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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Sabato, 12 Aprile, 2008 - 17:46

Interrogazione in merito ai lavori presenti al Parco Formentano

 
 
c.a del Settore Parchi e Giardini del Comune di Milano;
del Settore Arredo Urbano del Comune di Milano;
della Commissione Territorio del Consiglio di Zona 4
 
 
 
Interrogazione in merito ai lavori presenti al Parco Formentano, in Largo Marinai D'Italia, nell'area giochi
 
visto che
 
da alcune settimane presso l’area giochi del Parco Formentano, in Largo Marinai d’Italia, sono presenti lavori di intervento e di ristrutturazione nell’are giochi adibita ai bambini
 
preso atto
 
della già esigua presenza di strutture adibite per i giochi nell’area suddetta e il copiosità di piccoli utenti, data la vicinanza di plessi scolastici, di cui due per l’infanzia, una scuola elementare e una scuola media inferiore
 
considerato che
 
nell’esecuzione dei lavori di intervento sono stati, allo stato attuale, eliminate un’altalena e un’altra struttura, diminuendo, pertanto, la già insufficiente presenza di strutture funzionali ai giochi
 
si chiede
 
- al settore Parchi e Giardini quale sia la finalità dei lavori di intervento nell’area giochi suddetta, la loro durata temporale, e la finalità a cui sono preposti, considerando come necessaria e utile la permanenza della destinazione primigenia dell’area stessa;
 
- al settore Arredo Urbano del Comune di Milano se sia previsto, a compimento dei lavori di intervento, il ripristino delle strutture precedentemente presenti nell’area suddetta affinché si possa garantire una condizione di utilizzabilità dello spazio previsto per i giochi per bambini, prevedendo, infine, un ampliamento delle strutture ivi inserite, data la copiosità delle bambine e dei bambini utenti dell’area
 
 
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

Sabato, 12 Aprile, 2008 - 13:43

A Giorgio Bocca il Premio Ilaria Alpi alla Carriera

 

A Giorgio Bocca il Premio Ilaria Alpi alla Carriera
“Un uomo che ha raccontato l'ultimo mezzo secolo di storia del nostro paese col rigore dello storico, la passione civile del democratico che combatté contro la tirannia nazifascista, la capacità di scuotere le coscienze con le sue denunce ed analisi, uno stile diretto, essenziale e coinvolgente. Qualità che fanno di Bocca uno degli ultimi grandi protagonisti del giornalismo italiano”.

E’ questa la motivazione con cui la Giuria del Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi, presieduta da Italo Moretti, ha deciso all’unanimità di rendere omaggio a Giorgio Bocca assegnandoli il Premio Ilaria Alpi alla Carriera 2008.


Il riconoscimento sarà consegnato in una cerimonia privata presso la casa milanese del giornalista venerdì 11 aprile, alla presenza del Presidente della Giuria Italo Moretti, di Mariangela Gritta Grainer dell’Associazione Ilaria Alpi, del Sindaco di Riccione Daniele Imola, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Riccione Francesco Cavalli, di Roberto Franchini Capo Ufficio Stampa Regione Emilia Romagna e del giornalista del Tg3 Roberto Scardova.

Da 4 anni il Premio per il Giornalismo Televisivo " Ilaria Alpi" ideato e promosso dall’Associazione Ilaria Alpi-Comunità Aperta e giunto alla sua quattordicesima edizione, assegna un premio alla carriera.
Il riconoscimento è già stato attribuito a Enzo Biagi (2005) Riszard Kapuscinski (2006) ed Emilio Rossi (2007).
Il Premio Ilaria Alpi nasce con l’intento di valorizzare l’inchiesta televisiva e le produzioni indipendenti e con lo scopo di promuovere un giornalismo fatto con coraggio, scrupolo investigativo, onestà intellettuale e dignità.

Nato a Cuneo il 18 agosto 1920, Giorgio Bocca è uno dei più importanti giornalisti e scrittori d’Italia. Redattore alla "Gazzetta del Popolo", nel 1954 è a Milano all'"Europeo", poi inviato del "Giorno" di Enrico Mattei. È stato nel 1975 tra i fondatori di "Repubblica" e, oltre all'attività di editorialista sul quotidiano, tiene sull'"Espresso"
La rubrica “L’antitaliano”.
Per le reti Fininvest, a partire dal 1983, ha ideato e condotto una serie di programmi giornalistici: "Prima pagina", "Protagonisti", "2000 e dintorni", "Il cittadino e il potere". È stato anche opinionista di "Dovere di cronaca" e "Dentro la notizia".
Come storico e testimone del proprio tempo ha pubblicato con Mondadori numerosi saggi, tra i quali: "Storia dell'Italia partigiana", "Palmiro Togliatti", "Il provinciale", "Il viaggiatore spaesato", "Voglio scendere!", "Il secolo sbagliato". L’ultimo romanzo pubblicato è “Le mie montagne “ (2006).

