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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Sabato, 24 Aprile, 2010 - 20:34

25 Aprile: io sto con i lavoratori della Scala

Una riflessione tengo a fare a latere delle celebrazioni del 25 aprile a Milano, al Teatro della Scala, alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e del capo del governo. Il discorso di Giorgio Napolitano è stato ineccepibile nella difesa e tutela di una memoria storica che deve essere collettiva. Il capo del Governo ha avuto modo di partecipare a quella festa che lui non ha mai riconosciuto, dato che da sempre si è rifiutato di aderire alle manifestazioni e alle mobilitazioni: quella festa di aprile che vuole esprimere la libertà e non le libertà di avere privilegi e di sopraffare gli altri per interessi privati di potere economico. Il sindaco era presente, è intervenuto, palesando contraddizioni con comportamenti e prassi da lei espresse in merito alle celebrazioni: l'equiparazione tra repubblichini e partigiani aleggia nell'animo populista e benpensante del primo cittadino milanese. Un vilipendio per la caratteristica storica della città, Medaglia d'Oro della Resistenza, che dovrebbe rappresentare. Ripeto dovrebbe. Rimango alquanto perplesso nel vedere come chi difende la cultura, il sostegno alla cultura, allo spettacolo, alla musica classica, alla lirica, alle libere espressioni professionali artistiche, venga represso in piazza, emarginato, non considerato. La Costituzione Repubblica esprime nei suoi articolati la difesa e la valorizzazione della libera ricerca, della libera espressione del pensiero, della libera esplicazione di ogni forma artistica, in quanto un loro affossamento, soffocamento, determinerebbero la crescita involutiva di una società, di una collettività e la permeabilità e vulnerabilità nei riguardi del potere e del potente. Il governo ha deciso di tagliare il FUS, il Fondo per lo Spettacolo: quel fondo, che vedeva una sua riduzione progressiva negli ultimi anni, che permetteva alle libere espressioni artistiche di poter esprimersi, di poter lavorare, di poter offrire alla cittadinanza un servizio di crescita intellettuale, che è anche civile, collettivo, comunitario. Il suo drastico ridimensionamento, in epoche in cui a essere ministro della cultura è colui che considera fastidiosi coloro che "fanno gli intellettuali", componendo come un Nerone di fine impero poesie di basso valore decantanti il suo amore ossessivo verso il proprio padrone, determina una grave perdita per tutte e tutti noi e questo deve valere nella difesa della nostra Costituzione. La causa rivendicata dalle lavoratrici e dai lavoratori della Scala non deve essere vista come causa soggettiva, singolare, di una categoria, ma come causa collettiva che interessa la società, la cittadinanza, il Paese, il suo futuro democratico. Io sto con loro: con chi era in Piazza della Scala per denunciare il taglio infausto e vergognoso che il governo, rappresentato da quel capo del governo presente in sala, a cui interessa solamente assicurarsi impunità assoluta, sottomettendo e flettendo a proprio volere e arbitrio l'ordinamento legislativo, ha apportato alla cultura, alle arti, alla loro apprezzabilità, utilizzabilità. E', questo, un taglio che offende la democrazia. E' un taglio da contrastare, denunciare, accusare come vilipendioso, ignobile. Per questo credo che in questo 25 aprile sarò con loro: con chi oggi era in piazza davanti al Teatro, lavoratrici e lavoratori dello spettacolo e della lirica, coloro grazie ai quali il Teatro ha retto finora, ma che senza di loro il gioiello culturale di Milano rischierebbe di venire meno, a prescindere dagli interessi finanziari gestiti dalla Fondazione, spesso poco trasparenti, spesso incomprensibili nelle loro strategie.

Alessandro Rizzo

Capogruppo La Sinistra - Uniti con Dario Fo

Consiglio di Zona 4 Milano

Sabato, 24 Aprile, 2010 - 20:12

25 Aprile inizia la raccolta delle firme per i 3 REFERENDUM a sostegno dell’ACQUA PUBBLICA

Carissimi/e,

domenica 25 Aprile inizia la raccolta delle firme per i 3 REFERENDUM a sostegno dell’ACQUA PUBBLICA, BENE COMUNE.

