realizzare i diritti umani delle donne
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Questo brano tratto dal rapporto di una missione di Amnesty International costituisce una eloquente testimonianza dell’enorme differenza che intercorre fra la retorica sui diritti umani delle donne e la realtà dell’esperienza quotidiana di tante donne. Rappresenta anche un esempio limite dell’incapacità del sistema giuridico dei diritti umani, in casi troppo numerosi, di assicurare l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali delle donne.
Questa incapacità è dovuta almeno in parte al fatto che l’applicazione alle donne del diritto internazionale sui diritti umani è spesso fraintesa o interpretata in maniera troppo riduttiva. In particolare, si ritiene a volte erroneamente gli Stati debbano essere considerati responsabili per atti lesivi dei diritti delle donne soltanto quando tali atti siano stati compiuti direttamente da agenti o funzionari dello Stato. La tutela che fornisce la giurisprudenza sui diritti umani è invece molto più ampia. Esiste una chiara responsabilità degli Stati in base al diritto internazionale, che si estende al di là delle violazioni commesse da chi agiva a nome dello Stato e dei suoi organi.
In occasione della revisione quinquennale sulla realizzazione della Piattaforma d’azione di Pechino, Amnesty International pubblica questo rapporto come contributo per rafforzare il sistema di tutela dei diritti umani delle donne. È essenziale che ci sia una migliore comprensione da parte degli Stati, e delle donne stesse, se vogliamo che le donne di tutto il mondo siano in grado di rivendicare pienamente e liberamente i loro diritti.
Nel 1995, oltre 17.000 delegati/e che rappresentavano i governi e la società civile di tutto il mondo, fra cui gruppi di donne e organizzazioni non governative (ONG), si sono riunite a Pechino, per una Conferenza mondiale sui progressi compiuti per raggiungere «gli obiettivi di eguaglianza, pace e sviluppo per tutte le donne di tutto il mondo, nell’interesse di tutta l’umanità».
La Dichiarazione di Pechino, che insieme alla Piattaforma d’azione costituisce il documento finale della Quarta conferenza mondiale sulle donne, ha confermato la Dichiarazione della Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna (1993) secondo cui i «diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali». La Dichiarazione di Pechino ha sottolineato che l’esercizio eguale e completo di tutti i diritti umani da parte delle donne dovrà essere una priorità per i governi e per le Nazioni Unite. Ponendo in primo piano i diritti umani delle donne, le due Conferenze mondiali hanno sottolineato l’esigenza di affrontare le violazioni dei diritti umani delle donne, ovunque si verifichino, chiunque ne sia responsabile. Ciò vuol dire prendere atto del fatto che la responsabilità degli stati in base al diritto internazionale comprende anche le violazioni commesse da individui o gruppi privati, e che gli stati hanno una responsabilità precisa di intervenire in maniera efficace per porre fine alle violazioni dei diritti umani delle donne.
Per tradurre le promesse di Pechino in realtà, la Piattaforma d’azione di Pechino sollecitava gli stati ad adempiere ai loro obblighi in base al diritto internazionale, e sollecitava altresì le organizzazioni internazionali, in particolare il sistema dell’Onu e le Ong, a fare la loro parte. In base al diritto internazionale esiste una responsabilità precisa degli Stati, che si estende al di là delle violazioni commesse da chi agisce per conto dello Stato e i suoi organi, quali ad esempio la polizia, i militari e le forze di sicurezza. L’applicazione alle donne del diritto internazionale sui diritti umani è spesso fraintesa o interpretata in maniera troppo restrittiva. In particolare, a volte la responsabilità degli Stati per atti che infrangono i diritti delle donne è percepita erroneamente come una responsabilità che vale soltanto quando i responsabili effettivi degli atti in questione sono agenti o funzionari dello Stato stesso.
I. Il diritto internazionale dei diritti umani: cos’è e come si applica alle donne
La Carta dell’Onu dichiara che "l’eguaglianza dei diritti fra uomini e donne", "la dignità e il valore della persona umana" e la realizzazione dei diritti umani fondamentali sono i principi essenziali dell’Onu e gli obiettivi di tale organizzazione. Tali principi sono stati meglio esplicitati con l’adozione di standard giuridici internazionali e trattati vincolanti che illustrano gli obblighi dei governi di tutelare i diritti umani degli individui che vivono entro il loro territorio e sono sottoposti alla loro giurisdizione "senza distinzione di alcun genere". In realtà, il diritto alla non discriminazione è talmente fondamentale da essere uno dei diritti per cui non esiste possibilità di deroga, in nessuna circostanza.
Tali trattati e standard giuridici, e i meccanismi e le istituzioni creati per tradurli in pratica, costituiscono il sistema giuridico internazionale dei diritti umani, che vale in eguale misura per uomini e donne. Tale sistema internazionale intende garantire l’attuazione dei diritti umani nei sistemi nazionali degli stati, e verificarne l’attuazione con meccanismi operanti in ambito nazionale.
I trattati fondamentali sui diritti umani che derivano dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (UDHR) includono:
• la Convenzione sulla eliminazione della discriminazione razziale (CERD)
• il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR);
• il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) e i suoi due Protocolli Aggiuntivi;
• la Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convenzione delle donne) e il suo Protocollo Aggiuntivo;
• la Convenzione contro la tortura (CAT);
• la Convenzione sui diritti dell’infanzia (CRC).
Oltre a costituire un contratto fra gli stati, i trattati sui diritti umani costituiscono anche un quadro generale dei diritti che i singoli individui hanno facoltà di rivendicare a livello nazionale e, in alcuni casi, a livello internazionale. Tali trattati specificano gli obblighi di cui si fa carico lo stato allorché ratifica il trattato in questione, oppure accetta di essere vincolato da tale trattato.
I trattati sui diritti umani illustrano gli obblighi dello stato e in particolare il dovere di:
• promuovere tali diritti,
• assicurare tali diritti per tutti/e e tradurli in strategie e interventi politici,
• prevenire violazioni dei diritti previsti dalla Convenzione e
• fornire riparazioni alle vittime, qualora i loro diritti venissero violati.
Tali obblighi devono essere rispettati non soltanto in relazione ad atti compiuti da singoli individui che agiscono per conto dello stato o su sua istigazione o con il suo consenso o la sua acquiescenza, ma con riferimento a qualsiasi atto compiuto da individui, gruppi o istituzioni che sia lesivo dei diritti di altre persone.
Alcuni trattati internazionali e standard giuridici sono riferiti specificamente alle donne, ad esempio la Convenzione delle donne, il Protocollo aggiuntivo della Convenzione delle donne e la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne. Comunque, ognuno dei trattati sui diritti umani e il quadro generale dei diritti umani valgono e sono di fondamentale importanza per la realizzazione dei diritti umani delle donne.
A causa della subordinazione storica delle donne, molte leggi, politiche e consuetudini, vincolano la vita delle donne e ne ostacolano la piena partecipazione alla vita pubblica. Pertanto, spesso le donne subiscono abusi non soltanto per mano di funzionari dello stato, ma per mano di individui a loro noti: datori di lavoro, partner, mariti, familiari o vicini. Applicare il diritto internazionale dei diritti umani senza comprendere la responsabilità dello stato in merito agli abusi commessi da questi attori privati equivarrebbe a privare le donne della tutela e dei rimedi necessari per la maggior parte degli abusi subiti. Il diritto internazionale dei diritti umani non tace riguardo a tale abusi, ed indica una precisa responsabilità da parte dello stato. Ma troppo spesso tale responsabilità è stata ignorata e fraintesa, o semplicemente è rimasta un concetto astratto. Eppure, tale responsabilità costituisce parte essenziale della tutela che il sistema dei diritti umani intende fornire alle donne.
2. Rispettare, tutelare e realizzare: la responsabilità degli stati in base al diritto internazionale sui diritti umani
Gli obblighi degli stati in base al diritti internazionale sui diritti umani sono spesso classificati in tre categorie: «rispettare, tutelare, realizzare» .
