Malawi: rilasciare immediatamente una coppia di gay!
Steven Monjeza e Tiwonge Chimbalanga sono stati arrestati il 28 dicembre 2009 dopo che un giornale locale aveva diffuso la notizia della loro partecipazione a una cerimonia tradizionale di fidanzamento a Chirimba, comune di Blantyre. Amnesty International esprime preoccupazione per i tentativi effettuati dalle autorità di appurare l'avvenuto rapporto sessuale con esplorazioni anali che, se eseguite senza il consenso della persona, violano il divieto assoluto di tortura e trattamenti inumano e degradante o punizione. Amnesty International considera coloro che sono arrestati o trattenuti a causa del loro reale o presunto orientamento sessuale prigionieri di coscienza, e chiede il loro rilascio immediato e incondizionato. FIRMA ANCHE TU http://www.amnesty.it/flex/Fi
Monjeza e Chimbalanga sono stati accusati di "reato contro natura" e "pratiche indecenti fra uomini" in base a quanto previsto dal codice penale, sezioni153 e 156.
I due, rispettivamente 26 e 20 anni, sono stati più volte picchiati dalla polizia e sono attualmente detenuti nel carcere di Chichiri.
L'arresto, a causa del reale o presunto orientamento sessuale, viola il diritto alla libertà di coscienza, di espressione e alla riservatezza. Le leggi che criminalizzano l'omosessualità o l'identità di genere violano questi diritti, tutelati dai trattati ratificati dal Malawi, compreso il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli.
la Protezione Civile e la politica
La modifica al decreto alla Commissione Ambiente della Camera e l’inchiesta della magistratura seguono il loro corso normativo e giudiziario, ma ancora una volta sono le questioni ambientali a misurare e a definire la qualità della politica e della cultura ad essa sottesa. Sono di pochi giorni fa le immagini nei telegiornale degli Ischitani che facevano muro contro le forse dell’ordine a difesa degli edifici abusivi, edificati spesso in zone a rischio idrogeologico.
Per questo le immagini che dai Nebrodi ci hanno mostrato la montagna, con la sua terra, i suoi ulivi e le sue case muoversi verso valle come una gigantesca colata lavica ci chiedono anche un altro sguardo per una riflessione efficace sulla Protezione civile in Italia e sulla cultura politica nell’amministrazione della cosa pubblica e del territorio cui si riferisce.
Il Servizio nazionale per la Protezione civile nasce con la legge 24 febbraio 1992, n. 225, “al fine di tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, catastrofi o altri eventi calamitosi”.
La Protezione civile coinvolge l’articolazione dello Stato dal centro alla periferia e la società civile attraverso le organizzazioni di volontariato. Questa struttura permette il coordinamento centrale e, ad un tempo, una grande elasticità e tempestività operativa. La Protezione civile vede il coinvolgimento operativo di circa 800.000 volontari organizzati in quasi 4.000 gruppi, coordinati alle amministrazioni locali e ai corpi dello Stato, dal Corpo Forestale a quello dei Vigili del Fuoco, dalle Forze armate a quelle di polizia, dal Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico al Corpo forestale, alle società legate alle infrastrutture come Enel e Telecom, così come la Croce Rossa e gli Istituti di Ricerca scientifici. Una elevata concentrazione di professionalità, anche tra i volontari, unita ad una notevole intensità motivazionale legata alla missione e alla natura, anche drammatica, degli interventi. In questi giorni la Protezione civile è stata paragonata ad un esercito, ad una forza di pace, ma se uniamo allo sguardo descrittivo sulla sua struttura le funzioni che nel tempo le sono state affidate essa si presenta in modo plastico come lo Stato stesso. Indubbiamente la consapevolezza che in questi giorni sta prendendo corpo, mista ad indignazione, stupore e sconforto, pone ad una tale struttura questioni di legalità legittimità e di controllo. Non si tratta soltanto di separare l’organizzazione e la gestione dei grandi eventi previsti e annunciati anni prima, siano i mondiali di nuoto a Roma, i raduni religiosi o il prossimo Expo 2015 a Milano, dal servizio nazionale che si occupa delle catastrofi o delle emergenze “imprevedibili”, perché annunciate ma non considerate. Anche qui ci viene chiesto un ulteriore sforzo di riflessione: sommare ed equiparare le catastrofi e le calamità ai grandi eventi e ai grandi raduni, rendere sinonimi l’urgenza e l’emergenza non richiede solo deroghe che costituiscono l’ambiente naturale per distorsioni e degenerazioni illecite. Ciò che impressiona è constatare che, delega dopo delega, un Paese invece di semplificare una ridondante e anche contraddittoria articolazione di norme e competenze sceglie di prescindere da esse.