L'acqua non si vende.
Fuori l'acqua dal mercato, fuori i profitti dall'acqua.

Perché l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale. Un bene essenziale che appartiene a tutti. Nessuno può appropriarsene, né farci profitti. L’attuale governo ha invece deciso di consegnarla ai privati e alle grandi multinazionali.
Noi tutte e tutti possiamo impedirlo, mettendo la nostra firma sulla richiesta di referendum e votando SI quando, nella prossima primavera, saremo chiamati a decidere. E’ una battaglia di civiltà. Nessuno si senta escluso.
Cosa vogliamo?
Vogliamo restituire i servizi idrici alla gestione collettiva.

I primi BANCHETTI si terranno durante la manifestazione per la festa della liberazione e saranno così dislocati:

1. Comitato milanese acquapubblica - referente Giovanna Procacci - locazione Porta Venezia vicinanza piazza Oberdan ore 14.00 - 16.00

2. Aria Civile + Per un'altra provincia – referenti rispettivi Massimo de Giuli e Luciana Pellegreffi - locazione Porta Venezia vicinanze piazza

Oberdan ore 14.00 - 16.00 (io sarò a questo banchetto)
3. Intervita - referente Valeria Emmi - locazione piazza San Babila (area negozio Sisley)

4. Umanisti - referente Thomas Schmid - locazione Porta Venezia via Palestro ore 14.00 - 16.00
5. Adesso basta - referente Franco Calamida - locazione Porta Venezia via Palestro ore 14.00 - 16.00

6. CGIL  - referente Francesco Elia e Antonio Lareno - locazione piazza Duomo imbocco Galleria ore 14.30 - 18.00 
7. Movimento a 5 stelle - referente - Cinzia Bascetta locazione piazza Duomo imbocco Galleria ore 15.00 - 18.00


I QUESITI REFERENDARI
Primo quesito:
fermare la privatizzazione dell’acqua
Si propone l’abrogazione dell’art.23bis della Legge n.133/2008; eliminare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo Berlusconi e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.
Secondo quesito:
aprire la strada della ripubblicizzazione
Si propone l’abrogazione dell’art.150 del D.Lgs n.152/2006; in questo modo non sarebbe più consentito il ricorso nè alla gara, nè all’affidamento della gestione a società di capitali, favorendo il percorso verso l’obbiettivo della ripubblicizzazione del servizio idrico, ovvero la sua gestione attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali.
Terzo quesito:
eliminare i profitti dal bene comune acqua
Si propone l’abrogazione dell’art.154 del D.Lgs n.152/2006, limitatamente alle seguenti parole: ”dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si eliminerebbe la possibilità di fare profitti sul bene comune acqua.

Per maggiori informazioni è consultabile anche il sito per l'acqua www.contrattoacqua.it

Se desiderate partecipare alla raccolta delle firme nei 3 mesi di tempo a disposizione, mi potete contattare per comunicarmi le vostre disponibilità (giorni e orari).
ASPETTO VOSTRE NOTIZIE!

Cordiali saluti a tutte/i
Antonella Fachin
Consigliera di Zona 3
Capogruppo Uniti con Dario Fo per Milano
Facebook: Antonella Fachin

Sabato, 24 Aprile, 2010 - 09:37

Stop Vatican Abuse

Manifestazioni e sit-in di protesta in diversi Paesi del mondo contro l’omertà delle gerarchie cattoliche nei confronti dei reati di pedofilia e contro le indegne dichiarazioni diffamatorie di Tarcisio Bertone.

Ma soprattutto in sostegno delle decine di vittime innocenti di violenze inaudite, che chiedono giustizia di fronte alle istituzioni dei loro paesi, violenze compiute talvolta da persone che hanno responsabilità educative o spirituali.