Il Premio Ilaria Alpi è promosso da Regione Emilia Romagna, Provincia di Rimini, Comune di Riccione e Associazione Ilaria Alpi Comunità Aperta.
In collaborazione con: Rai, Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, Federazione nazionale della Stampa, Usigrai, Reporters Sans Frontièrs, Assemblea Legislativa Regione Emilia Romagna, Nidil-Cgil, Ega (Edizioni Gruppo Abele), Corso di laurea di Scienze della Comunicazione Università di Bologna, Articolo 21.
Con l’Alto Patronato della Presidenza Repubblica Italiana, con il patrocinio della: Presidenza Camera dei Deputati, Ministero delle Comunicazioni, Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, Commissione Nazionale italiana per l’Unesco, Ordine dei Giornalisti Nazionale, Rai – Segretariato Sociale
Partner: Unipol Banca , Unipol Assicurazioni, Coop Italia, Fondazione Carim , Block 60, Manutencoop e Fondazione Unipolis.
Media Partner: Rai Tre, Rai News 24, Rai Sat Extra

Il Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi 2008 si svolgerà a Riccione il 5, 6, 7, giugno 2008 (www.ilariaalpi.it), con una appendice di 4 giorni, IA doc.

Premio Giornalistico Televisivo "Ilaria Alpi"
c/o Villa Lodi Fè - Viale delle Magnolie, 2 -
47838 RICCIONE (RN) - ITALY
tel: + 39 0541 691640, fax: + 39 0541 475803
info@ilariaalpi.it
Ufficio Stampa: Roberta Silverio 335.1386453
Segreteria: Barbara Bastianelli 335.1386454

Sabato, 12 Aprile, 2008 - 12:07

Dopo il voto la cura Costituente

Intervista a Fausto Bertinotti
Dopo il voto la cura Costituente
A campagna elettorale finita: «Se non ci muoviamo subito rischiamo di diventare dei reperti archeologici. Per il nuovo soggetto della sinistra partiamo col tesseramento dal basso» La sinistra-arcobaleno nasce contro il modello americano che sterilizza il conflitto sociale. Come fa il Pd
Gabriele Polo
da Il Manifesto dell'11 aprile 2008

«Se non ci sbrighiamo diventiamo reperti archeologici. Rispettabili, persino affascinanti, ma inutili». Fine di campagna elettorale. In attesa dell'esito, Fausto Bertinotti guarda al dopo: sembrano lontani gli esordi del «salviamo la pelle», incalza il futuro del «nuovo soggetto politico». Sapendo «che il risultato del 13-14 aprile - precisa - non sarà irrilevante e quel futuro lo segnerà».

Una campagna elettorale difficile: partenza affannata e in salita, il peso delle delusioni governative e la sconfitta di una scommessa politica. E' stata dura?
Sì, difficile. Perché l'esperienza di governo non ha dato i frutti sperati, perché nonostante le grandi attese per un processo unitario a sinistra l'arcobaleno è nato più sotto il segno della necessità che come progetto. La stessa composizione delle liste lo ha evidenziato. Poi in questo mese qualcosa è cambiato grazie al contatto diretto con il nostro «popolo».

Tu stesso sembravi più stanco allora che adesso...
E' vero. Perché all'inizio era proprio un dover essere, quasi un obbligo etico-morale. In una costruzione unitaria che veniva quasi esclusivamente da una scelta di quattro partiti: la registrazione di una condizione, più che un'investimento sul futuro. Poi la campagna elettorale si è «separata» da questa condizione. Sono entrate in campo nuove energie. Penso ai tanti giovani che si sono attivati, soprattutto al sud. Ad atti simbolici come l'apertura della Casa della sinistra al Testaccio di Roma, nei locali che un tempo erano quelli della sezione di quartiere del Pci, dove ci siamo ritrovati insieme dopo tanto tempo, quasi commossi...

Cadi nella nostalgia...
No, è un sentimento che guarda in avanti, al futuro. Ma se vuoi che non parliamo del Pci, ti cito l'entusiasmo dell'assemblea a Firenze con Paul Ginsborg o piazza della Loggia a Brescia piena di operai. In tutte queste occasioni il tono è stato: «Non è un cartello elettorale». Non a caso nelle piazze i simboli di partito sono spariti per lasciare spazio alle bandiere della sinistra-arcobaleno.

E' la stessa cosa che dice Veltroni sulle bandiere di Ds e Margherita scomparse per far spazio a quelle del Pd... Ma è normale in campagna elettorale: se poi va male si spacca tutto e tornano le appartenenze?
Non credo. Io ho un legame profondo con i simboli, ma credo che ci muoviamo su un terreno terremotato. Tutto è cambiato nel rapporto tra politica e società. Il punto è capire se esiste - come penso esista - un'uscita da sinistra dalla crisi che abbiamo vissuto. Prendiamo come esempio il nord Italia, quella che i media chiamano comunemente «questione settentrionale» e che per noi è la «questione operaia». Sappiamo che c'è un consistente voto a destra tra i lavoratori e che proprio lì è più difficile la costruzione di una soggettività alternativa al mercato come stato di natura e alla politica come amministrazione dell'esistente. Perché? Secondo me proprio per il rovesciamento di quella che era stata la nostra forza: la sinistra poteva considerarsi tout court il movimento operaio e proporsi di rappresentare il conflitto di classe. La centralità operaia, al nord, era la politica...