L’obbligo di rispettare riguarda direttamente ciò che il governo fa tramite i suoi organismi, i suoi agenti e le strutture giuridiche. Esiste una norma costituzionale sulla eguaglianza fra uomini e donne in tutti i settori? La legge limita alcuni lavori soltanto agli uomini? La violenza sessuale e l’estorsione di denaro a danno delle prostitute è prassi costante di alcuni agenti dello Stato, ad esempio la polizia, che agiscono con la certezza dell’impunità? Lo stato costringe le donne a farsi sterilizzare nell’ambito di una politica di controllo demografico? Lo stato nega informazioni sulla contraccezione alle adolescenti, per rispettare una posizione culturale o religiosa dominante?
Lo stato è anche tenuto a tutelare i diritti umani delle donne. Tale principio "richiede allo stato e ai suoi agenti le misure necessarie ad impedire che altri individui o gruppi violino la integrità, la libertà d’azione e altri diritti umani dell’individuo". In base a tale obbligo, lo stato si impegna, ad esempio, a prevenire atti di discriminazione sia diretta che indiretta nei confronti delle donne. Ciò può comprendere la prevenzione di atti discriminatori che impediscono alle donne e alle bambine di andare a scuola consentendo che le molestie sessuali procedano senza ostacoli, o garantire che una donna non sia privata della parità di diritto al lavoro dando al marito il potere di veto sul contratto di lavoro della moglie.
L’obbligo di realizzare "richiede che lo stato prenda le misure necessarie ad assicurare, per ogni persona sotto la sua giurisdizione, le possibilità di ottenere soddisfazione di quei bisogni, sanciti negli strumenti sui diritti umani, che non possono essere realizzati con il semplice impegno personale". È un obbligo di ampia portata, che va dal fornire un ambiente sano e acqua potabile, a sostenere in senso generale le condizioni necessarie per costituire e far funzionare le Ong delle donne.
3. Le responsabilità degli stati per le violazioni commesse da parte di attori non statali
Tradizionalmente, il diritto pubblico internazionale si occupava soprattutto dei governi o degli stati nazionali; comunque, non si è mai incentrato esclusivamente sugli stati. Ad esempio, i trattati internazionali per l’eliminazione della schiavitù proibivano le azioni di individui quali i trafficanti di schiavi. Ma la necessità di andare oltre lo stato o i suoi agenti come soggetto primario del diritto internazionale e unico attore possibile in grado di nuocere al godimento dei diritti umani di altri, richiede un termine che sia in grado di cogliere i moltissimi tipi differenti di "individui, gruppi o istituzioni" che con il loro comportamento, le loro azioni o il loro intervento possono avere un effetto sui diritti umani e di cui possono essere chiamati direttamente a rispondere dinanzi al sistema internazionale, o di cui dovrà rispondere il loro governo.
L’espressione "attore non statale" copre persone e organizzazioni che agiscono al di fuori dello stato, dei suoi organi e dei suoi agenti. Non è limitata alle persone, dato che alcuni responsabili di violazioni dei diritti umani sono società o altre strutture del mondo finanziario, come dimostra lo studio sull’impatto che hanno sui diritti umani la produzione di petrolio o lo sviluppo di centrali energetiche. D’altro canto, in alcuni casi la responsabilità dello Stato inizia con l’atto di un singolo individuo – ad esempio il marito violento che stupra la moglie e non può essere processato perché la legge di quel paese considera un reato soltanto la violenza extraconiugale.
In base al diritto internazionale, lo stato ha chiare responsabilità per le violazioni dei diritti umani commesse da attori non statali. In sede internazionale, lo stato è responsabile in diversi modi specifici. Può essere ritenuto responsabile di aver commesso la violazione dei diritti umani a causa di una forma specifica di collegamento con gli attori non statali; oppure può essere responsabile per non aver preso le misure ragionevoli necessarie per prevenire o riparare una violazione.
Lo stato può essere considerato responsabile allorché fa affidamento su qualcuno o qualcosa per effettuare un’azione che rientra nell’ambito delle sue competenze statali. Ad esempio, soltanto un governo può legittimamente privare una persona della sua libertà. Comunque, gli stati sempre più spesso delegano i poteri di polizia e di detenzione a organizzazioni private, e molte donne in vari casi hanno subito violenza sessuale e altre forme di violenza sessista, o si sono viste negare assistenza adeguata per la loro salute fisica e mentale. In questi casi, non esiste alcun dubbio che lo stato non può sottrarsi alle sue responsabilità delegandole ad altri. Considerando l’assistenza sanitaria e la casa, il Comitato sulla eliminazione della discriminazione razziale ha osservato che la tutela dei diritti «può essere realizzata in forme differenti, sia attraverso istituzioni pubbliche che tramite le attività di istituzioni private. In ogni caso, è obbligo dello stato firmatario in questione garantire l’efficace attuazione della Convenzione (...). Nella misura in cui le istituzioni private influenzano l’esercizio dei diritti o la disponibilità delle opportunità, lo stato firmatario è tenuto a garantire che il risultato di tali azioni non abbia né lo scopo né l’effetto di creare o perpetuare la discriminazione razziale».
Lo stato può essere responsabile allorché ha partecipato in qualche modo a violazioni commesse da altri, o le ha sostenute. La Convenzione contro la tortura, ad esempio, stabilisce la responsabilità dello stato per un atto di tortura allorché "tale dolore o sofferenza viene inflitto da o su istigazione di, o con il consenso o con l’acquiescenza di, un pubblico ufficiale o altra persona che agisca in veste ufficiale" [Articolo 1]. Quando si è in presenza del consenso o della acquiescenza di uno Stato? Amnesty International ha descritto casi in cui le autorità ufficiali hanno evitato con tale costanza di perseguire e processare alcuni crimini, da configurare un atteggiamento permissivo deliberato. Altre Ong hanno documentato la prassi costante di corrompere la polizia o le guardie di frontiera, che serviva a costringere le donne a lavorare in condizioni di super-sfruttamento, in alcuni casi costringendole con la forza a tornare in tali situazioni da cui erano fuggite.
Lo stato può essere responsabile allorché non fornisce rimedi efficaci. In base al diritto internazionale, è un obbligo fondamentale dello stato fornire rimedi efficaci per le violazioni dei diritti umani, a prescindere dalla identità del trasgressore. I principi generali illustrano quali sono i "rimedi effettivi", in particolare il fatto che il rimedio deve corrispondere alla natura e alla gravità del danno (criterio di proporzionalità); deve essere accessibile senza discriminazione delle persone danneggiate (questo spesso richiede misure concrete da parte dello stato per raggiungere gruppi emarginati, ad esempio fornire servizi legali in aree rurali o in lingue locali). Un rimedio efficace presenta molti aspetti specifici legati alla differenza di genere: uomini e donne hanno eguali diritti e capacità nella vita reale di far valere i propri diritti in tribunale? La testimonianza di una donna ha lo stesso peso, de iure e de facto, di quella di un uomo? La natura del rimedio previsto è sufficiente e appropriata a riparare il danno subito dalla donna?
4. Come funziona la responsabilità dello stato per le violazioni commesse da attori non statali.
Il criterio della debita diligenza
Il diritto internazionale ha elaborato numerose teorie per considerare lo stato responsabile delle violazioni commesse da attori non statali, dato che si presentano tipi molto diversi di relazioni fra i trasgressori e lo stato stesso. Il criterio consolidato della debita diligenza (elaborato tramite la pratica statuale, e anche in base agli impegni globali assunti nelle conferenze mondiali, in particolare nella conferenza di Pechino) permette di valutare se uno stato ha agito con un impegno e una volontà politica sufficiente per adempiere ai propri obblighi in materia di diritti umani .
In base a tale obbligo, gli stati devono prevenire, indagare e punire gli atti lesivi di uno qualunque dei diritti sanciti dal diritto internazionale sui diritti umani. Inoltre, se possibile, gli stati devono tentare di ripristinare il diritto violato e fornire un indennizzo adeguato per i danni che ne sono derivati. Il criterio della debita diligenza è stato esplicitamente incorporato nei documenti delle Nazioni Unite quali la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, che afferma che gli stati dovranno «esercitare debita diligenza per prevenire, indagare e, conformemente alla legislazione nazionale punire gli atti di violenza contro le donne, sia che siano stati perpetrati dallo stato o da privati». In misura sempre crescente i meccanismi dell’Onu che controllano l’attuazione dei trattati sui diritti umani, gli esperti indipendenti dell’Onu e i sistemi di Tribunali a livello sia nazionale che regionale si rifanno a questo concetto della debita diligenza come metro di giudizio, soprattutto per valutare se gli stati hanno ottemperato ai loro obblighi di tutelare l’integrità fisica delle persone.