È questo il risultato dell’appello che Arcigay e ILGA (l’Associazione Gay e Lesbica mondiale) hanno lanciato per sollecitare ed estendere la protesta contro gli abusi del Vaticano.

Eventi di protesta davanti alle Nunziature vaticane o alle principali chiese si sono tenute e si terranno ancora per tutta questa settimana in molti Paesi americani ed europei: Cile, Perú, Nicaragua, Venezuela, Paraguay, Colombia, Argentina, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Bulgaria e tanti altri. Messaggi di supporto sono arrivati anche da associazioni lgbt del continente africano che purtroppo non possono prendere parte alla protesta nei loro paesi di provenienza per ragioni di incolumità fisica.

In Italia sono previsti due appuntamenti per sabato 24 aprile 2010.

Arcigay, ArciLesbica, AGEDO, Famiglie Arcobaleno, Mario Mieli, MIT, Certi Diritti, Dì Gay Project promuovono una manifestazione contro la pedofilia e in sostegno delle vittime a Roma in Piazza SS Apostoli alle ore 16.30.

Le Associazioni lgbt bolognesi hanno indetto una processione laica che partirà alle 11.30 a Bologna da Piazza del Nettuno per giungere a Piazza San Domenico.  

“Manomettere in maniera antiscientifica e falsa la questione della pedofilia, come ha fatto il Segretario di Stato Vaticano Bertone, porta a scaricare su altre persone innocenti le gravi accuse che da tutto il mondo piovono sulle gerarchie vaticane, creando nuovo dolore.” – dichiara Paolo Patanè, presidente nazionale Arcigay – “Il perdono chiesto da Ratzinger non basta: gli esponenti ecclesiastici rispondano davanti ai tribunali e all’opinione pubblica mondiale dei gravi insabbiamenti avvenuti in tutto il mondo in modo che tutti i casi vengano portati alla luce.”

Per adesioni e contatti:
stop.vaticanabuse@gmail.com

23/04/2010 - Ufficio stampa Arcigay

 

Venerdì, 23 Aprile, 2010 - 11:31

in vista del 25 aprile: FESTA DELLA LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO

Siamo a qualche giorno dal 25 Aprile... ricordiamo il pensiero illuminante di Piero CALAMANDREI:
"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione,
andate nelle montagne dove caddero i Partigiani,
nelle carceri dove furono imprigionati,
nei campi dove furono impiccati.

Dovunque è morto un italiano per riscattare la Libertà e la Dignità,
andate lì o giovani, col pensiero…

perché li è nata la nostra COSTITUZIONE".
Cordiali saluti a tutte/i
Antonella Fachin
Consigliera di Zona 3
Capogruppo Uniti con Dario Fo per Milano
Facebook: Antonella Fachin
Giovedì, 22 Aprile, 2010 - 15:07

Matrimonio omosessuale, se il codice civile prevale sulla Costituzione

di Persio Tincani

fonte: MicroMega 22 aprile

La vicenda del matrimonio omosessuale in Corte costituzionale si è conclusa nel modo che in molti prevedevano, cioè con un sostanziale rigetto delle questioni di costituzionalità rimesse dalla corte d'appello di Trento e dal tribunale di Venezia. Che la decisione fosse, in questo senso, prevedibile non ha, però, nulla a che vedere con la questione in sé (il matrimonio omosessuale è compatibile con la Costituzione?) e molto a che vedere con il fatto che non dobbiamo fingerci vergini, del tipo di quelle convinte che ci sia sempre un giudice a Berlino. Che la Corte avrebbe respinto le questioni, insomma, eravamo più o meno tutti ragionevolmente certi, tanto i favorevoli al matrimonio omosessuale, ovvero la stragrande maggioranza dei giuristi italiani, quanto la minoranza dei giuristi contrari.

