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Martedì, 20 Aprile, 2010 - 14:28

Condannati - in 78 Paesi essere gay vuol dire la galera. E, in 7, il patibolo

20/04/2010 - Francesca Ghirardelli

 fonte: www.arcigay.it

CONDANNATI
La mappa del terrore: in 78 Paesi essere gay vuol dire la galera. E, in 7, il patibolo
di Francesca Ghirardelli - Il Venerdì di Repubblica - 16 aprile 2010

Parigi. Ogni giorno lo si vede percorrere il suo giardino per verificare che tutto vada bene. Progetta nuove opere di giardinaggio. Ha 25 anni, vive da solo, si accontenta di andare a lavorare e tornare a casa la sera. Nessuno dei vicini sospetta che, invece, conduca anche un’altra vita, per cui rischia fino a sette anni di carcere, per il fatto di essere un omosessuale in Botswana.

A oltre seimila chilometri da lì, un trentottenne di Teheran scrive: “Sono un iraniano gay rinchiuso fra quattro mura disgustose: legge, cultura, famiglia e religione”. Se lo scoprissero, per lui ci sarebbe la pena di morte.

Atto contro l’ordine naturale indecente, atto impudico, abominevole, sodomia. Tanti modi diversi di chiamare l’omosessualità nei codici penali di ogni latitudine, tante pene diverse per punirla: multe in denaro, prigione, lavori forzati, condanna a morte, anche con la lapidazione pubblica.

In 78 Paesi, sui 242 nel mondo, l’omosessualità è un crimine. In sette la si punisce con la pena capitale: succede in Mauritania, Sudan, Yemen, Arabia Saudita, in Iran e in alcune regioni di Somalia e Nigeria, dove vige la svaria, la legge cranica.

Luoghi dove non esiste quasi mai un movimento per i diritti gay, dove è difficile sentire la voce di rischia la pelle.
“In tutti i nostri scambi on line, la paura dominava sempre” racconta Philippe Castebon, giornalista e fotografo francese, curatore di Les condamnés, preziosa raccolta di testimonianza dirette sul tema.

Iscrivendosi ai siti web per incontri gay, è riuscito a mettersi in contatto con uomini omosessuali che vivono in Paesi dove l’omosessualità è reato. A loro ha chiesto di inviargli un autoritratto fotografico e una testimonianza scritta. Alla fine si è trovato fra le mani una mappa vivente della criminalizzazione dell’omosessualità, niente nomi, ma molte vite: “Non è uno studio sull’omofobia nel mondo, sono uomini che parlano in prima persona di sé” ci spiega nel salone della Terza Municipalità di Parigi, dove ha allestito la mostra con le testimonianze raccolte.

“Nei siti internet per gay gli utenti di solito pubblicano immagini in cui non si possa riconoscere la loro identità, dove ad esempio manca la testa. Da qui l’idea di chiedere ai miei interlocutori di scattarsi una foto appositamente per il progetto. Ho chiesto di mandarmi anche un testo scritto e la frase ‘nel mio Paese, la mia sessualità è un crimine’ tradotta nella loro lingue”.
Nell’arco di un anno, dal novembre 2008 a quello del 2009, Castetbon ha contattato oltre seicento uomini. Cinquantuno hanno risposto.

“A ciascuno ho presentato il progetto, l’idea della mostra e di un libro fotografico. Ho passato molto tempo a rassicurare ciascuno di loro. Con un ragazzo libico ho discusso sette mesi e alla fine m’ha detto: ‘Ho troppo paura’. Mi ha inviato un testo, ma non la sua immagine”.

Di paura parlano in molti nelle testimonianze raccolte da Castetbon: per l’iracheno, un uomo di 32 anni di Bagdad, “righe, pagine intere o anche libri non potrebbero descrivere l’accumularsi di decenni di paura e angoscia”. Praticamente tutti vivono di nascosto.

“In Arabia Saudita si può essere gay solo in segreto” scrive un venticinquenne da Ryad. “Per condurre questa vita nascosta, ti devi sposare con una donna, perché la famiglia ti forza a farlo. Per amicizia gli uomini si tengono spesso per mano nei Paesi Arabi. Questo mi permette di camminare stringendo la mano del mio compagno e la gente non dice niente”.

Anche dove la legge non è applicata, il rischio permane e arriva dalla strada. È il caso della Giamaica: “Un Paese terribile” dice Castetbon, “ci sono uccisioni di omosessuali ogni anno. E la pressione sociale è fortissima”.

Internet può fare la differenza, pur virtuale, in un’esistenza che altrimenti sarebbe soffocata. “È una finestra, un luogo di scambio, con la speranza folle di innamorarsi, di vivere un’altra vita. Per il ragazzo che mi ha scritto dall’India, trovare on line uomini come lui è stata una rivelazione. Si è reso conto di non essere solo”.

