programmati nelle stagioni teatrali e nei festival, rendono più effervescente quest’anno l’offerta delle Giornate della Danza:  il 27 aprile, alle 21, è in scena al DiDstudio, presso la Fabbrica del Vapore, INTERvita di Ariella Vidach e Claudio Prati, performance presentata da UOVO Performing Arts Festival e Ariella Vidach – AiEP, mentre il 28 aprile, alle 21, debutta, in prima milanese, al Teatro Out Off, Sonate Bach-di fronte al dolore degli altri di Virglilio Sieni, presentato dal Festival EXISTER_08, infine, il 29 aprile, alle 18, Danae Festival e Teatro Litta presentano alla banchina del tram di Corso Magenta 24 la performance Body Stop.
la Fabbrica del Vapore, di Ariella Vidach e Claudio Prati, performance presentata da UOVO Performing Arts Festival e Ariella Vidach – AiEP, mentre il 28 aprile, alle 21, debutta, in prima milanese, al Teatro Out Off, di Virglilio Sieni, presentato dal Festival EXISTER_08, infine, il 29 aprile, alle 18, Danae Festival e Teatro Litta presentano alla banchina del tram di Corso Magenta 24 la .

Tutti gli appuntamenti della manifestazione, a parte gli spettacoli, sono offerti alla città a ingresso libero.
Per info:
tel.   33.88.91.67.70
tel.   02.88.45.01.50

Sabato, 19 Aprile, 2008 - 18:28

Come si fanno le città sostenibili? Intervista a Federico Butera

Come si fanno le città sostenibili? - Intervista a Federico Butera

www.lifegate.it


Come si risolverà, nel futuro, il problema dell'energia nelle nostre città? Che ruolo avranno le nuove tecnologie? Ecco le risposte di Federico Butera, professore di Fisica e Tecnica ambientale del Politecnico di Milano.
Al convegno "Energetica 2008" l'autore dell'interessante e divertente libro "Dalla caverna alla casa ecologica", scritto per le Edizioni Ambiente, appare fiducioso e positivo. Le nostre case e le nostre città possono consumare meno e a costi contenuti. Bisogna solo imparare a utilizzare l'energia che ci serve in modo più intelligente.
- Quali sono i problemi energetici delle città?
Le città sono il luogo in cui si consuma il 70% e anche più dell'elettricità e dell'energia che complessivamente si utilizza - per riscaldare gli edifici, per illuminarci - pertanto sono proprio il luogo da cui partire.
La città è anche il luogo dell'innovazione. E' vero che consumano di più ma sono anche i luoghi dove è più facile far qualcosa.
- Quali sono i principi da adottare per rendere le città sostenibili?
Va rivisto il modello di progettazione urbana, vanno riprogettate le funzioni urbane. Bisogna fare in modo che si possano ottenere i servizi necessari spendendo il minimo di energia possibile.
- Cosa significa?
Se la casa c'è già, coibentarla meglio, se è da costruire, progettarla meglio, rivedere anche il modo in cui si pianifica l'esistente. Bisogna favorire una migliore distribuzione di ciò che occorre, in modo tale da avere tutti i servizi di cui si ha bisogno sotto casa, come si faceva una volta.
Mettendo insieme uffici, abitazioni e terziario, migliora la qualità urbana, si consuma meno energia per gli spostamenti, e si può riavere quella vivacità urbana che era tipica delle nostre città una volta.
- Quali sono gli edifici del futuro?
Sono edifici non tanto diversi da quelli di oggi. Cambiano le regole del buon costruire, che saranno quelle di una volta: ad esempio si dovranno orientare in modo intelligente gli edifici per sfruttare tutta l'energia solare disponibile. Insomma, somiglieranno più agli edifici di prima che a quelli degli ultimi 100 anni.

