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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Mercoledì, 25 Giugno, 2008 - 15:01

Milano Teatro di Razzismo

Milano, 20 giugno 2008. La città di Milano è ancora teatro di una
vile, brutale spedizione punitiva nei confronti di un cittadino
romeno di etnia Rom, effettuata questa volta da agenti di polizia in
divisa. Dopo l'aggressione avvenuta la mattina del 17 giugno nei
confronti di Rebecca Covaciu - la bambina che si è aggiudicata il
Premio Unicef 2008 per le sue doti artistiche - e dei suoi familiari,
ieri sera, 19 giugno 2008, un altro pestaggio, ancora più violento e
inquietante, ha colpito il papà di lei, Stelian Covaciu, missionario
della Chiesa Cristiana Evangelica Pentecostale. In seguito al primo,
drammatico episodio di matrice razzista il Gruppo EveryOne aveva
lanciato un allarme internazionale, coinvolgendo i media nonché
numerose personalità della cultura e della politica.
Contemporaneamente i deputati radicali - Pd depositavano
un'interrogazione urgente al Ministro degli Interni. Immediatamente
dopo la nuova aggressione, Gina Covaciu, moglie di Stelian, chiamava
ancora Roberto Malini del Gruppo EveryOne che, insieme a una
responsabile dell'associazione milanese Naga, allertava un'ambulanza
e le forze della polizia di stato, che accorrevano sul luogo
dell'agguato e conducevano l'uomo, pieno di contusioni e traumi
interni, sofferente e in stato confusionale, presso l'ospedale San
Paolo, dove veniva sottoposto ad esami e ricoverato. E' tuttora in
prognosi riservata. Dopo aver allertato il Partito Radicale, che
raccoglieva i particolari dell'avvenimento per agire a tutela delle
vittime sul piano politico, il Gruppo EveryOne contattava la questura
centrale per assicurarsi che le autorità formalizzassero la denuncia
di aggressione ed effettuassero indagini scrupolose. "Quando Gina ci
ha chiamato," riferiscono i leader del Gruppo EveryOne Roberto
Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, "era talmente agitata e
disperata che faticava ad articolare discorsi comprensibili. Vicino a
lei, Stelian si lamentava, pronunciando parole sconnesse. Quando la
donna si è calmata, ci ha raccontato i particolari dell'agguato. Gli
stessi energumeni che avevano picchiato, insultato e minacciato i
Covaciu si trovavano ancora davanti a loro. Stavolta però erano scesi
da un'auto della polizia, in divisa e armati di manganelli. Dopo la
prima aggressione, la piccola Rebecca, che è una ragazzina molto
intelligente e intuitiva, ci aveva già detto che gli aguzzini della
sua famiglia indossavano guanti simili a quelli che indossano i
poliziotti. Sospettavamo che avesse ragione, anche perché un numero
crescente di Rom ci segnala di questi tempi un comportamento violento
o intimidatorio da parte delle forze dell'ordine, ma speravamo di
sbagliarci. L'ipotesi più grave, invece, è stata confermata dai fatti
e gli agenti razzisti hanno colpito ancora". Questa volta, però, la
violenza degli uomini in divisa si è concentrata su Stelian. La loro
azione brutale si svolgeva in piazza Tirana, nei pressi della
Stazione San Cristoforo, dove la famiglia vive all'interno di un
riparo di emergenza, fatto di teli e cartone. "Gli agenti si sono
avvicinati all'uomo," proseguono i leader EveryOne, "e l'hanno
apostrofato con un tono minaccioso: 'Ci riconosci? Hai fatto un
errore a parlare con i giornalisti, un errore che non devi ripetere'.
Quindi hanno cominciato a picchiarlo con cieca violenza, sia con i
pugni che con i manganelli, riducendolo in condizioni penose. Quindi,
mentre Stelian era a terra, l'hanno insultato e minacciato: 'Non
raccontarlo a nessuno o per te saranno guai ancora maggiori'. Quando
i due picchiatori si sono allontanati, Gina, i figli e alcuni
concittadini di Stelian l'hanno soccorso. Lui si lamentava ed era in
evidente stato di shock". Intanto un'attivista sopraggiungeva sul
posto e raccoglieva numerose testimonianze da parte dei Rom che
vivono nei dintorni della stazione di San Cristoforo, che
confermavano le parole di Gina Covaciu ovvero che due poliziotti in
divisa, scesi da un'auto della polizia, erano gli autori del violento
pestaggio. "E' necessario che si ponga fine a questa persecuzione, "
concludono gli attivisti, "perché il diffondersi dell'odio razziale,
di cui sono latori politici e numerosi media, ha scatenato una
sequenza impressionante di atti di violenza nei confronti dei
cittadini Rom. Sappiamo che le forze dell'ordine sono formate per la
maggior parte da agenti che operano seguendo il codice etico europeo.
Ci appelliamo anche a loro affinché i razzisti e i violenti siano
isolati e perseguiti, mentre le famiglie Rom, che rappresentano la
parte più vulnerabile della società, siano protette. La violenza
contro i Rom e le intimidazioni nei confronti degli attivisti che si
battono per i diritti dei 'nomadi' crescono, in Italia, ogni giorno
che passa. Famiglie intere vengono braccate fin sotto i ponti, nelle
case abbandonate, nei parchi. Forze dell'ordine, sindaci e assessori-
sceriffi, squadristi e giustizieri hanno scatenato una caccia
all'uomo tanto feroce quanto irrazionale. I Rom vengono costretti a
fuggire da un luogo all'altro, privati di qualsiasi forma di
sostentamento - dall'elemosina ai servizi di strada - ridotti a
fuggiaschi disperati, affamati, malati, senza alcun diritto. Nedo
Fiano, Piero Terracina, Goffredo Bezzechi, Tamara Deuel, Mirjam
Pinkhof, tutti sopravissuti all'Olocausto, avvertono con
preoccupazione i cittadini europei affinché non cedano alle seduzioni
del razzismo e paragonano la persecuzione dei Rom agli anni della
Shoah, gli sgomberi e le spedizioni punitive ai pogrom. Rebecca, la
figlia 12enne, di Stelian, è un grande talento, che l'Unicef ha
premiato proprio nel 2008, ma che l'Italia punisce ogni giorno con il
veleno dell'emarginazione, della povertà, dell'odio e della violenza.
Un Paese che si rende colpevole di una simile ingiustizia, un paese
che accetta tanta violenza, tanta crudeltà verso un intero popolo è
un paese imbarbarito, è un Paese che ha perso la strada dei Diritti
Umani ed è vicino a una crisi dei valori tanto grave da essere
paragonata all'Italia delle leggi razziali, dei manganelli, delle
camicie nere e dei treni per Auschwitz".

Siti consigliati:
www.lasvolta. org www.brahmaweb. net
www.partitoumanista.it


MILANO CITTA’ APERTA LIBERA E ACCGLIENTE

Siamo donne e uomini, cittadini italiani e cittadini stranieri che hanno deciso di essere in piazza insieme per offrire alla nostra città una occasione di festa, di riflessione e di conoscenza reciproca.

Con tante voci vogliamo rompere il silenzio pesante che da troppo tempo incombe a Milano su episodi drammatici che per decisioni del Governo ricadono su individui e comunità che nelle nostre città hanno radicato le loro speranze di una vita migliore.

Retate sui mezzi pubblici, ronde notturne, espulsione dagli alloggi, campagne contro le moschee, sgomberi violenti, schedature etniche di rom e sinti: sono solo alcuni esempi di un crescendo impressionante che vede misure legislative e scelte governative che vogliono l’esercito nelle strade, la reclusione nei Cpt fino a 18 mesi e la criminalizzazione degli irregolari.

Eppure nella nostra città la società multietnica è ormai una realtà: italiani o stranieri, cristiani, musulmani o non credenti, viviamo tutti qui, frequentiamo le stesse scuole, lavoriamo fianco a fianco e facciamo tutti la stessa fatica per tirare a fine mese.

Siamo consapevoli che Milano, come molte altre città, è attraversata da manifestazioni sempre più evidenti di disgregazione sociale che colpiscono soprattutto i quartieri periferici, ma proprio perché viviamo in questa città e  ne conosciamo i problemi, siamo convinti che per farvi fronte, legalità e sicurezza non possono essere interpretate solo come controllo e repressione.

La sicurezza va intesa come un sistema di garanzie per difendere i diritti umani: il diritto alla salute, all’educazione, al lavoro, alla casa, alla libertà di espressione.

La sfida è mettere in campo politiche urbane, abitative, sociali, culturali in grado di produrre solidarietà, partecipazione e rispetto dei diritti, attraverso percorsi democratici e condivisi.
Ci sono molti amministratori, forze politiche e mezzi di comunicazione che oggi continuano a seminare ostilità e conflitti, indicando negli stranieri e nei poveri il capro espiatorio per tutti i problemi sociali, economici e urbani che determinano la condizione precaria di ognuno di noi, gettando un’ombra inquietante sul presente e sul futuro della nostra comunità.
Una società che imbocca la strada della xenofobia e del razzismo diventerà sempre più insicura e invivibile, perché la sicurezza non può nascere dall’emarginazione, ma dall’accoglienza e dal riconoscimento dei diritti di tutti sulla base di valori irrinunciabili:
-    i principi di uguaglianza, di rispetto delle diversità e di giustizia sociale, presenti nella Costituzione italiana, devono vivere concretamente nelle politiche e nelle azioni amministrative.
-    Non si possono imporre regole speciali che violino il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi.

È necessario che si levino mille e mille voci per chiedere:
- abolizione della legge Bossi – Fini perché costringe alla clandestinità
- regolarizzazione di tutti coloro che lavorano e vivono in Italia
- tempi certi e rapidi per il rilascio dei documenti senza tassazione e con trasferimento delle competenze agli enti locali
- introduzione di una legge organica per i richiedenti asilo politico e umanitario
- no al pacchetto sicurezza
- no al reato di immigrazione clandestina
- chiusura dei CTP per sostituirli con centri di prima accoglienza.

Mercoledì, 25 Giugno, 2008 - 13:09

SGOMBERATO SCALO ROMANA. COMUNE CHIARISCA dove vanno i rifugiati

SGOMBERATO SCALO ROMANA. COMUNE CHIARISCA CHE FINE FARANNO I RIFUGIATI
di lucmu (del 25/06/2008, in Migranti&Razzismo, linkato 9 volte)
Stamattina all’alba sono iniziate le annunciatissime operazioni di sgombero del degradato ex scalo ferroviario di Porta Romana, utilizzato da tempo come rifugio insalubre da centinaia di immigrati, in larga parte profughi di guerra africani.
C’erano la polizia locale, la polizia di stato e i carabinieri, ma anche la protezione civile, i servizi sociali e personale medico. Insomma, tutto è avvenuto nella massima tranquillità e persino i mezzi dell’Atm mobilitati erano privi delle ormai tristemente famose grate di sicurezza.
Visti i tempi che corrono, sicuramente una notizia positiva. Ma, dall’altra parte, le oltre 150 persone identificate e poi trasportate in centri del Comune sono tutte in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari, nonché censite già da dieci giorni, e non si sarebbe proprio capito un procedimento diverso.
Tutto bene dunque? Non proprio, perché va ricordato il fatto che a quelle persone lo Stato italiano aveva accordato formalmente la sua protezione, perché riconosciuti come profughi di guerra, salvo poi abbandonarli al loro destino. È così che erano finiti a dover campare in condizioni allucinanti nell’ex scalo ferroviario e tanti altri come loro continuano a sopravvivere in maniera analoga in altri interstizi degradati della metropoli.
E come se non bastasse, tra i profughi oggi identificati non troviamo soltanto dei recenti arrivati, ma anche persone che le istituzioni avevano già incontrato in passato, in viale Forlanini oppure in via Lecco. Cioè, erano già state censite come profughi senza tetto ed erano già state indirizzate in vari centri di accoglienza del Comune. Eppure, oggi ancora una volta li ritroviamo a vivere tra le macerie e i rifiuti.
Insomma, si tratta di un girone infernale che sembra non avere vie d’uscita: i rifugiati passano dalle aree degradate alle sistemazioni temporanee nei centri e nei dormitori comunali, per poi ritornare sempre al punto di partenza.
Oggi il Comune ha elencato le destinazioni dei rifugiati dello Scalo Romana. Si tratta dei soliti noti centri di accoglienza e del dormitorio di viale Ortles, cioè di sistemazioni per definizione temporanee.
La domanda che si impone a questo punto è dunque la seguente: il Comune di Milano intende procedere come ha fatto precedentemente oppure questa volta c’è la ricerca di una soluzione più stabile, dal punto di vista abitativo e dell’inserimento sociale?
Visti i precedenti, ci pare una domanda obbligatoria che richiede una risposta pubblica, perché se alla fine siamo alle solite, allora dobbiamo necessariamente concludere che quella di oggi era soltanto un’operazione di immagine, utile per fare un po’ di comunicati stampa e marketing politico, ma tra qualche mese tutto torna come prima, con i rifugiati per strada, a cercare nuove macerie dove potersi sistemare.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Martedì, 24 Giugno, 2008 - 17:40