Tutti o quasi tutti, infatti, consideravano assai improbabile che la Corte avrebbe deciso nel senso dell'ammissibilità del matrimonio omosessuale, in quanto la questione è stata caricata (non importa adesso quanto ciò sia stato fatto ad arte) di un significato politico pressoché esclusivo, che ha finito per far passare nelle retrovie il fatto che si tratti, come ogni altra questione posta di fronte alla Consulta, di una faccenda di leggi e di diritto.

Al di là delle argomentazioni sostenute da ciascuno per la tesi della fondatezza o dell'infondatezza dei particolari rilievi di costituzionalità presenti nei due atti con i quali le corti hanno posto la questione di fronte alla Consulta, e ancor di più al di là degli argomenti che ciascuno adduce per l'ammissibilità o per l'inammissibilità del matrimonio omosessuale nel nostro ordinamento, nessuno avrebbe scommesso sul fatto che una parola definitiva sarebbe stata pronunciata dalla Corte in merito.

Ciò che stupisce, quindi, non è che la Corte abbia dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità, ma il modo in cui lo ha fatto, cioè con una sentenza, la n.138 2010 (15 aprile), assai criticabile, sia sotto il profilo della tecnica giuridica, sia sotto il profilo della mera coerenza argomentativa. I passaggi argomentativi fallaci o discutibili della sentenza sono molti. Qui mi limito a segnalarne uno.

Uno dei cavalli di battaglia degli oppositori del matrimonio omosessuale è il richiamo alla "natura" presente nell'art. 29 della Costituzione, dove si sancisce che "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Secondo l'interpretazione proposta da costoro, il significato di questo articolo sarebbe quello di sancire sul livello costituzionale la c.d. "famiglia naturale", che sarebbe composta da una moglie, un marito e, possibilmente, da un certo numero di figli.

Va da sé che è sufficiente leggere con un minimo di attenzione, o di onestà, il testo dell'art. 29 per vedere che le cose non stanno così e che non c'è nessuna "famiglia naturale". Si parla, infatti, di "famiglia come società naturale", il che significa, nel linguaggio giuridico, società che le persone formano senza che vi sia necessità di norme giuridiche (diversamente da come accade, per esempio, nel caso delle società per azioni, che non sarebbero concepibili senza le norme giuridiche che le definiscono e che le disciplinano).

Il diritto, insomma, arriva dopo. E la Costituzione, in particolare, arriva per stabilire che i diritti "della famiglia" (in realtà diritti dei singoli che la compongono) sono riconosciuti a patto che questa "società naturale" abbia dato luogo a un matrimonio, secondo le norme del diritto civile. La Corte, infatti, non prende neppure in considerazione la tesi della "famiglia naturale" e ribadisce, a beneficio dei duri, l'ovvietà che il testo della norma costituzionale ha il significato di riconoscere, appunto, che le famiglie esistono anche senza che vi sia una norma giuridica che le definisce.

Fin qui, nulla da dire. Il punto critico, però, viene subito dopo, quando la Corte scrive: «Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi.

Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata». In particolare, dato che «la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea [costituente, N. d. A.], benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta [...] si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel senso tradizionale di detto istituto».

Proviamo a vedere che cosa c'è che non va in questo passaggio, cruciale, della sentenza. Se e è vero che i concetti di "famiglia" e di "matrimonio" non devono intendersi come cristallizzati nell'epoca in cui fu formulato l'art. 29, allora non si capisce per quale motivo l'evoluzione della società e dei costumi, pure richiamata dal testo della sentenza come elemento da tenere in conto per interpretare la norma, non sia qui idonea a ricomprendere nella definizione di "famiglia" che può accedere al "matrimonio" quella composta da due persone dello stesso sesso. La Corte chiarisce, però, che il ruolo dell'interpretazione non può spingersi fino a incidere "sul nucleo della norma", che indicherebbe il matrimonio "nel significato tradizionale".