La politica pubblica abdica così al suo ruolo ed al suo compito di governo dei processi e si affida in outsourcing ad un Servizio nazionale connaturato alle calamità e alle emergenze, che una buona pianificazione e gestione di infrastrutture e territorio dovrebbe evitare, scongiurare e ridurre.
Proprio la buona azione della Protezione Civile e dei suoi tecnici ha evidenziato questa alterazione. Il dissesto idrogeologico nel messinese dopo l'alluvione del 2007 è oggetto di una inchiesta della Procura. I tecnici della Protezione Civile nella loro relazione del 2008 ai pubblici ministeri rilevarono che: "La causa scatenante le forti alluvioni è stata certamente l'elevata intensità di eventi meteorici, ma non può non essere presa in considerazione la leggerezza di alcune scelte territoriali, che si sono rilevate determinanti negli effetti provocati dal dissesto idrogeologico. Scelte che hanno fatto sì che il degrado dei corsi idrici del messinese diventasse un fenomeno ormai generalizzato e diffuso capace di provocare un vero e proprio disastro". Sono state riscontrate responsabilità? Di più: Calogero Ferlisi, comandante del nucleo per la tutela del territorio dei vigli urbani di Messina lungo tre anni ha denunciato 1200 edifici abusivi, 200 dei quali erano nel borgo della catastrofe alluvionale dello scorso 2009 a Giampilieri. Di fronte ad un’emergenza descritta e agli eventi catastrofici previsti come si è mossa articolazione istituzionale che da’ corpo e definisce la politica pubblica nel territorio, Sindaci, Presidenti di Provincia, Prefetti, Governatore? Non pervenuto. La giunta regionale siciliana, a seguito del dissesto idrogeologico catastrofico che interessa il comune di San Fratello, ha dichiarato lo stato di calamità per gran parte del territorio della provincia di Messina e parte della provincia di Palermo. La giunta ha inoltre deliberato la richiesta dello stato di emergenza al Consiglio dei ministri.
Certamente ora interverrà in aiuto degli sfollati la Protezione Civile, lo farà con la consueta abnegazione e i suoi operatori devono essere confortati dalla stima di sempre. Troppo semplice, e un po’ razzista, ridurre questo succedersi di fatti e di mancanze ad una vicenda Pirandelliana da circoscrivere e da commentare davanti al televisore, ogni italiano non deve andare molto indietro nella memoria della sua regione per trovare esempi simili, purtroppo.
Non a caso Bertolaso chiese a Berlusconi 25 miliardi di euro per mettere in sicurezza tutte
le zone a rischio idrogeologico presenti sul territorio nazionale. L’ignavia di chi ha competenze e funzioni per la pianificazione e la gestione del territorio può indignare, ciò che deve preoccupare è la mancanza di una cultura politica capace di vedere il proprio territorio, la propria regione, il proprio Paese, come un ecosistema complesso del quale sentire la responsabilità. Per questo la semplificazione normativa, pur necessaria, non può significare l’assenza di regole e procedure che vedano, ad esempio, la valutazione di impatto ambientale come elemento interno alla progettazione di un intervento e non come sua successiva mitigazione. Agire nel rispetto del principio di precauzione non significa immobilismo ma tener conto di tutte le indicazioni presenti. I sistemi informativi territoriali e la partecipazione informata nell’era digitale sono utili proprio per “fare bene” nel rispetto dell’interesse generale e della sostenibilità ambientale. Non sempre il “fare presto e comunque” è altrettanto efficace.
