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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Venerdì, 16 Marzo, 2007 - 13:38

Cittadinanze Imperfette

Arci Lombardia e CGIL Lombardia organizzano

Giovedì 22 marzo '07
Camera del Lavoro di Milano,
C.so di P.ta Vittoria, 43 - sala De Carlini

Ore 20.30 presentazione del libro
Cittadinanze Imperfette.
Rapporto sulla discriminazione razziale di rom e sinti in Italia
(a cura di Nando Sigona e Lorenzo Monasta)

Con Nando Sigona, attivista di OsservAzione e ricercatore presso il
gruppo di ricerca su Sviluppo e Migrazioni Forzate (DFM) della Oxford
Brookes University (UK).

Rom e sinti, quelli che comunemente chiamiamo "zingari" o "nomadi", sono
la minoranza etnico-culturale più discriminata d'Europa. Come
documentano i numerosi casi riportati in questo volume, anche in Italia
questo popolo è oggetto di discriminazione in molti ambiti, in molti
modi e da parte di diversi soggetti, talvolta anche istituzionali.

Ore 21.30 presentazione del documentario
SUSPINO. UN GRIDO PER I ROM, di GILLIAN DARLING KOVANIC (2006)

Il documentario offre uno sguardo sulla persecuzione che affligge la
minoranza europea più numerosa e umiliata. Con la caduta del comunismo e
il rafforzamento del nazionalismo di destra, i rom sono diventati il
capro espiatorio delle nuove democrazie dell'Est Europa. A causa di
violenti conflitti e discriminazioni, decine di migliaia di rom
dell'Europa Orientale scappano dai loro Paesi. Questo video parla della
Romania, dove la più grande concentrazione di rom in Europa è
considerata 'nemico pubblico'. E parla dell'Italia, dove i rom sono
considerati nomadi e relegati a vivere nei campi, negando loro i diritti
umani fondamentali concessi ai rifugiati e ai cittadini stranieri.

osservAzione - centro di ricerca azione contro la discriminazione di rom
e sinti è un'associazione di promozione sociale (ONLUS) impegnata nella
lotta contro l'anti-ziganismo e le violazioni dei diritti umani e per la
promozione dei diritti di rom e sinti in Italia.

Venerdì, 16 Marzo, 2007 - 10:26

Delibera di utilizzo spazi del Cantiere del Nuovo

PROPOSTA DI DELIBERAZIONE
OGGETTO: APPROVAZIONE DELLA PROPOSTA ALLA PROVINCIA DI MILANO DI UTILIZZO DI ALCUNE STRUTTURE ALL’INTERNO DEL “NUOVO POLO DELL’INNOVAZIONE – CANTIERE DEL NUOVO” E DELL’AREA DI SEDIME CHE SI DOVESSE RENDERE LIBERA A SEGUITO DELLA RINUNCIA DELLA CCIA.
Si propone di deliberare in merito a quanto in oggetto secondo lo schema che segue.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI ZONA 6
Massimo Girtanner
IL CONSIGLIO DI ZONA 6
CONSTATATO CHE:
  • sull’area della Provincia di via Soderini – ex vivaio della Regione di ca. 23.000 mq – la Provincia ha in progetto di realizzare il “Cantiere del Nuovo”;
  • esiste la possibilità, che a seguito della rinuncia della C.C.I.A., la Provincia possa lasciare libera l’area di sedime di ca. 2.500 mq., confinante col Parco Strozzi;
PRESO ATTO :
  • che da parte della Provincia e della C.C.I.A. non c’è ancora una precisa volontà a rinunciare all’area di sedime del Palazzo dell’Innovazione;
  • della indisponibilità  della Provincia a prendere in considerazione la possibilità di modificare la parte di sua competenza diretta denominata “Cantiere del Nuovo”;
  • che la proposta che segue scaturisce dalla volontà di dare servizi al quartiere che attualmente mancano e/o sono carenti e di usufruire di spazi pubblici all’uso collettivo;
PROPONE ALLA PROVINCIA, NEL TENTATIVO  DI DARE UNA RISPOSTA ALLE ISTANZE PROVENIENTI DALLA CITTADINANZA E IN PIENO SPIRITO DI COLLABORAZIONE INTERISTITUZIONALE, LE SEGUENTI RICHIESTE IRRINUNCIABILI:
  1. apertura del parco della via D’Alviano all’uso pubblico, con ingresso sulla via D’Alviano, e con orari analoghi ai parchi pubblici;
  2. caffetteria e ristorante aperti al pubblico;
  3. utilizzo della palestra da parte della zona con convenzioni da stipulare con le assoc.sportive, gruppi di quartiere, Consiglio di Zona, almeno 1 giorno alla settimana;
  4. disponibilità gratuità dell’auditorium per assemblee pubbliche ad uso del quartiere e del Consiglio di Zona;
  5. individuazione di uno spazio multifunzionale (ca. 300 mq.) per attività aggregative anziani e giovani con possibilità dell’uso di alcune salette per riunioni/incontri per le realtà della zona;
  6. utilizzo con apertura al pubblico della biblioteca libri + multimediale in orari anche serali come quelle pubbliche;
  7. disponibilità dell’area di sedime – qualora si liberasse per il diniego all’utilizzo da parte della C.C.I.A. – a titolo gratuito al Comune di Milano per realizzare, anche col contributo della Provincia, la nuova scuola materna attualmente sullo spartitraffico di via Caterina Da Forlì.
  8. Si chiede inoltre la realizzazione di un campo sportivo attrezzato ad uso delle associazioni sportive zonali
DELIBERA
Di approvare i punti di cui sopra
Approvata all’unanimità nella seduta di Consiglio di Zona 6 del 15 marzo 2007

Venerdì, 16 Marzo, 2007 - 02:51

Car pooling: uno sguardo normativo

Riporto a supporto del mio intervento sulla necessità di adottare il car pooling, insieme alla pratica del car sharing e della sua implementazione, un quadro normativo più dettagliato in cui si fa riferimento espressivo a procedure, modalità amministrative di attuazione e di attivazione di queste pratiche virtuose, che decongestionano il traffico privato cittadino, diminuiscono le emissioni di CO2 e di polveri sottili, determina un risparmio energetico e un risparmio economico per la cittadinanza che usufruisce di queste disposizioni e di questi particolare servizio. La pratica del car pooling ha avuto ottimi risultati negli USA, ma anche in Europa, e ha determinato una diminuzione netta di macchine circolanti, con l'utilizzo collettivo e non individuale dell'automobile. Molte persone si spostano ogni giorno nella stessa direzione, giungono alla stessa destinazione, fanno nello stesso momento e compiono azioni in piena sincronia organizzativa: sarebbe opportuno che ognuna di queste persone decida di consorziarsi e provvedere a utilizzare insieme la macchina, magari prelevata da un parcheggio in cui è attiva la convenzione con il servizio di car sharing.
Il primo articolo del D.M. 27/3/98 sulla mobilità sostenibile indica le procedure che potrebbero consentire la diffusione su territorio nazionale, nei rispettivi municipi, di servizi di car sharing e di car pooling, atti e finalizzati a migliorare la qualità della vita cittadina e dell'ambiente, dell'aria, risparmiando risorse energetiche e riducendo l'inquinamento e la superfetazione di veicoli privati utilizati individualmente. Istituisce la cosidetta ICS, Ininziativa Car Sharing, che altro non è che un coordinamento in rete di città e municipi che attuano con diverse modalità e procedure amministrative questo servizio agevolante la collettività.