Il concetto di debita diligenza torna utile per descrivere il livello minimo di azione e di impegno che uno stato è tenuto a dimostrare per adempiere alla sua responsabilità di proteggere gli individui da violazioni dei loro diritti. Ad esempio, uno stato non può sottrarsi alla responsabilità relativa al maltrattamento delle lavoratrici domestiche sostenendo che il reato si è verificato nella privacy della casa del datore di lavoro, o che è giustificato da prassi sociali e culturali diffuse. Lo stato ha a sua disposizione una vasta gamma di misure per garantire il rispetto dei diritti di uomini e donne; non si prescrive una linea d’azione univoca. Si esamina la prassi statuale nei diversi sistemi giuridici, economici e culturali, si sviluppa un consenso sulle misure chiave necessarie per realizzare questa norma e si valuta la adeguatezza delle scelte effettuate dagli stati, e in particolare il modo in cui essi hanno utilizzato le proprie risorse. Per quanto riguarda la violenza contro le donne, le misure che dovrebbero essere prese dagli stati sono indicate nei commenti conclusivi degli organi sull’applicazione dei trattati in risposta a rapporti specifici dei vari stati, nella dichiarazione dell’Onu sulla violenza contro le donne e nella Piattaforma d’azione della quarta Conferenza mondiale sulle donne.
La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne è stata adottata dall’Assemblea generale dell’Onu il 20 dicembre 1993. Essa afferma che gli stati sono tenuti a: «(d) introdurre nella legislazione nazionale sanzioni penali, civili, amministrative e relative al diritto del lavoro, per punire e porre rimedio ai torti fatti alle donne che hanno subito violenza; le donne che hanno subito violenza dovranno avere accesso alla giustizia e, in conformità con quanto previsto dalla legislazione nazionale, dovranno avere accesso a rimedi giusti ed efficaci a fronte del danno patito. Gli Stati dovranno anche informare le donne dei loro diritti a ottenere giustizia tramite tali meccanismi; ... (f) elaborare, in modo ampio e articolato, misure preventive e tutte le disposizioni di natura giuridica, politica, amministrativa e culturale atte a promuovere la tutela delle donne da ogni forma di violenza, ed assicurarsi che tali episodi di violenza non abbiano a ripetersi, a causa di leggi insensibili a considerazioni legate alla differenza di genere, dei sistemi di applicazione delle leggi o di altri interventi; (g) attivarsi per far sì che, nella misura massima possibile alla luce delle loro risorse disponibili e, se necessario, operando nell’ambito della cooperazione internazionale, le donne che hanno subito violenza e, se del caso, i loro figli ricevano assistenza specializzata, quale la riabilitazione, assistenza nella cura e nel mantenimento della prole, servizi terapeutici e di assistenza psicologica, servizi e programmi sanitari e sociali e anche strutture di supporto; ... (i) prendere provvedimenti per garantire che i funzionari di polizia e i pubblici ufficiali responsabili di applicare le politiche per prevenire, indagare e punire la violenza contro le donne, ricevano una formazione che li renda consapevoli e sensibili alle necessità delle donne».
Come tutti i principi del diritto internazionale, gli atti specifici inclusi nei concetti di debita diligenza possono svilupparsi e articolarsi meglio attraverso la prassi statuale, le decisioni dei tribunali (giurisprudenza), e le opinioni degli esperti. Ad esempio, governi, Ong e gli esperti indipendenti del sistema dei diritti umani dell’Onu hanno stabilito che nel valutare se uno stato ha ottemperato al suo dovere di tutelare tutte le persone da violazioni della loro integrità fisica è doveroso tener conto degli abusi subiti dalle persone a causa del loro sesso, o delle tutele legali negate alle donne a causa della loro vita sessuale.
5. Responsabilità diretta degli attori non statali
Limiti della responsabilità statale.
Il diritto umanitario internazionale vige per quanto riguarda anche il comportamento delle parti nei conflitti armati. Il contesto giuridico generale dei diritti umani internazionali si può applicare anche allo stato e a tutti i suoi agenti – ivi compresi le forze di sicurezza – in situazioni di conflitto armato. In base ad entrambe le fonti giuridiche, lo stato è responsabile delle azioni di gruppi armati operanti in associazioni o tollerati dallo stato stesso – si pensi ad esempio ai gruppi paramilitari, alle milizie, agli squadroni della morte o ai vigilantes. Ma a un certo punto diventa più difficile considerare lo stato responsabile delle azioni di gruppi armati – a che punto finisce la responsabilità dello stato, e quali sono i criteri che regolano il comportamento dei gruppi armati? Il problema dei limiti della responsabilità dello stato in merito a reati commessi da gruppi armati è oggetto di intenso dibattito. I commentatori sottolineano che il principio generale deve essere che nessun reato, a prescindere dalla “casella” di diritto internazionale in cui rientra la natura del conflitto (tempo di pace, conflitto armato internazionale, conflitto armato interno, lotta civile etc.) sarà considerato estraneo ai meccanismi di responsabilità e di risposta.
La responsabilità per abusi specificamente diretti contro le donne commessi durante i conflitti armati, quali la schiavitù e la violenza sessuale, è stata riconosciuta sempre più frequentemente dal diritto internazionale. Gli attori non statali partecipanti a un conflitto armato interno o internazionale vengono ritenuti responsabili di tali reati. Il Relatore speciale dell’Onu sullo stupro sistematico, la schiavitù sessuale e prassi simili alla costrizione in schiavitù durante un conflitto armato ha osservato che il rapimento, la riduzione in schiavitù, i matrimoni temporanei coatti, lo stupro ed altre forme di violenza sessuale commesse da gruppi armati in paesi quali l’Algeria, Myanmar, Haiti, Perù, Sierra Leone, Uganda dovranno essere indagati e puniti equamente tramite organismi di diritto internazionale, oltre alle strutture nazionali competenti. Un esempio significativo ci viene dato dall’adozione nel 1998 dello Statuto della Corte penale internazionale. Una volta costituita, la Corte avrà facoltà di assicurare alla giustizia le singole persone che hanno perpetrato questi reati sessisti, senza alcuna differenza fra attori statali e non statali.
Attirando l’attenzione sui casi in cui lo stato manca al suo dovere di proteggere le persone da danni da parte di terzi, e su come può essere ritenuto corresponsabile delle persone che hanno provocato il danno, è importante non perdere di vista la responsabilità della persona che sta all’origine del danno stesso. La responsabilità dello stato deve essere vista in collegamento con altre iniziative miranti a considerare gli attori non statali direttamente responsabili delle violazioni di diritti umani in sede sia nazionale che internazionale. Sviluppi recenti quali la creazione della Corte penale internazionale hanno rafforzato la capacità del diritto internazionale di ritenere i singoli trasgressori direttamente responsabili dei crimini commessi ai sensi del diritto internazionale – genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra – ovunque essi possano essere rintracciati. Ad ogni modo, pur considerando gli stati responsabili in certi periodi di tempo dei reati commessi da attori non statali, è importante continuare a concentrare l’attenzione sull’autore originario del crimine – lo stupratore deve comunque essere sottoposto a un giusto processo e a una giusta punizione e la grande impresa dovrà comunque rendere conto delle sue prassi discriminatorie. Il sistema internazionale dei diritti umani fornisce uno strumento supplementare per ribadire la responsabilità e l’obbligo dei singoli stati di far valere i diritti a livello locale, ma non può sostituirsi ai sistemi nazionali.