Qui, come si vede, c'è qualcosa che non quadra. Il fatto che il costituente abbia preso in considerazione il matrimonio tradizionale è, con ogni probabilità, indubbio. Ma, allo stesso tempo, ciò non può essere inteso come un vincolo per l'interprete successivo, almeno non se si ammette, come fa la Corte, che i principi costituzionali sono contraddistinti da una intrinseca duttilità, data dal loro tener conto delle trasformazioni dell'ordinamento e dall'evoluzione "della società e dei costumi".

Questa evidente incongruenza (o le norme sono duttili e seguono l'evoluzione dei costumi o non lo sono) viene, però, corretta da un'immediata precisazione della Corte stessa, che chiarisce come la "duttilità" non possa giungere fino a "incidere sul nucleo della norma". Qual è questo nucleo? L'eterosessualità del matrimonio. E perché? Perché lo stabilisce il codice civile: «I costituenti, elaborando l'art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che [...] stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso».

Ora, affermare che il codice civile stabilisca la diversità di sesso degli sposi perché il matrimonio sia valido è perlomeno azzardato. Il codice civile, piuttosto, non esplicita mai la condizione necessaria della diversità di sesso per un valido matrimonio, tant'è che le decisioni giudiziarie esistenti in merito hanno sempre ricavato questo elemento da un lavoro interpretativo.

Ma anche se si volesse sorvolare su questo punto - in realtà il centro dell'intera questione - il ragionamento esplicitato dalla Corte si rivela un controsenso, perché sfocia nella sola conseguenza logica possibile di subordinare la Costituzione al codice civile. Che, per essere precisi, è proprio il contrario di quello che, invece, si fa a rigor di diritto: non interpreto un articolo della Costituzione alla luce del codice civile, ma viceversa.

Se così non fosse, infatti, non si capisce quale sarebbe il ruolo di una corte costituzionale, e quale tipo di censura potrebbe esercitare sul diritto ordinario, se quest'ultimo diviene lo strumento al quale la norma costituzionale deve guardare per ricevere significato.

Giovedì, 22 Aprile, 2010 - 14:53

HUMOR: Il prezzo della secessione

Giovedì, 22 Aprile, 2010 - 14:50

Buon compleanno Terra!

Buon compleanno Terra!

 
Il 22 aprile 1970 è stata celebrata la prima Giornata della Terra, milioni di persone si sono unite per sensibilizzare l'opinione pubblica e i governi al fine di preservare e proteggere meglio il nostro Pianeta.
Il 2 maggio, con l'aiuto dei volontari, verrà rilevato lo stato dei fiumi italiani, per valutarne lo stato e avanzare proposte per la loro tutela. Partecipa anche tu >>
In Sicilia dal 12 aprile al 23  maggio si svolgerà il 27° campo internazionale per la protezione dei rapaci e le cicogne in migrazione sullo Stretto di Messina. Sei ancora in tempo per iscriverti >>
Il tuo impegno per proteggere la Terra è fare la differenza. Ti aspettiamo !
Martedì, 20 Aprile, 2010 - 15:49

CdZona 6 ..La Resistenza : questa sconosciuta!!!!!!!!!!!