Articolo 1.
Finalità e aree di intervento 
1 - Con il presente decreto si promuove l'integrazione ed il completamento del progetto per la realizzazione di un sistema coordinato ed integrato di servizi locali di carsharing, finalizzato, insieme ad altri interventi, alla riduzione strutturale e permanente dell'impatto ambientale derivante dal traffico urbano tramite l'attuazione di politiche di mobilità sostenibile, già previsto e finanziato nel quadro del progetto nazionale realizzato attraverso ICS - Iniziativa Car Sharing, con capofila il Comune di Modena.
2 - Per la realizzazione del progetto nazionale carsharing, ICS ha già adempiuto agli impegni previsti dal decreto di finanziamento e sta provvedendo alla attivazione del servizio nelle città aderenti. Va inoltre evidenziato che il Protocollo di Intesa del 26/1/2000 è stato sottoscritto, oltre che dalle otto città che avevano presentato progetti ai sensi del D.M. 27/3/98, anche da sei città, che hanno proposto l'istituzione di servizi locali di carsharing.
3 - Dopo la firma del Protocollo di intesa, inoltre, anche altre città hanno chiesto di poter aderire a ICS ed utilizzare i servizi messi a disposizione da ICS attraverso l'utilizzo dei fondi del Ministero dell'Ambiente.

L'articolo 22 della legge 24 novembre 2000, n. 340 “Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999”, parla di procedure amministrative di programmazione e di integrazione dei provvedimenti di costituzione di servizi di car sharing e car pooling finalizzati a incrementare l'efficenza dei trasporti e la loro sostenibilità, tramite il cosidetto PUM, Piani Urbani di Mobilità, che hanno la finalità di armonizzare amministrativisticamente la programmazione del terrtiorio in piena sintonia con le esigenze di trasporto della collettività e di rispetto dei parametri ambientali ed ecosistemici non danneggianti la qualità dell'aria e della vita.

Art. 22.
(Piani urbani di mobilità)
1. Al fine di soddisfare i fabbisogni di mobilità della popolazione, assicurare l’abbattimento dei livelli di inquinamento atmosferico ed acustico, la riduzione dei consumi energetici, l’aumento dei livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale, la minimizzazione dell’uso individuale dell’automobile privata e la moderazione del traffico, l’incremento della capacità di trasporto, l’aumento della percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi anche con soluzioni di car pooling e car sharing e la riduzione dei fenomeni di congestione nelle aree urbane, sono istituiti appositi piani urbani di mobilità (PUM) intesi come progetti del sistema della mobilità comprendenti l’insieme organico degli interventi sulle infrastrutture di trasporto pubblico e stradali, sui parcheggi di interscambio, sulle tecnologie, sul parco veicoli, sul governo della domanda di trasporto attraverso la struttura dei mobility manager, i sistemi di controllo e regolazione del traffico, l’informazione all’utenza, la logistica e le tecnologie destinate alla riorganizzazione della distribuzione delle merci nelle città. Le autorizzazioni legislative di spesa, da individuare con il regolamento di cui al comma 4, recanti limiti di impegno decorrenti dall’anno 2002, concernenti fondi finalizzati, da leggi settoriali in vigore, alla costruzione e sviluppo di singole modalità di trasporto e mobilità, a decorrere dall’anno finanziario medesimo sono iscritte in apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dei trasporti e della navigazione.

Giovedì, 15 Marzo, 2007 - 17:34

Car pooling: è possibile

Si parla da tempo di emissioni di CO2, addebitando questo fatto alla presenza sovrabbondante di autovetture, congestionanti il traffico urbano, inquinanti a livello aereo sprigionando polveri sottili e PM10, causa di patologie gravi a livello respiratorio per la cittadinanza nel suo complesso, spesso incurabili. Una ricerca attesta che i bambini oggi residenti a Milano soffrono di asma bronchiale e l'eleasticità pomonare si è fortemente ridotta alla stessa stegua di un fumatore. La preoccupazione è talmente forte che come consiglieri, ma anche come cittadine e cittadini, abbiamo attivato diversi forum e thread di discussione in questa stanza tali da garantire una discussione aperta e franca sul tema, incisiva nei processi decisionali funzionali e dare risposte altre, alternative alla questione più complessa e generale della "mobilità" e del traffico urbano e cittadino.
In questo mio intervento voglio prorre alla vostra attenzione un elemento nuovo su cui dibattere, che, se ben attuata e ponderata, può essere tradotta in proposta ulteriore alle già presenti buone proposte per virtuose pratiche che il Comune dovrebbe e sarebbe tenuto ad attivare affinchè al problema complesso si possa dare soluzioni plurime e differenziate, quindi efficaci a rimuovere questa piaga che inficia sulla salute e il benessere della cittadinanza: il car pooling.
Tecnicamente il car pooling è l'utilizzo collettivo della autovettura, dove in un consorzio, acordo consortile possiamo dire, tra i soggetti interessati, si distribuiscono benefici e doveri economici e di altro genere, utili a ridurre drasticamente la presenza di macchine inquinanti sul nostro suolo cittadino.
Da un'indagine europea risulta che in Italia esistono più di 5000 autovetture in media per chilometro, a differenza di un dato europeo che calcola un numero di 3000 macchine per chilometro. Ma addirittura è sconfortante sapere che l'utilizzo della macchina privata in Italia è di 1,2 paseggeri per automobile, ossia quasi singolare, soggettivo, individuale. Tant'è che si attesta subito il presente dato come fondato, nel momento in cui ci accorgiamo per strada che esistono automobili correnti con alla guida solo l'autista senza alcun passeggero nell'abitacolo a presso. Un auto per una persona: questo dato aumenta a dislivello il numero di auto e da questo deriva il congestionamento delle nostre strade, l'aumento dei tempi per spostamento da una parte all'altra, l'aumento delle emissioni di CO2, l'aumento di consumo di combustibile, con derivato aumento delle spese. Io penso che occorra invertire la tendenza. Questa proposta può essere un punto iniziale, graduale per rendere più responsabile e collettivo l'utilizzo dell'automobile. Occorre chiaramente, nella fase di sua attuazione, primo passo prevedibile come problematico a livello organizzativo, consolidare pratiche e tendenze che possano essere omgenee tra persone e destinatari di questo provvedimento: ossia stesse esigenze, disponibilità uniforme di spostamento per il raggiungimento del veicolo, tempi uniformi per lo spostamento e durata omogenea disponibile per il tragitto. Ma da un'indagine tedesca avviata a Dormund risulta che esiste un'ampia percentuale di casi che possono essere considerati come uniformi e uniformanti, tali da rendere più possibile questa pratica.

