discorso tenuto il 25 aprile a cinisello balsamo
Drammatiche le parole di un futuro forse probabile ministro, Marcello Dell’Utri, che ha sostenuto: "Se dovessimo vincere noi revisioneremo i libri di storia". E’ preoccupante l’uso strumentale della storia e della cultura da parte del potere. E’ preoccupante che ci sia un vento che voglia negare che quello che è stato, e che è stato drammaticamente tragico, eseguito e voluto da alcuni uomini, sia oggi negabile e sottoposto a revisione nel merito. Dove poter dire studiare la storia perché in futuro l’umanità non ripeta certe barbarie? Si vuole usare alcune tragedie per fini politici e ricordare la Resistenza insieme ad altri fatti che sono totalmente autonomi implica necessariamente il mettere in discussione la dignità e l’autorevolezza storica, civile ed etica che la resistenza ha comportato e ancora porta con sé. La Regione Lombardia ha finanziato un’iniziativa per ricordare le foibe: è vero è fatto storico indiscutibile. Fu una tragedia. Ma è stata letta, come cita la delibera regionale, sotto un’ottica strumentale e faziosa, considerando questa pagina terribile della storia d’Italia e di Slovenia in modo decontestualizzato dal procedere degli eventi: le foibe esistevano prima del 1945, erano state istituite dal regime fascista contro le minoranze slovene del Friuli Venezia Giulia. Un altro esempio di antipatriottismo del fascismo, dove si armano connazionali e concittadini contro altri concittadini, che hanno vissuto insieme la tradizione civica e culturale della stessa terra dei padri, fatta di valori di tolleranza e di eguaglianza.
Bella Ciao
Riprendo dopo un lungo periodo di riposo politico a scrivere su questo
blog per esprimere una mia personale soddisfazione per la celebrazione del 25 aprile nella Mia Zona 6.
In piazza Miani nello spazio dove è ubicato il monumento ai caduti per la libertà di tutti gli italiani alle ore 11 l'ANPI
alla presenza di molti cittadini ha dato vita ad una bellissima manifestazione con canti partigiani e discorsi politici.
La presenza di molti giovani ha detto un vecchio partigiano nel discorso introduttivo alle celebrazioni è un segnale molto importante
al fine di tramandare i valori della Resistenza alle nuove generazioni.
Nel pomeriggio una folta delegazione della zona 6 ha partecipato alla grande manifestazione del 25 aprile da porta Venezia al Duomo.
Buon 25 Aprile a Tutti
G.Maurello
Per un 25 aprile di Resistenza a Roma, Milano, in Italia
Il 25 aprile è Festa di Aprile, dove rieccheggia più che mai quest'anno con capacità incisiva lo spirito delle parole nel monito di Calamandrei, "Ora e sempre Resistenza".
Ho letto l'appello lanciato da diverse realtà, giornalistiche e politiche, antifasciste e democratiche a fare del 25 aprile un segnale di opposizione seria e convinta a una deriva pericolosa, che può essere conseguente a determinati dati elettorali, verso la cancellazione della memoria e dei valori della Resistenza, che scrissero la nostra Costituzione, proprio nel 60° anniversario dalla sua formazione e scrittura. Leggo che il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha ufficialmente detto che il 25 aprile e il 1 maggio sarà in vacanza, via da Milano, dopo avere partecipato, gli anni scorsi, alle manifestazioni e avere gridato nel 2007 sul palco, alla presenza del Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, "Viva la Resistenza", nonchè nel 2006 avere accompagnato il proprio padre partigiano, almeno così sembra, per tutto il corteo. Lei quest'anno ha deciso di prenotare un lungo soggiorno fuori "porta" e non presenziare, prima volta nella storia della Milano postbellica e repubblicana, al corteo per le celebrazioni della Festa della Liberazione. Sarà forse il risultato delle contestazioni che ricevette due anni fa in Corso Vittorio Emanuele? Non si comprendono le ragioni reali, ma si può presumere che il riconoscimento fondante di questa giornata da tutti non è recepito e ci sono alcuni esponenti, tra cui anche il prossimo presidente del consiglio, nostro malgrado, che non partecipano alle mobilitazioni di questa importante data. Io credo, poi, che ogni figura amminsitrativa e politica debba essere esposta e cogliere con senso di responsabilità e riflessione ogni motivo di dissenso e di critica: non arroccarsi in una chiusura pretestuosa e, a parere del sottoscritto, alquanto provocatoria.