Il modo in cui il diritto internazionale tratta i reati commessi da attori non statali è un elemento centrale di interesse di numerosi movimenti che si battono per i diritti umani, ed in particolare di quelli che si occupano dei lavoratori, dei popoli indigeni, dell’orientamento sessuale, delle grandi emergenze sanitarie quali l’HIV/AIDS e dell’ambiente. Anche se questo rapporto si preoccupa essenzialmente della responsabilità degli stati per i reati commessi contro le donne, comprendere la natura di tale responsabilità è di vitale importanza per chiunque voglia sostenere e tutelare appieno tutti i diritti – civili, culturali, economici, politici e sociali – degli uomini e delle donne.
6. Che significato pratico ha per le donne il fatto che lo stato è responsabile dei reati commessi da attori non statali.
In molte zone rurali del mondo, i leader delle comunità locali avvertono le donne che votare è una cosa pericolosa – in particolare, quando è necessario viaggiare per raggiungere i seggi – e che esercitare tale diritto rappresenta un atto di ribellione contro il loro capofamiglia. Quei mariti e quei padri credono che sia accettabile votare loro per conto di tutte le donne del nucleo familiare, e ritengono di avere il diritto di imporre tale sistema con la violenza. In tal caso, affinché una donna possa far valere un diritto civile tradizionale quale il diritto di voto, è necessario ricorrere a misure protettive per impedire la violenza fra le pareti domestiche, modificare l’atteggiamento della comunità locale e porre le donne nelle condizioni di esercitare il loro diritto. È un esempio che serve anche a ribadire il principio fondamentale della indivisibilità dei diritti, del modo in cui i diritti si “intrecciano” fra loro e nell’esistenza delle persone.
Allorché i Treaty bodies valutano l’operato del paese specifico in esame in un trattato specifico, o quando il Relatore speciale dell’Onu sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze, applica un criterio di debita diligenza allo stato in questione, essi considereranno alcuni dei punti seguenti. Lo stato ha limitato direttamente il diritto di voto delle donne, cioè questi capi di comunità rappresentano il governo o svolgono alcune delle sue funzioni nel periodo elettorale? Sono direttamente coinvolti negli atti di violenza, anche per complicità o acquiescenza? In caso negativo, se i leader della comunità locale e gli uomini della famiglia non sono collegati allo stato, quali misure ha preso lo stato per dimostrare il suo impegno a garantire il diritto di voto delle donne e il loro diritto alla sicurezza personale? Lo stato ha promulgato norme e leggi abbastanza forti? Si occupa della formazione dei funzionari locali? Ha indagato sulle proteste delle donne? È in possesso di dati statistici disaggregati per uomini e donne che possano attirare l’attenzione sul fatto che le donne non hanno accesso al voto?
Imputando agli stati la responsabilità dei reati commessi da attori non statali ci si propone di provocare un mutamento nel comportamento degli stati, di sollecitare l’intervento degli stati (ad esempio, indagare sulle proteste per test discriminatori di gravidanza o di sieropositività imposti dai datori di lavoro) o di avviare un programma di azione per una prevenzione più efficace dei reati, ad esempio con corsi di formazione per i giudici riguardo all’interrogatorio dei testimoni e alle forme di violenza sessiste. Nel gergo dei diritti umani internazionali, si parla di “obblighi positivi (positive obligations)”.
Ad esempio, nel caso di incapacità costante dei governi a indagare i casi di violenza domestica con morti “accidentali” di giovani donne appena sposate la cui dote è stata ritenuta troppo modesta, l’obiettivo non è di sostituire un colpevole a un altro (cioè, portare sul banco degli accusati lo stato dell’India, invece del marito e della suocera). Si tratta invece di “dare efficacia a un diritto” – nella fattispecie, il diritto alla sopravvivenza e alla integrità fisica, alla tutela imparziale da parte della legge, e alla libertà dalla paura – costruendo meccanismi di tutela, in particolare di prevenzione (istruzione, interventi di polizia limitati secondo la legge, etc.) come pure d’indagine, accusa in tribunale, giusta punizione e indennizzo. Dichiarare illegale il reato originario che fa scattare la responsabilità dello stato, e mettere in piedi un sistema che dichiari responsabile la persona all’origine del reato stesso (facendo rientrare lo stupro coniugale e la violenza fra le pareti domestiche nell’ambito del codice penale, e inquadrando le discriminazioni in materia di assistenza sanitaria, di alloggi o posti di lavoro chiaramente penalizzanti nelle fattispecie giuridiche più confacenti) fa parte degli obblighi dello stato nella sfera della tutela dei diritti umani.
Per una piena comprensione e adeguata risposta ai reati è necessario anche considerare in che modo il genere interagisce con altri aspetti della identità e con la relazione delle donne con la loro comunità – colore della pelle, età, classe sociale, etnia, identità sessuale (che può comprendere anche l’orientamento sessuale), nazionalità o status di migrante o di rifugiata, ed anche le condizioni sanitarie. Sono molti gli aspetti dell’identità che possono essere oggetto di discriminazione, e il diritto internazionale dei diritti umani ha cominciato a prendere sul serio l’obbligo di esaminare attentamente le loro modalità operative , perché la dinamica della discriminazione incrociata può agire in molti modi diversi, per cui è necessario disporre sia di dati disaggregati in maniera attendibile che di valide analisi. Per comprendere i diritti umani, è di vitale importanza comprendere in che modo i molti tipi di pregiudizio e di intolleranza possono sovrapporsi e rapportarsi a vicenda. Gli obblighi fondamentali dello stato in base ai trattati sui diritti umani di “rispettare, tutelare e realizzare i diritti” coprono tutti i tipi di azioni discriminatorie e di stereotipi culturali – concernenti la razza, il genere, la povertà e l’età – che rendono più probabile il verificarsi di tali azioni.
Un’attenzione specifica per la discriminazione di genere è anche utile a descrivere la portata e la natura della responsabilità statuale di rispondere ad altre forme di prassi discriminatorie. La differenza di genere è presente in tutte le sfere della vita – in famiglia, sul posto di lavoro, al mercato, nella vita pubblica. La consapevolezza delle interrelazioni fra vita pubblica e vita privata è essenziale per comprendere quali misure debba attuare lo stato nei confronti degli attori non statali per garantire a donne e uomini, senza discriminazione alcuna, la gamma completa dei loro diritti.
Infine, tutta la struttura della responsabilità statale richiede un’analisi di genere, altrimenti sarà inevitabilmente poco efficace nel porre fine alle violazioni dei diritti delle donne, in quanto non saprà attuare le misure concrete e specifiche necessarie per affrontare alla radice le cause e i danni legati all’appartenenza di genere.
Un’analisi basata sulla differenza di genere
Ai fini di un’analisi e redazione di rapporti che tengano contro della differenza di genere, occorre esaminare in che modo il genere di appartenenza – i ruoli di uomini e donne così come si articolano nel sociale, nella vita pubblica e privata – incide sul godimento dei diritti umani. Tale analisi prende in considerazione (1) quali sono le condizioni che contribuiscono al verificarsi di violazioni dei diritti, (2) la natura delle violazioni e le forme che assumano, (3) le conseguenze che la violazione o la sua negazione hanno sulla vittima, e (4) la disponibilità e accessibilità di rimedi legali. Ad esempio, se una ragazza di un gruppo etnico di minoranza va in città per trovare lavoro come domestica a casa dei parenti, in che modo le aspettative “culturali” secondo cui le ragazze della sua età e della sua regione sarebbero passive e esenti da infezioni da HIV/AIDS contribuiranno ad aumentare la probabilità di aggressioni, e segnatamente di aggressioni sessuali? Per giunta, la situazione della ragazza rende quanto mai improbabile che si possa lamentare con lo zio che le dà lavoro, oppure che cerchi aiuto all’esterno, rivolgendosi ai vicini o alla polizia. La sua posizione precaria nella città può renderla riluttante a rivolgersi alle autorità, che verosimilmente per tutta risposta la rimanderebbero a casa dello zio.
7. Che cosa si può fare
Prendere coscienza della complessa rete di diritti che costituiscono il sistema dei diritti umani e che si applicano alle donne è il primo passo per far valere tali diritti. Il passo successivo consiste nell’assicurare che tali diritti vengano tradotti in realtà, a livello nazionale, nelle leggi, negli interventi politici, nella pratica e nello stanziamento delle risorse necessarie per la loro attuazione.
