Il dopo Bolzaneto, una vergogna senza limiti
Purtroppo non sempre è così, per molte ragioni contingenti tra cui l'eccesso di lavoro rutinario, ma anche per una insufficiente cultura democratica, per una tendenza a prediligere il sostantivo alla sua specificazione, il denaro al servizio. Un grave errore istituzionale perché l'Avvocatura dello Stato in tanto ha un senso in quanto contribuisce a garantire la legittimità dei vari apparati della Repubblica, ponendosi in una posizione di attenzione, ma di grande autonomia tecnica verso la politica e la pubblica amministrazione. Sotto questo profilo costituisce un grave vulnus l'obbligo introdotto surrettiziamente con una legge del 1991, riguardante gli organici, di condizionare la costituzione nei giudizi penali ad una apposita autorizzazione della Presidenza del consiglio dei ministri.
In tal modo l'Avvocatura dello Stato perde la sua autonomia e viene sottoposta ad una contingente valutazione prettamente politica che ne offende dignità e ruolo, prestandosi a molte strumentalizzazioni. Si spiega così la sua assenza nel processo di Genova come parte offesa nei confronti degli imputati, assenza non giustificata dalla sua citazione come responsabile civile, tra l'altro contestata proprio perché il comportamento degli agenti infedeli non può essere considerata espressione del potere statuale.
L'aspetto processuale da ultimo indicato è solo la punta di un iceberg dello scandalo politico-istituzionale che ha accompagnato l'intera vicenda. Già le modalità dei fatti commessi in quel terribile giorno sono tali da destare un grave allarme: per ore le persone, i loro diritti, la pubblica funzione sono state in balia di un nutrito gruppuscolo di scalmanati violenti senza che nessuno dei responsabili del settore pubblico intervenisse per interrompere, come era loro dovere, i reati in atto (impossibile che non ne fossero a conoscenza).
Subito dopo, presa visione in modo inconfutabile di quanto era accaduto, gli organi istituzionali hanno mantenuto una riservatezza più vicina al silenzio omertoso che alla prudenza esasperata. La classe politica nel suo insieme ha rivelato un distacco ed un'apatia morale degne dei peggiori periodi del più brutto passato ed ha sostanzialmente mantenuto per anni questo vergognoso atteggiamento. Anche il sindacato di polizia, che pure conta al suo interno dei galantuomini, ha preso le distanze chiudendosi in uno sdegnoso silenzio che ha danneggiato i suoi assistiti onesti.
Soltanto la magistratura, anche se si sarebbe auspicata una maggiore solerzia, ha mantenuto alto il prestigio della sua funzione, rivelandosi l'unica effettiva garante dei diritti fondamentali dell'uomo e della legalità dello Stato democratico. L'indagine condotta dalla procura genovese ha incontrato notevoli difficoltà, a partire, da quanto sembra, dalla «cauta» partecipazione del procuratore dirigente alla modesta ed ambigua collaborazione della polizia, dall'insicura autenticità dei mezzi probatori raccolti al numero e reperibilità dei testimoni ed alle non parsimoniose richieste degli avvocati difensori.
A legare le mani dei magistrati incombe dall'alto l'assenza dal nostro codice penale del reato di tortura (certamente realizzato in tutti i suoi classici estremi in quel sciagurato giorno) oggetto di specifici richiami della comunità europea, ben presente nei trattati internazionali. Il parlamento italiano ha avuto occasione di occuparsene, con una calma che ha finito con il perdersi nei polverosi meandri del Senato prima di essere licenziato nel testo definitivo.
Così i rivoltanti fatti commessi hanno trovato spazio nei più modesti reati di abusi d'ufficio e lesioni personali, per i quali la pena è non solo molto contenuta, ma destinata a cadere sotto la mannaia della solita prescrizione, trasformata in condono permanente.
La vergogna per il nostro devastato stato non conosce limiti: gli imputati non sconteranno neppure l'esigua pena, i danni provocati ai malcapitati ragazzi saranno probabilmente pagati dallo Stato (che faticherà persino a farseli in parte rimborsare con l'azione di rivalsa nei confronti dei colpevoli), mentre i danni alla sua immagine ed al buon nome della polizia si perderanno lungo le strade delle buone intenzioni di cui è lastricato, con l'inferno, anche il nostro paese.
Di procedimenti disciplinari non se ne è sentito parlare, se non vagamente ed in modo improprio dal ministro Amato (cui siamo creditori di una risposta dopo il nostro, recente intervento su l'Unità), contrariamente alle non poche promozioni effettuate.
Ora si è appreso di una richiesta di rinvio a giudizio dello stesso capo della polizia, una notizia-bomba che ci auguriamo, nell'interesse di tutti, venga presto disinnescata. La sua eventuale deflagrazione sconvolgerebbe la credibilità delle istituzioni ed aprirebbe le porte al più devastante scetticismo sul cui terreno tanti cittadini hanno purtroppo abbandonato i loro ideali e le loro aspettative democratiche.
* giurista
EXPO 2015: quale futuro per la città?
Carissima Fiorella, carissim* tutt*,
il tema della discussione è quali opportunità potrebbero derivare dall'EXPO 2015, in merito a un coinvolgimento chiaro e incisivo della cittadinanza. Io vorrei proporre il tutto con uno sguardo avveniristico: come sarà Milano nel 2016? Difficile fare previsioni totalmente affidabili, ma è comprensiva la necessità di parlarne, di ipotizzare scenari differenti, visioni diverse, possibilità varie che identifichino Milano nella sua nuova, rinnovata, innovativa, dimensione post EXPO 2015.