Il panorama attuale alla vigilia del grande giorno, del giorno che rifondò il Paese ridandogli quella dignità, indipendenza e democrazia reale vilipese e annientate dalla ferocia di una dittatura aberrante nazifascista, non è certamente, a livello politico e culturale, dei migliori: un deputato della PDL, Selva, quello che prese l'autoambulanza in servizio per arrivare in tempo a un appuntamento in televisione e che con grande sfacciataggine esaltò in pubblico questo suo indegno comportamento, si permette di dire che la festa del 25 aprile dovrebbe essere cancellata dal calendario delle ricorrenze repubblicane, mentre un condannato con sentenza di primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, Marcello Dell'Utri, si autoproclama come colui che dovrò revisionare tutti i libri di storia e cancellare da essi la cosidetta "retorica della Resistenza". Infine abbiamo la decisione del comune di centrodestra di Alghero che ha vietato cantare nei cortei del 25 aprile "Bella Ciao", procurando, così, la presenza di due cortei, uno comunale, l'altro in dissenso, giustamente, per un atto di una portata indegna.
A Roma da le pagine de Il Manifesto si invitano le coscienze democratiche e antifasciste a mobilitarsi il 25 aprile in Piazza per dare un segnale chiaro di riscatto della parte migliore di questo nsotro Paese, la parte più viva e sana, che vuole resistere a ogni tentativo di ripristinare condizioni di destabilizzazione dell'ordine repubblicano e democratico, agendo sulla memoria, cancellandola dai libri, dalle coscienze civiche, dalla storia dell'Italia, a due giorni dal voto per scegliere se confermare l'amministrazione di centrosinistra o, invece, consegnare la capitale nelle mani di un esaltato post missino, da sempre evidenziatosi per atteggiamenti fortemente reazionari e negazionisti, Gianni Alemanno, al seguito di una coalizione di forze che non si risconoscono nella nostra Carta Costituzionale, nelle fondamenta del nostro stato Repubblicano nato dalla Resistenza, che si pongono al di fuori dell'arco delle culture che scrissero quella carta che ancora oggi è considerata punto di riferimento europeo per un progetto di democrazia compiuta, progressiva e reale.
Mi associo a questo appello con forza e determinazione, convinzione. Credo anch'io che il dato elettorale di Roma potrebbe essere un presupposto politico per dire che c'è volontà di opporsi a pericolose derive di destra, una destra irresponsabile e revisionista, che già pone in essere palesi indicazioni di destrutturare il sostrato culturale e civico di convivenza dmeocratica e sociale nel nostro Paese, tessuto connettivo di 60 anni di Repubblica antifascista.
Occorre ripartire da Roma per dire che esiste ancora un'Italia che vuole resistere e che resistendo difende e attuerà i valori e principi della nostra Costituzione, come recita un documento approvato dalla conferenza regionale dell'ANPI in Lombardia:"Attuare la Costituzione, non solo difenderla, operazione già necessaria e imprescindibile".
Ripartiamo da Roma per fermare le derive plebiscitarie di una destra antieuropea e xenofoba.
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano
Giornate della Danza
Come si fanno le città sostenibili? Intervista a Federico Butera
Come si fanno le città sostenibili? - Intervista a Federico Butera
Come si risolverà, nel futuro, il problema dell'energia nelle nostre città? Che ruolo avranno le nuove tecnologie? Ecco le risposte di Federico Butera, professore di Fisica e Tecnica ambientale del Politecnico di Milano.
Le città sono il luogo in cui si consuma il 70% e anche più dell'elettricità e dell'energia che complessivamente si utilizza - per riscaldare gli edifici, per illuminarci - pertanto sono proprio il luogo da cui partire.
La città è anche il luogo dell'innovazione. E' vero che consumano di più ma sono anche i luoghi dove è più facile far qualcosa.