COMUNICATO STAMPA

Il comitato antifascista di zona 6, comunica con sgomento, che la maggioranza di destra del consiglio di zona, per la prima volta in 35 anni, non partecipa ai festeggiamenti della giornata del 25 Aprile.  Alla domanda di patrocinio delle iniziative, svolta come ogni anno dall’Associazione nazionale Partigiani d’Italia, la giunta guidata dal Presidente Gittaner non pronuncia alcuna risposta. Il comitato antifascista, formato da tutti i partiti democratici, dalle libere associazioni, dalla cittadinanza, dai sindacati, denuncia tale atto come uno sfregio alla lotta di liberazione. Un insulto a Milano, città medaglia d’oro alla resistenza. Un affronto alla zona 6, ch’è stata testimone degli eccidi perpetrati dalle truppe d’occupazione e dalle brigate fasciste.  La Resistenza ha segnato un lungo tormentato impegno, durato oltre vent’anni di lotta al fascismo e alla sua disumana filosofia, che vide saldare in un nodo di sangue tutte le componenti democratiche del nostro paese: dal martirio di Matteotti a Don Minzoni, da Gramsci a Godetti, da Amendola a Buozzi.   Questa ricorrenza dovrebbe essere custodita, protetta e non deturpata dalle istituzioni, le quali, nominate dal popolo sovrano devono essere fedeli interpreti della Costituzione della Repubblica Italiana, fondata sull’antifascismo.  Nel Marzo 1994, il Presidente del consiglio di zona 17 Dott.sa Emma Bassani, nel presentare un opuscolo dedicato alla resistenza in zona e creato col fattivo contributo di tutto il consiglio ebbe a dire “ I giovani devono sapere che anche nella loro zona altri giovani, non molti anni fa, si sono battuti fino alla morte per difendere la libertà e la democrazia. Oggi come allora la democrazia va difesa anche andando contro corrente, perché la resistenza è un modo di vivere: sempre in prima fila, da protagonisti, da uomini e donne liberi, senza mai chinare la testa davanti ai prepotenti”. Il mancato patrocinio, segna un filo conduttore preoccupante, che inizia con la volontà della maggioranza della zona 6 d’intitolare una strada a Giorgio Almirante. Proposta sconfitta, anche grazie all’impegno di questo comitato.  Invitiamo la cittadinanza a partecipare alle iniziative organizzate dall’ANPI, che si svolgeranno comunque in modo compatto su tutto il territorio di zona. Il comitato antifascista di zona 6, si farà promotore di una continua vigilanza, affinché le istituzioni rispettino i vincoli morali ereditati da tanti uomini e donne morti per la libertà.

Comitato antifascista di zona 6

Martedì, 20 Aprile, 2010 - 14:28

Condannati - in 78 Paesi essere gay vuol dire la galera. E, in 7, il patibolo

20/04/2010 - Francesca Ghirardelli

 fonte: www.arcigay.it

CONDANNATI
La mappa del terrore: in 78 Paesi essere gay vuol dire la galera. E, in 7, il patibolo
di Francesca Ghirardelli - Il Venerdì di Repubblica - 16 aprile 2010

Parigi. Ogni giorno lo si vede percorrere il suo giardino per verificare che tutto vada bene. Progetta nuove opere di giardinaggio. Ha 25 anni, vive da solo, si accontenta di andare a lavorare e tornare a casa la sera. Nessuno dei vicini sospetta che, invece, conduca anche un’altra vita, per cui rischia fino a sette anni di carcere, per il fatto di essere un omosessuale in Botswana.

A oltre seimila chilometri da lì, un trentottenne di Teheran scrive: “Sono un iraniano gay rinchiuso fra quattro mura disgustose: legge, cultura, famiglia e religione”. Se lo scoprissero, per lui ci sarebbe la pena di morte.

Atto contro l’ordine naturale indecente, atto impudico, abominevole, sodomia. Tanti modi diversi di chiamare l’omosessualità nei codici penali di ogni latitudine, tante pene diverse per punirla: multe in denaro, prigione, lavori forzati, condanna a morte, anche con la lapidazione pubblica.

In 78 Paesi, sui 242 nel mondo, l’omosessualità è un crimine. In sette la si punisce con la pena capitale: succede in Mauritania, Sudan, Yemen, Arabia Saudita, in Iran e in alcune regioni di Somalia e Nigeria, dove vige la svaria, la legge cranica.

Luoghi dove non esiste quasi mai un movimento per i diritti gay, dove è difficile sentire la voce di rischia la pelle.
“In tutti i nostri scambi on line, la paura dominava sempre” racconta Philippe Castebon, giornalista e fotografo francese, curatore di Les condamnés, preziosa raccolta di testimonianza dirette sul tema.