Sappiamo per amara esperienza che alla retorica sui diritti umani delle donne assai raramente segue l’azione. Il vostro contributo può essere quello di costituire l’anello di collegamento e la spinta iniziale per cambiare le cose, in famiglia, nel mercato, nella comunità e nello stato. I consigli pratici che seguono sono soltanto una minima parte di quanto è possibile fare per assicurare i diritti umani delle donne. Per altre idee d’intervento e per un approfondimento su questi problemi, si rimanda alla breve bibliografia riportata in calce al testo.
• Accertate quali trattati sui diritti umani sono stati ratificati dal vostro governo, e quando questi è tenuto a presentare un rapporto sulla attuazione di tali trattati. Per informazioni sui trattati ratificati dal vostro governo e le scadenze previste per i rapporti di aggiornamento, rivolgetevi al sito Internet dell’Ufficio dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani: http://www.unhchr.ch/
• Procuratevi copie dei rapporti presentati dal vostro governo agli organi di controllo sull’applicazione dei trattati e verificate se in essi si parla, oppure no, dell’attuazione di quei diritti riguardo alle donne, segnatamente per quanto concerne la responsabilità dello stato per reati commessi da attori non statali. Scrivete un rapporto “ombra” che integri un punto di vista di genere e segnali eventuali défaillances nell’attuazione dei diritti. Presentate tale rapporto al vostro governo e all’organo di controllo in questione. Per ulteriori consigli per la elaborazione di rapporti alternativi, visitate il sito UNIFEM: http://www.unifem.undp.org/in
• Fate campagna per sollecitare il vostro governo a ratificare tutti i trattati sui diritti umani, e sfruttate l’occasione per collaborare con altre organizzazioni non governative per assicurare che nell’attuazione dei diritti umani da parte dello stato venga integrato un punto di vista di genere. Inoltre, sollecitate il vostro governo a ritirare qualsiasi riserva abbia posto ai trattati che ha ratificato.
• Se il vostro governo ha ratificato la Convenzione delle donne, mobilitatevi perché ratifichi anche il suo Protocollo aggiuntivo.
Protocollo aggiuntivo della CEDAW (Optional Protocol della CEDAW)
Il recente Protocollo aggiuntivo della CEDAW prevede fra l’altro un rafforzamento della responsabilità dello stato per i reati commessi da attori non statali. Questo meccanismo di denuncia, adottato dall’Assemblea generale dell’Onu nell’ottobre 1999, consente alle donne di presentare un esposto su presunte violazioni dei loro diritti in base alla Convenzione, ed in particolare denunciare che lo stato è venuto meno al suo dovere di agire per tutelarle da tali abusi. Il Comitato esamina gli esposti, e i suoi pareri – le risposte che fornisce dopo aver raccolto informazioni sia dallo stato in questione che da altre fonti – applicheranno la dottrina della responsabilità dello stato, rifacendosi in parte al criterio della debita diligenza, e ciò può cambiare enormemente le cose nella vita delle donne.
• Fate campagna affinché il vostro governo firmi e ratifichi lo Statuto della Corte penale internazionale (ICC), e affinché vengano adottate a livello nazionale leggi che consentano di portare in giudizio le persone che hanno perpetrato crimini in base al diritto internazionale, con particolare riferimento ai crimini legati alla differenza di genere.
• Studiate le vostre leggi nazionali, onde accertare che siano conformi con la responsabilità dello stato di “rispettare, tutelare e realizzare” i diritti, con particolare riferimento ai reati commessi da attori non statali.
• Esaminate l’operato del vostro governo nel tener fede agli impegni previsti nella Piattaforma d’azione di Pechino, in particolare i piani di azione nazionali, e valutate il loro processo di attuazione.
• Impegnatevi affinché il vostro governo, dando seguito alle raccomandazioni e dichiarazioni delle Conferenze mondiali, ed in particolare alla Conferenza mondiale sul razzismo del 2001, riconosca in maniera adeguata la discriminazione incrociata legata al genere di appartenenza e ad altri fattori di discriminazione.
Il popolo dell'antimafia si organizza
Un “contro” e tanti “per”. Un “contro” scandito a chiare lettere, quello contro tutte le mafie, al quale si legano parimenti tanti piccoli e coraggiosi “per”, percorsi di libertà e cittadinanza, legalità e giustizia, esperienze e proposte che il popolo dell’antimafia civile convocato da don Luigi Ciotti ha elaborato e messo in rete nella tre giorni degli Stati generali dell’antimafia conclusisi formalmente a Roma domenica, ma che di fatto continueranno ad essere portati in tutta Italia con la Carovana nazionale antimafia, giunta ormai alla sua undicesima edizione e che quest’anno ha avuto come prima tappa la città di Latina.
Ecco quindi l’idea di creare un organismo di controllo, un osservatorio sull'informazione in tema di lotta alle mafie che funga al tempo stesso da rete di protezione per quei giornalisti di frontiera che da anni sono costretti a subire censure su censure non appena si trovano ad affrontare, che sia sulla carta stampata o nelle redazioni dei telegiornali, tematiche delicate quali quelle della connivenza tra mafia e politica. Ed al tempo stesso occorre puntare sulla qualità dell’informazione antimafia, regione per regione, si avverte la necessità di garantire approfondimenti costanti sul tema.
A tal proposito durante la prima giornata di lavori il Premier Romano Prodi ha promesso l’impegno del governo affinché sia istituita un’Agenzia nazionale per i beni confiscati, richiesta con forza da don Ciotti al fine da rendere più agile l’iter di assegnazione ed il riutilizzo sociale dei beni.
Anche qui, la bellissima risposta della gente, donne, uomini, giovani e bambini ad inondare con la loro valanga di onestà le strade del centro della città a dimostrazione che le mafie non sono solo un problema delle regioni meridionali ma, al contrario, allungano i loro tentacoli in tutto il territorio nazionale. Un esempio? Nettuno, comune sciolto per condizionamento mafioso. E purtroppo non siamo né a Locri, né a Napoli, né a Palermo, ma alle porte della Capitale.
Lettera aperta di fine anno
a tutti i giovani calabresi ed italiani
di Aldo Pecora
l’anno che ci lasciamo alle spalle, nel bene e nel male, sarà certamente ricordato come uno degli anni più intensi della storia politico-sociale calabrese e nazionale, ma non possiamo permetterci che l’anno che verrà sia un anno fotocopia di questo grigio 2006.
Ora più che mai c’è bisogno di tutti, nessuno escluso. Perché se l’anno che volge al termine è stato quello della “coscientizzazione”, il 2007 o sarà l’anno della concretizzazione degli impegni e della partecipazione collettiva di noi tutti al riscatto della nostra povera Calabria o tanto vale ritornare egoisticamente alle sole nostre occupazioni quotidiane.
Come dire: i giovani, bella risorsa ma per ora meglio lasciarli alla finestra.
Eppure quante volte ci siamo indignati, arrabbiati. Quante volte ci siamo ritrovati tutti in piazza a manifestare?
Una generazione, la nostra, che nel 2006 per la prima volta ha assistito al rinnovo simultaneo di tutte le cariche istituzionali del Paese: Presidente del Consiglio, Presidenti di Camera e Senato e Presidente della Repubblica. Non accadeva dal 1948.
E poi il referendum costituzionale di giugno, mediante il quale è stata abrogata la famosa “devolution” di Bossi. Quanti di noi giovani calabresi si sono davvero interessati a queste cose?
Proprio nella Locride a marzo è stato compiuto un vile atto intimidatorio ai danni delle cooperative vicine a Monsignor Bregantini: il diserbante negli irrigatori ed il conseguente avvelenamento delle piantine di mirtilli e lamponi lì coltivate. Un’offesa al lavoro di decine e decine di famiglie di giovani, per lo più tolti dalla strada.
E non pochi giorni addietro stesso copione anche a Gioia Tauro, atti intimidatori ai danni delle cooperative di “Libera”. Anche lì sono per lo più giovani ad aver subito il danno, giovani che hanno deciso di lavorare in Calabria e per la Calabria.