E' un successo l'avere avuto come accreditamento l'Esposizione Universale a Milano, in Italia? Indubbiamente è un successo internazionale, che rende credibile il nostro Paese e che illustra la crescita di consenso che l'Italia, negli ultimi due anni, ha ricostruito da parte degli altri paesi mondiali. Quindi in primiis, mi sia consentito di dire, l'azione diplomatica del Governo ha dato buoni frutti. Ma non possiamo fermarci a questa conquista considerandola, come la finale di una coppa mondiale di calcio, una vittoria fine a sè stessa. Qui non stiamo parlando di mondiali di calcio ma, bensì, del futuro e dei destini territoriali, sociali e culturali di una città, una grande città, che, a parere del sottoscritto, soffre ancora di forti lacune nel suo sviluppo infrastrutturale, nell'applicazione di scelte politiche ambientali dedite alla sostenibilità, quali l'incentivazione dei mezzi di trasporto pubblico, una rete diffusa ferroviaria per il trasporto delle merci sul territorio, una diminuzione della forte distanza esistente tra centro e quartieri periferici, l'assenza di condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro, sui cantieri, mi viene in mente che proprio ieri un altro lavoratore albanese, con permesso di soggiorno e regolare, ha subito un nuovo incidente in un cantiere nella mia zona, in Via Marcona, l'apposizione di pannelli fotovoltaici sugli edifici di nuova e vecchia costruzione, l'abbattimento dei costi degli affitti, alti, troppo alti, soprattutto per studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori che migrano, ce ne sono molti, come testimonia una ricerca condotta da Corrado Augias che riporta i livelli di migrazione dal Sud al Nord agli standard degli anni 60/70, a Milano.
Ho letto attentamente, Fiorella, l'ottimo articolo che tu hai segnalato di Beltrami Gadola sul Corriere della Sera, in merito allo scenario che interesserà in termini di partecizione e di sviluppo Milano nei prossimi anni in attesa di ospitare la sei mesi dell'esposizione universale. Mi sono soffermato su due concetti che ritengo essere le chiavi interpretative dei dubbi, delle forti perplessità, delle forti incertezze circa il futuro di questa nostra città.
Innanzitutto Gadola dice:"V' è da costruire un consenso nell' opinione pubblica". Ma è chiaro e non posso che concordare con questa affermazione. Oltre ai festeggiamenti e trionfi di natura istituzionale e imprenditoriale, soprattutto, per l'assegnazione dell'EXPO 2015 a Milano occorre costruire un consenso nella cittadinanza. Ma come si costruisce un consenso se non attraverso una partecipazione e un coinvolgimento diretto di quest'ultima? Io vorrei ricordare che qualche mese fa, in piena discussione, sembra oramai l'unica presente in modo rilevante a livello amministrativo cittadino, circa la possibile assegnazione dell'esposizione a Milano, dove l'opinione pubblica si è divisa in modo manicheo tra sostenitori e tra oppositori, come fossimo nella Firenze dantesca dei guelfi e dei ghibellini, tra questi ultimi, ossia nella schiera dei ciritici, c'era l'imprenditore De Albertis, il quale, proprio perchè escluso dalla definizione, progettuale ed economica, delle proposte di intervento edificatrici nelle aree interessate dal grande sviluppo, ha accusato la giunta, il sindaco e l'amministrazione di voler rndere l'EXPO 2015 e la sua preparazione affari di pochi, coinvolgendo poche realtà, quasi tutte imprenditoriali e finanziarie, per certificare il migliore programma di crescita urbana della città. Lo ha detto, sottolineo, un imprenditore. Voi, giustamente, direte che questa "accusa" derivava dall'essere stato escluso dalle "trattative" per i prossimi necessari appalti per edificare e costruire nuovi insediamenti mirabolanti: chiaramente una buona dose della spiegazione di questa boutade deriva da questo fattore, ma comunque è indicativo di una situazione generale che viene avvertita come esclusiva per pochi, sotto la giusta e magnanima dimensione della finalità nobile, non posso che dirlo giustamente, dell'esposizione occasione per i paesi meno ricchi di poter intessere relazioni di cooperazione e di poter offrire i prodotti propri al mercato internazionale, di poter diventare riconoscibili nella definizione dei destini alimentari mondiali.
Giustamente Gadola osserva che invece di parlare semplicemente di EXPO 2015, implicando in questa definizione gli scenari possibili e le opportunità, occorre riflettere in un'ottica di «Non solo Expo», ossia in un'accezione che implichi un programma di intervento strutturale di rilancio sociale, culturale, economico e urbano di questa nostra città. Innanzitutto si deve parlare di EXPO non escludendo le realtà municipali limitrofe alla nostra città, in una dimensione metropolitana, essendoci il coinvolgimento necessario di tutte le componenti dei territori che saranno necessariamente coinvolte in questo appuntamento di dimensione globale. Gadola parla di proposte che devono essere calendarizzate nell'agenda istituzionale, in una visione metropolitana ripeto, altrimenti ogni progetto rischia di naufragare, rischia di rivelarsi un fallimento, rischia di parcellizzarne l'attuazione e la dimensione operativa e di analisi. Dalle proposte per interventi che garantiscano un risparmio energetico cospicuo alle proposte che aumentino l'incentivo all'utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico, con premi e agevolazioni, molto lavoro ha fatto la finanziaria 2008 in questa direzione, quali il «mobility manager», che premia privati per l'utilizzo dei mezzi pubblici o per pratiche virtuose in tema di mobilità sostenibile, come il "car sharing" e il "car pooling", l'utilizzo collettivo dell'automobile; Gadola parla, giustamente, anche di politiche di abbassamento e di calmieramento dei costi degli affitti, parla di edilizia convenzionale o residenziale pubblica, io vorrei ricordare, come denuncia e scrive il consigliere regionale di Rifondazione (Sinistra Arecobaleno) in un'intervista su Il manifesto del 1 aprile, che a proposito di edilizia pubblica, nonostante i fondi in finanziaria 2008, la Regione ha tagliato 20 milioni nel capitolo di bilancio. Si parla di bioarchitettura, di progetti di edificazione che adottino un sistema di riscaldamento naturale, sostenibile e rinnovabile; Gadola parla giustamente di periferie da rilanciare in un'ottica di dimensione municipale, di cittadinanza attiva, di coinvolgimento, di riqualificazione urbana, ambientale, di sostenibilità civica e sociale, di garanzie adottate tramite una rete diffusa di servizi efficenti e incisivi per le pari opportunità, per una giustizia sociale diffusa, per un nuovo welfare universale e partecipato.