Iscrivendosi ai siti web per incontri gay, è riuscito a mettersi in contatto con uomini omosessuali che vivono in Paesi dove l’omosessualità è reato. A loro ha chiesto di inviargli un autoritratto fotografico e una testimonianza scritta. Alla fine si è trovato fra le mani una mappa vivente della criminalizzazione dell’omosessualità, niente nomi, ma molte vite: “Non è uno studio sull’omofobia nel mondo, sono uomini che parlano in prima persona di sé” ci spiega nel salone della Terza Municipalità di Parigi, dove ha allestito la mostra con le testimonianze raccolte.

“Nei siti internet per gay gli utenti di solito pubblicano immagini in cui non si possa riconoscere la loro identità, dove ad esempio manca la testa. Da qui l’idea di chiedere ai miei interlocutori di scattarsi una foto appositamente per il progetto. Ho chiesto di mandarmi anche un testo scritto e la frase ‘nel mio Paese, la mia sessualità è un crimine’ tradotta nella loro lingue”.
Nell’arco di un anno, dal novembre 2008 a quello del 2009, Castetbon ha contattato oltre seicento uomini. Cinquantuno hanno risposto.

“A ciascuno ho presentato il progetto, l’idea della mostra e di un libro fotografico. Ho passato molto tempo a rassicurare ciascuno di loro. Con un ragazzo libico ho discusso sette mesi e alla fine m’ha detto: ‘Ho troppo paura’. Mi ha inviato un testo, ma non la sua immagine”.

Di paura parlano in molti nelle testimonianze raccolte da Castetbon: per l’iracheno, un uomo di 32 anni di Bagdad, “righe, pagine intere o anche libri non potrebbero descrivere l’accumularsi di decenni di paura e angoscia”. Praticamente tutti vivono di nascosto.

“In Arabia Saudita si può essere gay solo in segreto” scrive un venticinquenne da Ryad. “Per condurre questa vita nascosta, ti devi sposare con una donna, perché la famiglia ti forza a farlo. Per amicizia gli uomini si tengono spesso per mano nei Paesi Arabi. Questo mi permette di camminare stringendo la mano del mio compagno e la gente non dice niente”.

Anche dove la legge non è applicata, il rischio permane e arriva dalla strada. È il caso della Giamaica: “Un Paese terribile” dice Castetbon, “ci sono uccisioni di omosessuali ogni anno. E la pressione sociale è fortissima”.

Internet può fare la differenza, pur virtuale, in un’esistenza che altrimenti sarebbe soffocata. “È una finestra, un luogo di scambio, con la speranza folle di innamorarsi, di vivere un’altra vita. Per il ragazzo che mi ha scritto dall’India, trovare on line uomini come lui è stata una rivelazione. Si è reso conto di non essere solo”.

In questi Paesi, pochi sono i club o i luoghi di incontro per gay, rare le associazioni per la difesa dei loro diritti. Eppure qualcosa si muove anche in Africa (per esempio in Kenya e Camerun). Negli ultimi anni la questione omosessuale ha guadagnato visibilità anche grazie alla breccia aperta sui temi della sessualità da parte delle campagne internazionali contro l’Aids. Parlando di malattie sessualmente trasmissibili si parla di sessualità. Ce lo conferma Mathilde Chevalier, della Commissione Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) di Amnesty Intenational: “Spesso è così che le associazioni operano in Africa, dove è raro che vengano create specifiche organizzazioni per la depenalizzazione dell’omosessualità. Si lavora su entrambe le questioni, Aids e omofobia.

Questa è anche la politica dell’Onu: far passare il messaggio che, se si criminalizza l’omosessualità, si danneggiano le politiche di lotta all’Aids. In America Latina, invece, sono nate associazioni specifiche, Lgbt, come in Honduras”.
Continuano, però, a mancare riconoscimento e visibilità per le lesbiche: “Fantasmi più degli altri” spiega Chevalier, dal momento che le campagne anti-Hiv stimolano l’uscita dall’ombra soprattutto di uomini.

D’altra parte anche le leggi ignorano talvolta l’omosessualità femminile, penalizzando di più quella maschile: dei 78 Paesi con leggi anti-gay, solo 44 fanno riferimento alle relazioni tra donne.