Due interviste a Paolo Patanè Due interviste al neo presidente ARCIGAY, Paolo Patanè
18/02/2010 - Redazione arcigay Intervista di Mario Cirrito - Da Queerblog.it Arcigay, da oggi, apre una nuova pagina della sua storia, concluso il Congresso Nazionale di Perugia. Paolo Patanè traghetterà l’associazione fino al prossimo congresso insieme al nuovo segretario e alle nuove dirigenze che rappresenteranno Arcigay nel territorio. Probabilmente, a molti che non conoscono l’impegno militante, o chiosano su Arcigay per pura spura personale, Arcigay rappresenta il potere litigioso, la rappresentazione del nulla. Con i suoi peccati e le sue reali battaglie, l’organizzazione nata da una costola di Arci, è, nonostante tutti i limiti, una realtà che incide sul tessuto sociale e sulle battaglie passate e future.Senza di essa, senza i militanti di area Arcigay e delle altre associazioni, oggi potremmo biasimare meno il lavoro altrui, impegnati come saremmo, a scansare i tanti pericoli e le tante acrimonie che la realtà ci butterebbe addosso. Se le organizzazioni LGBT saranno forti col nostro appoggio, le vittorie saranno sicure. Altrimenti il lamento diventa un esercizio inutile e anche fastidioso. Paolo, gli auguri miei personali e quelli di Queerblog, per questa tuo nuovo, importante, incarico. Da oggi, quale dovrà essere il primo impegno di Arcigay? Un impegno e un intento importante visto come, a volte, questo Congresso non è riuscito a trovare convergenze comuni. Ma poi? Con il gruppo della mozione minoritaria riuscirete a ricomporre un dialogo che serve a voi, a loro, a coloro che si sono allontanati come militanza dai movimenti e dalle battaglie per i diritti civili? Con le altre forme di associazionismo, con le altre sigle LGBT, riuscirete a trovare punti di incontro per scopi e battaglie comuni? Manderete avanti il progetto di confederazione? Si può studiare una struttura dove le varie realtà dell’associazione portino avanti linguaggi e rivendicazioni comuni; che sia coesa nel momento in cui si va a dialogare con i legislatori? In questo senso, quale strategia si potrà mettere in campo per dialogare con quella politica, di destra e di sinistra, che potrebbe dovrebbe darci risultati concreti in termini legislativi? Ci vuole, mi sembra di capire, un nuovo incontro con la politica e con la società. Ci vuole, anche in questo, un rafforzamento dell’associazione nel territorio? Ai ragazzi che scappano o vengono buttati fuori di casa a causa della loro omosessualità; al bullismo dentro e fuori la scuola… Tanti impegni, insomma, dentro e fuori Arcigay. *** Intervista di Laura Adduci - Da Gayin.tv È stato eletto in qualità di nuovo presidente dell'Arcigay, quali sono i suoi propositi? Tra gli obiettivi, anche quello di sollecitare l'introduzione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, attraverso quali iniziative intendete farlo? Secondo lei, l'UE può favorire ed accelerare il processo di crescita culturale, politica e sociale nel nostro Paese? In questo ambito quanto pesano le dichiarazioni da parte dei rappresentanti della Chiesa? Il ritardo dell'Italia rispetto agli altri Paesi Europei è, secondo lei, da attribuire ad una cultura cattolica bigotta?
Grazie a te e a Queerblog per gli auguri che servono sempre. Il primo impegno sicuramente è un impegno morale verso questa associazione che ha vissuto un congresso molto complesso, ed è inutile nasconderselo. E che adesso ha bisogno di capire che la fase del confronto tra due mozioni diverse è un fatto inedito per la nostra storia. Questo ha creato un grande disorientamento in una associazione impreparata a questo tipo di confronti congressuali. Il primo impegno è dimostrare a noi stessi che confrontarsi tra due mozioni non significa spaccare l’associazione. Significa sottoporla ad un processo a un processo di crescita democratica. Dopodiché, chi amministra l’associazione di dialogo deve farlo per tutta l’associazione, non per una parte.