Beh, c'è stata una sconfitta sociale profonda e una «rivoluzione» capitalistica, che hanno rotto il rapporto tra sinistra politica e classi lavoratrici...
Certo, ma quando si spezza il rapporto con la classe per sé, per usare le nostre formule classiche, è chiaro che c'è uno scompaginamento di fronte e tu sei orfano. Al nord il problema della ricostruzione è messo a nudo. Al centro è già diverso, lì rimane un «deposito» di organizzazione della società civile, della politica nella società civile. Quando vai a parlare alla festa dell'Unità a Bologna sai che è il popolo della sinistra che ti ascolta. Magari litighi, ma ci si capisce. Al sud il panorama cambia ancora, trovi una prorompente vitalità soprattutto nei giovani. Nonostante tutti i problemi, i movimenti sono più dinamici, forse proprio perché sono nati e cresciuti nel «deserto». Quindi è proprio un terremoto. E mi sembra che questo stia nella coscienza collettiva di questa nostra campagna elettorale: nella mobilitazione dal basso e nei tanti compagni e intellettuali che pur sottolineando tutti i nostri limiti si sono spesi per la Sinistra-arcobaleno. Anche questo è significativo: all'inizio era «portiamo a casa la pelle», man mano che siamo andati avanti è «costruiamo la sinistra del futuro».

Ma prima c'è un difficile passaggio elettorale. Lì ci si misura sui grandi numeri e ci si scontra con tante delusioni: non ti sembra un messaggio troppo vago dire «investite sul futuro»?
No, dalle esperienze che ho fatto, questo è il messaggio più forte. Più rilevante persino di quello programmatico. Anzi, è la prima volta che l'attenzione per i contenuti della piattaforma elettorale viene dopo...

Anche perché candidandosi all'opposizione non si può promettere nulla...
Questo è secondario, il fatto è che la «piattaforma» è al servizio del progetto. La gente in sostanza ci dice una cosa: «Ho capito, ma dimmi che uso farai di questi voti». E' evidente che ci portiamo addosso il peso della delusione del popolo di sinistra rispetto agli ultimi due anni e all'esperienza di governo. In questo senso il «programma» diventa uno strumento per spostare il baricentro dell'azione politica dal rapporto con il governo all'iniziativa sociale: è un programma per l'azione in cui costruire il nuovo soggetto della sinistra. Dovremo ritrovare i luoghi dove studiare, dove riflettere, dove ragionare, sul rapporto tra partiti e movimento, sull'autonomia del partito dal governo. Ma traiamo una conclusione: abbiamo misurato l'insuccesso della nostra ipotesi politica da cui usciamo con un cambiamento del baricentro che collochiamo nella costruzione dell'azione collettiva. Di questo parla il programma: non del rapporto con il Pd, e nemmeno del rapporto governo-opposizione. Da qui chiediamo un voto per costruire la sinistra in Italia, affinché ci possa essere una potenza democratica nella politica, che dia sostanza e corpo a questo agire collettivo, senza che gli sia impedito l'accesso e l'influenza nelle istituzioni repubblicane.

Qui torni all'antico: senza una presenza istituzionale la sinistra sparisce a prescindere da ciò che esiste nella società?
La realtà nordamericana ci dice che può esistere una sinistra anche fuori dalla storia del movimento operaio però dentro un recinto il cui confine è segnato dal fatto che il conflitto sociale non può diventare un soggetto politico ma è semplicemente un fatto sociologico. I conflitti ci sono ma sono fisiologici, hanno una natura «sindacale», non possono schiodarsi da quella dimensione. E' l'orizzonte del Pd che, da un lato, recide ogni legame con il movimento operaio - persino tenere fuori i socialisti e prendersi Di Pietro è dentro questa logica -, dall'altro afferma che non ci può essere il collegamento fra il conflitto nella società e il conflitto nelle istituzioni repubblicane. Questo è un punto cruciale, sapere se noi vogliamo restare in Europa o se emigriamo negli Usa. Dove il conflitto può persino essere più radicale, ma resta politicamente isolato.

La storia del movimento operaio aveva un suo immaginario, oltre che una pratica, aveva i suoi «nomi» e i suoi «simboli». La ricostruzione di una sinistra in Italia passa per l'accantonamento di questo immaginario? Ma così non si sterilizzano le passioni e la politica diventa routine? Insomma, se il comunismo è «una tendenza culturale» lo dobbiamo dirottare sulle pagine della cultura del «manifesto»?
Mica ti chiedo di rinunciare alla vostra testatina di «quotidiano comunista»... Il comunismo rimane quel movimento che - tortuosamente - cambia lo stato di cose presenti. Nel concreto è una tendenza politico-culturale dentro la nuova soggettività politica.