Esistono, da parte dell'amministrazione, progetti che vadano in questa direzione? Esiste, poi, un serio decentramento qualificato, rinnovato, che concepisca la partecipazione come canale primario di amministrazione del territorio circoscrizionale, nella sua dimensione sociale, nella sua interezza civica, di grandezza municipale. Non possiamo ripartire da una città rinnovata e riqualificata nel patto di convivenza se non si parte dal rilancio delle municipalità e della partecipazione del coinvolgimento della cittadinanza attiva. Se Expo significherà solo progetti edilizi, non possiamo che dire che gli appetiti imprenditoriali saranno imperanti nella visione di una città a misura delle sole grandi progettazioni mirabolanti, della cementificazione oltremisura, dell'aggressione alle aree verdi e agricole presenti in città: fino a oggi i prodromi non sono rosei, come testimonia il nuovo regolamento edilizio in discussione che elimina la possibilità, non solo dei consigli circoscrizionali, ma anche dello stesso consiglio comunale di esprimersi in materia di varianti volumetriche edilizie, le DIA e le SUPERDIA, che mettono a repentaglio una programmazione seria e coerente del territorio, dei territori nelle loro specificità culturali, storiche e civili.
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano - La Sinistra, L'Arcobaleno
Consiglio di Zona 4 Milano
FERMATA MM 2 FAMAGOSTA, degrado e sporcizia ovunque
FERMATA MM 2 FAMAGOSTA, degrado e sporcizia ovunque
La fermata della MM2 Famagosta è l’ingresso in città di quanti vengono a lavorare, studiare, divertirsi. L’aspetto che si presenta davanti agli occhi non è dei più idilliaci. Sporcizia ovunque, muri imbrattati, strutture fatiscenti e vecchie. Anche sotto – alle fermate dei bus che vengono dall’hinterland - la visione non è dissimile. Possibile che non si possa intervenire, curare la pulizia che deve essere giornaliera, risistemare le strutture almeno con una mano di vernice, ripulire i muri dalle numerose scritte. La stessa cosa avviene a Romolo, dove sia in corrispondenza della fermata delle FF.SS., che sotto la MM2 e al parcheggio interrato, lo spettacolo è identico. La Milano che ha appena vinto l’Expò 2015 deve occuparsi anche delle periferie e cominciare dalle cose più risolvibili in tempi brevi. A.Valdameri, consigliere di Zona 6 Lista Fo
Piatto pieno, Piatto vuoto - Prodottti locali, appetiti globali
Sala di Rappresentanza del Rettorato, via Festa del Perdono, 7 - Milano
Terza Giornata di Studi “Le ricchezze dell’Africa”
Piatto pieno, piatto vuoto
Prodotti locali, appetiti globali
L'Africa è, nel senso corrente, frequentemente rappresentata con segni ossessivamente riproposti, ma poco e male criticamente analizzati: bambini numerosi e sofferenti, costumi stupefacenti, deserto e tramonti, natura selvaggia, centri urbani disordinati, il volto della guerra e delle epidemie... Nel mondo della divulgazione, l'Africa risulta più oggetto di moda che di conoscenza.
Esiste invece un'altra Africa conosciuta nelle sue realtà dagli operatori che su quei territori svolgono interventi per migliorare le risorse dei luoghi e la vita degli uomini; e dagli studiosi il cui ruolo è quello di analizzare e diffondere la cultura africana. Esiste cioè un'Africa ricca delle sue risorse naturali e umane che diventano motivo di impegno e di intervento da parte dei tecnici; e motivo di studio della sua cultura, cioè delle sue tradizioni, della sua letteratura, della sua musica, da parte degli studiosi.
Impegni finalizzati, nell'ambito degli interventi sul territorio e con la popolazione, aiutano a risolvere situazioni precarie. Impegni finalizzati, nell'ambito delle culture, sono l'occasione per costruire esperienza per una comprensione, scambio e diffusione di quei valori.
Territori, uomini e culture dell'Africa vengono così a significare elementi di costruzione di nuove forme di conoscenza che, pur molto lentamente, potrebbero modificare una lettura spesso falsata e quindi fuorviante della realtà africana.
In collaborazione con AMREF – MANI TESE
Programma
9.30-10.00
Giorgio Botta – Università di Milano
Apertura dei lavori
Università di Milano
Indirizzi di saluto
Sistemi agroalimentari locali e dinamiche globali
nell’Africa contemporanea
Modera: Ettore Tibaldi10.15-11.30
Pierpaolo Faggi – Università di Padova
Cibo e agricoltura in Africa: una lettura geografica
Antonio Onorati – Crocevia
L'Africa può nutrire se stessa. Mercato mondiale permettendo
11.30-11.45
Pausa
11.45-12.30
Stefano Allovio – Università di Milano
La "vera carne" dei pigmei: parabole identitarie e strategie alimentari in Africa centrale12.30-13.00
Domande
13.00-14.30
Buffet equo-solidale14.30-17.30
Gli scenari possibili:
Quali reti agroalimentari per quale sviluppo?
Modera: Giorgio Botta
Sara Bin – Università di Padova
Fagiolini verdi equi e solidali nella Valle del Sourou (Burkina Faso).Proposte di imprenditoria etica e desiderio di autonomia locale
Valerio Bini – Università di Milano
Dopo il globale? Sistemi agroalimentari locali nella regione dell'Atakora (Benin)Marco Simonelli – AMREF
Alimentazione nomade e sviluppo sedentario fra i pastori Turkana (Kenya)16.00 – 17.00 Dibattito
17.00 Conclusioni
- Odilia, reprit-il, comment veux-tu que j'y comprenne quelque chose ? Voilà des siècles que nous n'avons plus d'argent et nous mangeons toujours. Comment peux-tu faire, dis, petite soeur ?
Il riait de toutes ses dents.- Les villages des environs sont pleins de braves gens, répondit-elle, évasive à dessein.
- Il faut bien croire qu'une providence veille sur les pauvres Noirs, dit-il en guise de commentaire tandis qu'il mangeait.