VITTORIA DI BASE

VICENZA Il tribunale dichiara «illegittimo» il sì di Prodi, dà ragione ai cittadini e ferma i lavori
Il Tar blocca il Dal Molin
VITTORIA DI BASE Il tribunale amministrativo veneto boccia l'ex premier su tutta la linea: non ha consultato la popolazione, sulla decisione non c'è alcun atto scritto e il bando di gara non ha rispettato le norme italiane ed europee. Il Codacons e i comitati esultano: ha vinto la nostra linea. Il sindaco Variati promette anche un referendum cittadino. E il governo Berlusconi tace imbarazzato
Orsola Casagrande
VICENZA
La nuova base militare americana al Dal Molin non si può fare. Il giudizio del Tar del Veneto arrivato ieri mattina è netto, e sospende i lavori in attesa che sul prevedibile ricorso si pronunci il Consiglio di Stato. I comitati cittadini esultano: è la vittoria della società civile, di una città che non ha mai smesso di lottare. La sentenza del Tar ha accolto in toto il ricorso presentato dal Codacons, dal coordinamento dei comitati dei cittadini contro la base e da altre associazioni. Nel ritenere «illegittima» la decisione del governo Prodi il Tar sostiene che è mancata la consultazione della popolazione interessata, nonostante fosse prevista dal memorandum Stati uniti-Italia. Ma denuncia anche di non aver riscontrato alcuna traccia documentale di sostegno «sull'atto di consenso presentato dal governo italiano a quello degli Stati uniti, espresso verbalmente nelle forme e nelle sedi istituzionali». Questo consenso, scrivono i giudici, «pertanto risulta espresso soltanto oralmente» e per questo motivo «appare estraneo ad ogni regola inerente all'attività amministrativa e assolutamente extra ordinem. Tale dunque da non essere assolutamente compatibile con l'importanza della materia trattata con i principi tradizionali del diritto amministrativo e delle norme sul procedimento, in base ai quali ogni determinazione deve essere emanata con atto formale e comunque per iscritto». Un giudizio pesantissimo, dunque, sull'operato del governo italiano il cui assenso, insistono i giudici, «risulta essere stato formulato, del tutto impropriamente, da un dirigente del ministero della difesa, al di fuori di qualsiasi possibile imputazione e competenze e di responsabilità ad esso ascrivibili in relazione all'altissimo rilievo della materia».
Ma il Tribunale amministrativo regionale non si ferma qui. Infatti nella sentenza ribadisce che ci sono anche «altri profili di illegittimità, alla luce della normativa nazionale ed europea». In particolare si sottolinea che l'autorizzazione è stata data «non solo per quanto riguarda l'insediamento delle nuove strutture della base militare, ma anche per la realizzazione delle relative opere, senza procedere alla verifica ex ante, del rispetto delle condizioni esplicitamente apposte». I magistrati aggiungono che sul bando di gara già effettuato per la realizzazione delle opere non sarebbero state rispettate le «normative europee e italiane in materia di procedure ad evidenza pubblica per l'assegnazione di commesse pubbliche». Il Tar quindi ricorda che per disposizione del commissario straordinario Paolo Costa «era stata prevista come condizione la redazione di un progetto alternativo, relativo in particolare agli accessi alla base». Peccato che di questo progetto «non è riscontrabile alcuna menzione nella autorizzazione». La bocciatura del Tar sulla nuova base militare Usa al Dal Molin è davvero su tutti i fronti.
Per il Codacons «la motivazione espressa dal Tar è ancora più soddisfacente di quanto ci si poteva aspettare, poichè i giudici sono entrati nel merito dell'intero procedimento, contestandolo pezzo per pezzo come il Codacons chiedeva». Il presidente Carlo Rienzi ribadisce che si tratta di «una sentenza di importanza estrema e che rappresenta una vittoria di tutti i cittadini. I giudici infatti non solo hanno riconosciuto le tesi sostenute dalla nostra associazione ma hanno ribadito con fermezza l'importanza dell'opinione dei cittadini in merito a questioni che riguardano direttamente il territorio e l'urbanistica». Il Codacons aveva presentato ricorso contro la nuova base al Dal Molin contestando tra le altre cose la violazione dell'articolo 11 della Costituzione sul ripudio della guerra e degli articoli 80 e 87 sull'obbligo di ratifica con legge dei trattati internazionali di natura politica, nonché la violazione dei trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza. Anche dal presidio no Dal Molin parole di gioia per questa sentenza che «dimostra - dice Marco Palma - quanto fondate sono le tesi dei cittadini che da due anni si oppongono alla realizzazione dei progetti statunitensi. Il Tar, infatti, riconosce i pericoli ambientali e urbanistici legati alla realizzazione dell'opera. Chi ha tentato di prendere in giro la cittadinanza, ora, è stato smascherato». Il presidio si impegna a vigilare sull'osservanza di questa sentenza, che nei fatti è una sospensiva e blocca qualunque lavoro «per difendere la legalità che più volte hanno tentato di calpestare i promotori dell'opera». Il presidio ha organizzato tre giornate di mobilitazione, a partire da oggi con dei banchetti informativi in centro. E poi giovedì prossimo con una presenza in piazza dei Signori in contemporanea al dibattito del consiglio comunale e il 30 giugno con una mobilitazione.
Il sindaco di Vicenza, Achille Variati, ha ribadito che la giunta proporrà nella seduta del consiglio di giovedì prossimo il referendum cittadino, che dovrebbe svolgersi a ottobre. Sulla sentenza Variati dice che «si tratta della vittoria delle ragioni di un territorio: avevamo sempre denunciato la mancanza di informazioni, di una vera discussione e di una legittimazione della procedura avviata». Mentre per il presidente dell'Ecoistituto del Veneto, il verde Michele Boato, «Davide ha fermato Golia. Sembra incredibile, ma è successo, dopo due udienze interlocutorie nei mesi scorsi, il dibattimento di mercoledì si è concluso con la sospensiva di tutte le strane autorizzazioni con cui il governo Prodi prima (commissario Paolo Costa) e quello Berlusconi poi permettevano all'esercito degli Stati uniti di calpestare le norme dello stato italiano». «No comment» invece dal commissario Paolo Costa come dal governo Berlusconi e dagli Usa.

www.ilmanifesto.it
21 giugno 2008

Martedì, 24 Giugno, 2008 - 17:35

“Questa non è la carriera che volevo”

un italiano su 5 ha sbagliato lavoro

di FEDERICO PACE

Sempre più confessano di sentirsi inadatti al percorso professionale intrapreso. Ma cambiare è difficile. Soprattutto per ragioni economiche. A incidere anche il tempo necessario a “riconvertirsi” e le ragioni familiari. Le donne le più insoddisfatte. Nel mondo i più scontenti in Messico, Ucraina e Turchia.

Scegliere, per lo più, è difficile. Se si tratta di lavoro però, sembra essere, quasi impossibile. Tanto che a molti capita di ritrovarsi a fare qualcosa, senza sapere neppure il perché. Tante le svolte incontrate per strada che alla fine, proprio quando si è arrivati a conquistare un lavoro, ci si accorge che proprio quell’impiego, tanto agognato, non era quello che si voleva. E il tempo in ufficio rischia di diventare un tempo “spersonalizzato” in cui è sempre più difficile esprimere e affermare qualità e ambizioni.