Cioè?
Direi due cose. Una sostanziale e una simbolica. Quella sostanziale. La sinistra del futuro deve mettere a tema la trasformazione dell'esistente. Uso volutamente termini più vari di quelli che userei secondo la mia cultura - cioè la trasformazione della società capitalistica - perché voglio comprendere in questa ricerca tutto ciò che è cresciuto sotto il cielo in questi anni di crisi, nella critica alla società contemporanea, non solo la tradizione del movimento operaio, ma anche le pratiche critiche venute dalle culture di genere, ambientaliste, pacifiste. Questi percorsi devono entrare in relazione per costruire il tema della trasformazione di un capitalismo totalizzante. E ci stiamo approssimando a questo scopo, che però richiede la costruzione di luoghi di ricerca politico-culturale senza le quali non si va da nessuna parte.

Serve un'elaborazione libera dai vincoli della quotidianità politica?
Esatto. Poi c'è l'elemento simbolico. Il movimento operaio è stato il più organico tentativo di costruire un immaginario simbolico fuori dalle religioni. Nelle feste come nelle manifestazioni. Per non parlare delle bandiere e dei simboli di partito...

Sempre con il rischio produrre nuovi simboli religiosi...
Sì, la gestione dei simboli è cosa complicata. Quelli che si sono consolidati con una lunga storia nel momento della crisi, del passaggio, possono avre tre destini. Primo: essere messi in una teca, assumendo un'assoluta rispettabilità perché entrano a far parte non di una storia, ma della storia. Solenni ma inerti. La seconda è che si riducano a una caricatura di se stessi, per cui vivono soltanto per la setta che li custodisce, non ha nessuna importanza con quanta aggressività. Ma non parlano al mondo, parlano alla setta. La terza è che fertilizzino, partecipando alla costruzione di un nuovo progetto, che siano simboli di una identità aperta, che si aprano all'annuncio della costruzione di una nuova simbologia di cui diventano parte. Il punto che però voglio proporre è sapere se possiamo praticare una fuoriuscita evolutiva dal '900 e dalla storia del movimento operaio. Da sinistra e non da destra come è già avvenuto.

L'uscita è stata a destra per quella sconfitta storica di cui dicevamo prima... In fondo l'89 è venuto di conseguenza.
Si, è vero, ma è andata così anche perché è mancata una soggettività politica-culturale capace di elaborare quella sconfitta. Nel terremoto odierno questa possibilità di riprendere il filo c'è.

Con la sinistra-arcobaleno? Ma non è che finita la campagna elettorale gli apparati prevarranno e si divideranno nuovamente? A prescindere dal risultato?
Innanzitutto il risultato non è irrilevante, anzi, determinerà il «come» del processo unitario, il «se» non è in discussione. Più la spinta unitaria dal basso avrà un buon risultato, più le vecchie divisioni e chiusure saranno in difficoltà. Ma io credo comunque che questo processo sia irreversibile. Il punto è capire - e su questo l'esito del voto conterà molto - se sapremo costruire una nuova classe dirigente di sinistra - per quanto articolata per storie e culture - all'altezza di questo progetto.

Si parla di federazione, soggetto, costituente... Divergenze solo nominalistiche?
Quel che posso dire - come candidato unitario alla vigilia del voto - è che se ci concepiamo come semplice cartello elettorale siamo destinati a perdere anche come cartello elettorale. Se abbiamo messo in campo una capacità attrattiva è proprio sulla scommessa del soggetto futuro. In secondo luogo credo che il giorno dopo le elezioni si aprirà il processo costituente di un soggetto plurale ma unitario della sinistra. Che vuol dire un'organizzazione politica autonoma che costruisce il programma fondamentale del futuro e la forma democratica per renderla partecipata. Come è successo al Testaccio, dove un'assemblea di persone si riunisce e apre un tesseramento alla Sinistra-arcobaleno, senza chiedere a ciascuno a quale partito, associazione o sindacato sia già iscritto. Il futuro non si risolve con l'ingegneria organizzativa ma con un laboratorio politico.

E i partiti che fine fanno?
Decideranno. Discutiamo prima come costruire il soggetto unitario - nei contenuti e nelle pratiche -, poi vedremo come i partiti ci si rapporteranno.

Sabato, 12 Aprile, 2008 - 10:57

Dopo la pioggia di Gianni Rodari

Una bellissima poesia di Gianni Rodari, forse testimonianza di un progetto politico che potrebbe affermarsi con lunedì.