Sabato, 19 Aprile, 2008 - 14:04

Valori e principi, secondo Zagrebelsky

Valori e principi, secondo Zagrebelsky Data di pubblicazione: 15.03.2008
Autore: Zagrebelsky, Gustavo
http://eddyburg.it

Da "valori e conflitti della politica", la Repubblica, 22 febbraio 2008
Che cosa sono i valori? Li si confronti con i principi. Principi e valori si usano, per lo più, indifferentemente, mentre sono cose profondamente diverse. Possono riguardare gli stessi beni: la pace, la vita, la salute, la sicurezza, la libertà, il benessere, eccetera, ma cambia il modo di porsi di fronte a questi beni. Mettendoli a confronto, possiamo cercare di comprendere i rispettivi concetti e, da questo confronto, possiamo renderci conto che essi corrispondono a due atteggiamenti morali diversi, addirittura, sotto certi aspetti, opposti.

Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. E un fine, che contiene l’autorizzazione a qualunque azione, in quanto funzionale al suo raggiungimento. In breve, vale il motto: il fine giustifica i mezzi. Tra l’inizio e la conclusione dell’agire “per valori” può esserci di tutto, perché il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile delle azioni: la pace può giustificare la guerra; la libertà, gli stermini di massa; la vita, la morte, eccetera. Perciò, chi molto sbandiera i valori, spesso è un imbroglione. La massima dell’etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista del valore che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, e quale prezzo, è un’altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte.

Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove pace, e non alimenta altra guerra, lo si potrà stabilire solo ex post. I valori, infine sono “tirannici”, cioè contengono una propensione totalitaria che annulla ogni ragione contraria. Anzi, i valori stessi si combattono reciprocamente, fino a che uno e uno solo prevale su tutti gli altri. In caso di concorrenza tra più valori, uno di essi dovrà sconfiggere gli altri poiché ogni valore, dovendo valere, non ammetterà di essere limitato o condizionato da altri. Le limitazioni e i condizionamenti sono un almeno parziale tradimento del valore limitato o condizionato. Per questo, si è parlato di “tirannia dei valori” e, ancora per questo, chi integralmente si ispira all’etica del valore è spesso un intollerante, un dogmatico.

Il principio, invece, è qualcosa che deve principiare, cioè un bene iniziale che chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si sviluppano di conseguenza. Il principio, a differenza del valore che autorizza ogni cosa, è normativo rispetto all’azione. La massima dell’etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi il riflesso del principio. Per usare un’immagine: il principio è come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio e l’azione c’è un vincolo di coerenza (non di efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile. Infine, i principi non contengono una necessaria propensione totalitaria perché, quando occorre, quando cioè una stessa questione ne coinvolge più d’uno, essi possono combinarsi in maniera tale che ci sia un posto per tutti. I principi, si dice, possono bilanciarsi. Chi agisce “per principi” si trova nella condizione di colui che è sospinto da forze morali che gli stanno alle spalle e queste forze, spesso, sono più d’una. Ciascuno di noi aderisce, in quanto principi, alla libertà ma anche alla giustizia, alla democrazia ma anche all’autorità, alla clemenza e alla pietà ma anche alla fermezza nei confronti dei delinquenti: principi in sé opposti, ma che si prestano a combinazioni e devono combinarsi. Chi si ispira all’etica dei principi sa di dover essere tollerante e aperto alla ricerca non della giustizia assoluta, ma della giustizia possibile, quella giustizia che spesso è solo la minimizzazione delle ingiustizie.

Sabato, 19 Aprile, 2008 - 13:43

La città ha perso la memoria

La città ha perso la memoria Data di pubblicazione: 17.04.2008
Autore: Stefano Boeri,

http://eddyburg.it
Anche su La Stampa (17 aprile 2008) un’anticipazione dei temi trattati a CittàTerritorioFestival: una descrizione impressionistica degli aggregati urbani

Si apre oggi a Ferrara, e si chiude domenica, la prima edizione di «Cittàterritorio Festival»: quattro giorni d’incontri in cui architetti, storici, urbanisti, economisti, sociologi, studiosi d’estetica si confrontano sulla realtà urbana del terzo millennio. Il festival è promosso dal Comune e dall’Università di Ferrara, dalla Regione Emilia-Romagna e dallo Iuav di Venezia. L’organizzazione è di Laterza Agorà e Ferrara Fiere. Sponsorizza l’Eni. Sul tema Centro e periferia, intorno al quale ruota questa prima edizione del festival, pubblichiamo una riflessione di Stefano Boeri, direttore della rivista Abitare.