Agosto. L’afa estiva scendeva sempre di più sulle nostre case, e mentre il dibattito politico nazionale cominciava ad infiammarsi in occasione della legge sull’indulto, in Calabria il Consiglio regionale votava la sua prima legge anti-trasparenza meglio nota come “legge Burc(a)”, quella che, per intenderci, sancisce che non sarà più pubblicato sul Bollettino Ufficiale della nostra regione tutto ciò che grava sul bilancio regionale. Pochi, veramente pochi, siamo stati i giovani ad interessarcene, a chiederci cosa fosse questa legge ed a decidere di farla abrogare al più presto.
Ed a proposito di denuncianti che diventano denunciati, anche il sottoscritto ha pagato sulla propria pelle l’aver detto, assieme ad altri ragazzi, “basta!” alle strumentalizzazioni politiche sui ragazzi di Locri ed al tempo stesso a dipingere il Consiglio regionale Calabrese quale “Consiglio regionale più inquisito d’Italia”.
Ma queste cose, cari giovani, devono diventare pane quotidiano di tutti.
Immaginiamo di poter raccontare al mondo come si vive ad Adwa, dove la gente vive in media 35-40 anni e solo il 2% dei bambini frequenta la scuola elementare.
Ad Adwa, però, ci sono riusciti a cominciare a cambiare un po’ le cose.
E ad onor del vero un po’ ci stiamo provando anche noi di Ammazzateci tutti, andando in giro per le scuole e le università di tutto lo Stivale, a testimoniare quella Calabria che è già cominciata e sensibilizzare il maggior numero possibile di ragazzi e ragazze circa l’”emergenza legalità” in cui versa tutto il Mezzogiorno, con la Calabria ovviamente in testa.
Prima di tutto la cosa da fare è una: dobbiamo riprenderci la Calabria e l’Italia, dobbiamo liberarla non solo dal giogo mafioso, ma dal malaffare, dalla malapolitica, dalle massonerie deviate e da ogni potentato.
C’è bisogno di tutti noi giovani! Non possiamo continuare ad essere solo pochi identificabili don Chisciotte contro i mulini al vento.
Cari giovani, entrate in politica, scegliete il partito che meglio vi pare, ma portateci dentro la vostra eticità, la vostra limpidezza, i vostri sogni e la vostra sana voglia di legalità.
L’attuale classe dirigente che tante volte critichiamo sarà rinnovata solo se almeno per metà sarà ringiovanita dalle esperienze, intelligenze e professionalità di donne e uomini al di sotto dei quarant’anni.
C’è bisogno di giovani che facciano cambiare idee e comportamenti a chi ci ha consegnato questo mondo indecente dove ancora oggi, non solo in Calabria, si è costretti quasi a dover scappare per affermare le proprie idee e la propria intraprendenza.
Libertà, giustizia e pace hanno bisogno del vostro volto, delle vostre mani, della vostra intelligenza, del vostro cuore per poter vivere. C’è bisogno di giovani che non si rassegnino neppure ad una sola morte, che sia essa per ‘ndrangheta, fame, incidenti stradali, suicidio, droga.
Dobbiamo smettere di pensare che cambiare è impossibile! Leggiamoli i giornali, usiamo Internet, facciamo rete.
Il presente prima che il futuro delle nostre terre è quindi affidato a noi, e l’Italia di domani sarà come oggi sapremo progettarla e costruire.
Non mancheranno, come non sono mancati fino ad oggi, quelli che diranno che è tutto inutile, che non vale la pena di spendersi, di rischiare di poter cambiare le cose. Ma noi abbiamo il dovere di essere sempre i primi a scendere in trincea, a Napoli, a Palermo, a Milano, a Bolzano, a Roma, ovunque ce ne sia la necessità; a spenderci in prima persona, a metterci (e rimetterci se è il caso) la nostra faccia, il nostro tempo, i nostri affetti.
Sempre lì, a sognare di poter cambiare il mondo, e chissà che magari non lo cambieremo davvero. Buon 2007 e buona vita!
‘Giornata nazionale contro la mafia
Il giovane leader dei ‘ragazzi di Locri’ ha preferito non entrare nel merito della triste vicenda “prima di tutto perché – afferma - non dobbiamo essere noi a ricercare un capro espiatorio e non vogliamo affatto fare sciacallaggio su questo dramma, ed anche perché sappiamo di poter contare sul lavoro degli inquirenti che stanno indagando sul caso”.
“Questa mobilitazione è ispirata - espone sempre Aldo Pecora - a quella che è la ‘ricetta’ che il giudice Paolo Borsellino ha lasciato ai giovani come ‘arma’ per estirpare definitivamente la piovra mafiosa dai nostri territori, dicendo che ‘se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo’. E noi giovani di tutta Italia – aggiunge – abbiamo il dovere di negare pubblicamente il consenso ai mafiosi, perché noi tutti siamo sicuramente più di loro e se inizieremo a non ‘riconoscerli’, ad impedire che continuino ad esercitare la sovranità al posto dei cittadini e dello Stato, allora tutte le mafie saranno davvero sconfitte per sempre”.
Eco - sportello - energia
La Pubblica Amministrazione, proprio per il ruolo istituzionale che ricopre, è l'interlocutore privilegiato di Ecosportello Energia per ciò che attiene lo sviluppo di politiche e programmi di sostenibilità energetica.
I servizi offerti da Ecosportello Energia rappresentano l'opportunità per le Amministrazioni Pubbliche e gli Enti Locali, soprattutto per le realtà medio-piccole, di avvalersi di un supporto tecnico, gestionale e di comunicazione affinché siano applicate politiche di sviluppo ed incentivazione del risparmio e dell'efficienza energetica, attuati i Piani Energetici Comunali (PEC), modificati i Regolamenti Edilizi, favorite scelte alternative che puntino sulle energie rinnovabili e sui criteri della sostenibilità e del rispetto del territorio.
Ecosportello Energia svolge un ruolo di supporto ai Comuni attraverso il proprio sportello di prima risposta, organizza e propone convegni, corsi di formazione e seminari di approfondimento rivolti ai Tecnici ed agli Amministratori locali. Gli argomenti trattati spaziano dalla pianificazione energetica ai regolamenti edilizi, dall'efficienza energetica all'energia da fonti rinnovabili, dagli audit degli edifici all'illuminazione nel settore pubblico.
KLIMAHOUSE per l'efficienza energetica
- Costi energetici crescenti,
- altissimi livelli di polveri fini,
- direttive europee
- convenzioni internazionali
• Provincia Autonoma di Bolzano – Agenzia provinciale per l‘ambiente
• APA - Associazione Provinciale dell´Artigianato
• ANIT - Associazione Nazionale per l'Isolamento Termico e Acustico
• RENERTEC – Centro di Competenza Alto Adige Energie Rinnovabili
• EURAC - European Academy Bolzano
• Comitato Interprofessionale degli Ordini e dei Collegi ad indirizzo tecnico della Provincia di Bolzano
• Collegio dei Costruttori Edili della Provincia di Bolzano
• Associazione provinciale commercianti di materiali edili
• Ministero dell`ambiente e della tutela del Territorio - Roma
• ANAB – Associazione Nazionale Architettura Bioecologica
Cosa dicono di KLIMAHOUSE:
"CasaClima è un esempio di come si possa risparmiare energia attraverso tecniche costruttive mirate e quindi contribuire concretamente alla tutela ambientale. La manifestazione KLIMAHOUSE di Fiera Bolzano è per il settore edile una buona occasione per scambiarsi esperienze, curare i contatti e guadagnare nuovi clienti."
direttore dell'Associazione Provinciale dell'Artigianato (APA):
"L'artigianato altoatesino ha capito già alcuni anni fa che il mercato futuro dell'edilizia si sarebbe sviluppato intorno al risparmio energetico. Oltre 500 imprese artigiane si sono specializzate in CasaClima e continuano a sviluppare il loro Know-how. La fiera specializzata KLIMAHOUSE di Fiera Bolzano è la piattaforma ideale per contagiare anche il pubblico di altre regioni italiane con questo entusiasmante tema".
iniziatore CasaClima e direttore d´uffi cio aria e rumore, Provincia Autonoma di Bolzano:
“I nostri edifici consumano quantità spropositate d`energia. Il continuo aumento dei costi e la pericolosa dipendenza dall`importazione di energia nonché minacciosi cambiamenti climatici impongono rapide prese di posizione. La buona notizia: nel settore costruzioni esistono alternative tecniche ed economiche per il risparmio energetico e la protezione della natura. Un importante appuntamento su questo tema è la fiera Klimahouse con il convegno "Costruire il futuro".