Così se trovare l’anima gemella è complesso, riuscire ad avvicinarsi ad un impiego adatto a sé pare chiamare in causa un’arte ancor più segreta e inaccessibile. Tanto che quasi un italiano su cinque è sicuro di avere sbagliato tipo di carriera e un altro 23 per cento non ha alcuna certezza in merito. A dirlo è l’ultima indagine globale realizzata da Kelly Services, società di servizi per la gestione delle risorse umane, su un campione di 155 mila lavoratori di cui quasi 20 mila in Italia. A pensare di avere sbagliato carriera sono soprattutto le donne mentre, a livello regionale, gli italiani più insoddisfatti si trovano in Molise, Piemonte, Sicilia e Toscana.
L'insoddisfazione e la mancata identificazione
L’attività professionale ha uno stretto legame con quello che s’agita dentro ciascuno in termini di affermazione, ambizione e realizzazione delle proprie qualità. Ritrovarsi in un posto che non offre il necessario sviluppo a queste energie può avere conseguenze molto negative sia a livello di singolo lavoratore sia, più complessivamente, a livello aziendale. “Nella società contemporanea – ci ha detto Stefano Giorgetti direttore di Kelly Services Italia - la soddisfazione rispetto alla propria condizione lavorativa gioca un ruolo sempre più importante. E’ infatti una tendenza diffusa, in Italia come in molti altri Paesi europei, quella di aumentare il monte ore lavorativo quotidiano. Per questo diventa fondamentale che ciascuno cerchi di scegliere una professione nella quale “riconoscersi”; inoltre i rapidi cambiamenti tecnologici, e non solo, che caratterizzano i tempi “moderni” rendono necessari momenti di aggiornamento e di studio che possono essere colti come opportunità solo se il lavoratore vive la propria professione in modo partecipativo. Senza contare il fatto che un lavoratore impiegato in un’occupazione appagante, oltre ad essere più sereno anche nella vita privata, darà performance nettamente migliori rispetto a quelle di un collega demotivato, a beneficio di tutta l’azienda”.
La quota di insoddisfatti che non possono cambiare, spiega Giuseppe Rustioni Segretario Generale di FAES, “è un dato allarmante che mette in luce la necessità di preparare i giovani non solo da un punto di vista strettamente nozionistico ma anche comportamentale. E’ infatti di estrema importanza che quando un giovane sceglie il proprio percorso universitario, e quindi professionale, sia consapevole delle proprie capacità e attitudini, ma non sempre questo è possibile; perchè il lavoro comporta certamente fatica, ma può essere anche “passione”.
La difficile conversione
Purtroppo accorgersi di avere sbagliato, così nella vita come nel lavoro, non basta. Anzi rischia di aggravare ancora di più le cose. Perché “riparare” non è affatto facile. Quasi impossibile tirare le conseguenze e decidere di lasciare l’impiego che si è svelato “sbagliato”. Tanto che al contrario, quasi sempre ci si ritrova a continuare a fare quel che si è scoperto essere inadatto a sé. La ragione principale va rintracciata, ovviamente, nelle condizioni economiche. Le indica infatti come fattore principale il 44 per cento delle donne e il 42 per cento degli uomini. Tra gli altri motivi indicati, il tempo necessario per “riconvertirsi” al nuovo impiego (rispettivamente il 38 e il 35 per cento) e poi le motivazioni collegate in vario modo alla famiglia (il 17 e il 18 per cento).
Cambiare carriera non è facile, conferma Giorgetti, “e spesso comporta, almeno inizialmente, una forte dose di stress. Questo non significa che non sia possibile cambiare lavoro, ma che per farlo è fondamentale prepararsi nel miglior modo possibile”. Se si vuole intraprendere questa strada, per Giorgetti, è necessario “investire in formazione e frequentare corsi inerenti alla nuova professione scelta”. Ma non basta. “Dove fosse possibile, è sicuramente auspicabile cambiare lavoro all’interno della stessa azienda presso la quale si è occupati, con conseguenti benefici sia per l’organizzazione, che non dovrà impegnarsi nel “trasferimento della cultura” aziendale ad un nuovo assunto, che per il lavoratore, che potrà così concentrarsi esclusivamente ad imparare i nuovi compiti”.
Il lavoro sbagliato nel mondo
Se si fa un confronto internazionale, la quota di italiani che hanno ammesso di aver sbagliato carriera è simile a quella riscontrata negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Olanda, Francia, Svizzera, Spagna, Germania e Irlanda. Tutte con una percentuale di “certamente insoddisfatti” compresa nella forchetta 15-20 per cento. Altrove invece i dati sono ancora più elevati e raggiungono i picchi in Messico (65 per cento), Ucraina (42 per cento) e Turchia (40 per cento).
La formazione e i consigli ai giovani
Quanto al sistema formativo, per il 51 per cento dei lavoratori intervistati, scuola e università mancano il loro compito di preparare in modo soddisfacente alla vita lavorativa. In Italia lo pensano il 38 per cento mentre una quota simile (il 39 per cento) ritiene invece che l’educazione scolastica ricevuta sia stata adeguata. Le percentuali più basse, a livello regionale, si trovano in Friuli Venezia Giulia, Molise, Basilicata, Puglia, Sardegna e Toscana. Quanto alle scuole di specializzazione e ai master, quasi sette su dieci pensa che siano stati utili ai fini lavorativi, anche se molti ritengono che si dovrebbero sviluppare ancora di più gli aspetti pratici del corso a scapito di quelli più teorici.
E ai giovani? Giorgetti si sente di raccomandare soprattutto esperienza: “consiglio a tutti i ragazzi di sfruttare i periodi in cui è richiesto uno scarso impegno nello studio per dedicarsi a brevi esperienze lavorative come stage e tirocini, anche all’estero. Questo sia nell’ottica di individuare il percorso professionale più adatto a sviluppare le proprie attitudini, che di costruire un curriculum vitae ricco e competitivo”.

http://miojob.repubblica.it/

Martedì, 24 Giugno, 2008 - 16:10

EHI TU! MA LO SAI CHE...