Va rivisto il modello di progettazione urbana, vanno riprogettate le funzioni urbane. Bisogna fare in modo che si possano ottenere i servizi necessari spendendo il minimo di energia possibile.
Se la casa c'è già, coibentarla meglio, se è da costruire, progettarla meglio, rivedere anche il modo in cui si pianifica l'esistente. Bisogna favorire una migliore distribuzione di ciò che occorre, in modo tale da avere tutti i servizi di cui si ha bisogno sotto casa, come si faceva una volta.
Mettendo insieme uffici, abitazioni e terziario, migliora la qualità urbana, si consuma meno energia per gli spostamenti, e si può riavere quella vivacità urbana che era tipica delle nostre città una volta.
Sono edifici non tanto diversi da quelli di oggi. Cambiano le regole del buon costruire, che saranno quelle di una volta: ad esempio si dovranno orientare in modo intelligente gli edifici per sfruttare tutta l'energia solare disponibile. Insomma, somiglieranno più agli edifici di prima che a quelli degli ultimi 100 anni.
Valori e principi, secondo Zagrebelsky
Valori e principi, secondo Zagrebelsky Data di pubblicazione: 15.03.2008
Autore: Zagrebelsky, Gustavo
http://eddyburg.it
Da "valori e conflitti della politica", la Repubblica, 22 febbraio 2008
Che cosa sono i valori? Li si confronti con i principi. Principi e valori si usano, per lo più, indifferentemente, mentre sono cose profondamente diverse. Possono riguardare gli stessi beni: la pace, la vita, la salute, la sicurezza, la libertà, il benessere, eccetera, ma cambia il modo di porsi di fronte a questi beni. Mettendoli a confronto, possiamo cercare di comprendere i rispettivi concetti e, da questo confronto, possiamo renderci conto che essi corrispondono a due atteggiamenti morali diversi, addirittura, sotto certi aspetti, opposti.
Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. E un fine, che contiene l’autorizzazione a qualunque azione, in quanto funzionale al suo raggiungimento. In breve, vale il motto: il fine giustifica i mezzi. Tra l’inizio e la conclusione dell’agire “per valori” può esserci di tutto, perché il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile delle azioni: la pace può giustificare la guerra; la libertà, gli stermini di massa; la vita, la morte, eccetera. Perciò, chi molto sbandiera i valori, spesso è un imbroglione. La massima dell’etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista del valore che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, e quale prezzo, è un’altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte.
Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove pace, e non alimenta altra guerra, lo si potrà stabilire solo ex post. I valori, infine sono “tirannici”, cioè contengono una propensione totalitaria che annulla ogni ragione contraria. Anzi, i valori stessi si combattono reciprocamente, fino a che uno e uno solo prevale su tutti gli altri. In caso di concorrenza tra più valori, uno di essi dovrà sconfiggere gli altri poiché ogni valore, dovendo valere, non ammetterà di essere limitato o condizionato da altri. Le limitazioni e i condizionamenti sono un almeno parziale tradimento del valore limitato o condizionato. Per questo, si è parlato di “tirannia dei valori” e, ancora per questo, chi integralmente si ispira all’etica del valore è spesso un intollerante, un dogmatico.
Il principio, invece, è qualcosa che deve principiare, cioè un bene iniziale che chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si sviluppano di conseguenza. Il principio, a differenza del valore che autorizza ogni cosa, è normativo rispetto all’azione. La massima dell’etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi il riflesso del principio. Per usare un’immagine: il principio è come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio e l’azione c’è un vincolo di coerenza (non di efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile. Infine, i principi non contengono una necessaria propensione totalitaria perché, quando occorre, quando cioè una stessa questione ne coinvolge più d’uno, essi possono combinarsi in maniera tale che ci sia un posto per tutti. I principi, si dice, possono bilanciarsi. Chi agisce “per principi” si trova nella condizione di colui che è sospinto da forze morali che gli stanno alle spalle e queste forze, spesso, sono più d’una. Ciascuno di noi aderisce, in quanto principi, alla libertà ma anche alla giustizia, alla democrazia ma anche all’autorità, alla clemenza e alla pietà ma anche alla fermezza nei confronti dei delinquenti: principi in sé opposti, ma che si prestano a combinazioni e devono combinarsi. Chi si ispira all’etica dei principi sa di dover essere tollerante e aperto alla ricerca non della giustizia assoluta, ma della giustizia possibile, quella giustizia che spesso è solo la minimizzazione delle ingiustizie.