Un abbraccio
Alessandro Rizzo

Dopo la pioggia - Gianni Rodari

Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
E’ come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
é bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
Sabato, 12 Aprile, 2008 - 10:19

Manifestazione regionale No Expo

L’Assemblea regionale dei movimenti e delle lotte legate al territorio, riunita il 29 marzo a Rho, ha indetto per Sabato 19 Aprile 2008, un primo momento di mobilitazione comune. Comitati,  associazioni, centri sociali e altri soggetti di movimento che hanno promosso e alimentano conflitti  sui temi delle grandi opere, della mobilità, della qualità della vita, della salvaguardia del territorio e dei beni comuni, ritengono necessario mettere in relazione le diverse esperienze e aprire da subito una vertenza che parta dal basso contro il modello lombardo e milanese di sviluppo. L’iniziativa del 19 è solo l’avvio di un percorso lungo, che rilanci il conflitto sul territorio per dare forza e voce alle idee, alle analisi, alle proposte e ai bisogni che le popolazioni esprimono.
Siamo convinti che l’assegnazione dell’Expo 2015 a Milano sia un grande problema che porterà beneficio a pochi grandi interessi privati (Fiera e grosse immobiliari in primis) e pochi benefici alle popolazioni. Un’operazione che consolida e rilancia il modello lombardo, modello economico e sociale ormai bipartisan, di sfruttamento del territorio e degli altri beni comuni, di privatizzazione dei servizi pubblici di rete e alla persona, di precarietà. Questo perché Expo genera un giro di investimenti miliardario, che accelererà vecchi e nuovi progetti, immaginiamo con procedure speciali. Con tutto quello che comporta: interventi di speculazione e cementificazione di impatto devastante sull’ambiente, una grossa accelerazione a realizzare tutte le infrastrutture e le grandi opere previste nella regione Lombardia, il perpetuarsi di un modello energetico e della mobilità con costi elevatissimi per l’ambiente e la salute, l’attacco concreto ai parchi regionali, la trasformazione di Milano in città vetrina, da usare e consumare, ma non a misura di chi la vive. Tutto questo anche con massicci interventi pubblici, sottratti ovviamente ad altri impieghi (per esempio trasporto pubblico, case popolari, energie alternative, periferie, etc)

E’il modello di sviluppo di questi territori che noi critichiamo. Un modello che consuma il territorio irreversibilmente e aumenta le disuguaglianze sociali. Un modello basato sul lavoro precario o nero, soprattutto nei tanti cantieri che si apriranno a breve. Una Milano sempre più lontana dai bisogni dei cittadini, con grattacieli e quartieri d’elité e periferie al degrado. Una città che emargina, espelle e non accoglie; che risponde con gli sgomberi alle povertà e ai luoghi di elaborazione di pensiero critico e opposizione ai poteri forti (vedi centro sociale Fornace di Rho).
E’ ora di mobilitarsi prima che sia tardi. Per rivendicare un cambio di rotta, un nuovo rapporto con il territorio e con le popolazioni. Per dire basta a grandi eventi e grandi opere. Per un’altra Lombardia possibile, che difenda quella risorsa unica costituita dal paesaggio, che crei lavoro e ricerca per ridurre gli sprechi energetici e diffondere le fonti rinnovabili, che punti sull'agricoltura, i suoi prodotti e la filiera corta, che investa sul trasporto pubblico  e nella mobilità sostenibile; per un’altra Milano necessaria, a misura dei cittadini più deboli, più ricca di solidarietà, saperi, socialità e meno di grattacieli, sgomberi e polveri sottili.
 
SABATO 19 APRILE - ORE 14.00
MANIFESTAZIONE REGIONALE
RHO – PIAZZALE STAZIONE F.S.
 
Promuovono:
Comitato No Expo Milano, C.S. Sos Fornace (Rho), Comitato Notangenziale (ovest Mi), Coordinamento Comitati Ambientalisti della Lombardia,  SdL Intercategoriale, CUB, L.S. Cantiere (Mi), Ass.ne per i Parchi del Vimercatese, Coord. Lomb. Nord-Sud, C.na Autogestita Torchiera (MI), Sinistra Critica, Rete per la Sicurezza sul Lavoro (MI)
Per info e adesioni:
sosfornace@inventati.org                                                            info@noexpo.it
www.sosfornace.org                                                                      www.noexpo.it         

Venerdì, 11 Aprile, 2008 - 23:22

LISTA " Per il bene comune""

L’appello del Partito Umanista di Milano è quindi di
votare e far votare anche nelle altre regioni la
Lista “Per il bene comune”.
Image
Umanisti per il Bene Comune
L’unico voto inutile è quello che dai a chi ti inganna sempre
A Torino alcuni candidati del Partito Umanista si presentano alle elezioni politiche all'interno della lista " PER IL BENE COMUNE" presente su tutto il territorio nazionale.
Gli umanisti torinesi hanno partecipato attivamente alla stesura del programma, inserendo proposte alle quali stiamo lavorando da anni.
Ecco i punti essenziali:
  • pace e disarmo;
  • uguali diritti e opportunità per tutti;
  • istruzione e sanità di buon livello e gratuita ed accessibile a tutti;
  • difesa dell’ambiente, rilancio delle energie rinnovabili;
  • abolizione delle Leggi Biagi e Treu, abbattimento della precarietà e sicurezza sul lavoro;
  • risoluzione dei conflitti d’interessi tra incarici politici, mediatici e proprietà economiche;
    democrazia reale, diretta e partecipata, responsabilità politica e
    decentramento del potere;
  • risoluzione dell’emergenza abitativa;
  • abolizione della Legge Bossi-Fini e chiusura dei CPT;
  • no alle grandi opere inutili e dannose come il Tav in Val di Susa, il Ponte sullo Stretto, i rigassificatori e i ermovalorizzatori;
  • riaffermazione della laicità dello Stato.
Se la lista PER IL BENE COMUNE prende almeno il 4% a livello nazionale, concorrerà alla suddivisione dei seggi della Camera dei Deputati, avendo superato lo sbarramento elettorale (in realtà potrà essere sufficiente raggiungere anche un po' meno del 4%).