Dove non esistono associazioni cui rivolgersi, ognuno si arrangia come può. “Sono andato a trovare l’imam, per parlargli della mia sessualità, all’epoca in cui, ancora adolescente, la odiavo” racconta un ragazzo di 27 anni di Dubai. “Vuole sapere la sua risposta? ‘Andrai all’inferno e brucerai per sempre’. In quel momento, me ne ricordo bene, mi sono alzato e gli ho detto: “Se brucerò all’inferno, sarà là che ci troveremo”.

In Uganda tutte le chiese ci danno la caccia
di Francesca Marretta

Kampala
“Sono un virus, se non li fermiamo infetteranno la nostra gioventù”. Robert Sonko fa il tassista e quando parla dei gay alza il sopracciglio fissandoti dallo specchietto retrovisore con l’aria di uno che sa il fatto suo. Fa lo slalom tra le buche nelle strade trafficate al centro di Kampala e tra un balzo e l’altro dell’auto, aggiunge: “Per me non è essenziale mandarli a morte. Cinque anni di galera possono bastare per rieducarli, ma molti non sono tolleranti come me”.

In Uganda chiese evangeliche di esportazione statunitense, dove, nelle prediche domenicali, si confonde volutamente la pedo-pornografia con l’omosessualità, è in corso una crociata contro i “diversi”. Per lo stesso presidente della Repubblica Yoweri Museveni, essere gay è “un atteggiamento anti-africano”. Non soprende quindi che la proposta di legge, che chiede l’introduzione della pena di morte per il reato di “omosessualità aggravata”, arrivi dal partito di governo.
Cinquecentomila firme raccolte on line non sono bastate per far ritirare la legge.

Secondo la rugbista Warry Ssenfuka, detta Bighi, direttrice di Freedom and Roam Uganda, organizzazione per i diritti di gay e Lbti (la “i” sta per intersex), la legge “non passerà, ma solo perché Usa ed Europa minacciano di tagliare gli aiuti”.
Se i gay d’Uganda eviteranno il boia grazie alle pressioni del portafogli di Washington, dovranno comunque battersi a lungo contro le false credenze diffuse su di loro.

“Dicono che andiamo in giro a fare proseliti” aggiunge Bighi, 26 anni, che ha subito anche lei questa accusa e ha penato per farsi accettare nel suo rugby club. “Il peggio è che credono di poterci ‘salvare’”. Non solo con le prediche: lo stupro rieducativo dei gay da parte di famigliari o amici è pratica diffusa in Uganda, come in Sudafrica.

LE LEGGI

Libano
Articolo 534: ogni relazione sessuale contro natura è punta con il carcere per la dura minima di un mese e fino a un anno.

Egitto
I rapporti omosessuali tra adulti consenzienti che avvengono in privato non sono vietati. Ma la legge 10/1961 contro la prostituzione, come pure l’articolo 278 sugli atti pubblici impudichi, sono stati utilizzati in questi ultimi anni per arrestare, incriminare e condannare gli omosessuali.

Iran
Articolo 110: la pena per la sodomia è la morte. Il giudice della sharia decide il tipo di esecuzione. Articolo 111: la sodomia determina la pena di morte nell’ipotesi in cui la persona attiva nell’atto sessuale sia la passiva siano mature, sane di spirito e agiscano volontariamente.

Liberia
Sezione 14.74: la “Sodomia volontaria” costituisce un’infrazione derivante dal coinvolgimento in un “rapporto sessuale deviato”. L’infrazione è catalogata come reato di primo grado.

Algeria
Articolo 338: chi commette atti omosessuali è unito con il carcere da due mesi fino a due anni e con una multa da cinquecento a duemila dinari algerini.

Botswana
Articolo 164: ogni individuo che abbia una relazione carnale contro l’ordine naturale con altro individuo o con un animale o che permette ad altra persona di avere relazioni carnali contro l’ordine naturale con lui o lei, commette reato ed è soggetto ad una pena massima di 7 anni di carcere.

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