La città ha perso la memoria
La città ha perso la memoria Data di pubblicazione: 17.04.2008
Autore: Stefano Boeri,
http://eddyburg.it
Anche su La Stampa (17 aprile 2008) un’anticipazione dei temi trattati a CittàTerritorioFestival: una descrizione impressionistica degli aggregati urbani
Si apre oggi a Ferrara, e si chiude domenica, la prima edizione di «Cittàterritorio Festival»: quattro giorni d’incontri in cui architetti, storici, urbanisti, economisti, sociologi, studiosi d’estetica si confrontano sulla realtà urbana del terzo millennio. Il festival è promosso dal Comune e dall’Università di Ferrara, dalla Regione Emilia-Romagna e dallo Iuav di Venezia. L’organizzazione è di Laterza Agorà e Ferrara Fiere. Sponsorizza l’Eni. Sul tema Centro e periferia, intorno al quale ruota questa prima edizione del festival, pubblichiamo una riflessione di Stefano Boeri, direttore della rivista Abitare.
Per secoli, studiosi di ogni disciplina hanno provato a definire la città ricorrendo a metafore (la città come una macchina, come il corpo umano, come una rete, come un testo..). Hanno anche utilizzato categorie astratte di misurazione: la dimensione, l'estensione, l'altezza, la demografia, l'infrastrutturazione, l'attrattività. Niente da fare. «Città» è un termine che - forse perché comprende noi stessi che cerchiamo di definirlo - è sempre sfuggito ad una definizione apodittica.
Eppure tutti noi, vivendo e attraversando quotidianamente i suoi spazi e i suoi paesaggi, sappiamo bene cosa sia, oggi, una città. Ad esempio sappiamo che a distinguerla dal resto del territorio è soprattutto una densità fisica determinata dalla compressione di costruzioni (edifici, volumi, architetture) in un unico territorio. Ma è anche una densità di infrastrutture. Una città significa migliaia di metri di rotoli e griglie di strade, piazze, tunnel sotterranei, viadotti, tubature in cui scorrono i flussi dell'urbanità contemporanea: le folle dei cittadini, la moltitudine dei veicoli, le infinite varianti delle merci che ci vestono, alimentano, divertono, aiutano; e poi le acque, le correnti energetiche, i gas; i flussi finanziari che scorrono nelle reti immateriali; e infine le immagini verbo-visive: migliaia di parole e figure che volano nei cablaggi, nelle reti digitali, nei coni d'ombra dei satelliti. Tutto questo significa anche densità di nodi: areoporti, stazioni, fiere, ortomercati, banche, scuole, centri commerciali, headquarter, cattedrali, interporti, monumenti… punti, emergenze, coaguli verso cui i flussi vengono convogliati, orientati, rilanciati nel gioco infinito degli scambi.
I nodi di una città rappresentano il punto di coagulo - negli spazi fisici - delle infrastrutture e dei flussi. Ma non solo: i nodi ci aiutano anche a cogliere l'altra fondamentale dimensione dell'urbanità: quella simbolica. Per esistere, oggi più che mai, una città deve costituirsi come un'entità riconoscibile e condivisa per le moltitudini sempre più variegate dei suoi cittadini. Non esiste città senza quella misteriosa alchimia di luoghi, di ricordi intimi, di memorie condivise capace di volare nell'immaginario collettivo e di saldare in una parola o in una sensazione - magari sfuggente - tutte queste cose insieme.