In questi Paesi, pochi sono i club o i luoghi di incontro per gay, rare le associazioni per la difesa dei loro diritti. Eppure qualcosa si muove anche in Africa (per esempio in Kenya e Camerun). Negli ultimi anni la questione omosessuale ha guadagnato visibilità anche grazie alla breccia aperta sui temi della sessualità da parte delle campagne internazionali contro l’Aids. Parlando di malattie sessualmente trasmissibili si parla di sessualità. Ce lo conferma Mathilde Chevalier, della Commissione Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) di Amnesty Intenational: “Spesso è così che le associazioni operano in Africa, dove è raro che vengano create specifiche organizzazioni per la depenalizzazione dell’omosessualità. Si lavora su entrambe le questioni, Aids e omofobia.

Questa è anche la politica dell’Onu: far passare il messaggio che, se si criminalizza l’omosessualità, si danneggiano le politiche di lotta all’Aids. In America Latina, invece, sono nate associazioni specifiche, Lgbt, come in Honduras”.
Continuano, però, a mancare riconoscimento e visibilità per le lesbiche: “Fantasmi più degli altri” spiega Chevalier, dal momento che le campagne anti-Hiv stimolano l’uscita dall’ombra soprattutto di uomini.

D’altra parte anche le leggi ignorano talvolta l’omosessualità femminile, penalizzando di più quella maschile: dei 78 Paesi con leggi anti-gay, solo 44 fanno riferimento alle relazioni tra donne.

Dove non esistono associazioni cui rivolgersi, ognuno si arrangia come può. “Sono andato a trovare l’imam, per parlargli della mia sessualità, all’epoca in cui, ancora adolescente, la odiavo” racconta un ragazzo di 27 anni di Dubai. “Vuole sapere la sua risposta? ‘Andrai all’inferno e brucerai per sempre’. In quel momento, me ne ricordo bene, mi sono alzato e gli ho detto: “Se brucerò all’inferno, sarà là che ci troveremo”.

In Uganda tutte le chiese ci danno la caccia
di Francesca Marretta

Kampala
“Sono un virus, se non li fermiamo infetteranno la nostra gioventù”. Robert Sonko fa il tassista e quando parla dei gay alza il sopracciglio fissandoti dallo specchietto retrovisore con l’aria di uno che sa il fatto suo. Fa lo slalom tra le buche nelle strade trafficate al centro di Kampala e tra un balzo e l’altro dell’auto, aggiunge: “Per me non è essenziale mandarli a morte. Cinque anni di galera possono bastare per rieducarli, ma molti non sono tolleranti come me”.

In Uganda chiese evangeliche di esportazione statunitense, dove, nelle prediche domenicali, si confonde volutamente la pedo-pornografia con l’omosessualità, è in corso una crociata contro i “diversi”. Per lo stesso presidente della Repubblica Yoweri Museveni, essere gay è “un atteggiamento anti-africano”. Non soprende quindi che la proposta di legge, che chiede l’introduzione della pena di morte per il reato di “omosessualità aggravata”, arrivi dal partito di governo.
Cinquecentomila firme raccolte on line non sono bastate per far ritirare la legge.

Secondo la rugbista Warry Ssenfuka, detta Bighi, direttrice di Freedom and Roam Uganda, organizzazione per i diritti di gay e Lbti (la “i” sta per intersex), la legge “non passerà, ma solo perché Usa ed Europa minacciano di tagliare gli aiuti”.
Se i gay d’Uganda eviteranno il boia grazie alle pressioni del portafogli di Washington, dovranno comunque battersi a lungo contro le false credenze diffuse su di loro.

“Dicono che andiamo in giro a fare proseliti” aggiunge Bighi, 26 anni, che ha subito anche lei questa accusa e ha penato per farsi accettare nel suo rugby club. “Il peggio è che credono di poterci ‘salvare’”. Non solo con le prediche: lo stupro rieducativo dei gay da parte di famigliari o amici è pratica diffusa in Uganda, come in Sudafrica.

LE LEGGI

Libano
Articolo 534: ogni relazione sessuale contro natura è punta con il carcere per la dura minima di un mese e fino a un anno.

Egitto
I rapporti omosessuali tra adulti consenzienti che avvengono in privato non sono vietati. Ma la legge 10/1961 contro la prostituzione, come pure l’articolo 278 sugli atti pubblici impudichi, sono stati utilizzati in questi ultimi anni per arrestare, incriminare e condannare gli omosessuali.

Iran
Articolo 110: la pena per la sodomia è la morte. Il giudice della sharia decide il tipo di esecuzione. Articolo 111: la sodomia determina la pena di morte nell’ipotesi in cui la persona attiva nell’atto sessuale sia la passiva siano mature, sane di spirito e agiscano volontariamente.

Liberia
Sezione 14.74: la “Sodomia volontaria” costituisce un’infrazione derivante dal coinvolgimento in un “rapporto sessuale deviato”. L’infrazione è catalogata come reato di primo grado.

Algeria
Articolo 338: chi commette atti omosessuali è unito con il carcere da due mesi fino a due anni e con una multa da cinquecento a duemila dinari algerini.

Botswana
Articolo 164: ogni individuo che abbia una relazione carnale contro l’ordine naturale con altro individuo o con un animale o che permette ad altra persona di avere relazioni carnali contro l’ordine naturale con lui o lei, commette reato ed è soggetto ad una pena massima di 7 anni di carcere.