Per secoli, studiosi di ogni disciplina hanno provato a definire la città ricorrendo a metafore (la città come una macchina, come il corpo umano, come una rete, come un testo..). Hanno anche utilizzato categorie astratte di misurazione: la dimensione, l'estensione, l'altezza, la demografia, l'infrastrutturazione, l'attrattività. Niente da fare. «Città» è un termine che - forse perché comprende noi stessi che cerchiamo di definirlo - è sempre sfuggito ad una definizione apodittica.

Eppure tutti noi, vivendo e attraversando quotidianamente i suoi spazi e i suoi paesaggi, sappiamo bene cosa sia, oggi, una città. Ad esempio sappiamo che a distinguerla dal resto del territorio è soprattutto una densità fisica determinata dalla compressione di costruzioni (edifici, volumi, architetture) in un unico territorio. Ma è anche una densità di infrastrutture. Una città significa migliaia di metri di rotoli e griglie di strade, piazze, tunnel sotterranei, viadotti, tubature in cui scorrono i flussi dell'urbanità contemporanea: le folle dei cittadini, la moltitudine dei veicoli, le infinite varianti delle merci che ci vestono, alimentano, divertono, aiutano; e poi le acque, le correnti energetiche, i gas; i flussi finanziari che scorrono nelle reti immateriali; e infine le immagini verbo-visive: migliaia di parole e figure che volano nei cablaggi, nelle reti digitali, nei coni d'ombra dei satelliti. Tutto questo significa anche densità di nodi: areoporti, stazioni, fiere, ortomercati, banche, scuole, centri commerciali, headquarter, cattedrali, interporti, monumenti… punti, emergenze, coaguli verso cui i flussi vengono convogliati, orientati, rilanciati nel gioco infinito degli scambi.

I nodi di una città rappresentano il punto di coagulo - negli spazi fisici - delle infrastrutture e dei flussi. Ma non solo: i nodi ci aiutano anche a cogliere l'altra fondamentale dimensione dell'urbanità: quella simbolica. Per esistere, oggi più che mai, una città deve costituirsi come un'entità riconoscibile e condivisa per le moltitudini sempre più variegate dei suoi cittadini. Non esiste città senza quella misteriosa alchimia di luoghi, di ricordi intimi, di memorie condivise capace di volare nell'immaginario collettivo e di saldare in una parola o in una sensazione - magari sfuggente - tutte queste cose insieme.

Da Milano a Dubai, da Roma a Città del Messico, da Napoli a Los Angeles le città si stanno espandendo nel territorio; crescono i loro reticoli, si addensano i flussi e i nodi, aumenta la loro dimensione geografica e demografica, svaniscono i confini con la campagna e con le città contigue, sfuma il loro perimetro. Eppure, in questa vertiginosa estensione spaziale - dura, fisica, minerale - l'unica densità che permette a questi agglomerati di essere percepibili come entità singolari per noi che le abitiamo è legata a qualcosa di immateriale e aleatorio: un'idea condivisa, l'immagine di un luogo e di un'atmosfera… Oggi più che mai le città sono simboli oppure, semplicemente, non sono.

Siamo nel vivo di una formidabile trasformazione delle logiche di evoluzione delle città europee. Nel vivo di una transizione che (per usare una metafora che associa la città ad una lingua) riguarda sia la sintassi che la grammatica dei nostri spazi di vita.