Da Milano a Dubai, da Roma a Città del Messico, da Napoli a Los Angeles le città si stanno espandendo nel territorio; crescono i loro reticoli, si addensano i flussi e i nodi, aumenta la loro dimensione geografica e demografica, svaniscono i confini con la campagna e con le città contigue, sfuma il loro perimetro. Eppure, in questa vertiginosa estensione spaziale - dura, fisica, minerale - l'unica densità che permette a questi agglomerati di essere percepibili come entità singolari per noi che le abitiamo è legata a qualcosa di immateriale e aleatorio: un'idea condivisa, l'immagine di un luogo e di un'atmosfera… Oggi più che mai le città sono simboli oppure, semplicemente, non sono.
Siamo nel vivo di una formidabile trasformazione delle logiche di evoluzione delle città europee. Nel vivo di una transizione che (per usare una metafora che associa la città ad una lingua) riguarda sia la sintassi che la grammatica dei nostri spazi di vita.
Io credo che il modo più efficace per descrivere questa transizione (che ci sta portando verso una nuova condizione urbana, dai confini ancora incerti) sia di usare i concetti di «differenza» e «variazione». La città moderna, nata con la rivoluzione industriale e con le sue infrastrutture, si basa su una sintassi chiarissima che opera per «differenze» tra le parti del grande organismo urbano. Il centro storico medievale è un insieme distinto dall'insieme delle zone costruite durante il Rinascimento. Le aree degli isolati regolari costruiti nel corso dell'800 sono diverse dalle frange della periferia costruita dallo Stato nel dopoguerra; che sono a loro volta diverse dai quartieri di villette che cingono la campagna urbanizzata.
Fino a qualche anno fa, uscendo dal centro verso l'esterno delle nostre città, noi percorrevamo un viaggio nello spazio e nel tempo; dal passato verso il presente. Attraversavamo in sequenza pezzi distinti di città e ogni zona aveva un perimetro chiaro. Ogni parte era omogenea e distinta nettamente dalle altre. E dentro il perimetro di ogni parte omogenea di città, agiva il principio di «variazione»: gli edifici, simili per storia e funzione, variavano tra di loro secondo elementi secondari (altezza, finiture, materiali, arredi esterni…) che però non smentivano il carattere distintivo complessivo della parte urbana.
Differenza tra parti omogenee, variazione tra edifici simili all'interno della stessa parte. Ecco la sintassi della città moderna, che ha assorbito e regolato secoli di evoluzione urbana.
Oggi, ma sarebbe meglio dire da qualche decennio, tutto questo è cambiato. La «città per parti» è intaccata, sommersa, contraddetta, da un modo del tutto diverso di crescere della nuova città. La città contemporanea non cresce più per parti omogenee, ma piuttosto per singoli edifici. Migliaia di costruzioni singole, una diversa dall'altra, che occupano nuovi territori e scompigliano le parti consolidate della città moderna.
Se viaggiamo in una porzione nuova di città vediamo scorrere una serie di oggetti eterogenei: la palazzina residenziale, l'autolavaggio, il capannone industriale, il quartiere di villette a schiera, lo svincolo, il centro commerciale, il borgo storico, il call center… monadi solitarie anche se sono accostate e ammassate nello stesso fazzoletto di territorio. E se cerchiamo le somiglianze tra queste edifici, non riusciamo a costruire degli insiemi geograficamente continui (delle parti omogenee) bensì delle costellazioni di edifici sparsi, accumunati dalla stessa radice tipologica (le villette con le villette, i capannoni con i capannoni).
Il punto è che questi due modelli evolutivi - quello della città moderna e quello della città contemporanea - oggi si sovrappongono, confliggono negli stessi spazi. Perché in fondo rappresentano le società urbane che le determinano e coabitano negli stessi spazi.
La città contemporanea riflette - anche nelle sue parti più centrali e storiche - la nuova grande energia molecolare che alimenta le società urbane: una moltitudine di soggetti e istituzioni che hanno le risorse giuridiche, economiche e politiche per cambiare piccole porzioni di spazio. E che lo fanno.
Qui sta il senso primo della transizione epocale che stiamo vivendo. Le città italiane, le città europee non sono più la scena di un gioco tra pochi grandi soggetti (i latifondisti, le amministrazioni pubbliche, i potentati politici, le banche, le grandi famiglie industriali…) che governano grandi porzioni omogenee di territorio. Sono diventate il campo di azione di una moltitudine di attori spesso attenti solo al loro piccolo spicchio di spazio, spesso spregiudicati e a volte arroganti, disposti a tutto.