Non è, ripeto, la panacea ufficiale a tutti i mali, ma è un punto iniziale, possibile, attuabile, non devastante per le pratiche ormai consolidate, e non sempre benefiche per la collettività, tra le persone.

Un caro saluto
Alessandro Rizzo
www.partecipami.it/?q=blog/172

Giovedì, 15 Marzo, 2007 - 16:19

Auto piene, strade più vuote

Auto piene, strade più vuote

http://www.lavoce.info/news/view.php?id=40&cms_pk=1545&from=indexMatteo Maria Galizzi
Forse anche per sfuggire a un servizio ferroviario che non brilla in affidabilità, chi viaggia quotidianamente si rassegna a subire sulle strade l’alea di code chilometriche in compagnia della radio o del telefonino.

I numeri della Commissione

La Commissione europea stima che, ogni giorno, sulle strade urbane e non, le autostrade e le tangenziali europee si formano code per una lunghezza totale di 7.500 chilometri, mentre la velocità media nelle città è di soli 15 chilometri orari. Ogni anno tre milioni di nuovi veicoli si sommano a quelli già circolanti, in venti anni la distanza media che percorriamo in auto è raddoppiata, ed è destinata a raddoppiare ancora da qui al 2025. Il quadro italiano ha tinte ancor più fosche, dato che la nostra rete autostradale è la più intasata d’Europa: 5809 veicoli per ogni chilometro contro i 3218 della media continentale. Naturalmente, la maggiore mobilità è allo stesso tempo concausa ed effetto collaterale dell’accelerazione nell’integrazione europea, così come l’organizzazione della settimana su ritmi flessibili è un carattere immodificabile della nostra economia.
Tuttavia, è utile tener presenti anche i costi legati alla congestione stradale. Anche senza parlare delle polveri sottili, i trasporti sono responsabili in Europa del 28 per cento di quelle emissioni di CO2 che con il Protocollo di Kyoto ci siamo impegnati a tagliare da qui al 2012 dell’8 per cento rispetto ai livelli del 1990. Se pare assodato che la congestione pesi per circa il 6 per cento della nostra spesa complessiva in carburante, le stime sui suoi costi complessivi, diretti e indiretti, non si possono proprio dire puntuali, variando da un minimo di 130 miliardi di euro all’anno a un massimo di 270, che sarebbe pari al 4 per cento del Pil europeo. Inoltre, le condizioni delle strade (e la congestione fra queste) risultano essere tra i fattori esplicativi degli incidenti stradali in quasi un terzo dei casi.

Il car pooling può essere un rimedio?

Chiunque, magari fermo in coda in autostrada, può eseguire una verifica empirica del tasso di occupazione delle automobili effettivamente circolanti: in Europa su ogni auto che viaggia c’è una media di 1,2 passeggeri. Se si riuscisse ad alzare la media anche solo a 1,5 persone, il numero di auto circolanti calerebbe automaticamente del 20 per cento.
Il car-pooling altro non è se non il consorziarsi in un gruppo di amici, vicini o colleghi, per condividere un’auto e i suoi costi per un tragitto comune: colleghi e pendolari per andare a lavorare insieme, genitori per accompagnare a scuola i propri e i figli dei vicini, amici, per uscire la sera o fare le spese con un’auto sola. Il car-pooling ha attratto soprattutto gli appassionati di ricerca operativa e di algoritmi di ottimizzazione. Gli economisti invece lo associano tipicamente ai temi delle esternalità e dei beni pubblici, sebbene la peculiarità del car-pooling stia piuttosto nel sostanziale allineamento tra interessi individuali e sociali. In effetti, se faccio salire un collega sulla mia auto non faccio solo un favore alla collettività, liberandola di un auto in circolazione, ma soprattutto a me stesso: divido i costi della benzina e dei pedaggi autostradali, mi alterno alla guida, con maggior concentrazione e sicurezza, ho compagnia per il viaggio.
Il vero interrogativo, dunque, sembra essere perché questa pratica non sia nei fatti molto più frequente. Più che una spiegazione, generica, basata sulla razionalità limitata o la miopia comportamentale degli individui, appare convincente l’evidenza per cui gli atteggiamenti consolidati siano difficilmente modificabili anche quando irrazionali o sub-ottimali. Sembrano giocare un ruolo ancor più convincente l’attaccamento personale, il sentimento di inviolabilità della sfera privata e di libertà incondizionata che sono tipicamente associati all’utilizzo dell’auto. Ancora, l’ostacolo cruciale può essere rappresentato dal problema di coordinamento delle scelte individuali e di organizzazione delle informazioni che sono necessarie per il successo del car-pooling. Si potrebbe allora pensare a interventi a favore del car-pooling, attraverso incentivi monetari oppure indiretti (l’ingresso in città in caso di blocco o le corsie privilegiate) o con campagne di sensibilizzazione. Si è anche cercato di organizzare direttamente il processo di matching tra passeggeri con esigenze compatibili, e le simulazioni a riguardo sono piuttosto incoraggianti. Uno studio dell’istituto tedesco Irpud, ad esempio, ha analizzato dati disaggregati su quasi 213mila viaggi giornalieri nell’area urbana di Dortmund. Una delle simulazioni suppone che ciascun viaggiatore sia disposto a spostarsi a piedi fino a 500 metri per incontrare il suo equipaggio e abbia un margine di flessibilità di un quarto d’ora su quando partire: risulta che fino a due terzi dei viaggi di lavoro sarebbero tra loro compatibili, con un risparmio della metà dei chilometri percorsi nella giornata.

Partire dai posti di lavoro

Guardando alle concrete esperienze europee (Svizzera, Regno Unito, Belgio, Olanda, Scandinavia), si vede che tali tentativi decollano soprattutto se viene coinvolta un’ampia platea di soggetti, residenti in aree sufficientemente dense. I più interessati a condividere il viaggio sono coloro che usano l’auto per distanze di almeno 5 chilometri e ne percorrono più di 35mila all’anno. L’interesse sale se si ha un lavoro con orari fissi o facilmente prevedibili, se il coniuge ha orari variabili, e con il numero delle patenti in famiglia, ed è invece indipendente dal numero e dall’età delle auto di proprietà. Per garantire successo agli esperimenti di car-pooling (in cui, tipicamente, una prima cattiva esperienza equivale a un fallimento definitivo), sembra allora cruciale partire dai posti di lavoro, non soltanto perchè è più semplice il processo di matching, ma soprattutto perché si possono più facilmente risolvere i problemi comportamentali, l’ostacolo principale a condividere l’auto. Infatti, tra viaggi in comune e fiducia tra colleghi si instaura tipicamente un circolo virtuoso, gli orari, la puntualità e le idiosincrasie personali sono già note, i gesti quotidiani (velocità, fumo, radio) possono essere concordati con maggiore tranquillità. Resta poi aperta la questione economica. Con l’unica eccezione di un’agenzia svizzera, che consiglia 0,2 franchi per passeggero/chilometro, chi organizza gli equipaggi di car-pooling si è sempre guardato bene dal dare indicazioni su come dividere le spese. Viene sempre lasciata alla libera contrattazione tra i membri del car-pool. I quali, per lo più, scelgono il baratto, alternando i giorni in cui lasciare a casa l’auto. Forse un po’ di coraggio in questa direzione servirebbe anche da noi.