Quello detto prima è il primo impegno, importante. Sul piano politico, ovviamente, i nodi sono tantissimi; ci sono delle urgenze: attendiamo questa sentenza della Corte Costituzionale del 23 marzo (sulle istanze presentate da alcune coppie di fatto ndr.) e rispetto a questo bisogna immediatamente trovare un tavolo di incontro con le altre associazioni; immaginare delle iniziative e preparare anche la reazione del movimento a quella che sarà la sentenza della Corte. Qualunque essa sia; molto serenamente, consapevoli del fatto che, quando anche sarebbe negativa, non sarà la pietra tombale di nulla.
Con la cosiddetta “mozione minoritaria”, certamente, il dialogo è imprescindibile. Lo dicevo prima: noi dobbiamo ricostruire l’immagine di questa associazione come una entità unica in cui c’è una diversità di posizioni. Avere posizioni diverse non significa necessariamente che l’associazione sia necessariamente spaccata. Si deve superare quest’idea. È evidente che c’è un percorso da fare di dialogo, sicuramente interno, ma anche esterno. Questi conflitti sono stati, purtroppo, conflitti che hanno attraversato la dirigenza dell’associazione. Adesso noi dobbiamo, in qualche modo, rasserenare tutti, ricoinvolgere le socie e i soci e trasmettere l’idea che in Arcigay si sta per una grande passione.
Questo come ben sai, visto che hai seguito in tutte le sue forme questo congresso, è uno dei nostri scopi principali. Per due buone ragioni, perché, noi abbiamo avuto occasione di dirlo in diverse occasioni, il fatto di non essere soli, di non essere la sola associazione l’interno del movimento è assolutamente un vantaggio non un problema. Io credo che Arcigay debba relazionarsi con le altre associazioni partendo da un principio: non dobbiamo fare tutti la stessa cosa; quello che conta è il comune obiettivo; poi ognuno ha la sua storia, i suoi percorsi, i suoi approcci, i suoi metodi, ed è persino una fortuna che sia così! Che tutti facciano la stessa cosa non è opportuno e non è utile, non è vantaggioso. È molto più interessante che i vada verso un’unica finalità, con modalità differenti.
Sicuramente sì. Sono anche dell’idea che lo si debba allargare e che il movimento debba cominciare a condividere dei temi specifici su cui imparare a coordinarsi, perché è questo che facilita la determinazione di un metodo, di una condivisione, di un criterio e che permette poi, concretamente, di proporsi come entità più unitaria possibile. Professare però l’unità in maniera astratta senza cimentarsi con delle situazioni e circostanze concrete, significa fare un discorso che rimane fine a se stesso. Incontrarsi un po’ più spesso, non basta una sola volta all’anno, perché quello produce poi una pletora di discorsi improduttivi. Bisogna cominciare a individuare dei gruppi di lavoro comuni. Vedremo quale sarà la disponibilità degli altri. Arcigay si vuole proporre come promotrice di questa unità.
Io penso proprio di sì. Guarda, noi siamo insufficienti, singolarmente, al di là delle dimensioni dell’articolazione territoriale che Arcigay può avere; su certi temi, se non si trova una strategia coordinata, che sia sull’omofobia, che sia su tutta la piattaforma rivendicativa che attiene il matrimonio civile, la diversificazione degli istituti famigliari, sull’omogenitorialità; che sia anche sulla questione dell’imminente sentenza della Corte Costituzionale. Insomma, se non si trovano dei tavoli coordinati, noi continueremo ad andare avanti con una serie di buone o discrete iniziative scollegate, che ciascuno assume legittimamente, ma che alla fine non sono utili. La società, i nostri interlocutori politici, non ha la percezione dio una strategia coordinata.
È inutile prendersi in giro. Questa è una fase difficile; c’è un male della politica italiana nel quale anche noi siamo scivolati: quello della trappola delle fasi elettorali. Il sistema dei partiti si rivolge ai cittadini normalmente quando, nelle fasi elettorali, ha bisogno di ricevere un voto. Quella è la fase meno indicata per dialogare con la politica. Con la politica si dialoga a 360 gradi in tutti gli altri momenti. L’azione politica non può essere fatta solo nelle fasi elettorali, sarebbe veramente troppo poco. Cominciamo a preoccuparci di costruire la nostra agenda politica, non andiamo a pensare all’agenda politica dei partiti. Sicuramente capiremo che l’agenda politica di una associazione comporta l’individuazione di azioni che sono diverse da quelle che possono portare avanti i partiti. I partiti è logico che medino; una associazione sui diritti, non può mediare, perché i diritti devono essere presentati con una patente di insindacabilità, di non negoziabilità. Cominciamo a crearci una nostra identità politica come associazione, a consolidarla. Questo determina la nostra agenda politica.
Perfetto. Arcigay ha bisogno di mostrarsi un po’ più palpabile nella società. Non lo si è solo con le manifestazioni; si diventa papabili quando la società ti vede e con delle campagne che ti riportino a comunicare con la società civile che, per esempio, riaffermino la nostra identità di famiglie. Ti vede quando tu cominci a creare dei luoghi che con la loro stessa esistenza, segnalano l’insufficienza della politica: centri antiviolenza, comunità, cooperative sociali. I luoghi fisici sono luoghi che testimoniano la presenza di una associazione nella società; la capacità di quella associazione di offrire dei servizi e l’insufficienza dello Stato rispetto a certi temi. È una base forte su cui dialogare. Poi, essere contro la dipendenza dai partiti non significa non avere relazioni con i partiti. I Partiti sono degli interlocutori come tutti ma noi non dobbiamo inseguirli, ci vengano a cercare loro. Dopodiché, non si media per carriere personali, non si media per soluzioni e interessi privati. L’Associazione lavora solo ed esclusivamente per i diritti delle persone LGBT, che siano di Arcigay o no.
Certo. Necessitiamo di un rafforzamento e di una articolazione territoriale, che pure si è raddoppiata negli ultimi cinque anni. Però necessitiamo di riempire di senso politico e strategico questa articolazione territoriale. Noi, poi, abbiamo una articolazione di circoli affiliati, importante, che sono delle tribune eccezionali, sicuramente da rivalutare, perché in quei luoghi si intercetta una parte della popolazione LGBT vastissima che non è interessata ai temi politici. Dobbiamo invertire questo trend! La nostra presenza deve risolvere i problemi, affrontare quelli che esistono, dia accoglienza e assistenza; sia una dimostrazione concreta della capacità sociale di questa nostra organizzazione: di dare delle risposte, di farsi carico di temi che però, attenzione, l’associazione non può porsi come solutrice totale, ma che segnalino l’insufficienza, la disattenzione, l’indifferenza delle istituzioni rispetto a certe cose. Penso all’assistenza alle persone sieropositive, un problema che ha una
centralità assoluta.
Questi sono temi che dobbiamo approfondire con tutti. C’è anche il problema delle transessuali con cui dobbiamo discutere e affrontare i loro problemi. A come fare in questo momento in cui nel paese c’è un’ondata di transfobia agghiacciante, terribile.
Questa associazione ha fatto i venticinque anni come associazione nazionale, anche questo è un aspetto su cui riflettere. Noi, effettivamente paghiamo, in modo reale, l’assenza di una comunità che c’è ma non si è consolidata. Abbiamo bisogno di fare un investimento su questo, e anche culturale. Una comunità si consolida quando si percepisce; che ha un passato. Troppa parte del mondo LGBT non ha la più pallida idea del suo passato; forse anche noi siamo stati carenti in questo. Trent’anni fa, due ragazzi, in Sicilia morirono, assassinati o suicidi, non si è mai saputo (il caso Giarre ndr.). Da questa violenza subìta è nato praticamente tutto. Allora, la rivoluzionarietà, non solo del rapporto omosessuale, della relazione affettiva omosessuale. Questa è una cosa su cui dobbiamo tornare a lavorare per restituire a questa comunità degli eroi in cui riconoscersi. Una comunità si costruisce anche così.
L'Arcigay ha un nuovo presidente: è Paolo Patanè. L’elezione è avvenuta al termine del XIII congresso nazionale che si è tenuto a Perugia nei giorni scorsi. Il congresso ha nominato anche i nuovi organi dirigenti. Patanè ha sostituito Aurelio Mancuso come presidente nazionale, mentre il bresciano Luca Trentini prende il posto di Riccardo Gottardi come segretario nazionale. Il congresso ha inoltre eletto il nuovo consiglio nazionale, composto da 73 persone, esponenti di tutti i 46 comitati territoriali e ha riconfermato l'udinese Alberto Baliello come presidente del Collegio Garanti. Il neo presidente dell’Arcigay, Paolo Patanè, si è dimostrato molto disponibile a rispondere alle nostre domande.
La prima urgenza è interna, ovvero ricomporre immediatamente un clima di serenità in Arcigay dopo una fase dialettica dai toni inusuali. Dopo il Congresso è urgente restituire la parola al Consiglio e cominciare a lavorare. L'agenda è fittissima: dal Pride di Napoli alla condivisione con Certi Diritti , Lenford e le altre associazioni di una strategia in attesa della sentenza della Corte Costituzionale del 23 marzo. Poi c'è la questione del censimento ISTAT che apre orizzonti di iniziativa politica nuovi e su cui anche Gay.it ha lanciato un appello che ha avuto riscontri importanti. Parlo di scadenze ravvicinate su cui il Congresso ha dato mandato ad agire sin da subito con l'approvazione di specifici Ordine del giorno. Poi evidentemente vi sono tutti gli altri obiettivi definiti dal Congresso e che richiedono l'insediamento del Consiglio e della Segreteria nazionale per tradursi in iniziative concrete.
Intanto è bene sottolineare che il Congresso ha confermato che il matrimonio civile e la diversificazione degli istituti familiari sono obiettivi irrinuNciabili. Io credo che si debba rilanciare l'idea che siamo famiglie,e puntare a riportare questo dato nel dibattito che attraversa la società civile. Come farlo? Campagne mirate e condivise ad esempio,e comunque capaci di riconquistare simpatia e consenso tra la gente. Poi la strategia giudiziaria va approfondita,continuando a proporla, e facendone forse il binario privilegiato in una fase dagli sbocchi parlamentari chiusi. Attendiamo la sentenza del 23 marzo con la certezza che qualunque cosa affermi,anche in negativo,non sarà la parola definitiva sull’argomento.
In generale l'internazionalizzazione delle nostre battaglie è uno degli obiettivi nuovi che Arcigay si è data ,e riceverà una delega specifica all'interno della prossima Segreteria nazionale: dunque ci crediamo. E crediamo soprattutto in una strategia diversificata che coinvolga certo l'UE e le sue Istituzioni, ma anche i mass media europei, le associazioni, i movimenti. L'Italia è inserita in un contesto di civiltà giuridica, sociale e politica di cui non può sempre fare finta di non accorgersi. Stiamo studiando gli spazi che si aprono attraverso l'introduzione del Trattato di Lisbona nel nostro Ordinamento.
Sicuramente, anche se va spiegato. Io sono restio a ricondurre la questione all'interno di una contrapposizione tra credenti e non credenti che rischia di coinvolgere impropriamente persone e situazioni. In realtà l'arretramento complessivo del dibattito culturale e l'uso pubblico della religione a supporto di politiche identitarie è studiato a tavolino e risponde a logiche di mero potere. Intendo dire che è solo un pretesto che poco ha a che vedere con questioni strettamente culturali o spirituali: è uno strumento di conservazione di un sistema. La paura dell'altro è parte di questo stesso sistema, evidentemente, e fonda e sostanzia politiche securitarie che ritengo molto pericolose. È chiaro in tutto questo che la gerarchia vaticana ha fatto, fa e farà scelte orientate alla conservazione del suo potere inasprendo l'uso pubblico della religione per influenzare la politica, la società civile e la cultura. È uno dei grandi problemi di questo Paese,esattamente come lo è il ruolo politico della chiesa ortodossa nella Russia post sovietica.
ANCHE A PALAZZO MARINO UNA COMMISSIONE DI GARANZIA E CONTROLLO
DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIERE COMUNALE BASILIO RIZZO
GRUPPO CONSILIARE UNITI CON DARIO FO
Ho preso visione con soddisfazione del comunicato del segretario
provinciale del PRC Antonello Patta che sollecita l’istituzione a Palazzo
Marino di una Commissione di garanzia e controllo sull’attività degli
Uffici del Comune, degli Enti, Aziende ed organismi a cui il Comune.