Superando lo sbarramento elettorale e grazie al meccanismo dei resti, in una grossa Regione come il Piemonte, si potrebbero promuovere anche 2 deputati! Per questo motivo è possibile, votando la lista in ogni
regione d'Italia, contribuire a superare lo sbarramento elettorale, necessario affinché possa esserci una speranza di ottenere un eletto umanista a Torino.

L’appello del Partito Umanista di Milano è quindi di votare e far votare anche nelle altre regioni la Lista “Per il bene comune”.

Giovedì, 10 Aprile, 2008 - 15:06

Economia italiana: un confronto per le elezioni

 

Allego un interessante documento di un gruppo di studenti in master alla London School of Ecomics. 

È un documento molto interessante da leggere soparttutto da parte degli indecisi e di chi non vuole andare a votare.

Giovedì, 10 Aprile, 2008 - 13:39

Ora anche Franceschini all'attacco: chiedo almeno una tregua

Dario Franceschini considera Bertinotti il Nader all'italiana. Do you rember Nader? Nader era il candidato della coalizione alternativa ai Democratici che si presentava con un proprio candidato alle elezioni presidenziali del 2000, non sostenendo, pertanto, il candidato democratico Al Gore alla "White House". Nader decise di compiere un passo di forte autonomia e di dissenso con un sistema, ormai cementificatosi e sedimentatosi, prettamente bipartitco, senza altre possibilità di opzione politica. Ma stiamo parlando degli Stati Uniti d'America, mentre noi siamo in Italia, dove esiste un sistema proporzionale corretto con un premio di maggioranza, un sistema capestrato e dissennato, lo sappiamo tutte e tutti, ma esistente e, obtorto collo, permanente e vigente anche in questa ultima quasi conclusa disputa elettorale.
Bertinotti come Nader: vorrei esprimere dissenso verso questa, un'altra, boutade di un esponente di primo piano del Partito Democratico. Dissenso sia nel metodo sia, tanto più, nel merito. Nel metodo, innanzitutto: andiamo a trovare un capro espiatorio della caduta del governo Prodi, dopo la brillante esternazione di Veltroni che accusava Bertinotti di aver segato l'albero del governo Prodi, con un'operazione volta esclusivamente a rendere più incisivo il famigerato appello al voto utile. L'idea è quella di dire alle elettrici e agli elettori ancora, ce ne sono molte e molti, incerti di votare il PD perchè votando la Sinistra Arcobaleno disperderebbero i voti e farebbero vincere Berlusconi. Con questo sistema elettorale non esiste un pericolo di questo tipo. Si sa, è matematico, che votando Sinistra Arcobaleno si evita che Berlusconi e la sua coalizione dissennata e impresentabile a livello soprattutto europeo raggiunga la maggioranza schiacciante e assoluta dei consensi e, pertanto, una possibile stabilità di governo del paese anche al Senato. Si eviterebbe una maggioranza senza problemi e senza limitazioni, anche dove maggiormente è in pericolo, di solito, l'esecutivo basandosi sul sistema di voto ed elettorale vigente per il Senato. Non solo: ma negli Statit Uniti stiamo parlando di elezioni presidenziali, squisitamente maggioritarie e indirette, ossia funzionali a eleggere il consiglio dei votanti delegati su base statuale e non federale. In Italia abbiamo vari partiti e alcune coalizioni di governo che non esprimono, come avveniva nel 1996 e nel 2001, un candidato premier, seppure è considerabile che l'incarico venga affidato al candidato alla presidenza del consiglio dello schieramento vincente. Forse Franceschini vorrebbe, come se fossimo in un'esternazione indicativa di un desiderio psicologicamente non molto latente, Freud aiutaci tu, di considerare anche l'Italia paese presidenzialista? E' questo l'auspicio, dato che già ci si considera calati in una dimensione aliena alla nostra cultura giuridica costituzionale e civica, caro Dario?
Infine, Dario, chi ha voluto rompere magicamente la coalizione del centrosinistra, se non Veltroni che ha confermato quello che aveva detto fresco di elezione primaria plebiscitaria, ossia corriamo da soli perchè da soli possiamo farcela? Chi ha, così, in piena legislatura, delegittimato l'esistenza e la permanenza politica di una coalizione variegata di governo, unita, però, da un programma elettorale chiaro e complesso che attendeva solo di essere attuato, in molti suoi punti? Chi ha, così, detto che chiunque poteva sentirsi libero di fare strategicamente quello che voleva fare e desiderava perseguire, se non un Veltroni che, in sintonia con alcuni presidenti di provincia, Penati in primis, di Regione, Bresso, sindaci di città, Chiamparino e Dominici, di centrosinistra, teorizzava la stagione delle alleanze a "geometria variabile"? Chi è, quindi, il vero Nader? Mi viene da domandare.
La Sinistra, L'Arcobaleno non ha fatto altro che prendere atto di un atteggiamento alquanto discutibile, perchè è stato quel gesto e quella volontà di considerarsi autosufficienti correndo da soli e sfidando da soli un pericolo, quale il ritorno di una destra più agguerrita e più intollerabile per un paese civile ed europeo quale il nostro, assunto dal PD, e presentarsi autonomamente, con la propria cultura politica coerente, in totale unità tra forze politiche e realtà associazionistiche e movimentiste, quindi non solo partitiche, che sono accomunate da eguali valori e ideali e che considerano all'unisono questo modello di sviluppo di mercato non accettabile passivamente ma da contrastare con alternative possibili e di largo respiro. La nostra autonomia deve sapere evidenziarsi in un ritorno elettorale che confermi che di sinistra c'è bisogno e che la sinistra esiste, nonostante qualcuno tra voi, siete molti vedo, dopo le diverse esternazioni belligeranti espresse alla stampa in questi ultimi giorni, in un climax ascendente di nervosismo che nuoce a un confronto politico trasparente e leale, utile per il paese, speri e auspichi che ci sia in Italia un bipartitismo omologabile al centro, centripeto possiamo dire, poco autonomo dalle ingerenze dei poteri forti, poco indipendente a livello programmatico, lacunoso di una spinta di autodeterminazione sociale e culturale, in una dimensione di criticità, necessaria oggi più che mai, verso un iperliberismo disastroso (in Egitto manca il pane, se questo non è il volto disumano e fallimentare di un sistema di mercato ormai drogato e sull'orlo di una crisi di nervi?). Esiste l'intenzione di relegare l'alternativa e la sinistra in un angolo, marginalizzandola, rendendola passiva, fenomeno residuale, annichilendola, neutralizzandola sul piano istituzionale di rappresentanza, come scrive giustamente Bertinotti. Forse se la sinistra si affermasse come forza autorevole a livello parlamentare anche voi ne potete guadagnare: almeno ritornando a parlare a chi dovremmo rivolgerci in un rinnovato rapporto di connessione sentimentale, e incominciando a immaginare in modo irriverente, come tante giovani e tanti giovani fanno manifestando la loro opposizione a un sistema contraddittorio e iniquo quale quello liberista.