Giovedì, 15 Marzo, 2007 - 15:55

contro le truffe

http://criminology.meetup.com/44/

E’ la nostra salvezza contro le truffe perpetrate dalla
multinazionali, dalla banche, dallo Stato, dalle compagnie
telefoniche, dalle compagnie petrolifere. E’ semplicemente un’azione
legale condotta da uno o più avvocati (studi legali) nell’interesse di
diversi soggetti che sono incorsi nel medesimo problema. Esempi?
Cirio, Parmalat, TangoBond, truffe miliardarie verso i cittadini.

Ma come dovrebbe essere una Class Action efficace?
- Prima di tutto dovrebbe avere le stesse potenzialità di quella
americana, filtrata dei possibili abusi che la stessa ammette.
- Ogni cittadino può farsi promotore della Class Action.
- La Class Action deve essere richiesta per qualunque atto illecito,
omissione, inadempimento contrattuale che ha arrecato danni a un
alto numero di cittadini. Tipici sono gli ambiti degli investimenti
finanziari, assicurativi, telecomunicazioni, energia, salute, ecc.
- Prevedere una verifica preliminare da parte del giudice.
 - Al fine di garantire che le proposte transattive siano compiute
nell’esclusivo interesse della classe e non di quella degli studi
legali che la seguono, le transazioni, per essere valide, devono
essere votate dagli iscritti alla classe.
- In caso di transazione o di sentenza favorevole è previsto un
meccanismo automatico di risarcimento gestito da un “curatore
amministrativo” nominato dal giudice. Tutti i cittadini appartenenti
alla definizione di classe (stabilita dal giudice) possono iscriversi
per ottenere il risarcimento entro sei mesi dalla sentenza.
- Prevedere la possibilità di condannare l’azienda che ha commesso
un illecito plurioffensivo non solo in rapporto al danno direttamente
procurato, ma anche in rapporto al vantaggio economico ottenuto
dall’azienda stessa.
- In caso di soccombenza della classe, nulla è dovuto agli avvocati
che hanno avviato la class action, in caso di vittoria, la parcella è
calcolata come percentuale dei risarcimenti ottenuti nella misura
massima del 10%.
Cosa sta combinando il Governo?
Prodi, Bersani, Rutelli, in varie occasioni su TV e giornali ci hanno
già preannunciato che non vogliono una Class Action all’americana, che
tradotto vuol dire che non vogliono sentir parlare di proposte di legge
presentate da Pedica (IdV), Poretti (RnP), Fabris (UDEUR), ma vogliono
far approvare il ddl Bersani-Schioppa-Mastella che è una porcheria
all’italiana perchè prevede:
1) il diritto di avviare la Class Action è riservato alle associazioni
riconosciute dal Governo, cioè quelle che fanno parte del CNCU (cioè
pagate dallo Stato, le famose 16 sorelle). In questo modo si andrebbe
a limitare il potere di questa legge, concedendo la facoltà di avviare
la Class Action ad un’associazione che non ha intenzione di avviare
una causa contro chi gli versa i contributi pubblici. Tradotto, una
Class Action controllata e filtrata dallo Stato. Non deve essere
l’associazione a filtrare le Class Action ma deve essere il giudice.
2) Dopo aver vinto la Class Action, il singolo cittadino dovrà
mettere mano al portamonete e avviare un’azione giudiziaria per
avere il risarcimento che gli spetta.
Mi chiedo allora, a che serve la Class Action?
Insomma, stanno preparando una legge che tutelerà le famose forze
occulte del Governo, cioè coloro che ci han truffato e continueranno a
farlo.
Approvando una delle tre Proposte di legge elencate prima avremo una
legge forte, che farà ripensare diverse volte una multinazionale prima di
truffarci, che non ci farà spendere soldi in avvocati e che spingerà
gli avvocati a dare il massimo dato che la loro parcella sarà il 10%
del valore della causa. Invece il nostro Governo vuole l’opposto.
Cosa occorre fare?
Scrivete ai politici chiedendo di approvare una Class Action in linea
con il PDL 1834 Pedica, PDL 1443 Poretti e il PDL 1330 Fabris.
E naturalmente firmare la petizione (http://www.petitiononline.com/cait2006/petition.html).
Ed iscriversi al Reset Class Action Group (http://criminology.meetup.com/44/).
Ma occorre soprattutto far girare la voce.
Riusciremo questa volta a non farci fregare come per l’indulto?
 
Antonio Imperi

Giovedì, 15 Marzo, 2007 - 15:44

Pieve Emanuele - PRESENTAZIONE RECUPERO URBANO

Via delle Rose si avvia verso la trasformazione: dove oggi ci sono
edifici residenziali e depositi dimessi oggetto di progressivo
degrado edilizio e sociale domani ci saranno case in edilizia
residenziale sovvenzionata e libera, un parco commerciale di 21.600
metri quadrati, una piazza pedonale coperta di 3.132 metri quadrati;
una scuola materna di 4 sezioni per 120 bambini, un asilo nido in
grado di ospitare 60 bambini; 8.675 mq di verde e 1.300 adibiti a
parco giochi.

Dal 7 marzo è stato depositato il progetto di piano, in variante al
Prg vigente e promosso ad integrazione dell’Accordo di Programma del
Programma di Recupero Urbano “Quartiere ex INCIS di pieve Emanuele”.

Fino al 5 Aprile ci sarà il tempo per raccogliere le osservazioni al
progetto depositato, dopodichè entreremo nel vivo della fase esecutiva.

Dopo gli incontri degli scorsi anni l’amministrazione comunale torna
in Via delle Rose per compiere insieme ai cittadini un altro passo
avanti importante nell’iter burocratico per il piano di recupero di
via delle Rose: saranno presenti il Sindaco Francesco Argeri, il
ViceSindaco e Assessore ai Lavori Pubblici Raffaele Vampa,
l’Assessore all’Urbanistica Paolo Festa e l’Assessore alla
Partecipazione e alla Comunicazione Salvatore Amura.
Per discutere ancora insieme di questa importante trasformazione che
riguarda i cittadini del quartiere e di tutta la città, per
presentare il progetto nei suoi dettagli e le integrazioni avvenute
in seguito alle osservazioni raccolte durante i tanti incontri che si
sono tenuti nella fase di progettazione.