Dopo i gravi fatti che si sono susseguiti in questi ultimi tempi anche
prima del caso Pennisi (assunzione dirigenti, derivati, cimiteri, zincar,
etc.) si rende indispensabile dare corso a quanto previsto dalla normativa
vigente che prevede la possibilità di istituire strumenti di garanzia e
controllo che oggi al Comune di Milano non sono presenti.
La maggioranza di centrodestra non ha mai acconsentito che le Commissioni
Bilancio e Affari Istituzionali, ritenute commissioni di garanzia, fossero
presiedute e coordinate da esponenti dell’opposizione ed ha negato
ultimamente la presidenza della commissione urbanistica del dopo Pennini
all’opposizione.
Proporrò quindi per dare un concreto strumento al Consiglio ed un segnale
alla città per migliori garanzie di controllo, trasparenza e rispetto delle
regole, qualora prima non fossero la Giunta ed il Sindaco a farlo, una
delibera di iniziativa consiliare per istituire sul modello della Provincia
la “Commissione di garanzia e di controllo” a Palazzo Marino.
Milano, 17 febbraio 2010
Carta dei Diritti della Rete: eppur si muove...in Brasile
The use of the Internet must be driven by the principles of freedom of expression, individual privacy and the respect for human rights, recognizing them as essential to the preservation of a fair and democratic society.
Internet governance must be exercised in a transparent, multilateral and democratic manner, with the participation of the various sectors of society, thereby preserving and encouraging its character as a collective creation.
Internet access must be universal so that it becomes a tool for human and social development, thereby contributing to the formation of an inclusive and nondiscriminatory society for the benefit of all.
Cultural diversity must be respected and preserved and its expression must be stimulated, without the imposition of beliefs, customs or values.
Internet governance must promote the continuous development and widespread dissemination of new technologies and models for access and use.
Filtering or traffic privileges must meet ethical and technical criteria only, excluding any political, commercial, religious and cultural factors or any other form of discrimination or preferential treatment.
All action taken against illicit activity on the network must be aimed at those directly responsible for such activities, and not at the means of access and transport, always upholding the fundamental principles of freedom, privacy and the respect for human rights.
Network stability, security and overall functionality must be actively preserved through the adoption of technical measures that are consistent with international standards and encourage the adoption of best practices.
The Internet must be based on open standards that facilitate interoperability and enable all to participate in its development.
Legal and regulatory environments must preserve the dynamics of the Internet as a space for collaboration.
Rom, lettera delle maestre prima dello sgombero: "Vi insegneremo centomila parole ..."
Rom, lettera delle maestre prima dello sgombero
Le vostre maestre:
Irene Gasparini, Flaviana Robbiati, Stefania Faggi, Ornella Salina, Maria Sciorio, Monica Faccioli".
BASTA con la politica della paura!Le periferie vanno riqualificate per creare senso di comunità
Maroni, Salvini, De Corato sono per la tolleranza zero e per il rispetto delle leggi!!
A parole, ma non nei fatti!!!
Sono tante le leggi che le Forze dell'ordine (Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia di Stato) e le autorità di controllo e di vigilanza (ASL, VVF, Ispettorato del Lavoro, Polizia Annonaria ecc.) dovrebbero far rispettare:
NO al lavoro nero,
NO all'evasione di contributi previdenziali e versamenti INAIL,
NO all'evasione fiscale dei redditi di imprenditori e artigiani,
NO all'evasione degli affitti non dichiarati,
NO alla mancanza di programmazione e governo del territorio nel rilascio delle licenze commerciali, per una equa distribuzione delle attività su tutto il territorio cittadino,
NO alla mancanza di controlli igienico-sanitari sugli esercizi commerciali.
A tutto ciò aggiungo:
NO alle politiche "senza se e senza ma" sempre e solo nei confronti degli ultimi e di alcune categorie di persone: i rom, i mussulmani, gli stranieri ecc.