Provate a pensare che il vero oppositore da relegare e annicchilire è la destra, non la sinistra e risparmiate inchiostro nel scrivere buonistiche lettere di buon senso istituzionale a chi di senso istituzionale ne è privo, drammaticamente privo.

Alessandro Rizzo

Giovedì, 10 Aprile, 2008 - 11:36

Negatore della Resistenza e nemico dei giudici uccisi dalla mafia

Negatore della Resistenza e nemico dei giudici uccisi dalla mafia presto al Governo?

Non c'è da stupirsi se Marcello Dell'Utri propone di riscrivere i libri di storia. Da storico dilettante, ci ha già provato. Qualche anno fa, a un cronista che gli chiedeva se esiste la mafia, rispose soavemente "Visto che c'è l'antimafia...". Di quella genia di consigliori siciliani che Berlusconi si tira dietro dal '94, Dell'Utri è il più coerente. Ci verrebbe perfino voglia di dire, se non risultasse un ossimoro, che è intellettualmente il più onesto: che il capomafia Mangano sia un benemerito della storia patria, il senatore Dell'Utri lo ha sempre sostenuto. Certo, poi ci sono alcuni dettagli, miserie giudiziarie, come la condanna del suddetto Mangano, ex collaboratore di Berlusconi ad Arcore, per associazione a delinquere mafiosa e per traffico internazionale di droga. Vittima delle circostanze, ha sempre spiegato Dell'Utri in un'espressione di affettuosa solidarietà, da condannato a condannato. E i giudici, senatore? "Professionisti dell'antimafia, come disse Sciascia". Dimentica Dell'Utri di aggiungere che i giudici a cui si riferiva Sciascia, in quel suo pessimo articolo, la mafia nel frattempo li ha ammazzati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Dobbiamo continuare con l'esegesi dei paradossi e delle provocazioni recitate da Dell'Utri? Sarebbe stucchevole. Resta un fatto: quest'uomo è uno dei dirigenti più influenti del partito che potrebbe tornare al governo in Italia tra quattro giorni. Ovvero: un nemico dei giudici uccisi dalla mafia e un pubblico estimatore dei mafiosi. Non ci aspettiamo che ne faccia ammenda il suo datore di lavoro Berlusconi: ci aspettiamo un rigurgito di decenza fra i tanti elettori felici e svagati che votando Berlusconi, Dell'Utri e Cuffaro domenica prossima saranno convinti di aver reso un buon servizio al paese.
di Claudio Fava
Capolista al Senato in Sicilia