" Bien sur, reprit le garçon, la nourriture, ça n'est tout de même pas un problème : tu pourrais toujours aller en chercher au pays. Et puis moi je m'en fous ; je suis resté des semaines sans rien mâcher, en buvant juste de l'eau. Mais toi, il faut que tu manges et que tu manges bien... ".
Eza Boto, Ville cruelle
Comitato scientifico:
Giorgio Botta; Stefano Allovio; Marco Modenesi; Liana Nissim; Ettore Tibaldi; Valerio Bini; Chiara Pirovano; Martina Vitale Ney
Segreteria organizzativa:
Valerio Bini; Chiara Pirovano; Martina Vitale Ney
ricchezzeafrica@tiscali.it
Dipartimento di Geografia e Scienze Umane dell’Ambiente, Università degli Studi di Milano
Via Festa del Perdono, 7 - Milano
tel. ++39-02-50312840
AMREF
Via Boezio, 17 – 00192, Roma
www.amref.it
MANI TESE
Piazza Gambara 7/9 - 20146, Milano
www.manitese.it
Al Zerologico un interessante vernissage il 5 aprile
Alessandro Rizzo
Zerologico presenta
Inaugurazione 5 aprile ore 18.30
Il Centro Culturale Zerologico presenta “Luci digitali” di Fab3, un'installazione che mescola arte, musica e video. In un mondo di colori, percezioni visive astratte ed elettronica, l'intero spazio espositivo sarà la scena sulla quale Fab3 svilupperà la sua creatività.
invece, proiettate immagini digitali astratte, e il tutto sarà accompagnato da una musica elettronica minimale con richiami lounge.
Orientamenti obliqui per la freccia del tempo
29 Marzo 2008
Un indispensabile scetticismo
La caratteristica dei resoconti europei, comune del resto anche a società molto più semplici, è stata la tendenza a sovrapporre la propria storia al mondo più ampio, a causa di una inclinazione etnocentrica, a sua volta estensione dell'impulso egocentrico che sta alla base di gran parte della percezione umana; e la possibilità da parte dell'Europa di dare corso a tale inclinazione è dovuta al suo effettivo dominio in molte parti del mondo. Ciascuno inevitabilmente vede il mondo con i propri occhi, non con quelli altrui. E sebbene in tempi recenti siano emersi orientamenti contrari in tema di storia mondiale, a mio parere questo indirizzo non è stato portato sufficientemente avanti a livello teoretico, soprattutto per ciò che riguarda le grandi fasi in cui concepire la storia mondiale.
Per contrastare l'inevitabile carattere etnocentrico di qualunque tentativo di descrizione del mondo, passato o presente, occorre porsi in una prospettiva più critica. Questo significa innanzitutto assumere un atteggiamento di scetticismo riguardo alla pretesa occidentale, in particolare da parte dell'Europa (ma, beninteso, anche dell'Asia), di avere inventato pratiche e valori come la democrazia o la libertà. In secondo luogo, significa guardare la storia a partire dal basso anziché dall'alto (o dal presente). In terzo luogo, significa assegnare un peso adeguato al passato extra-europeo. Infine, occorre prendere coscienza del fatto che la stessa struttura portante della storiografia, la collocazione degli avvenimenti nel tempo e nello spazio, è variabile, soggetta a costruzione sociale e dunque a cambiamento. Non è fatta, cioè, di categorie immutabili, che promanerebbero dal mondo stesso nella forma in cui esse sono presenti alla coscienza storiografica occidentale.
Gli abitanti del «vecchio paese»
Le dimensioni temporale e spaziale oggi prevalenti furono tracciate dall'Occidente. Ciò avvenne perché l'espansione nel mondo rese necessarie la notazione cronologica e la costruzione di mappe, le quali fornirono l'intelaiatura non solo della geografia ma anche della storia. Beninteso, tutte le società hanno conosciuto concetti spaziali e temporali intorno ai quali organizzare la vita quotidiana. Tali concetti diventarono più elaborati (e più precisi) con l'avvento dell'alfabetizzazione, che fornì indicatori grafici per entrambe le dimensioni. Fu la prioritaria invenzione della scrittura, piuttosto che il possesso di una qualche intrinseca verità circa l'organizzazione spazio-temporale del mondo, a conferire alle più importanti società dell'Eurasia notevoli vantaggi nel computo del tempo e nella creazione e nel perfezionamento della cartografia, rispetto, per esempio, all'Africa, che aveva una cultura orale. (...)
Il «furto della storia» non è soltanto l'appropriazione del tempo e dello spazio, ma anche la monopolizzazione dei periodi storici. Quasi tutte le società sembrano compiere qualche tentativo di classificare il proprio passato secondo differenti periodi di tempo di lunga durata, rapportati alla creazione non tanto del mondo quanto dell'umanità. Se, come è stato detto, per gli eschimesi il mondo è sempre stato come è ora, nella grandissima maggioranza delle società gli esseri umani di oggi non sono considerati gli abitatori primigeni del pianeta. La loro presenza sulla terra ha avuto un momento di inizio, che presso gli aborigeni australiani era chiamato «il tempo del sogno»; secondo i loDagaa del Ghana settentrionale, i primi esseri umani abitavano «il vecchio paese» (come tengkuridem).
Calcoli cristiani
Con la comparsa della «lingua visibile», la scrittura, la periodizzazione sembra farsi più complessa; troviamo l'idea di una primitiva età d'oro o paradiso, quando il mondo era un posto migliore in cui vivere, che l'umanità sarebbe stata costretta ad abbandonare a causa del suo (peccaminoso) comportamento: il contrario dell'idea di progresso e di modernizzazione. Altri ancora elaborarono una periodizzazione basata su cambiamenti nella natura degli utensili usati dagli esseri umani, che potevano essere di pietra, di rame, di bronzo o di ferro, una periodizzazione delle età dell'uomo che fu assunta come modello scientifico dagli archeologi europei del diciannovesimo secolo.