NO alle politiche di tolleranza verso i furbi, soprattutto se sono in colletto bianco (Milko Pennisi del PDL non è stato ancora cacciato via dal partito nonostante sia stato colto in flagranza di reato mentre si intascava 5.000 euro di tangente; e che dire del problema dei derivati, delle eccessive consulenze del sindaco Moratti eludendo le norme amministrative??),
NO alla mancanza di politiche di socializzazione e di riqualificazione delle periferie, nelle quali non vi sono spazi civici, centri di aggregazione giovanile, centri multifunzionali per anziani e i pochi circoli sociali vengono "tormentati" da continui controlli nella speranza che chiudano, negando il loro ruolo fondamentale di presidio sociale! Ricordo che per riqualificare una periferia -come qualsiasi sociologo può confermare (v. facoltà di sociologia dell'Univ. degli Studi di Milano Bicocca) non basta costruire nuovi edifici, ma bisogna creare spazi e luoghi GRATUITI di socializzazione, perchè bisogna favorire la creazione del senso di comunità e di appartenza alla collettività.
No al taglio di sovvenzioni e aiuti alle associazioni che operano in periferia e che sopperiscono alle carenze del Comune di Milano.
BASTA con questa politica che trasforma tutto in un problema di ordine pubblico da 20 anni a questa parte: i risultati negativi dimostrano l'inefficienza di questa politica dell'emergenza e della paura, che è servito solo poer far manbassa di voti.
Molti milanesi hanno votato per il pugno duro del centro-destra: complimenti! si sta andando di male in peggio!!! Si spinge verso lo scontro tra etnie, invece di promuovere una società multietnica accogliente e includente.
Sul caso di via Padova ecco i comunicati di alcune forze politiche. Spero vogliate leggerli e riflettere.
Cordiali saluti a tutti/e
Antonella Fachin
Consigliera di Zona 3
Capogruppo Uniti con Dario Fo per Milano
Facebook: Antonella Fachin
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Scontri Via Padova, SeL: Dimissioni casa per casa
Per contro è il luogo dove comprensori scolastici, luoghi di culto cattolici quanto islamici, associazioni e singoli cittadini sono stati lasciati totalmente soli nella gestione quotidiana dell'esistente.
Via Padova è stata anche fino a ieri, diversamente da quanto tinteggiano molti organi di informazione, il luogo di un esperimento di successo, di una convivenza difficile ma possibile. Il luogo della riapertura dei negozi chiusi da anni, dell'integrazione a mezzo scuola, del dialogo religioso. Quella via Padova ce la può ancora fare e a coloro che blaterano di pugno di ferro e di espulsioni casa per casa andrebbe oggi rivolto l'invito a dimettersi tutti, casa per casa.
A sostegno delle politiche di convivenza e integrazione autoprodotte dai cittadini delle zona , contro i fabbricanti di paura e i loro bancarottieri locali Sinistra Ecologia e Libertà invita i suoi aderenti, le associazioni, i singoli ad una serie di iniziative territoriali, di cui la prima proprio in:
via Padova angolo Predabissi mercoledì 17 febbraio dalle ore 16,30.
Sinistra Ecologia Libertà
Milano, 14 febbraio 2010
Fiaccolata via Padova
A seguito dei gravi fatti di sabato notte, OGGI 15 FEBBRAIO 2010 DALLE ORE 18 IN VIA PADOVA (ANG. P.LE LORETO), FIACCOLATA PER LA SICUREZZA AL FIANCO DEI POCHI RESIDENTI ITALIANI DEL QUARTIERE E DELLE ASSOCIZIONI DELLA ZONA.
Contro la violenza di bande e gruppi d'iregolari dediti a droga, prostituzione e criminalità!
Contro i magistrati che boicottano la legge BOSSI-FINI!
in nome delle belle ragazze albanesi
Cari saluti
Antonella Fachin
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"poteri speciali" in vista di Expo 2015: lettera aperta al sindaco
Di seguito il testo della lettera aperta inviata dal consigliere comunale Basilio Rizzo al Sindaco Moratti sulla speciale normativa in via di approvazione al Parlamento sui "poteri speciali" in vista di Expo 2015.
Cordiali saluti a tutte/i ------------------------
Antonella Fachin
Consigliera di Zona 3
Capogruppo Uniti con Dario Fo per Milano
Facebook: Antonella Fachin
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