Io credo che il modo più efficace per descrivere questa transizione (che ci sta portando verso una nuova condizione urbana, dai confini ancora incerti) sia di usare i concetti di «differenza» e «variazione». La città moderna, nata con la rivoluzione industriale e con le sue infrastrutture, si basa su una sintassi chiarissima che opera per «differenze» tra le parti del grande organismo urbano. Il centro storico medievale è un insieme distinto dall'insieme delle zone costruite durante il Rinascimento. Le aree degli isolati regolari costruiti nel corso dell'800 sono diverse dalle frange della periferia costruita dallo Stato nel dopoguerra; che sono a loro volta diverse dai quartieri di villette che cingono la campagna urbanizzata.

Fino a qualche anno fa, uscendo dal centro verso l'esterno delle nostre città, noi percorrevamo un viaggio nello spazio e nel tempo; dal passato verso il presente. Attraversavamo in sequenza pezzi distinti di città e ogni zona aveva un perimetro chiaro. Ogni parte era omogenea e distinta nettamente dalle altre. E dentro il perimetro di ogni parte omogenea di città, agiva il principio di «variazione»: gli edifici, simili per storia e funzione, variavano tra di loro secondo elementi secondari (altezza, finiture, materiali, arredi esterni…) che però non smentivano il carattere distintivo complessivo della parte urbana.

Differenza tra parti omogenee, variazione tra edifici simili all'interno della stessa parte. Ecco la sintassi della città moderna, che ha assorbito e regolato secoli di evoluzione urbana.

Oggi, ma sarebbe meglio dire da qualche decennio, tutto questo è cambiato. La «città per parti» è intaccata, sommersa, contraddetta, da un modo del tutto diverso di crescere della nuova città. La città contemporanea non cresce più per parti omogenee, ma piuttosto per singoli edifici. Migliaia di costruzioni singole, una diversa dall'altra, che occupano nuovi territori e scompigliano le parti consolidate della città moderna.

Se viaggiamo in una porzione nuova di città vediamo scorrere una serie di oggetti eterogenei: la palazzina residenziale, l'autolavaggio, il capannone industriale, il quartiere di villette a schiera, lo svincolo, il centro commerciale, il borgo storico, il call center… monadi solitarie anche se sono accostate e ammassate nello stesso fazzoletto di territorio. E se cerchiamo le somiglianze tra queste edifici, non riusciamo a costruire degli insiemi geograficamente continui (delle parti omogenee) bensì delle costellazioni di edifici sparsi, accumunati dalla stessa radice tipologica (le villette con le villette, i capannoni con i capannoni).

Il punto è che questi due modelli evolutivi - quello della città moderna e quello della città contemporanea - oggi si sovrappongono, confliggono negli stessi spazi. Perché in fondo rappresentano le società urbane che le determinano e coabitano negli stessi spazi.

La città contemporanea riflette - anche nelle sue parti più centrali e storiche - la nuova grande energia molecolare che alimenta le società urbane: una moltitudine di soggetti e istituzioni che hanno le risorse giuridiche, economiche e politiche per cambiare piccole porzioni di spazio. E che lo fanno.

Qui sta il senso primo della transizione epocale che stiamo vivendo. Le città italiane, le città europee non sono più la scena di un gioco tra pochi grandi soggetti (i latifondisti, le amministrazioni pubbliche, i potentati politici, le banche, le grandi famiglie industriali…) che governano grandi porzioni omogenee di territorio. Sono diventate il campo di azione di una moltitudine di attori spesso attenti solo al loro piccolo spicchio di spazio, spesso spregiudicati e a volte arroganti, disposti a tutto.

Qui sta uno dei grandi paradossi della contemporaneità: che la democratizzazione delle società urbane sta frammentandolo in tanti sottosistemi lo spazio collettivo delle nostre città. Una società abitata da una moltitudine di minoranze sta costruendosi un territorio a sua immagine e somiglianza. Da qui, inutile dirlo, i grandi problemi di governo e orientamento che assillano tante amministrazioni pubbliche, tanti urbanisti, tanti pianificatori.

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