Qui sta uno dei grandi paradossi della contemporaneità: che la democratizzazione delle società urbane sta frammentandolo in tanti sottosistemi lo spazio collettivo delle nostre città. Una società abitata da una moltitudine di minoranze sta costruendosi un territorio a sua immagine e somiglianza. Da qui, inutile dirlo, i grandi problemi di governo e orientamento che assillano tante amministrazioni pubbliche, tanti urbanisti, tanti pianificatori.
INTERVENTO DI PIERO CALAMANDREI ALL'UMANITARIA
La Costituzione italiana: SALVIAMOLA!
INTERVENTO DI PIERO CALAMANDREI ALL'UMANITARIA DI MILANO DEL 26 GENNAIO 1955
Il 26 gennaio 1955 ad iniziativa di un gruppo di studenti universitari e
medi, fu organizzato a Milano, nel salone degli affreschi della Società
Umanitaria, un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana,
inviando insigni cultori del diritto ad illustrare, in modo accessibile a
tutti, i principi morali e giuridici che stanno a fondamenta della nostra
vita sociale.
Il corso è stato inaugurato e concluso da Piero Calamandrei e, non senza
viva commozione, Egli ritorna tra noi con la sua eloquenza nobile e pur
semplice, con dottrina profonda, scientificamente serena e civilmente
incitatrice.
La parola del maestro indimenticabile suona, ancora oggi, come un altissimo
richiamo all’impegno scientifico e morale di tutti i giovani che si
apprestano ad una sempre rinnovata battaglia di civiltà, di progresso e di
libertà.
Ecco la parte sostanziale di ciò che Egli disse introducendo il corso e
precisando i fondamenti storici della Nostra Costituzione.
"L’art.34 dice: “i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno
diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” E se non hanno mezzi!
Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più importante di
tutta la Costituzione, il più impegnativo; non impegnativo per noi che siamo
al desinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a
voi. Dice così: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli
ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare
lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a
tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà
raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo
primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”
corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per
ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio
lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si
potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche
democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto,
in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente
formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi
in grado di concorrere alla vita della Società, di portare il loro miglior
contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano
messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta
la Società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in
parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un
programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere.
Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinnanzi!
E’ stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle polemiche, che
negli articoli delle Costituzioni, c’è sempre, anche se dissimulata dalla
formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica di
solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro
il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la
parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai
diritti di libertà voi sentirete continuamente la polemica contro quella che
era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che
oggi sono elencate, riaffermate solennemente, erano sistematicamente
disconosciute: quindi polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del
cittadino, contro il passato. Ma c’è una parte della nostra Costituzione che
è una polemica contro il presente, contro la Società presente. Perché quando
l’articolo 3 vi dice “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di
ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona
umana” riconosce, con questo, che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto e
che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio
polemico, un giudizio negativo, contro l’ordinamento sociale attuale, che
bisogna modificare, attraverso questo strumento di legalità, di
trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei
cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile, che abbia fissato,
un punto fermo. E’ una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non
voglio dire rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune
s’intende qualche cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione
rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società,
in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e
politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla
impossibilità, per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che
dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un
regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al
progresso della Società. Quindi polemica contro il presente, in cui viviamo
e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione
presente.
Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto
va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non
si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il
combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di
mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle
offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica,
indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso
in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei
giovani. La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica. E
io quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella
vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà di quei due emigranti,
due contadini che traversavano l’oceano, su un piroscafo traballante. Uno di
questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si
accorgeva che c’era una gran burrasca, con delle onde altissime e il
piroscafo oscillava. E allora uno di questi contadini, impaurito, domanda a
un marinaio “ ma siamo in pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua
questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda.” Allora lui corre nella
stiva a svegliare il compagno, dice: “Beppe, Beppe, Beppe”,….“che c’è!” …
“Se continua questo mare, tra mezz’ora, il bastimento affonda” e quello dice
”che me ne importa, non è mica mio!” Questo è l’ indifferentismo alla
politica.