Giovedì, 10 Aprile, 2008 - 10:16

La differenza al governo

La differenza al governo
rossana rossanda
il manifesto

Annoso il discorso sul rapporto delle donne con la politica. Scendendo al concreto, come è andata alle donne presenti nel breve governo Prodi? Lo raccontano le elette alla Camera e al Senato di Rifondazione comunista nell'instant book «La differenza in gioco», diretto da Maria Luisa Boccia, coordinato da Isabella Peretti e con le schede di Stefania Vulterini, la stessa Peretti e Federica Resta (Coordinamento delle parlamentari di Rifondazione comunista e Sinistra europea e sul web www.ladifferenzaingioco.it).
Il loro giudizio è severo. Un'occasione perduta (Boccia), un fallimento (Haidi Giuliani), parole appena più temperate nelle altre (Daniela Alfonzi, Giovanna Capelli, Elettra Deiana, Titti De Simone, Daniela Dioguardi, Mercedes Frias, Erminia Emprin, Haidi Giuliani, Vladimir Luxuria, Lidia Menapace, Maria Celeste Nardini, Anna Maria Palermo, Marilde Provera, Sabrina Siniscalchi, Tiziana Valpiana, Olimpia Vano). La brevità della legislatura non ha permesso ad alcuni risultati di arrivare in porto. E la fragilità della coalizione, disunita su questioni fondamentali, per cui il governo è stato continuamente per cadere in Senato, sul rinnovo delle missioni militari, sul protocollo del welfare. Sulle unioni civili si sono dovute contentare d'un progetto al ribasso. Della revisione della legge sulla fecondazione assistita neanche il tempo di parlare. Le cifre sono le cifre, i rapporti di forza erano quelli, ma la sofferenza è stata forte. Poche avevano una esperienza delle assemblee elettive, molte venivano perlopiù da un impegno nella società civile, e si sono sentite imbrigliate e frustrate. Tanto più in quanto non è stata l'opposizione a sconfiggerle ma la destra della coalizione vincente e l'ambigua linea di confine del «maschile». Che non hanno incontrato soltanto sui chiari «no» o « non ancora» dei compagni, ma nelle regole. Oltre che nei riti. Il morbido Senato, così lontano dal quartiere o dal scuola, così verboso da inquietare l'insegnante che vede la sua classe in visita, e si chiede che ne potranno pensare. A spostare questo molle tenace confine non basterebbe Sisifo, e anche quelle che si prefiggevano obiettivi apparentemente più raggiungibili si sono sentite bloccate. E con la sensazione di venir meno a se stesse e alla promessa implicita fatta alla loro gente accettando l'incarico. E sentendo la distanza dei movimenti e delle altre donne, come erano state all'inizio loro di fronte a un sistema parlamentare di cui nessuno spiega la complessità - on solo la complicatezza. C'è anche di questo, ma sono consapevoli tutte, ringhiando, di come sia difficile rappresentare una società percorsa da conflitti profondi, a cominciare dalla permanente sproporzione fra maschi e femmine là dove si legifera. utte col sopracciglio aggrottato, nessuna la fa facile, nessuna è stata sedotta. Ma tutte, anche quelle entrate più di malavoglia in un luogo dove ogni grande intento è ridimensionato, e molto è strumentalizzato - perfino la libertà di parola, ha dovuto constatare Lidia Menapace - dicono che l'esperienza è stata utile, non per alzare maschilmente la cresta ma per «essere». Ambivalente. Deludente ma anche gratificante. Su due livelli: uno modesto, gli interventi su situazioni gravi nelle quali come parlamentari hanno potuto penetrare e dove sono riuscite a modificare alcune situazioni e diverse vite, l'altro più prezioso, l'aver lavorato in comune, senza dilaniarsi, creando relazioni indistruttibili. E allegre. Il Coordinamento è stato un'accumulazione positiva e in qualche misura per sempre. Boccia lo dice nell'introduzione. Per noi c'è un diverso criterio di misura rispetto agli uomini - non solo i risultati, ma l'essere noi, spesso sconfitte mai vinte, donne che hanno visto molto e visto assieme. Più forti e meno sole. Più scafate, più scettiche, non abbattute. Tenute fuori per secoli dai luoghi delle decisioni pubbliche, eravamo esperte della distanza dei poteri dalla vita quotidiana, ora sappiamo anche che il legiferare non è soltanto la somma dei poteri quotidiani. È più ed è meno. La traversata delle istituzioni - per usare una definizione di Rudi Duschke - non ha catturato nessuna e le ha agguerrite tutte. Non era scritto. rossana rossanda
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