Dott. Michl Laimer,
assessore all´urbanistica, ambiente ed energia, Provincia Autonoma di Bolzano:
“La CasaClima rappresenta il nostro contributo alla protezione del clima a livello internazionale. La politica ha il compito di creare le condizioni di legge e tecnologiche necessarie ad un´edilizia efficiente dal punto di vista energetico e rispettosa dell´ambiente. Il resto viene da sè come si potrà vedere all´interno di questa fi era specializzata. Ed il successo è assicurato, dal momento che costruire una CasaClima signifi ca investire nel futuro.”
Anche in Italia,come in Francia,
L'ALLEANZA PER IL PIANETA TERRA
Non si tratta di economizzare l'elettricità , Perchè proprio il 1° febbraio? Fate circolare il più possibile questo appello intorno a voi !!
E' il giorno in cui verrà pubblicato il nuovo rapporto del gruppo di esperti climatici delle nazioni unite.
Questo evento avrà luogo in francia: non bisogna lasciare passare questa occasione!
Se riuscissimo veramente a partecipare tutti, questa azione avrà un reale peso mediatico e politico !
Prima edizione del Premio EnergyMed
La diffusione di una politica volta al risparmio energetico ed all’uso delle fonti di energia rinnovabili costituisce, nel nostro Paese, così come nel resto del mondo, una priorità assoluta.
Gli Acquisti Verdi (Green Public Procurement) rappresentano, d’altro canto, uno strumento straordinario a disposizione delle Pubbliche Amministrazioni per mettere in atto strategie di sviluppo sostenibile, tese a ridurre gli impatti ambientali dei processi di produzione, consumo e smaltimento. Né va trascurato che la Pubblica Amministrazione, con un potere d’acquisto pari al 17%, si configura come il principale consumatore di beni e servizi ed è, dunque, in grado di influenzare il mercato determinando un cambiamento nei modi di produrre, di amministrare e di consumare, costituendo un modello di buon comportamento, facile da replicare, che rappresenta uno stimolo nei confronti di imprese, istituzioni e cittadini.
Il Comitato Tecnico Scientifico di EnergyMed ha ritenuto, dunque, di estremo interesse rendere noti e premiare i risultati ottenuti da alcune Amministrazioni che, già ad oggi, hanno sviluppato buone pratiche nei settori di interesse della manifestazione.
Scadenza presentazione domande: 16 febbraio 2007
SALVIAMO IL CLIMA CON IL CONSUMO CRITICO
Tra i comportamenti che tutti noi dovremmo cominciare a cambiare spiccano in particolare le nostre scelte di acquisto quotidiane che, pur apparendo ai nostri occhi come innocue, comportano spesso un impatto ambientale notevole. Ogni bene che comperiamo porta infatti con sé un “bagaglio” di anidride carbonica (il principale gas responsabile dei cambiamenti climatici), dovuto ai consumi di energia e di combustibili fossili connessi al suo processo produttivo, al suo trasporto del prodotto dal produttore al consumatore, alla sua gestione e conservazione, e al suo smaltimento finale. Ecco perché è necessario che ognuno di noi diventi maggiormente consapevole delle proprie scelte al momento di fare la spesa, e le orienti verso quei beni che riducono al minimo l’impatto sul clima. Il consumo critico rappresenta inoltre una leva potentissima in grado di condizionare le dinamiche dei mercati e di indurre le imprese ad adottare comportamenti più attenti nei confronti dell’ambiente.
Qui di seguito troverete degli utili consigli che potrete mettere in pratica fin da subito al momento di fare la spesa. Rappresentano solo un inizio per “cominciare a calare la barca in acqua e partire verso un a grande rotta”.
Il sindaco di Milano dichiara ...
Il tema della difesa della qualità dell'aria e della mobilità è uno dei temi, se non il primario, più importanti da affrontare a Milano. Io ho lanciato nel mio intervento ultimo su questa problematica un appello alle forze politiche istituzionali a prendere seriamente in considerazione una convergenza produttiva e proficua che si inserisca nella costituzione di un rapporto serio, sinergico e propositivo per trovare insieme soluzioni alla grave piaga, in attesa, se ricordate, del discorso che la sindaca "in comune" avrebbe pronunciato il 30 a Palazzo Marino. A risposta data e pubblicata sul sito del Comune, come riportato in partecipami da Oliverio, non posso fare altro che prendere le dovute conseguenze politiche.
Un impegno serio e costruttivo avevo chiesto, ma ancora non vedo forti proposte che sappiano realmente identificare un cambiamento di strategia politica nell'ambito della mobilità: ossia vedo dichiarazioni a effetto che non sono contornate da opportune misure chiare, speficiche e, soprattutto, puntuali, metodologie e procedure da intraprendersi e funzionali a dare risposte efficaci. Non ne vedo, mi dispiace. Vedo solo frasi certamente condivisibili, dichiarazioni d'intenti che, però, polkiticamente sono da considerarsi come scarne, prive di contenuto e di prospettive, di indicazioni delle linee ee dei percorsi che dvorebbe ero essere considerati come strumenti per raggiungere determinati obiettivi. Leggo con attenzione il Progetto incompleto che la Moratti ha illustrato in seduta consiliare e confronto le politiche che, non solo nel presente blog, non solo in altri contesti associazionistici di Milano, da tempo impegnati sulla questione di un'altra mobilità possibile, aggiungo necessaria, non solo da parte di urbanisti e di ambientalisti, sono state delineate, ma che hanno caratterizzato il programma di amministrazione dei sindaci di altre grandi città, più grandi e complesse di Milano, in Europa, Londra, Barcellona, Parigi, in Italia, Roma per esempio. Credo che lo sforzo, seppure iniziale, della Moratti sia alquanto insufficiente: non siamo certamente ai livelli dell'autoritario commissariamento del traffico del sindaco in mutande, Albertini, ma siamo ancora molto lontani da un progetto complessivo e ben strutturato, corroborato da provvedimenti chiari e ben definiti, non suscettibili di interpretazioni varie, fumose, alquanto contraddittorie in molti punti. Quando si parla di certezza della linea politica si parla di un progetto chiaro e ben formulato, specifico e puntuale: altrimenti tutto viene meno.
Dice la sindaca: "Il nostro programma pone al centro l'importante grande tema: la salute come elemento imprescindibile della nostra qualità della vita".
Ma come non essere concordi su questo aspetto? E' chiaro, ma dovevamo attendere un inverno caldo per accorgecene che qualcosa in ambito di mobilità, di produzione di energia, di sistema di riscaldamento e in materia di trasporto e traffico non funzionava?
Meglio tardi che mai? Non è sempre così.
Prosegue la Moratti: "per garantire le sinergie tra gli interventi è da sottolineare che il territorio comunale di Milano, con i suoi 182 kmq e con 1,3 milioni di abitanti rappresenta solo una parte dell’area metropolitana, ma costituisce un polo di attrazione della mobilità, che si estende alla Provincia, alla Regione e alle Province extraregionali contigue".
Il Progetto prevede quattro linee d'azione
Le azioni per il potenziamento del trasporto pubblico prevedono l’incremento dei servizi, della frequenza e degli orari di esercizio. In particolare, nella prima fase, verranno potenziate: le linee tranviarie di penetrazione (1-2-4-7-12-14-15-16-24-27), le linee tranviarie e filoviarie circolare (linea 29/30 e 90(91) e alcune linee automobilistiche di forza (50 – 54 – 57 – 61) e circolari (linea 94); saranno sviluppate le corsie riservate a supporto della regolarità del servizio e dell’incremento della velocità commerciale, sia con interventi strutturali, che saranno inseriti a bilancio quest’anno, sia con il potenziamento della video-sorveglianza.