E’ così bello e così comodo. La libertà c’è, si vive in regime di libertà,
ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io.
Il mondo è così bello. E vero! Ci sono tante belle cose da vedere, da godere
oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa.
Però, la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando
comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini
della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi,
giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire
questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le
condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai,
ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare,vigilare, dando
il proprio contributo alla vita politica.
La Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che
dal punto di vista letterario non sono belli, ma l’affermazione solenne
della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che
se va affondo, va affondo per tutti questo bastimento. E’ la Carta della
propria libertà. La Carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo.
Io mi ricordo le prime elezioni, dopo la caduta del fascismo, il 6 giugno
del 1946; questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto delle
libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare, dopo un
periodo di orrori, di caos: la guerra civile, le lotte, le guerre, gli
incendi, andò a votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è capitato
qui. Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni. Disciplinata e
lieta. Perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità,
questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a
creare, questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del
proprio paese, della nostra patria, della nostra terra; disporre noi delle
nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani alla
Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla
vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la
coscienza civica, rendersi conto, questo è uno delle gioie della vita,
rendersi conto che ognuno di noi, nel mondo, non è solo! Che siamo in più,
che siamo parte di un tutto, tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.
Ora vedete, io ho poco altro da dirvi, in questa Costituzione di cui
sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la
nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre
sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli. E a
sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo: nell’articolo 2 “L’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà, politica, economica e sociale” o quando leggo nell’articolo 11
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri
popoli”, “la patria italiana in mezzo alle altre patrie” ma questo è
Mazzini!Questa è la voce di Mazzini. O quando io leggo nell’articolo 8:
“Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge”
ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’articolo 5 ”La Repubblica, una ed
indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” ma questo è
Cattaneo! O quando nell’articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate
“L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della
Repubblica”, l’esercito di popolo, e questo è Garibaldi! O quando leggo
all’art. 27 “Non è ammessa la pena di morte” ma questo, o studenti milanesi,
è Beccaria!!
Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci
recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!!
Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere
giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti
di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti
per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita
perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta.
Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta
morta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra
Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri
dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto
un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani,
col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione."
Provocazione alla sede milanese di punto rosso
ANCORA UNA GRAVE PROVOCAZIONE ALLE SEDE MILANESE DI PUNTO ROSSO.
SCRITTE NAZISTE SULLE SARACINESCHE
Dopo il furto "sospetto" con devastazione della sede di Punto Rosso
avvenuto martedi 8 aprile, questa mattina abbiamo trovato le
saracinesche imbrattate con scritte naziste minacciose, come "Rossi al
Muro", con le doppie esse al modo dei corpi speciali di Hitler.
Il fatto è estremamente allarmante ancor più ad una settimana dal 25
aprile e dopo le elezioni. Evidentemente corroborati dai risultati
elettorali, i fascisti tentano di rialzare la testa nella città
medaglia d'ora della Resistenza, annunciando come sempre la loro
volontà di violenza e prevaricazione.
Invitiamo tutti i democratici milanesi alla vigilanza antifascista e
alla mobilitazione, a partire dalla manifestazione del 25 aprile,
perché i valori fondanti della nostra convivenza democratica e della
sinistra non siano imbrattati ancora una volta dalla fogna fascista e
nazista.
Noi non ci facciamo impaurire sicuri che la lotta di popolo e di tutti
i cittadini democratici sia la forma migliore di risposta a questa
ennesima provocazione.
ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO
Bella ciao
Dopo aver partecipato all'imponente manifestazione del 25 Aprile, siamo andati a Palazzo Marino. Qui si svolgeva il rinfresco offerto dall'Amministrazione Comunale ai milanesi. Nel cortile la banda suonava pezzi diversi. Abbiamo chiesto di suonare Bella ciao e ci è stato opposto un netto rifiuto anche da Manfredi Palmeri, presidente del Consiglio Comunale che rappresentava il sindaco Moratti. Alla fine ci siamo messi a cantare lo stesso Bella Ciao seguiti da molte delle persone presenti. Un battimani liberatorio ha concluso il nostro canto.