In epoca relativamente recente, l'Europa si è appropriata del tempo in maniera più decisa, applicando la propria versione al resto del mondo. Beninteso, è indispensabile inserire la storia mondiale in un'unica cornice cronologica, se la si vuole considerare unitariamente. Ma si è dato il caso che il calcolo internazionale del tempo sia fondamentalmente cristiano, come cristiane sono le più importanti festività - Natale e Pasqua - celebrate da organismi mondiali come le Nazioni Unite, e questo vale anche per le culture orali del Terzo Mondo, che pure non aderivano al sistema di calcolo usato da quella che è solo una tra le maggiori religioni.
Un certo grado di monopolizzazione è necessario nella costruzione di scienze universali come, poniamo, l'astronomia. Anche la globalizzazione comporta un certo grado di universalità: non si può operare con concetti meramente locali. Ma benché lo studio dell'astronomia fosse nato altrove, le modificazioni avvenute nella società dell'informazione e in particolare nella tecnologia dell'informazione nella forma del libro a stampa (proveniente peraltro, come anche la carta, dall'Asia) fecero sì che, nella sua struttura evoluta, la cosiddetta scienza moderna fosse occidentale. In questo caso, come in molti altri, globalizzazione ha voluto dire occidentalizzazione.
L'universalizzazione diventa un problema molto maggiore nelle scienze sociali, per ciò che riguarda la periodizzazione. Nella storiografia e nelle scienze sociali, per quanto gli studiosi si sforzino di conseguire una «oggettività» weberiana, i concetti usati sono più strettamente legati al mondo che diede loro i natali. Per esempio, i termini «antichità» e «feudalesimo» furono chiaramente definiti alla luce di un contesto esclusivamente europeo, pensando al particolare sviluppo storico di quel continente. E nell'applicazione di quei concetti ad altre epoche e ad altri luoghi, sorgono dei problemi perché in quel caso vengono in primo piano i loro limiti molto reali. Dunque, uno dei grandi problemi dell'accumulazione del sapere riguarda il fatto che le categorie impiegate sono esse stesse in larga misura europee, in molti casi definite per la prima volta durante la grande fioritura di attività intellettuale che seguì al ritorno della Grecia alla cultura scritta.
Fu allora che furono delineati i campi della filosofia e di discipline scientifiche come la zoologia, poi riprese in Europa. Sicché la storia della filosofia, quale è incorporata nei sistemi scolastici europei, è sostanzialmente la storia della filosofia occidentale dai greci in avanti. In anni recenti, gli studiosi occidentali hanno marginalmente dedicato qualche attenzione a temi analoghi presenti nel pensiero (pensiero scritto, cioè) cinese, indiano o arabo. Minore attenzione ricevono, comunque, le società prive di scrittura, benché si riscontrino tematiche a tutti gli effetti «filosofiche» nelle narrazioni orali rituali, come il mito del Bagre dei loDagaa del Ghana settentrionale. La filosofia è pertanto quasi per definizione una disciplina europea. Come è avvenuto per la teologia e per la letteratura, abbastanza di recente sono stati introdotti alcuni elementi comparatistici, come concessione a interessi indotti dalla globalizzazione. Ma, in realtà, la storiografia comparata rimane in gran parte un'utopia. (...)
La linearità è un elemento costitutivo dell'idea di «progresso», che noi consideriamo «avanzata». Secondo alcuni, questa nozione è tipica ed esclusiva dell'Occidente, e in qualche misura effettivamente lo è, essendo attribuibile alla velocità delle trasformazioni avvenute principalmente in Europa a partire dal Rinascimento, nonché alle applicazioni della «scienza moderna» come la definiscono Needham e altri. Io direi piuttosto che una qualche nozione di progresso è tipica di tutte le culture scritte, con la loro introduzione di un calendario fisso, che per così dire traccia una linea di demarcazione. Ma questa non segnala affatto una progressione unidirezionale. Quasi tutte le religioni scritte contengono l'idea di una età d'oro, di un paradiso o giardino naturale, dal quale l'umanità dovette in seguito ritirarsi. Tale nozione comportava un guardare all'indietro, oltre che, in alcuni casi, un guardare in avanti verso un nuovo inizio. Anzi, un'analoga idea di paradiso si riscontra anche in culture orali. Ma nel passato si individuava una cesura netta; soltanto dopo l'Illuminismo, con l'imporsi della secolarizzazione, troviamo un mondo governato dall'attuale idea di progressione, non tanto verso una determinata meta, quanto da uno stato precedente dell'universo a qualcosa di differente, addirittura impensato, come nel caso dell'aeroplano, risultato insieme della ricerca scientifica e dell'ingegno umano.
Uno degli assunti di fondo di molta storiografia occidentale è che nell'organizzazione delle società umane la freccia del tempo coincida con un equivalente incremento di valore e desiderabilità, cioè con il progresso. La storia diventa una sequenza di stadi, ciascuno derivato dal precedente e introducente al successivo, fino al culmine finale, che per il marxismo, per esempio, è il comunismo. Ma non occorre nutrire questo tipo di ottimismo millenaristico per dare una lettura eurocentrica della direzione della storia: per la maggior parte degli storici, il momento in cui scrivono è prossimo se non identico alla meta finale dello sviluppo dell'umanità. In tal modo, ciò che definiamo progresso riflette in realtà valori che sono specifici della nostra cultura, e che oltretutto sono di data relativamente recente.
Un dubbio progresso
Parliamo di progressi nel campo delle scienze, nella crescita economica, nella civiltà, nel riconoscimento dei diritti umani (la democrazia, per esempio). Esistono tuttavia altri criteri in base ai quali misurare il cambiamento, e in certa misura essi sono presenti come discorsi antagonisti perfino nella nostra cultura. Se per esempio usiamo il criterio ambientale, la nostra società rappresenta una catastrofe sul punto di verificarsi. Se parliamo di progresso spirituale (la forma di progresso più importante per alcune società, anche se controversa nella nostra), si potrebbe dire che stiamo attraversando una fase regressiva. A livello mondiale, non si vedono molte prove di progresso dei valori, a dispetto degli assunti contrari che dominano l'Occidente.
Il governo si scusa per Bolzaneto
Dopo la requisitoria dei pm e le arringhe degli avvocati di parte civile, ieri nel pomeriggio la parola è andata all'Avvocatura di Stato e la prima sorpresa è stata proprio la rivelazione su chi impedì la costituzione di parte civile: «Il fatto che lo Stato non si sia costituito parte civile non dipende da scelte processuali volontarie di questi difensori, bensì dall'assenza di autorizzazione di costituzione a parte civile che demanda alla Presidenza del consiglio», ha detto l'avvocato Pugliaro. Tra l'altro l'Avvocatura di Stato (con altri legali) ebbe invece tutti gli avalli governativi per la costituzione di parte civile al processo contro i 25 accusati di devastazione e saccheggio, tanto che nel dicembre scorso ci fu la richiesta di 2 milioni e mezzo di euro di danni, tradotta intanto in multe pecuniarie per alcuni condannati nella sentenza di primo grado. Su Bolzaneto si è proceduto in modo molto diverso. Sin dall'inizio a Roma qualcuno deve aver pensato che non bisognava rimarcare in nessun modo il comportamento vergognoso di alcuni pubblici ufficiali nemmeno quando torturano, pestano, insultano o inneggiano al duce. Insomma i 45 imputati tra poliziotti, polizia penitenziaria e carabinieri più medici e infermieri non andavano toccati, con la speranza che anno dopo anno su quei fatti scendesse l'oblio. Non è andata così. L'insistenza di parte della stampa italiana sulle torture avvenute a Bolzaneto non condannate in specifico dal nostro codice penale ha risvegliato ora anche l'attenzione di alcuni politici.
«Questa è la prima voce dello Stato in assoluto che ci chiede scusa», dice l'avvocato Riccardo Passeggi. La questione delle provvisionali, la richiesta di risarcimenti sui 20 mila euro a testa, solo un assaggio di quello che potrebbe essere chiesto poi in processi civili, non è secondaria: «Tutte le chiacchiere dei politici comunque non pagano le cure dentistiche della mia cliente, che perse allora sette denti e da sette anni aspetta di essere risarcita - dice ancora Passeggi - Quindi mi aspetto che il ministero faccia seguito alle scuse col pronto pagamento delle spese provvisionali».
Sui risarcimenti l'Avvocatura è stata invece oltremodo cauta e ha sostenuto che gli avvocati che difendono i ragazzi arrestati e violentati nella caserma non hanno spiegato bene la motivazione per cui chiedono i risarcimenti e in secondo luogo che i singoli poliziotti, Gom o carabinieri agivano a titolo personale. «L'Avvocatura cerca di sostenere che il rapporto funzionale si era interrotto perché i dipendenti delle varie polizie si sono comportati in modo talmente illegittimo che questo non poteva rientrare nelle loro funzioni e quindi agivano come privati cittadini. A questo punto nessun reato ricadrebbe sull'amministrazione dello Stato», spiega l'avvocato di parte civile Fabio Taddei.
Manifestazione a Taranto "Ambiente"
Oggi è nato un nuovo potere a Taranto: l'opinione pubblica ambientale.
Finalmente migliaia di persone per le strade: una incredibile voglia di
cambiamento ha contagiato bambini, ragazzi e adulti. A manifestare
contro l'inquinamento,
assieme all'Associazione BAMBINI CONTRO
L'INQUINAMENTO, c'era la gente comune, quella che si chiede se stiamo
veramente mangiando formaggio o mozzarella alla diossina.
Da domani le Amministrazioni pubbliche e gli "inquinatori" non potranno
ignorare e men che meno deludere questo nuovo potere che sta nascendo
dalla società civile. Il neo assessore comunale all'ambiente, il dottor
Sebastiano Romeo, ha dichiarato che convocherà le Associazioni
ambientaliste il giorno 9 aprile. Sarà quella l'occasione per mettere
nero su bianco i passi concreti che l'Amministrazione civica farà per
rispondere alle aspettative della cittadinanza. PeaceLink riproporrà i
"dieci comandamenti" presentati in occasione del Convegno di
TarantoViva sulla "diossina nel sangue di tarantini". Tra essi,
la massima priorità va data a
* "Ridurre la quantità totale annuale di diossine emessa dalla
ciminiera E312 di Ilva",
* "Effettuare nell'Ilva il monitoraggio in continuo dei POPs
(Inquinanti Organici Persistenti), in particolare diossine e
PCB",
* "Ridurre al minimo le emissioni diffuse di fumi e polveri
contenenti inquinanti in tutta l'area a grande rischio
ambientale",
* "Estendere il monitoraggio degli alimenti, del sangue e del
latte materno",
* "Porre limiti al pascolo nelle aree inquinate".
Confortati dalla straordinaria giornata di mobilitazione, ribadiamo che
per abbattere il mostruoso inquinamento che ci sovrasta serve un
progetto completo, con persone autorevoli e competenze di alto livello.
La strada imboccata dall'Arpa Puglia ci dà fiducia. Ma, attenzione, da
ora in poi la fiducia non va più riposta nelle promesse di "buona
volontà" delle aziende. Associazioni e movimenti stanno facendo la loro
parte, da apripista, ora tocca alle Istituzioni garantire che a Taranto
non si mangi più "pane e diossina". Occorre punire i "politici alla
diossina". Invitiamo i cittadini a non votare più quei partiti che sono
scesi a compromessi con gli inquinantori. Norme permissive e sciagurate
omissioni in campo ambientale hanno portato Taranto sull'orlo del
baratro sanitario. Adesso basta: non votiamoli più.
Per PeaceLink
Biagio De Marzo
Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it
http://www.tarantosociale.org
E' nato un nuovo potere a Taranto: l'opinione pubblica ambientale
Tomas Hirsch La fine della preistoria
LA FINE DELLA PREISTORIA
Un cammino verso la libertà
PREFAZIONE DI EVO MORALES,
PRESIDENTE DELLA BOLIVIA
In questo libro, Tomás Hirsch esamina un pianeta la cui situazione non consente più di pensare in termini isolazionisti o campanilisti. È una situazione caotica, pericolosa e profondamente iniqua che sta conducendo l’umanità verso guerre, crisi energetiche e impoverimento generalizzato. L’autore definisce la situazione mondiale come la crisi terminale legata alla fine dell’attuale civiltà materialista, mette in guardia sulla minaccia costituita dal suo crollo ed elabora proposte per evitare un collasso che potrebbe assumere caratteristiche traumatiche, soprattutto per i gruppi sociali più svantaggiati.
La sfida dei popoli è prendere atto della direzione presa dalla globalizzazione e dal modello neoliberista, riprendersi il potere che troppo a lungo è stato delegato a “capi” e “leader” che non rappresentavano la base, operando un cambiamento a partire dal basso, dalle comunità locali.
Sin dall’inizio del saggio, Hirsch indaga sulle radici della violenza che permea tutto il sistema sociale. “La violenza fisica, razziale, religiosa, psicologica, sessuale e soprattutto economica, derivata dall’ingiustizia sociale e dalla disuguaglianza di diritti e opportunità, è arrivata fino al presente come un sinistro lascito. È possibile sradicare una volta per tutte la maledizione della violenza dalle società umane?”. Sì, è possibile, nonostante finora i movimenti politici e le minoranze arroccate al potere si siano mossi per sfruttare tale violenza anziché debellarla. Con un occhio di riguardo alla situazione latinoamericana, Hirsch denuncia situazioni di dittatura politica ma soprattutto economica, all’interno delle quali i popoli vengono ridotti in uno stato di schiavitù. Da qui – dal basso, dal micro, dall’individuo - deve nascere e svilupparsi il cambiamento, la rinascita che porrà al centro l’uomo, i suoi diritti e le sue esigenze primarie e getterà le basi di un nuovo rapporto tra capitale e lavoro, rivalutando l’importanza e la dignità produttiva dei lavoratori.
L’inversione di rotta non potrà venire dalle destre, ma nemmeno dalle sinistre totalitarie. Quando “Mao lanciò la rivoluzione culturale, disse: ‘Che mille fiori fioriscano’. Lo slogan suonava bene, però poi si affrettarono a precisare che tutti i fiori dovevano essere uguali”. Questo appiattimento annulla l’umanità, che non è fatta di assoluti, ma di sfumature e diversità. Il riscatto dei popoli non è utopico poiché la rivolta alla subordinazione è profondamente insita nell’essere umano. L’uomo anela alla libertà e a imprigionarlo ora non sono soltanto i limiti naturali, verso i quali da sempre si ribella, ma anche i giganteschi ingranaggi bellici e di potere.
Sta apparendo all’orizzonte un’ondata nuova, destinata a riscrivere la storia; appaiono le prime avvisaglie di un cambiamento epocale nel segno della nonviolenza che unirà elementi sociali e spirituali e segnerà la fine della preistoria violenta.
Tomás Hirsch (Santiago del Cile, 1956) è stato tra i fondatori del Partito Umanista, il primo partito legalizzato in Cile come strumento di lotta nonviolenta contro la dittatura di Pinochet.
Tutta la sua azione politica e sociale si ispira al pensiero di Mario Rodriguez Cobos, detto Silo, che Tomas Hirsch riconosce come sua guida spirituale da quando ha conosciuto il suo messaggio, all’inizio degli anni Settanta.
Tra il 1990 e il 1992 ha rappresentato il primo governo post-dittatura come ambasciatore cileno in Nuova Zelanda. È stato candidato alla Presidenza della Repubblica nelle elezioni del 1999 come rappresentante del Partito Umanista e nel 2005 a nome di Juntos Podemos Mas, la più amplia alleanza della sinistra cilena dai tempi di Allende,
Da allora Tomas Hirsch è diventato un personaggio noto e riconosciuto in tutta l’America Latina, ha partecipato a forum e incontri con presidenti come Lula, Ortega, Chavez e Morales. Con quest’ultimo ha stabilito una relazione di vicinanza e appoggio reciproco, rafforzata dalla presenza di Evo Morales al Secondo Forum Latinoamericano, svoltosi a La Paz nel novembre del 2007 e dalla stesura della prefazione di questo libro. Tomas Hirsch è inoltre l’unico politico cileno a sostenere la rivendicazione di uno sbocco al mare avanzata dalla Bolivia nei confronti del Cile.
Laura Nava
Ufficio stampa - Nuovi Mondi
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Intervento di Basilio Rizzo in merito assegnazione EXPO 2015
Signor Sindaco, innanzitutto complimenti a Lei e a tutto il suo team. Si era data un obiettivo preciso: vincere e lo ha fatto. Ha conquistato i voti e ne ha addirittura creati materializzando nuovi votanti. Chapeau!
Tuttavia gli anni di tangentopoli mi hanno insegnato che non esistono obiettivi giusti conquistati con metodi discutibili, che il fine non giustifica i mezzi e dunque non ho condiviso e non condivido.
Se anche avessi scoperto in altri del gioco sporco avrei scelto la carta del denunciarlo, non di adeguarmi.
Non per tutti Parigi val bene una messa.
Ho letto ieri su un quotidiano: “….un paese asiatico ha chiesto la ristrutturazione della locale Camera di Commercio. Arredi compresi. Milano di certo non c’è stata”. Per fortuna.
Ma noi a quale altezza abbiamo posto l’asticella della “sopportabilità”?
Al 7 dicembre, alla Scala, ai vigili in Uganda, a uno stage, ad una borsa di studio?
Ora che la corsa è finita avremo un rendiconto preciso di spese e finanziatori, fino all’ultimo euro e senza omissis messo sul sito del Comune, a disposizione di tutti?
E propongo, se possiamo scagliare la prima pietra, che Milano apra una battaglia perché in futuro le regole di voto siano più trasparenti….
Combattere la casta da noi vuol dire, non incoraggiarla altrove anzi eliminare le condizioni perché possano esistere e prosperare.
Ora tuttavia la fase è diversa. L’Expo c’è. E’ il momento di ragionare sui progetti. Ma quali? Sapevo di una torre e sento dire che non lasceremo torri…..