ASSEMBLEA PUBBLICA IN VIA DELLE ROSE

PRESENTAZIONE DEL PROGETTO DI RECUPERO URBANO

VENERDì 23 MARZO 2007 ORE 21
presso i locali del Ristò Self-Service di via delle Rose

La documentazione inerente il progetto di piano, in variante al Piano
Regolatore Generale Vigente, è depositata in libera visione al
pubblico presso gli uffici della Segreteria Comunale, nella sede
municipale di Via Viquarterio n. 1, 2° piano, per quindici giorni
consecutivi, ovvero fino al 21 marzo 2007, durante i quali chiunque
può prenderne visione, secondo i seguenti orari: mattino: lunedì,
martedì, mercoledì, giovedì e venerdì dalle 09.00 alle 11.30;
pomeriggio: lunedì dalle 14.30 alle 16.30; mercoledì e giovedì dalle
16.30 alle 18.15; sabato e nei festivi: dalle 10.30 alle 12.30.
Le eventuali osservazioni dovranno pervenire al protocollo generale
dell’ente entro i quindici giorni consecutivi, decorrenti dalla data
del termine per il deposito, cioè entro le ore 18:15 del giorno 05
aprile 2007; esse dovranno essere redatte in triplice copia, di cui
una su carta bollata e presentate al Protocollo Generale del Comune
di Pieve Emanuele; i grafici che eventualmente fossero prodotti, a
corredo di dette osservazioni, dovranno anch’essi essere redatti in
triplice copia, di cui una munita di competente bollo.
Il Responsabile del procedimento è l’Ing. Arturo Guadagnolo, in
qualità di Responsabile dei Servizi Tecnici Territoriali del Comune
di Pieve Emanuele.

Il Sindaco
Francesco Argeri

Giovedì, 15 Marzo, 2007 - 08:49

Acqua in Comune 21 marzo 2007 h 17,00

Il Comitato Milanese per l'Acqua, in occasione della settimana   mondiale dell'acqua vi invita al convegno
 
 
Acqua in Comune
 
Mercoledì 21 marzo 2007, h 17.00
Sala Alessi - Palazzo Marino
Piazza della Scala, 2 - Milano
 
Apertura del confronto tra la società civile e le Istituzioni cittadine
 
Il 21 di Marzo a Palazzo Marino il Comitato Milanese per l’Acqua Pubblica, in accordo con la presidenza del Consiglio Comunale e le forze politiche cittadine, ha organizzato un Convegno sulla collocazione amministrativa della gestione del servizio idrico integrato di Milano, sulla natura pubblica o privata di tale gestione.
 
Per il Comitato è l’apertura di un confronto tra le istituzioni cittadine e la società civile. Un confronto prima di tutto di informazione nel merito di questi problemi, di stimolo allo sviluppo di una cultura dell’acqua come bene comune e di inizio di un percorso partecipativo, premessa indispensabile di ogni decisione.
 
Siamo convinti che sia necessario ed urgente avviare questo confronto, che chiami tutti gli attori in campo a misurarsi con la riduzione delle disponibilità idriche e con la necessità di riflettere su cos’è un bene comune, senza il quale non esiste nemmeno l’idea della comunità e della politica.
 

P r o g r a m m a :
 

17,00
Saluti
Manfredi Palmeri
Presidente del Consiglio Comunale
 
Introduzione
“Le sfide dell'acqua a Milano”
Emilio Molinari
Presidente del Comitato Italiano Contratto Mondiale per l’Acqua
 
17.30
Interventi
Bruno Rognoni
Direttore Servizio Idrico Integrato Milano
 
Massimo Gatti
Presidente CAP Gestione SpA
 
 
Massimo Florio
Economista, Facoltà di Scienze politiche, Università degli Studi di Milano
 
Alex Zanotelli
“La cultura dell'acqua”
Padre Comboniano
 
18.30
Interventi dei capigruppo del Consiglio Comunale, di esponenti dei sindacati,
del pubblico.
 
Conclusioni
Per il Comitato Milano Acqua
Giovanna Procacci
 
Modera
Miriam Giovanzana
Direttore di Altreconomia

 

Comitato Milanese Acqua:   Acra, ArciMilano, Attac, Comitato Italiano Contratto Mondiale Acqua, Camera del Lavoro di Milano, ChiAmaMilano, Coord. Nord-Sud del Mondo, Dimensioni Diverse, Fratelli dell’Uomo, Fonti di Pace, Gas di Baggio, Grilli Altoparlanti Milano, Itineraria, Associazione Luca Rossi, Fondazione Roberto Franceschi, Oltretutto, Puntorosso, Rete Lilliput nodo di Milano, ReteScuole Milano, Sinistra Rossoverde, Umanisti per l’Ambiente.

Giovedì, 15 Marzo, 2007 - 02:07

Eolo, la dea dell’aria

fonte: www.lifegate.it

Brevettata 6 anni fa dal francese Guy Négre, l’auto tutta ecologica che viaggia ad aria compressa sembrava scomparsa nel nulla. E invece, ora, sarà prodotta in serie. In India.  
 
 Doveva entrare in produzione già tra fine 2001 e inizi 2002, in uno stabilimento di Nizza, e quasi contemporaneamente anche in Italia, a Rieti. Sembrava un sogno: 110 Km/h, un’autonomia di 200 chilometri, 10 ore di funzionamento ininterrotto.
E nessun carburante. Solo aria compressa nel motore, contenuta in un paio di bombole. E soprattutto nessuno scarico inquinante. Di nuovo solo aria, che esce, dal tubo di scarico, a una temperatura di –30° C.

Ma per 6 anni Eolo, una monovolume futuristica e geniale, ideata dall’ingegnere progettista di motori di Formula 1 Guy Négre, è scomparsa nel nulla. Fino a che il colosso automobilistico indiano Tata Motors non ha deciso di produrla in serie, firmando un contratto con la MDI (Motor Development International), la società di Guy Négre e di suo figlio.
L’automobile ad aria compressa comparirà sul mercato entro un anno e mezzo. Come prevede il brevetto originale, sarà possibile fare un pieno “fai da te” in circa 4 ore, collegando Eolo ad un generatore elettrico. Solo 3 euro di elettricità  per 100 chilometri percorsi.
Ma vi sono anche migliorie tecnologiche, maturate in sordina durante questi 6 lunghi anni. Come, ad esempio, il fatto che l’auto prodotta dalla Tata Motors avrà un motore ibrido, metà ad aria compressa e metà a gas. Il che non solo consentirà un’autonomia (500 chilometri con un pieno anziché 200) ed una velocità maggiori (150 Km/h), ma garantirà il funzionamento della vettura anche qualora non fosse possibile la ricarica dell’aria compressa, sfruttando i distributori di gas già presenti sulle nostre strade.
Il prezzo è tutto sommato abbordabile: la vettura costerà infatti 12.000 euro circa, poco più di una comunissima monovolume. Eolo, insomma, ci porta nel futuro. Veloce come il vento.
Chiara Boracchi
 

Giovedì, 15 Marzo, 2007 - 02:02

Sosteniamo "Addiopizzo"

Segue un nostro lungo articolo, scritto per il numero 261 (26 gennaio) della rivista Segno diretta da Nino Fasullo, che contiene la ricostruzione più dettagliata della prima parte della nostra campagna, quella contraddistinta dall’anonimato (termine, secondo noi, improprio, come potrai leggere). Il titolo proposto era: Una comunicazione contro la mafia: gli adesivi antiracket. Molto più semplicemente è diventato: Attacchini contro la mafia.
Il mattino del 29 giugno 2004, su centinaia di piccoli adesivi listati a lutto attaccati dappertutto per le strade del centro, Palermo ha letto per la prima volta questo messaggio:
UN INTERO POPOLO CHE PAGA IL PIZZO È UN POPOLO SENZA DIGNITÀ.
Il giorno dopo tutti i telegiornali regionali aprivano con questa notizia, in Procura i Pm che si occupano delle indagini sul racket si riunivano con i carabinieri per cercare di capire chi fosse l’autore dell’adesivo, e il prefetto di Palermo Giosué Marino convocava in prefettura il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica. C'erano il procuratore generale, il comandante provinciale dei carabinieri, quello della guardia di finanza, il questore e i rappresentanti di Confcommercio, Assindustria e Confesercenti. Durante la conferenza stampa che seguì, un rappresentante di Confcommercio dichiarò che avrebbero fatto istituire subito un nuovo numero verde per raccogliere le denunce anonime (la Confesercenti ne aveva disattivato uno poche settimane prima perché non chiamava mai nessuno; quello nuovo non avrebbe avuto migliore fortuna) e la Camera di Commercio fece sapere che avrebbe fatto nascere un comitato di monitoraggio del fenomeno e di sostegno a commercianti e imprenditori.
L’adesivo non era firmato e tutti pensarono all’iniziativa di qualche commerciante. Ma si trattava del clamoroso gesto di sette cittadini poco meno che trentenni.
Noi, gli ideatori dell’iniziativa, spiegammo le nostre motivazioni con un’intervista al Giornale di Sicilia e con una lettera aperta alla città, pubblicata integralmente dall’edizione cittadina di La Repubblica del primo luglio. Per fare un breve e parziale punto della campagna che, tra alti e bassi, continua coinvolgendo numerose decine di cittadini, non possiamo non riproporre la nostra lettera:
“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità.
Attaccando dei semplici adesivi speriamo di affermare tra le strade della città una verità che pensiamo debba essere di dominio pubblico. La nostra pratica è un piccolo e fragile segno di implicita resistenza.
Si è detto che la mafia, militarmente e non solo, stava per essere sconfitta dallo Stato. Qualche altra volta ci siamo sentiti dire che con i mafiosi in qualche maniera ci dobbiamo convivere, che entro certi limiti la malavita organizzata è una cosa fisiologica. Oggi invece si parla sempre meno di mafia, usura e racket, termini che rischiano di cadere in disuso. Ma la verità noi siciliani la sappiamo bene: ogni esercizio commerciale che fa un buon fatturato, se non è “amico degli amici”, deve pagare il pizzo. Tutti, nessuno escluso. Poco magari, ma tutti versano denaro “per essere protetti”. Tutto ciò è saputo da tutti i siciliani. E quotidianamente dimenticato.
Quando giornalmente facciamo la spesa pensiamo forse che comprandoci semplicemente di che vivere abbiamo appena lasciato denaro anche alla mafia? Certo che no, eppure è così. Se i panifici, i negozi d’abbigliamento, i tabacchi, i bar, le carnezzerie, i negozi di forniture per uffici, le pescherie, le librerie, le gelaterie, i cinema, i fiorai, i negozi di giocattoli, le onoranze funebri e chi più ne ha più ne metta, sono costretti a pagare il pizzo, lo fanno con i soldi che tutti quanti spendiamo in questi esercizi commerciali. Se una percentuale del loro guadagno va alla mafia, una percentuale, seppur minima, dei nostri soldi va alla mafia. I commercianti pagano per non aver bruciato il locale, o perché soggetti a continui atti di intimidazione. Tutti gli altri pagano, paghiamo per “aver protetta” l’integrità della nostra coscienza dalla consapevolezza che siamo schiavi di un sistema capillare di violenta prevaricazione. Paghiamo per dimenticare che l’insieme di tutti i passi che percorriamo quotidianamente per fare la spesa definisce le maglie della rete economica con la quale la mafia si sostenta e ci opprime.
Perché accade tutto ciò? Ci sono molteplici spiegazioni, storiche, sociologiche, psicologiche, economiche e politiche. Ma quasi tutte presuppongono un punto di vista esterno, neutro e oggettivo che non tira mai in ballo il soggetto che cerca di definire il fenomeno mafia. Se un siciliano vuole dare un giudizio sulla mafia, in una maniera o nell’altra, dovrebbe darlo anche su sé stesso, sulla sua maniera di stare insieme agli altri. La mafia è innanzitutto una questione che riguarda i siciliani, e da siciliani, cioè da membri di quella comunità che crea e subisce la mafia, allora pensiamo: il nostro popolo ha creato e si è sottomesso alla mafia. È perverso: si è fatto schiavo di sé stesso. Ma forse in realtà non ci si sente un popolo, cioè veri siciliani, o più probabilmente, non si ha la forza e il coraggio di esserlo. Ognuno pensa per sé e nella migliore delle ipotesi ci aspettiamo che lo Stato arresti tutti i boss, come se non fossimo a conoscenza del retroterra di degrado culturale e sociale nel quale vengono incubati i mafiosi che verranno. Perché tutti quanti, più o meno indirettamente, paghiamo il pizzo? Ci abbiamo pensato su un po’ e abbiamo detto: siamo un popolo senza dignità. Da questa strana risposta abbiamo capito che ci sentiamo parte di una moltitudine che subisce molto e capisce poco. Dalla semplicità di questa risposta, che in realtà è una semplice affermazione di principio, c’è venuta l’idea di attaccare gli adesivi. Vorremmo proporre questo principio per spiegare in maniera diversa il fenomeno mafia, ma prima vogliamo sapere che cosa ne pensano gli altri siciliani. Essendo dei “signor nessuno” ci siamo presi lo spazio che ci serviva per esprimere il nostro pensiero. Abbiamo conservato l’anonimato perché non intendiamo capitalizzare alcun consenso per diventare “qualcuno”, ma soprattutto perché speriamo che siano in tanti a fare la stessa cosa. Per noi non conta che sia un politico, Tizio o Caio, a fare questa affermazione di principio, ma una moltitudine di siciliani. La responsabilità della situazione degenerativa in cui tutti noi viviamo, non è solo dei commercianti, ma di tutta la società di cui anch’essi fanno parte. Non si può chiedere a un singolo cittadino, o commerciante, di immolarsi per la causa. Se tutti noi ci ribellassimo e reagissimo, non ci sarebbe più bisogno di eroi o martiri. Ricordate dopo le stragi del '92 la frase che divenne, in quel frangente storico, il simbolo della lotta alla mafia? Diceva le vostre idee cammineranno sulle nostre gambe. In quei mesi sembrò che qualcosa potesse cambiare, ma se ci fossimo riusciti veramente non saremmo oggi in questa situazione di sudditanza al fenomeno mafioso. Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità: quando questo principio sarà nella testa e nel cuore di tutti i siciliani, riscoprendo l’amor proprio, ci saremo liberati del cancro mafioso.
Questa, almeno, è la nostra convinzione. Siamo uomini e donne abbastanza normali, cioè ribelli, differenti, scomodi, sognatori.
La parola al popolo siciliano.”
Con questa comunicazione, figlia di discussioni, passione, scarsezza di mezzi e ingegno, abbiamo creato uno spazio per un dibattito pubblico. In televisione, alla radio, nei giornali, tra le strade, nei luoghi di lavoro, a scuola e nelle case, la città è stata costretta a infrangere uno dei suoi tabù: parlare di pizzo.
Tutti gli esperti di comunicazione che si sono occupati inizialmente del fenomeno hanno giudicato un’ingenuità il fatto di aver subito rilevato la nostra identità: neolaureati e lavoratori alle prime armi.
Effettivamente se avessimo aspettato una settimana, l’anonimato del gesto avrebbe tenuto la tensione e l’attenzione alte per un periodo più prolungato. Ma avrebbe anche alimentato un’illusione, cioè che qualche commerciante cominciasse a dare segni, se non altro, di insofferenza. Il semiologo Marrone ha sostenuto che: “Dichiarando quasi subito chi erano hanno fatto un errore banale e hanno ucciso il loro mito”.
Effettivamente abbiamo privato il senzazionalismo dei media di un “mito”, ma facendo così abbiamo permesso immediatamente ai nostri coetanei di potersi identificare con gli autori del gesto (e quindi di emularli), e soprattutto abbiamo subito tirato in ballo un soggetto mai tenuto in considerazione quando si parla di pizzo: il consumatore. Gli “attacchini” (fra di noi ci chiamiamo così), rispetto al problema del pizzo non sono altro che consumatori. Questa è una delle principali e più importanti novità di questo fenomeno.
Un sociologo della comunicazione di massa, il professore Abruzzese ha colto nel nostro gesto il rischio dell’approssimazione perché: “ ci sono quelli che pagano il pizzo, ma c’è altrettanta gente che non lo paga”.
Estremizzando questo ragionamento, un esperto di comunicazione molto presente in tv, Kaus Davi, ha sostenuto che la nostra generalizzazione “manda avanti un pregiudizio degno dei nazisti”. Ma a parte questo ultimo ridicolo fraintendimento, se i dati ufficiali dicono che a Palermo otto commercianti su dieci pagano, chi è che non paga? E se è vero, come è vero, che la mafia rappresenta una netta minoranza della società siciliana, perché lasciamo che accada tutto ciò? Perché?
Il nostro anonimato era, ed è, finalizzato alla diffusione della pratica. La riproducibilità del gesto è insita all’idea stessa, e i fatti ci hanno dato, almeno parzialmente, ragione: pochi giorni dopo gli stessi adesivi comparvero a Vibo Valenzia. Dal quel giorno la pratica continua a diffondersi lentamente tramite il passaparola, il web e l’emulazione, e ha coinvolto un numero di cittadini tale che sarebbe forse più corretto parlare di una campagna senza firma, senza copyright, aperta a tutti i cittadini che a titolo individuale vogliano farne parte. Di fronte a questo fenomeno più che sul chi, ci si dovrebbe interrogare sul cosa: una pratica collettiva che coinvolge diverse decine di cittadini/consumatori, organizzati in piccoli gruppi. Gli attacchini che (bene o male) si conoscono reciprocamente, a tutt’oggi, sono più di cinquanta, ma sappiamo per certo che a Palermo ci sono altri gruppi attivi che non conosciamo, come non conosciamo i ragazzi di Alcamo che a settembre hanno attaccato nella loro città gli stessi adesivi (mentre attraverso il passaparola gli adesivi sono arrivati a Bagheria, Casteldaccia e Capaci).
Sull’edizione palermitana di La Repubblica del cinque settembre Nino Alongi pur trovando lodevole l’iniziativa degli adesivi si domandava: “Che si sia inabissata oltre la mafia anche l’antimafia?”. E’ una domanda legittima e pertinente, ma sarebbe forse più produttivo domandarsi: sta forse emergendo una nuova forma di antimafia? Forse, ma comunque è ancora troppo presto per dirlo.
Noi per il momento possiamo solo raccontare che già a fine luglio tra amici, conoscenti e gente dalla quale avevamo deciso di lasciarci trovare eravamo diventati una trentina, e infatti si fecero un altro paio di uscite. Del resto avevamo ancora la gran parte dei 5000 adesivi che avevamo fatto stampare, e molta delle persone che andavamo conoscendo avevano a loro volta degli amici da coinvolgere, fin quando non si trovò un posto abbastanza grande per far incontrare e far discutere una quarantina di persone. Ci si vide due volte, si ragionò a fondo e si decise di fare degli striscioni che poi quattro squadre da cinque misero su alcuni dei ponti lungo la circonvallazione della città, mentre gli altri attaccavano ancora una volta gli adesivi. Tutto ciò per l’anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, infatti sugli striscioni c’erano frasi come questa: Un intero popolo che si ribella al pizzo è un popolo Libero.
Quella notte, inoltre, mettemmo on line il sito www.addiopizzo.altervista.org che tra le altre cose contiene la seguente lettera:
“Le azioni portate a termine la notte tra il 28 e il 29 agosto sono state discusse, concepite ed eseguite da alcune decine di individui che si riconoscono nell'affermazione “un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, e che condividono la pratica di attaccare tra le strade della Sicilia gli adesivi che riportano questa frase.
Per un anno cercheremo di far diffondere il più possibile questa pratica, mettendo l’adesivo a disposizione di tutti insieme ad altri materiali e informazioni.
Durante quest’anno immaginiamo una gran moltitudine di uomini e donne che, grazie anche alle nostre azioni e a questo sito, potranno riflettere e informarsi sul racket mafioso. E quindi decidere se scaricare, stampare e attaccare a loro volta l’adesivo.
Apparteniamo a due differenti generazioni, ma siamo principalmente studenti, giovani in cerca di una prima occupazione e lavoratori alle prime armi.
Siamo mossi da idealità, entusiasmo, rabbia e amor proprio. E dalla preoccupazione per le difficoltà che ci creerà la mafia quando entreremo (si spera!) nei luoghi produttivi e decisionali della Sicilia.
Ricerchiamo nuove forme di lotta per liberare le nostre menti e tutto il territorio siciliano da ogni forma di dominio mafioso.
Come risulta chiaro dagli studi del Centro Impastato, quando si parla di Cosa Nostra si può senz’altro parlare di “signoria territoriale” come connotazione istituzionale, assolutamente fondamentale per definire il fenomeno mafioso, che risulta dal convergere dei seguenti elementi:
1. un sistema di violenza e di illegalità
2. l’accumulazione del capitale
3. l’acquisizione e la gestione di potere politico
4. un codice culturale e un relativo consenso sociale
Le nostre azioni hanno a che fare con il punto 4, con la speranza che le istituzioni, le forze dell’ordine e i politici onesti rilancino con nuovo vigore la lotta ai primi tre punti.
Il nostro obiettivo è erodere il consenso di cui gode la mafia nell’estesa “zona grigia” della nostra società.
Per l’esattezza, il nostro obiettivo critico è il beneplacito della popolazione di cui si avvantaggia il connivente della Cosa nostra degli assassini.
Le nostre azioni vogliono porre un argine al silenzio, sono atti di ribellione alla sottocultura mafiosa e una forma di dissociazione attiva dall’indegno quietismo che si è consolidato soprattutto attorno al problema delle estorsioni mafiose.
Abbiamo quindi scelto l’anniversario del vile assassinio di Libero Grassi, l’imprenditore che pagò con la vita la sua ribellione al racket, per provare a lanciare in tutta l’Isola una “guerriglia comunicativa a bassa intensità” contro il pizzo, una campagna della durata di un anno.
Per sconfiggere la mafia, la lotta al racket ha un ruolo strategico. Attraverso il pizzo, infatti, la mafia controlla in maniera capillare tutto il territorio. Ecco alcuni eloquenti dati:
• Per la Procura di Palermo, l’80% dei commercianti di Palermo paga il pizzo. E la media regionale si attesta sul 70%.
• Secondo i dati di Confesercenti, in Sicilia le vittime dei ricatti mafiosi sono circa 50mila (160mila in tutt'Italia).
• L'Eurispes calcola che dal pizzo la mafia guadagni circa 10 miliardi di euro l’anno (6 dei quali con il racket delle campagne: restituzione di attrezzature e macchinari rubati nei campi, gestione illegale delle risorse idriche).
Soltanto questi dati dovrebbero fare capire che il pizzo non è solo un problema degl’esercenti e degli industriali.
Noi parliamo di intero popolo per non colpevolizzare a priori nessuna categoria e per richiamare l’attenzione sulle responsabilità collettive di tutti quanti.
Il pizzo rappresenta solo il 16% dei guadagni illegali della mafia, ma la gravità del fenomeno va al di là delle cifre.
Pretendendo il pizzo, la mafia di fatto afferma la sua signoria sul territorio, è come se chiedesse una tassa, perché ritiene il territorio cosa sua, si considera padrona di esso e quindi chiede del denaro per “concedere” il diritto al lavoro.
Il pizzo non è soltanto un danno all’economia dell’intera regione, è il simbolo della negazione della sovranità del popolo siciliano.
A fronte di tutto ciò, con i nostri adesivi e le altre azioni analoghe cerchiamo di dare alla realtà il suo nome, la descriviamo e lasciamo agli interpellati il compito di decidere. Anche sull’opportunità di aderire, in quanto semplici cittadini, alla campagna che intraprendiamo e lanciamo.
Per un anno cercheremo di far diffondere il più possibile la pratica di attaccare tra le strade della città l’adesivo che mettiamo a disposizione di tutti in questo sito, insieme ad altri materiali e informazioni.
La rete che speriamo si verrà a configurare sarà senza vertici, e senza un centro ben definito e stabile.
Attaccare questi adesivi per una anno, quando e dove ogni singolo gruppo o individuo crede e ritiene opportuno, sarà una maniera per scuotere le coscienze e alimentare il confronto critico.
Tutto ciò è il contributo che intendiamo dare a un nuovo corso che speriamo si avvii presto: un processo di autoeducazione popolare finalizzato alla liberazione delle menti e del territorio dalla mafia.”
E il sito è uno dei principali strumenti che i promotori della campagna hanno messo a disposizione di questo processo, infatti contiene anche i recapiti di tutte le associazioni antiracket siciliane, il numero verde del Ministero dell’interno, un file scaricabile che contiene il testo della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura), un po’ di documentazione utile per conoscere meglio il fenomeno e una ricca (sebbene incompleta) rassegna stampa.
Prima di concludere, una menzione meriterebbe anche un altro messaggio meno fortunato. Durante la festa della patrona di Palermo attaccammo vicino a molte chiese e lungo una parte del percorso della processione un adesivo con su scritto: “Santa Rosalia liberaci dal pizzo!”. Questa azione, come era prevedibile, non ha avuto la stessa fortuna mediatica della prima, ma non essendoci mai sopravalutati, non ce ne siamo fatti un particolare cruccio. Anche se questo messaggio non ha funzionato, prima o poi si dovrà discutere ampiamente anche di questo: malgrado molti sacerdoti conducano da anni una lotta individuale contro la mafia, e che i teologi parlino di Cosa nostra come una struttura di peccato, non esiste ancora una Pastorale specifica contro la mafia. Questo fatto è avvertito come una mancanza anche da quei laici che nella lotta alla mafia hanno trovato un importante punto di riferimento anche nei sacerdoti.
Comunque, per concludere: gli attacchini in realtà sono pur sempre un numero insignificante, ma hanno un larghissimo consenso e spingono un gran numero di cittadini a riflettere e a discutere. Non pensiamo certo che ci si possa attendere di più da una pratica del genere. Che tutto ciò sia comunque importante e significativo ci è stato confermato anche dalle tante e-mail ricevute, tra le quali la seguente è una di quelle che ci ha incoraggiato maggiormente:
“Non ho ben capito chi siete, ma ammetto che la cosa non riveste, a mio modo di vedere, determinante importanza. Preferisco immaginarvi come uomini e donne pervasi da elevato spirito civico, spinti da una molla che tutti i siciliani onesti possiedono ma che raramente scatta: quella di urlare ad un popolo intero di riappropriarsi di una dignità che gli spetta di diritto, di gettare le basi per un’unione dalla quale possa scaturire una forza travolgente.
In altre parole qui la sostanza prepondera largamente sull’apparenza. Poco importa se avete i baffi o no, se portate gli occhiali o meno, se siete biondi o bruni… Mi basta l’intento, il messaggio lanciato, il richiamo alla coscienza. È per questo che vi mostro la mia solidarietà, che dico che un esempio come il vostro è certamente degno di apprezzamento, che merita continuità. Io non sono direttamente interessato al problema del pizzo; non possiedo un’attività commerciale né lavoro per una di esse. Però mi sono fermato a riflettere pensando che quando pago il conto della spesa finanzio in una certa misura le casse delle organizzazioni estorsive. Saluti.”
E’ necessario riflettere sulla responsabilità collettiva della società siciliana di fronte a fenomeni largamente diffusi come quello del racket. Infatti, non si può pretendere che gli imprenditori denuncino i loro estorsori se l’ambiente socioculturale in ci vivono è indifferente al problema. Certo è che, se la società civile e la cittadinanza tutta assumessero un comportamento attivo di lotta e contrasto alla signoria di Cosa nostra, l’imprenditore reticente o compiacente avrebbe meno scusanti.
Noi riteniamo quanto è nato dalla nostra iniziativa una delle espressioni di quella intelligenza e passione collettiva che – a fatica – si risveglia e si riorganizza, ci sentiamo parte di una storia popolare che lentamente si sta scrivendo dal basso, siamo parte di quella moltitudine di siciliani senza nome che in un precario equilibrio tra entusiasmo e disincanto in cuor loro sognano comunque una terra endemicamente ribelle ad ogni forma di sopruso, giusta, laboriosa e creativa.

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