EHI TU! MA LO SAI CHE...
*... non tutti pensano che ci sia un emergenza sicurezza, per la
quale la sera è meglio starsene in casa per i fatti propri, piuttosto
che uscire, vivere le strade e le piazze, conoscersi;
*... non tutti pensano che sia giusto imputare i problemi sociali ai
più poveri, neanche se oggi questi sono nomadi e immigrati e allora
riesce più facile perchè si può far leva sulla diffidenza naturale della
gente;
*... non tutti trovano accettabile che fascisti o ex tali abbiano
agibilità, nelle istituzioni come nelle strade, con aggressioni
quotidiane verso chi appare "diverso"
*... non tutti vogliono una società che isola le persone dai loro
vicini, una società senza solidarietà e in cui l'individuo è solo e
passivo davanti a quanto gli dicono media e cultura dominante
*...nulla è inevitabile, l'alternativa è qui e adesso, nel tuo quartiere.
Proponiamo a tutti una serata vissuta con uno spirito diverso da
quello che è la normalità, una serata in cui ci si conosca, si
chiacchieri, una serata per scoprire le associazioni che operano nel
quartiere (che saranno presenti con un banchetto), una serata in cui
sentirsi di sinistra senza ortodossie, una serata tutti insieme perchè
certi valori non possono che essere collettivi.
Mercoledì 25 giugno alla cooperativa la liberazione, via lomellina 14.
Dalle 18 saranno presenti le associazioni coi loro banchetti, alle 20
cena sociale, alle 21.30 proieaione del film “Bye Bye Berlusconi”.
musica dal vivo.
info e prenotazioni: retazione@libero.it

o chiamare Ilaria 3403747262

firmato: giovani sinistri, terzinternazionalisti, anarcoinsurrezionalisti,
partigiani, fricchettoni, fidel castro, sbirri in borghese (che tanto li si
riconosce), cazzoni vari, futuri premi nobel del quartiere e gente
varia di sinistra.

Martedì, 24 Giugno, 2008 - 14:21

Salviamo il Parco Ticinello e Cascina Campazzo

Salviamo il Parco Ticinello e Cascina Campazzo
(Informativa 06/08)

La storia sofferta dal Parco del Ticinello
Il Parco Ticinello, nell’area sud della città, limitrofo all’abitato, insiste su un’area di 880.000 mq. Dal 1982 il Comune di Milano ha inserito nelle sue previsioni urbanistiche questo progetto che prevede la commistione della fruizione pubblica e dell’attività agricola.
All’interno dell’area è compresa la struttura di Cascina Campazzo, il vero cuore del parco, sia per la presenza di un allevamento di bovini da latte, sia per la rilevanza della struttura architettonica, con l’oratorio, l’antico forno a legna e altri edifici monumentali che risalgono al XVIII e al XIX secolo.
Questo progetto, pur appoggiato e fortemente voluto dalla popolazione circostante, che già in parte ne gode grazie alla presenza dell’Associazione Parco Ticinello, ha trovato grandi difficoltà nella sua realizzazione, soprattutto in forza dell’atteggiamento del proprietario di buona parte della superficie. Tuttavia, nel 2003, circa metà delle aree destinate a parco sono state acquisite dal Comune di Milano attraverso l’esproprio e un investimento di circa 10 milioni di Euro.

La situazione oggi
L’ attuale Amministrazione comunale,  dopo il suo insediamento, ha operato per approvare gli strumenti urbanistici finalizzati alla realizzazione del parco, strumenti decaduti nel maggio 2006. La scorsa primavera ha riapprovato, con delibera di Consiglio  n. 20 del 23.04.07, la variante al Piano regolatore del Parco del Ticinello. Tale documento ribadisce la presenza di un’agricoltura reale nel parco e l’indispensabilità della Cascina Campazzo a questo scopo. Nel successivo mese di giugno ha poi adottato, con delibera di Giunta  n. 1374 del 27.09.07, il progetto preliminare del parco. Inoltre ha anticipato, nella revisione di bilancio del settembre scorso, con delibera di Consiglio  n. 5 del 27.09.07,  lo stanziamento per le opere del primo lotto del parco e per l’acquisizione di Cascina Campazzo già prevista per il 2007.
Il passaggio successivo, indispensabile per la realizzazione definitiva del parco, sarebbe stata la Dichiarazione di Pubblica Utilità della cascina; la qual cosa avrebbe consentito la sua acquisizione, tramite esproprio. Questo passaggio è competenza dell’Assessore allo Sviluppo del Territorio Carlo Masseroli.
Nel mese di novembre l’assessore stesso ha però interrotto l’iter amministrativo della pratica, motivandola con l’avvio di una trattativa con la proprietà che avrebbe raggiunto gli stessi obiettivi in tempi brevi.

L’urgenza di chiudere la partita
Attorno a Cascina Campazzo si sta registrando lo scontro determinante per il futuro del Parco Ticinello. Il proprietario con una serie di azioni legali intende allontanare dalla cascina l’agricoltore affittuario. In assenza dell’attività agricola tutto il progetto Parco Ticinello, e la cascina in particolare, non avrebbe più ragione d’essere.
Il tribunale, su richiesta della proprietà, ha emesso un’ordinanza  di inibizione di manifestazioni pubbliche nell’ambito della cascina. Così finiscono le famose feste sull’aia che coinvolgevano migliaia di abitanti della città.
Nel frattempo, a seguito di una sentenza della Cassazione, per l’agricoltore lo sfratto è diventato esecutivo. Dopo due rinvii, il 19 settembre prossimo, l’ufficiale giudiziario si presenterà all’ingresso di Cascina Campazzo.

Giugno 2008
Associazione per il Parco Sud Milano

Lunedì, 23 Giugno, 2008 - 16:33

I sopravvissuti bambini alla strage di Marzabotto

Marzabotto I SOPRAVVISSUTI I BAMBINI DEL '44 SCAMPATI ALLA STRAGE DEI NAZISTI
Linda Chiaramonte
MARZABOTTO (BOLOGNA)
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Nove ergastoli per omicidio plurimo continuato e aggravato, tre dei quali definitivi. Il soldato semplice Spieler, condannato in primo grado, assolto, e Kusterer, comandante di squadra della terza compagnia, assolto in primo grado, condannato in appello all'ergastolo. Si è conclusa così, oltre alla richiesta di risarcimento danni alle parti civili e danno morale alle comunità, la fase del giudizio di merito del processo d'appello nei confronti dei 17 ufficiali e sottufficiali delle SS del 16° reparto esplorante, comandato dal maggiore Reder, responsabili degli eccidi di Marzabotto che causarono la morte di più di 800 civili, prevalentemente donne e bambini, compiuti il 29 e il 30 settembre, l'1 e il 5 ottobre 1944. Il procedimento penale è stato istruito dal procuratore militare della Repubblica Marco De Paolis, pubblica accusa a La Spezia, e avviato nella primavera 2005. Il dibattimento è entrato nel vivo l'8 febbraio 2006, giunto a sentenza il 13 gennaio 2007 dopo 32 udienze (sentenza di secondo grado emessa il 7 maggio del 2008), più di 80 testimoni tedeschi, di cui solo due si sono presentati in aula (probabilmente in quanto feriti prima dell'arrivo del reparto a Marzabotto), e 130 fra sopravvissuti e familiari delle vittime. Mai prima di La Spezia era stata pronunciata una sentenza. A raccontare le atrocità viste e subite o ascoltate dai ricordi dei familiari, anziani che hanno fatto riaffiorare la memoria della loro infanzia, con l'emozione e l'orrore ancora vivi come se tutto fosse accaduto solo pochi giorni prima. Sono stati ribattezzati «i bambini del '44», fra loro una sopravvissuta dopo aver testimoniato commossa non trovando più le parole, ha concluso «il resto ce lo portiamo ancora addosso». Ora si apre la fase della Cassazione nel caso la difesa volesse ricorrere, entro i primi di giugno sarà depositata la motivazione, da quella data ricorreranno altri 45 giorni prima di passare in giudicato. Nel frattempo la procura territoriale di Monaco di Baviera ha richiesto l'esecuzione della pena (gli arresti domiciliari) per due degli imputati, riconoscendo così l'efficacia della sentenza italiana e aprendo un procedimento penale omologo nei confronti degli stessi imputati. Una vittoria che arriva a 64 anni di distanza nella sede della procura generale militare di Roma, Palazzo Cesi, lo stesso in cui nel '94 il procuratore Intelisano, all'epoca accusa nel processo Priebke, si imbatté in un carteggio fra ministeri che rivelò la presenza di documenti di cui non vi era traccia a cui seguì un'indagine interna che portò alla luce l'armadio della vergogna, che si scoprì contenere 695 fascicoli su altrettanti episodi di eccidi compiuti su tutta la penisola, in particolare fra Toscana ed Emilia Romagna. Una volta rinvenuti furono inviati alle procure militari territorialmente competenti, La Spezia nel caso di Toscana, Emilia, Liguria. Dal '94 però sulla questione cala un silenzio lungo otto anni, interrotto solo nel 2002. Il primo insabbiamento risale al 1960, erano gli anni del boom economico, l'Italia voleva voltare pagina e lasciarsi alle spalle i ricordi di guerra. Fu l'allora procuratore generale Santacroce a porre un timbro di provvisoria archiviazione su tutti i fascicoli compiendo così «occultamento di fascicoli di crimini di guerra». Fra il 2001 e il 2002 le parti offese, familiari e istituzioni del territorio di Marzabotto, richiedono lo sviluppo delle indagini che si svolgeranno fino al 2005 e comporteranno le acquisizioni di tutti gli atti del processo del '51 al maggiore Reder svoltosi a Bologna, che si concluse con la condanna al carcere a vita (Reder fu rilasciato nell''85, morì nel '91), oltre ai verbali e alle testimonianze raccolte dalla war crime commission, ufficio investigativo della V armata americana che fra il '44 e il '48 raccolse le testimonianze dei prigionieri di guerra e dei sopravvissuti italiani agli eccidi (dal '48 con la Costituzione le competenze giurisdizionali passarono alle autorità di polizia giudiziaria italiana), oltre a tutte le schede matricolari personali e di ricovero dei militari presso gli ospedali. Fino ad arrivare al 2005 data d'inizio della fase processuale, in cui l'avvocato Andrea Speranzoni ha rappresentato 83 parti civili, il collega Bonetti 18, e il legale Giuseppe Giampaolo le istituzioni, fra cui Regione, Provincia e Comuni coinvolti. Fra i pochi sopravvissuti alle carneficine del 29 settembre '44 in territorio di Marzabotto Fernando Piretti, all'epoca 9 anni, oggi 72. E' contento il signor Piretti, ma è una gioia contenuta la sua, «è andata bene» dice «sono soddisfatto per come è andato il processo finora, spero solo che non si vada in Cassazione». L'esperienza del processo è stata emotivamente pesante per tutti i testimoni, che hanno voluto essere presenti anche all'appello di Roma. Piretti, che ha testimoniato cinque volte, commenta: «a raccontarla adesso sembra una favola, ma quelle cose lì non si possono mica dimenticare. Se chiudo gli occhi e ripenso ai fatti di allora è come se li vedessi. Li ho impressi nella mente. Rinnovare la memoria mi emoziona ancora troppo, mi viene il magone».
Sul lungo iter giudiziario usa parole dure: «Sono trascorsi 60 anni per colpa dell'armadio della vergogna, io il processo l'avrei fatto a chi ha nascosto. Non perdonerò mai chi da bambino mi ha tolto l'affetto della mamma, è da 60 anni che aspetto il suo conforto, ma lei è rimasta là, nell'oratorio di Cerpiano quel 29 settembre». Fernando Piretti è sopravvissuto all'eccidio di Cerpiano dove il mattino del 29 settembre 47 persone, più di trenta donne e una dozzina di bambini, furono riunite e rinchiuse nell'oratorio dove le SS gettarono bombe a mano dalle finestre. Piretti, ferito alla spalla si salvò, fu il corpo della madre a fargli da scudo, poi rimase riparato dai corpi dei morti. Oltre alla madre morì la sorella di 11 anni e alcuni cugini. Il padre era nascosto nel bosco, i tre fratelli più grandi erano partigiani. Il giorno dopo si svegliò con intorno solo cadaveri e un lago di sangue, il viso sporco, forse fu questo a salvarlo quando i tedeschi tornarono per finire a fucilate chi era rimasto vivo. A portarlo via di lì un giovane arrivato a cercare la madre, anche lei fra le vittime. Insieme a Piretti si salvò Paola Rossi di 7 anni e la maestra, la suora orsolina Antonietta Benni. La famiglia Piretti solo un mese prima si era rifugiata a Cerpiano da Gardelletta, località più a valle, pensando, come molti altri sfollati, che quei luoghi impervi di montagna fossero più sicuri.
Nei giorni precedenti c'erano stati molti rastrellamenti, case e bestiame bruciati. Piretti trascorse alcuni giorni nello stabile del massacro, poi con il padre s'incamminò attraverso i boschi fino a Marzabotto, e in camion fino Bologna. Qualche giorno dopo il padre morì in ospedale, lasciandolo «orfano di vittime civili». Insieme ad un fratello raggiunse in Romagna la sorella sposata. Dopo alcuni anni tornò a vivere nei luoghi degli eccidi. Secondo l'avvocato Speranzoni il processo, dice, «ha confermato la premeditazione di un'operazione studiata a tavolino: lo sterminio di massa di un'intera popolazione. Una comunità cancellata da componenti delle SS specializzati in uccisioni di massa, esperienza fatta nei campi di sterminio dell'est europeo, per bonificare l'area, zoccolo duro della resistenza partigiana. La 16esima divisione aveva dei precedenti: era responsabile della strage di S. Anna di Stazzema». «La sentenza», continua, «ha dimostrato come, a distanza di più di 60 anni, sia stato possibile raggiungere la prova di responsabilità di crimini contro l'umanità, cosa che avrebbe riguardato un numero molto più ampio di colpevoli se celebrata anni prima».
In fase dibattimentale è emerso che né durante gli eccidi, né in precedenza, vi furono combattimenti con i partigiani, la maggior parte degli eccidi avvennero in località dove non erano presenti partigiani. Le perdite fra loro furono modeste, circa una ventina, tutte le vittime erano civili inermi. Le azioni avvennero nelle località in cui operava la brigata Stella Rossa guidata da Mario Musolesi detto Lupo. Nessun'altra unità tedesca compì in Italia stragi paragonabili a quella di Marzabotto. Sulla sentenza è laconico l'avvocato di Kusterer Nicola Canestrini, dopo la condanna in appello del suo assistito seguita all'assoluzione in primo grado, preferisce non commentare prima della pubblicazione delle motivazioni.
Nel gennaio 2006, in occasione del processo penale di primo grado, è nata l'associazione delle vittime degli eccidi nazifascisti perpetrati sui territori dei comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi dalla primavera all'ottobre del 1944, composta da più di 300 tra superstiti, familiari ed eredi, con lo scopo di coordinare la tutela legale familiari.
Lunedì, 23 Giugno, 2008 - 16:32

LA SINISTRA PER FARE. INCONTRO A ROMA

LA SINISTRA PER FARE. INCONTRO A ROMA
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«La Sinistra del fare», è il titolo che abbiamo dato all'incontro di domenica 22 giugno al Ridotto dell'Eliseo a Roma per discutere con le varie realtà interessate a un soggetto unitario e plurale della sinistra su un programma di lavoro comune per i prossimi mesi. Reagire allo stordimento delle sconfitte tornando ai luoghi di origine e alle relazioni che rassicurano è forse un gesto spontaneo, ma probabilmente non è il più adatto a chi si trova in cammino. Insomma, per chi transita nelle «terre di mezzo», tra il non più e il non ancora, il rischio di sbagliare è grande. Questa sembra la situazione di coloro che hanno creduto e credono nella Sinistra. Tuttavia, la disfatta elettorale subita nelle recenti elezioni e l'ondata di destra che sta attraversando il paese con inquietanti pulsioni autoritarie, l'azione che tende a ridimensionare l'autonomia del sindacato e a porlo in una condizione di subalternità, l'aggressività delle spinte neoconfessionali, rendono necessaria una capacità di risposta. La composizione del nuovo parlamento italiano dimostra infatti che il cammino di una svolta «autoritaria» nel nostro paese ha guadagnato spazi enormi nelle coscienze. Occorre ripartire con la costruzione in Italia di una forza di sinistra che nasca da un processo fondato sulla partecipazione e sia capace di interpretare la fase difficile e complessa che sta di fronte a tutti noi. A questa semplificazione autoritaria noi, i partiti e i movimenti della sinistra, non sappiamo infatti ancora contrapporre un'idea nuova di «cittadinanza», che agisca all'interno di nuovi «confini» della politica, non più solo locali o nazionali, ma giocati sui molteplici contesti in cui il capitalismo globale agisce, a partire dai corpi e dalle relazioni private. Non solo in Italia, ma anche nel contesto europeo.
Per questo motivo noi che crediamo nella necessità di una Sinistra unita. Vogliamo proporre non formule politiche, ma un modo per recuperare l'azione collettiva che dia nuovamente senso a una opposizione reale nel paese. Insomma una Sinistra del fare. La sfida è infatti quella di riuscire a creare i presupposti di una visione comune, una «collettività riconoscibile», in modo che le persone, pur se imbrigliate nella confusione dei loro molteplici desideri e dei loro molteplici bisogni, assumano consapevolezza di come il proprio agire possa determinare una massa critica capace di attirare consenso. Una sinistra che inizi a mettere da parte la frammentazione politico-culturale, sempre più narcisistica e separata, che spesso percorre anche i movimenti e che non può essere affrontata con il ritorno a strutture di partito così come le abbiamo sinora conosciute. Per questo motivo pensiamo sia necessario trovare modi di azione comune tra le reti esistenti di più soggetti, partitici e non. Modi che consentano ai soggetti partecipi di disporre di larghi elementi di autonomia, ma che rendano possibile assumere anche la responsabilità di un funzionamento collettivo. Tutto questo per tornare a essere presenti nel paese con le nostre visioni, per fare in modo che i conflitti creino condivisione e consenso, per fare opposizione alla deriva che sembra paralizzare l'Italia.
Maria Luisa Boccia, Elio Bonfanti, Bruno Ceccarelli, Paolo Ciofi, Anna Cotone, Piero Di Siena, Antonello Falomi, Pietro Folena, Ciro Pesacane, Bianca Pomeranzi, Mario Sai
Domenica, 22 Giugno, 2008 - 08:37

Sottopasso in via Molinetto da Lorenteggio

Ieri pomeriggio - sabato 21 giugno - si è svolta una manifestazione per chiedere chiarezza sulla realizzazione di un sottopasso ciclopedonale in via Molinetto da Lorenteggio, ai confini con Corsico. Molta la gente scesa in strada che ha voluto simbolicamente occupare i binari della ferrovia Milano-Mortara-. R.F.I. aveva sospeso la circolazione dei treni perchè le ruspe avrebbero dovuto inziare lo scavo nel territorio di Milano. La gente chiedeva a gran voce chiarezza sul progetto, maggiore informazione e perchè il sottopasso deve cancellare un parcheggio pubblico. Giovedì prossimo una delegazione di cittadini si recherà in Consiglio di Zona 6 per presentare una mozione nella quale si chiede l'acquisizione di tutta la documentazione, espletare i controlli e la regolarità delle opere in corso. Ancora una volta i cittadini si sentono presi in giro dalle Istituzioni che non li hanno informati.

A seguire il testo dell'interrogzione che presenterò in Consiglio di zona 6.

 

 

INTERROGAZIONE URGENTE
 

Realizzazione di un sottopasso ciclopedonale in via Molinetto di Lorenteggio

Premesso che:

-         si stanno facendo lavori per il raddoppio della ferrovia Milano – Mortara; 

-         detti lavori sono stati sospesi in data 2 maggio 2008 dal Ministero dell’Ambiente in quanto iniziati senza verifica di conformità dell’opera al decreto VIA;

-         al confine tra i comuni di Milano e Corsico, nei pressi del passaggio a livello di via Molinetto di Lorenteggio, la società SACAIM sta realizzando un sottopasso ciclopedonale in connessione col raddoppio ferroviario;

Preso atto che:

-         il sottopasso insiste ora prevalentemente nel Comune di Milano e interessa un’area pertinente a parcheggi per residenti che di fatto verranno cancellati;
 

Appurato che:

-         da documentazione in nostro possesso il tracciato del sottopasso ciclopedonale è difforme dal progetto; 
-         non risultano essere state richieste e/o depositate varianti al Comune di Corsico;
-         non risulta alcuna documentazione presso l’ufficio tecnico del Consiglio di Zona 6;
-         che non vi è sul cantiere l’indicazione prescritta dell’opera, delle autorizzazioni, dei responsabili

SI CHIEDE

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI ZONA 6
 

di attivarsi  presso i competenti settori del Comune di Milano , gli assessorati Viabilità e Traffico e Lavori Pubblici, per acquisire la documentazione necessaria a espletare i dovuti controlli e la regolarità delle opere in corso.