Imperversano sui giornali City-Life, Garibaldi Repubblica, Palazzo della Regione, 4^ e 5^ linea del Metrò, Borsa delle Merci,……
Ma se ci penso, quei progetti li abbiamo già discussi, approvati con i finanziamenti già a posto.
I nuovi quando arrivano?
O il marchio Expo serve a dare a quelli l’aureola, santificarli e dunque tacitare ogni opposizione?
Perché se il “clou” che resta, sbandierato ossessivamente è, “a prescindere” la montagna di denaro che dovrebbe pioverci addosso…. bisogna ritornare alla trasparenza.
I progetti si giudicano, i conti si controllano.
La mia proposta allora è: si crei un comitato di vigilanza autorevole e credibile a 360° che sovrintenda ad assegnazioni, gare, contratti; assicuri totale pubblicità su provenienza, destinazione delle risorse impegnate pubbliche e private. Corrispondenza tra progetti e realizzazioni, tempi. Tutto in tempo reale e consultabile senza filtri insuperabili.
Milano ha bisogno di disegnarsi un futuro.
Ho riserve su un futuro fondato su un evento straordinario. Per sua natura effimero. Che droga la prospettiva. Che non agisce su tutti allo stesso modo.
L’entusiasmo di chi prospera sulla trasformazione del territorio, dei commercianti che sognano i grandi spenditori, è del tutto comprensibile.
Ma di altro è composta la città. E gli altri entusiasmi vanno conquistati….
L’Expo darà più case, a prezzi migliori? Darà mezzi più puntuali, più confortevoli, più frequenti….
Migliorerà l’offerta dei servizi sociali? Etc.
Insomma: le parole magiche “ricadute positive indotte per miliardi di euro” resteranno frasi buone per gli studi della “Bocconi” o saranno tangibili miglioramenti della condizione di vita in città?
Occorre riflettere sul non eccessivo entusiasmo per la vittoria.
Ridotta al rango di match-sportivo, 86-65 esalta il tifoso che è dentro di noi.
Ma se la gioia si ferma qui …. Significa che è diffusa la preoccupazione che poi a godere siano sempre i soliti noti!
Non si fidi degli applausi di quelli che stanno in alto che hanno brindato e sanno farsi sentire sulla stampa.
Tema l’indifferenza se non la diffidenza di quanti non sanno farsi sentire perché sono assorbiti dalla fatica di far fronte alla loro quotidianità.
Cerchi di capire le loro ragioni, vada loro incontro.
Spieghi a suoi amici che si moderino un po’ e prenda solenni impegni che non tollererà che l’EXPO comporti poderosi aumenti del costo della vita.
Convinca i suoi sponsor dell’Unione del Commercio che fa un certo effetto vedere che mentre quantificano i miliardi che la città incasserà (tramite loro, naturalmente!) per l’EXPO, non riescono a convincere alcuni loro associati a guadagnare solo qualche centesimo in meno sul pane da offrire agli anziani!
Il solido fondamento su cui Milano potrà rilanciarsi non può essere né il solo commercio, né tantomeno il turismo una tantum.
Occorre ricreare le condizioni per il ritorno del lavoro produttivo.
Mi verrebbe da dire: del braccio e della mente.
E contare sulla cultura. Sulla qualità del vivere.
Per attrarre presenze stabili e soddisfatte. Studenti, ricercatori, talenti e quartieri generali delle imprese nazionali ed internazionali.
Deve finalmente diventare la grande Milano, integrando territorio e servizi al di là dei puri confini municipali.
L’accoglienza come scelta fondamentale. Non dei soli ricchi! Ho sorriso sentendo dire M. Attali che Milano è una città accogliente. Conosce le forze politiche che l’amministrano?
Che non sanno resistere alla tentazione di confondere problemi della sicurezza con l’ostilità contro gli immigrati.
Conosce la pochezza morale, la viltà di sgomberi ad orologeria: forti con i deboli, ma con l’avvertenza che tutto avvenga dopo il 31 marzo?
I 70mila posti di lavoro previsti nell’edilizia EXPO, saranno, lo sanno tutti, prevalentemente di immigrati.
Non mi risulta che la scienza, ad oggi, abbia selezionato braccia separate dai corpi.
Dunque saranno qui esseri umani con bisogni, affetti, speranze.
Sapremo accoglierli? e come? Senza un disegno, gravando ancora sulle periferie lasciate sprofondare nel loro degrado?
Useremo le loro braccia di giorno e la sera… tutti alle fiaccolate contro la loro presenza nel territorio?
Sig. Sindaco, il tempo è poco ed allora gliela dico così: ora che l’assegnazione c’è stata è bene che lei si decida a fare il Sindaco.
A nome di Milano deve convincere tutt’Italia –con i fatti e non sarà impresa facile- che pur in tempi di ristrettezze economiche è bene che grandi risorse che sono soldi dello Stato siano destinate a noi ancorché siamo la città più ricca. Dimostrando che noi siamo capaci di moltiplicarle e ridistribuirle in modo che tutti stiano meglio: dalla Vetta d’Italia a Capo Passero, come si diceva una volta; nonché in tutti i paesi della Cooperazione Internazionale che hanno creduto in noi!.
Dovrà convincere i milanesi che non consumerà il loro territorio e che ogni opera sarà costruita per vivere anche quando l’ultimo visitatore se ne sarà andato e servirà ai giovani che verranno, alle famiglie che aspettano un alloggio. E che sui terreni riqualificati non lasceremo torri e cemento, ma parchi ed alberi.
Da subito (facciamo da lunedì perché un po’ di riposo Le spetta) deve far sentire che una città che vince l’EXPO, che vuole costruire milioni di metricubi, 3 linee metropolitane, etc. etc, non può lasciare irrisolte emergenze vergognose, deve saper trovar un luogo per qualche decina di famiglie comunitarie, che hanno un lavoro, che mandano i figli nelle nostre scuole… nè può sopportare di condannare dei suoi abitanti a convivere con la morte e la paura della morte perché l’amianto, dalle loro case, lo toglieremo solo fra qualche mese o magari coi prossimi bilanci…..
Milano, 2 aprile 2008