Niente viene evidenziato, gentile "maire", sulla questione più urgente, ossia l'assoluta necessità di garantire la precedenza in ogni ambito urbanistico del passaggio dei mezzi di trasporto pubblico rispetto a quelli privati; niente viene detto riguardo a un progetto complessivo di ammodernamento dei mezzi pubblici, ossia riconversione degli attuali motori inquinanti, come ha fatto a Londra il sindaco Livingstone, che ha rottamato i mezzi inquinanti e li ha sostituiti con sistemi maggiormente compatibili con l'ambiente e motiri a idrogeno o elettrici. Ma che cosa ha indicato circa i rapporti con le forze sindacali, circa la gestione fallimentare dell'ATM, la mancanza di fondi per le lavoratrici e i lavoratori per gli incrementi derivanti da una giusta e corretta intensificazione del servizio? E che cosa ha proposto circa l'esigenza di sfoltire la presenza sovrabvbondante e nociva, ingorgante e intasante di mezzi pesanti nella città, che si postano in doppia fila, inquinano all'inverosimile e, soprattuttto, intasano il traffico e la viabilità, soprattuttto dei tram e dei mezzi pubblici? Ma che cosa ha detto, infine, in merito ai parcheggi, ossia al progetto che era stato avanzato di revisione degli attuali progetti di realizzazione dei parcheggi nella città, eredità pesante della gestione fallimentare del commissario in mutande, ossia dei provvedimenti che dovrebbero mettere a soqquadro intere strade e vie, per apporre delle autorimesse non pertinenziali in zone centrali e semicentrali, niente altro che punti di richiamo di ulteriori autovetture nel contesto urbano, inquinante e congestionante. Ma che dire della proposta, forse l'unica che disincentivi l'utilizzo del mezzo privato e possa rendere i mezzi pubblici come competitivi all'uso dell'autovettura, di convertire intere aree dismesse della cintura periferica milanese in parcheggi non pertinenziali, serviti dalla presenza di una navetta che possa trasportare continuativamente gli automobilisti che abbandonano la propria macchina nel posteggio all'interno della città, usufruendo di agevolazioni tariffarie per l'utilizzo giornaliero, che possa corpire tutto il servizio. Ma, infine, soprattutto i fondi per incentivare le corse dove possono essere reperiti: l'idea di abbattere l'ICI rimane ancora aperta, gentile maire? Tesi che lei aveva sostenuto con grande passione e fermezza nella sua ultima campagna elettorale: è un provvedimento ancotra valido? Oppure è una semplice dichiarazione propagandistica e plebiscitaria, come credo che sia?
Si procede nel programma e nelle dichiarazioni: onumentale-piazza Maciacchini, Centro-Polo Fieristico esterno, Centro-Martesana-Parco del Lam bro-Monza, Centro-Corso Lodi, oltre allo sviluppo degli itinerari nel Centro Storico".
"La priorità per lo sviluppo di mobilità sostenibile comprende, inoltre, l'incremento delle piste ciclabili: nel 2007 dagli attuali 70 km a circa 120 km, "con alcune priorità di intervento per i primi 20 km - ha proseguito il Sindaco - che si sviluppano lungo gli itinerari Centro-Parco Forlanini, Centro-Navigli, Villapizzone-Villa Simonetta-M
Ancora una rete a singhiozzo, ossia la mancanza di progetto complessivo di intervento atto a rendere continuativi corridoi disponibili solamente per pedoni o per ciclisti: ancora assente una prospettiva di insieme, una proposta ben strutturata e un progetto chiaro e definito di attuazione del provvedimento. Lione ha costituito dei veri percorsi che sono continuativi, senza soluzione, e che possono essere disponibili solo per i passanti o per i ciclisti, senza possibilità di essere interrotti dalla presenza di automobili o di mezzi a motore, pericolosi per la propria incolumità personale. E' un progetto futuribile, questo? Magari un po' fantascientifico alla Asimov, oppure alla Philp Dick? Non credo proprio: Lione è sulla Terra, non su Plutone.
"La tariffa sarà modulata sul differente livello di emissione delle motorizzazioni dei veicoli - ha proseguito il Sindaco - e applicata a tutti i non residenti entro l’area. Per i residenti nell’area è prevista la possibilità di acquisizione di un pass a condizioni da definire. Si svilupperanno anche i progetti di interscambio ai capolinea delle nuove linee metropolitane, con particolare riferimento a Comasina, Monza Bettola e Rho-Fiera.
Ma il resto della città? Per esempio la Paullese: viene fatta? E se viene fatta le conseguenze sono state previste sul territorio urbano? Ma ci si rende conto che i progetti di parcheggi di interscambio alla cintura devono provvedere uno sviluppo articolato su tutto il territorio urbano? Ma è possibile che non s ene parli? E', poi, possibile che manca un rifierimento all'incremento della rete metropolitana , prolungando le esistenti linee anche ai paesi esterni dal territorio comunale, ma giacenti nella Provincia. Esistono delibere di Giunta dei comuni di San Giuliano milanese e di Paullo che richiedono la presenza di fermate della Linea 3 della Metropolitana, cercando di beneficiare la cittadinanza residente con un sistema di trasporto ecologico e veloce adeguato. Si parla di bretelle autostradali che si innestano in piena città, come delle arterie che appartengono a progetti ormai obsoleti, soprassati e di impatto ambientale e urbanistico devastante. Ai residenti si provede addirittura l'opportunità di beneficiare di pass che possono essere rilasciati nei modi e nelle precisioni regolmanetari che saranno disposte più tardi: ma quando saranno disposte? E secondo quali criteri? Ma soprattuttto si beneficiano solo i residenti, mentre i poveri pendolari delle città esterne devono subire le tariffe per la propria mobilità automobilistica interna. Si parla di pullution charge: ma di car sharing non si parla. Non si parla di un provvedimento che garantisce veramente la diminuzione del tempo di utilizzo dell'automobile privata, la diminuzione e il contenimento del suo impatto ambientale, con macchine predisposte e pubbliche utilizzabili grazie a una prenotazione e a un sistema integrato di servizio presente in città, la totale diminuzione di una loro presenza numerica sulla città, ossia al fatto che viene contenuto il tempo di decorrenza della macchina nella città, specificandone l'utilizzo da parte dell'utente per commissioni specifiche e per percorsi chiari e definiti. Si disincentiva, così, ogni possibile utilizzo superfluo e direi alquanto irrazionale della macchina, magari per fare solo 300 metri.
Anche qui non si specificano gli strumenti con cui raggiungere questo obiettivo. E' possibile che non si parli di RIFORMA DEL REGOLAMENTO EDILIZIO, che data ormai da decenni e decenni, è obsoleto, soprassato, surclassato, e direi alquanto avulso dall'attuale situazione sociale, economica e politica ambientale in cui viviamo. Occorre ridurre le emissioni derivanti da vecchie metodologie di riascaldamento; occorre convertire i sistemi di riscaldamento in sistemi compatibili ecologicamente, naturali, rinnovabili, utilizzando fonti di produzione di energia e di calore al passo con la tutela del bioclima e del sistema ambientale, al passo con l'esigenza di ridurre il consumo di energia e di dispersione della medesima. I sistemi attuali di riscoaldamento e di produzione di energia e di calore sprecano l'energia stessa prodotta per i 2/3. Occorre forse riformare il regolamento ponendo come urgenti sistemi di riconversione del sistema, direi che diventa alquanto urgente.
"È prevista, inoltre - ha concluso il Sindaco - l’elaborazione di un sistema di indicatori che consenta il raffronto tra Milano e le altre città europee, nell’ottica di un miglioramento costante nel tempo delle performance ambientali del Sistema-Città.
Non penso che siamo ancora sul passo convergente con questo obiettivo. Il confronto c'è stato con le altre esperienze europee e italiane? Non penso, non mi sembra dai preludi.
Arrivederci
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano