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Martedì, 24 Giugno, 2008 - 17:35

“Questa non è la carriera che volevo”

un italiano su 5 ha sbagliato lavoro

di FEDERICO PACE

Sempre più confessano di sentirsi inadatti al percorso professionale intrapreso. Ma cambiare è difficile. Soprattutto per ragioni economiche. A incidere anche il tempo necessario a “riconvertirsi” e le ragioni familiari. Le donne le più insoddisfatte. Nel mondo i più scontenti in Messico, Ucraina e Turchia.

Scegliere, per lo più, è difficile. Se si tratta di lavoro però, sembra essere, quasi impossibile. Tanto che a molti capita di ritrovarsi a fare qualcosa, senza sapere neppure il perché. Tante le svolte incontrate per strada che alla fine, proprio quando si è arrivati a conquistare un lavoro, ci si accorge che proprio quell’impiego, tanto agognato, non era quello che si voleva. E il tempo in ufficio rischia di diventare un tempo “spersonalizzato” in cui è sempre più difficile esprimere e affermare qualità e ambizioni.

Così se trovare l’anima gemella è complesso, riuscire ad avvicinarsi ad un impiego adatto a sé pare chiamare in causa un’arte ancor più segreta e inaccessibile. Tanto che quasi un italiano su cinque è sicuro di avere sbagliato tipo di carriera e un altro 23 per cento non ha alcuna certezza in merito. A dirlo è l’ultima indagine globale realizzata da Kelly Services, società di servizi per la gestione delle risorse umane, su un campione di 155 mila lavoratori di cui quasi 20 mila in Italia. A pensare di avere sbagliato carriera sono soprattutto le donne mentre, a livello regionale, gli italiani più insoddisfatti si trovano in Molise, Piemonte, Sicilia e Toscana.
L'insoddisfazione e la mancata identificazione
L’attività professionale ha uno stretto legame con quello che s’agita dentro ciascuno in termini di affermazione, ambizione e realizzazione delle proprie qualità. Ritrovarsi in un posto che non offre il necessario sviluppo a queste energie può avere conseguenze molto negative sia a livello di singolo lavoratore sia, più complessivamente, a livello aziendale. “Nella società contemporanea – ci ha detto Stefano Giorgetti direttore di Kelly Services Italia - la soddisfazione rispetto alla propria condizione lavorativa gioca un ruolo sempre più importante. E’ infatti una tendenza diffusa, in Italia come in molti altri Paesi europei, quella di aumentare il monte ore lavorativo quotidiano. Per questo diventa fondamentale che ciascuno cerchi di scegliere una professione nella quale “riconoscersi”; inoltre i rapidi cambiamenti tecnologici, e non solo, che caratterizzano i tempi “moderni” rendono necessari momenti di aggiornamento e di studio che possono essere colti come opportunità solo se il lavoratore vive la propria professione in modo partecipativo. Senza contare il fatto che un lavoratore impiegato in un’occupazione appagante, oltre ad essere più sereno anche nella vita privata, darà performance nettamente migliori rispetto a quelle di un collega demotivato, a beneficio di tutta l’azienda”.
La quota di insoddisfatti che non possono cambiare, spiega Giuseppe Rustioni Segretario Generale di FAES, “è un dato allarmante che mette in luce la necessità di preparare i giovani non solo da un punto di vista strettamente nozionistico ma anche comportamentale. E’ infatti di estrema importanza che quando un giovane sceglie il proprio percorso universitario, e quindi professionale, sia consapevole delle proprie capacità e attitudini, ma non sempre questo è possibile; perchè il lavoro comporta certamente fatica, ma può essere anche “passione”.
La difficile conversione
Purtroppo accorgersi di avere sbagliato, così nella vita come nel lavoro, non basta. Anzi rischia di aggravare ancora di più le cose. Perché “riparare” non è affatto facile. Quasi impossibile tirare le conseguenze e decidere di lasciare l’impiego che si è svelato “sbagliato”. Tanto che al contrario, quasi sempre ci si ritrova a continuare a fare quel che si è scoperto essere inadatto a sé. La ragione principale va rintracciata, ovviamente, nelle condizioni economiche. Le indica infatti come fattore principale il 44 per cento delle donne e il 42 per cento degli uomini. Tra gli altri motivi indicati, il tempo necessario per “riconvertirsi” al nuovo impiego (rispettivamente il 38 e il 35 per cento) e poi le motivazioni collegate in vario modo alla famiglia (il 17 e il 18 per cento).
Cambiare carriera non è facile, conferma Giorgetti, “e spesso comporta, almeno inizialmente, una forte dose di stress. Questo non significa che non sia possibile cambiare lavoro, ma che per farlo è fondamentale prepararsi nel miglior modo possibile”. Se si vuole intraprendere questa strada, per Giorgetti, è necessario “investire in formazione e frequentare corsi inerenti alla nuova professione scelta”. Ma non basta. “Dove fosse possibile, è sicuramente auspicabile cambiare lavoro all’interno della stessa azienda presso la quale si è occupati, con conseguenti benefici sia per l’organizzazione, che non dovrà impegnarsi nel “trasferimento della cultura” aziendale ad un nuovo assunto, che per il lavoratore, che potrà così concentrarsi esclusivamente ad imparare i nuovi compiti”.
Il lavoro sbagliato nel mondo
Se si fa un confronto internazionale, la quota di italiani che hanno ammesso di aver sbagliato carriera è simile a quella riscontrata negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Olanda, Francia, Svizzera, Spagna, Germania e Irlanda. Tutte con una percentuale di “certamente insoddisfatti” compresa nella forchetta 15-20 per cento. Altrove invece i dati sono ancora più elevati e raggiungono i picchi in Messico (65 per cento), Ucraina (42 per cento) e Turchia (40 per cento).
La formazione e i consigli ai giovani
Quanto al sistema formativo, per il 51 per cento dei lavoratori intervistati, scuola e università mancano il loro compito di preparare in modo soddisfacente alla vita lavorativa. In Italia lo pensano il 38 per cento mentre una quota simile (il 39 per cento) ritiene invece che l’educazione scolastica ricevuta sia stata adeguata. Le percentuali più basse, a livello regionale, si trovano in Friuli Venezia Giulia, Molise, Basilicata, Puglia, Sardegna e Toscana. Quanto alle scuole di specializzazione e ai master, quasi sette su dieci pensa che siano stati utili ai fini lavorativi, anche se molti ritengono che si dovrebbero sviluppare ancora di più gli aspetti pratici del corso a scapito di quelli più teorici.
E ai giovani? Giorgetti si sente di raccomandare soprattutto esperienza: “consiglio a tutti i ragazzi di sfruttare i periodi in cui è richiesto uno scarso impegno nello studio per dedicarsi a brevi esperienze lavorative come stage e tirocini, anche all’estero. Questo sia nell’ottica di individuare il percorso professionale più adatto a sviluppare le proprie attitudini, che di costruire un curriculum vitae ricco e competitivo”.

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