Si chiede altresì di attivare la Polizia Municipale ad effettuare i dovuti controlli.

Milano 26 giugno 2008

 Angelo Valdameri Lista Uniti con Dario Fo

Massimo Camerini – Socialisti

Elisa Scarano – Verdi

Roberto Acerboni - PRC

 

 

 

Venerdì, 20 Giugno, 2008 - 16:24

Basilio Rizzo: morti sul lavoro e utilizzo delle forze

 
 
SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE DEL
16 GIUGNO 2008
 
ARTICOLO 21
 
- OMISSIS -
 
 
Il Presidente Palmeri così interviene:
“Grazie a lei, consigliere Fidanza. La parola al consigliere Rizzo”.
Il consigliere Rizzo così interviene:
“Presidente, desidero innanzitutto ringraziarla perché - superando gli aspetti formali - ha voluto ricordare i caduti sul lavoro che non sono del nostro Comune, ma sono della nostra area. La ringrazio, perché penso che ci sia bisogno su questo tema di trovare un grande impegno di tutto il Consiglio comunale. Noi abbiamo come primo argomento della nostra azione politica la questione della sicurezza, però lo decliniamo poco su questo aspetto del lavoro, che produce morti; mentre siamo assai più attenti su quell’altro produce paure, produce disagi, ma non produce morti. Allora, io sono a chiedere, se ci fosse qualcuno in rappresentanza della Giunta, oltre a Vagliati lo direi a qualcuno dei rappresentanti della Giunta, ma in particolare al Sindaco, che faccia come ha fatto sulla questione della sicurezza, che ha chiamato tutta la città a una grande manifestazione per far sentire qual era il cuore di Milano su questo terreno. Perché il nostro Sindaco non chiama tutta la città a mobilitarsi sulla questione della sicurezza e contro le morti sul lavoro? Io credo che ci sia bisogno di far sentire che la nostra città è unita su questo terreno e penso che sarebbe una testimonianza di sensibilità e di attenzione su quello che, ripeto, produce: è una vera e propria strage che quotidianamente si determina nel nostro Paese. Perché quando si dice che ci sono oltre mille morti all’anno, significa che ogni giorno, mediamente, ci sono tre o quattro persone - di alcune si sa, di alcune non si sa - che muoiono per esercitare il loro diritto al lavoro. E vorrei anche aggiungere un altro taglio che dobbiamo dare alla nostra… le ripeto, sarei contento, se non lo ritiene di poterlo fare il Sindaco, pensiamola come Presidenza del Consiglio comunale, una grande mobilitazione dei cittadini milanesi su questo tema, che chiami tutti a far sentire la voce della città. E vorrei dire anche che, non per motivi polemici, ma credo che sia in qualche modo emblematico e simbolico il fatto che l’edificio nel quale sono morti i due operatori viene costruito da imprese che fanno riferimento ai vertici dell’Assimpredil. Non è che in questo ci sia la responsabilità diretta, però se noi non cominciamo a ragionare sul fatto che chi è più consapevole, anche quelli che sono in alto nella catena degli appalti e dei subappalti in qualche modo si devono far carico dei problemi, delle modalità di lavoro nei loro cantieri e, invece, non si applichi la politica delle scimmiette che non ascoltano, non vedono e non parlano, non ce ne tiriamo fuori da questo problema. Perché questo problema potrà essere affrontato seriamente quando una sorta di responsabilità oggettiva si determini ai vertici delle catene di subappalti, che portano agli ultimi livelli a far lavorare dei diseredati a 3 euro all’ora, senza nessuna garanzia e con il fatto che, se si interviene su quello, si tolgono anche le condizioni di sostentamento per molti che devono vivere con quei 3 euro all’ora. Noi dobbiamo imporre delle regole che impediscano che questa situazione vada avanti. Quindi legare tutta la catena dal vertice degli appalti fino all’ultimo subappalto mi sembra una delle misure sulle quali dobbiamo lavorare.
Concludo su un altro problema, perché io ho a cuore sempre la dignità di questo Consiglio e la sua responsabilità di intervenire sulle questioni che riguardano la città. Oggi c’è il dibattito sull’utilizzo delle Forze Armate nel presidio della città: il Consiglio comunale può dire qualcosa su questo prima che si decida? Cioè, sapere che cosa il Consiglio comunale pensa di questa scelta, di questa ipotesi che viene affrontata? Posso chiedere, invece, dei tanti sopralluoghi (che chi vuole li fa) da parte della Commissione Sicurezza, monotema, sui nomadi, si affronti questa discussione nella nostra Commissione Sicurezza per dire cosa ne pensa la rappresentanza della città su questa ipotesi che viene ventilata? Perché io credo che sia utile ascoltare che cosa ne pensa la città, che cosa ne pensano le Forze dell’Ordine, che cosa ne pensano le forze sociali. Perché io penso che la città di Milano potrebbe anche dare una lezione su questo terreno, che valga anche per tutta Italia. Grazie”.
Il Presidente Palmeri così interviene:
“Grazie a lei, consigliere Rizzo, anche delle proposte sul secondo tema che (dal punto di vista organizzativo e solo da quello, ovviamente) è più semplice. Trasmetterò il testo del suo intervento al Presidente della Commissione Sicurezza; se non ci sarà risposta durante questa settimana, ovviamente esistono gli strumenti che coinvolgono anche direttamente la mia responsabilità, affinché sia convocata una Commissione Sicurezza che abbia come oggetto proprio le imminenti decisioni del Governo, che certamente potrebbero riguardare anche la nostra città.
Sul primo tema c’è molto da lavorare e dovremmo - secondo me - ipotizzare un incontro a latere del momento istituzionale, per capire davvero il Consiglio comunale cosa può dire, anche in relazione di appello etico che potrebbe rivolgere alle forze attive presenti nel nostro territorio. Basti pensare a cos’ha fatto Confindustria con le aziende iscritte appunto all’organizzazione degli industriali in Sicilia, quindi le ha escluse qualora non avessero un codice etico nei confronti di rapporti con la criminalità presente sul territorio. Sono tutti temi che potrebbero essere anche oggetto di coinvolgimento delle Forze positive presenti nel nostro territorio, affinché isolino quelle parti dell’attività economica che, invece, positive non sono e che producono degli effetti così devastanti, come lei ha detto. Quindi certamente su questo tema torneremo. Grazie, consigliere Rizzo. La parola al Consigliere Brandirali; successivamente interverrà il consigliere Comotti”.
 
- OMISSIS -
 

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