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Lunedì, 23 Giugno, 2008 - 16:33

I sopravvissuti bambini alla strage di Marzabotto

Marzabotto I SOPRAVVISSUTI I BAMBINI DEL '44 SCAMPATI ALLA STRAGE DEI NAZISTI
Linda Chiaramonte
MARZABOTTO (BOLOGNA)
www.ilmanifesto.it

Nove ergastoli per omicidio plurimo continuato e aggravato, tre dei quali definitivi. Il soldato semplice Spieler, condannato in primo grado, assolto, e Kusterer, comandante di squadra della terza compagnia, assolto in primo grado, condannato in appello all'ergastolo. Si è conclusa così, oltre alla richiesta di risarcimento danni alle parti civili e danno morale alle comunità, la fase del giudizio di merito del processo d'appello nei confronti dei 17 ufficiali e sottufficiali delle SS del 16° reparto esplorante, comandato dal maggiore Reder, responsabili degli eccidi di Marzabotto che causarono la morte di più di 800 civili, prevalentemente donne e bambini, compiuti il 29 e il 30 settembre, l'1 e il 5 ottobre 1944. Il procedimento penale è stato istruito dal procuratore militare della Repubblica Marco De Paolis, pubblica accusa a La Spezia, e avviato nella primavera 2005. Il dibattimento è entrato nel vivo l'8 febbraio 2006, giunto a sentenza il 13 gennaio 2007 dopo 32 udienze (sentenza di secondo grado emessa il 7 maggio del 2008), più di 80 testimoni tedeschi, di cui solo due si sono presentati in aula (probabilmente in quanto feriti prima dell'arrivo del reparto a Marzabotto), e 130 fra sopravvissuti e familiari delle vittime. Mai prima di La Spezia era stata pronunciata una sentenza. A raccontare le atrocità viste e subite o ascoltate dai ricordi dei familiari, anziani che hanno fatto riaffiorare la memoria della loro infanzia, con l'emozione e l'orrore ancora vivi come se tutto fosse accaduto solo pochi giorni prima. Sono stati ribattezzati «i bambini del '44», fra loro una sopravvissuta dopo aver testimoniato commossa non trovando più le parole, ha concluso «il resto ce lo portiamo ancora addosso». Ora si apre la fase della Cassazione nel caso la difesa volesse ricorrere, entro i primi di giugno sarà depositata la motivazione, da quella data ricorreranno altri 45 giorni prima di passare in giudicato. Nel frattempo la procura territoriale di Monaco di Baviera ha richiesto l'esecuzione della pena (gli arresti domiciliari) per due degli imputati, riconoscendo così l'efficacia della sentenza italiana e aprendo un procedimento penale omologo nei confronti degli stessi imputati. Una vittoria che arriva a 64 anni di distanza nella sede della procura generale militare di Roma, Palazzo Cesi, lo stesso in cui nel '94 il procuratore Intelisano, all'epoca accusa nel processo Priebke, si imbatté in un carteggio fra ministeri che rivelò la presenza di documenti di cui non vi era traccia a cui seguì un'indagine interna che portò alla luce l'armadio della vergogna, che si scoprì contenere 695 fascicoli su altrettanti episodi di eccidi compiuti su tutta la penisola, in particolare fra Toscana ed Emilia Romagna. Una volta rinvenuti furono inviati alle procure militari territorialmente competenti, La Spezia nel caso di Toscana, Emilia, Liguria. Dal '94 però sulla questione cala un silenzio lungo otto anni, interrotto solo nel 2002. Il primo insabbiamento risale al 1960, erano gli anni del boom economico, l'Italia voleva voltare pagina e lasciarsi alle spalle i ricordi di guerra. Fu l'allora procuratore generale Santacroce a porre un timbro di provvisoria archiviazione su tutti i fascicoli compiendo così «occultamento di fascicoli di crimini di guerra». Fra il 2001 e il 2002 le parti offese, familiari e istituzioni del territorio di Marzabotto, richiedono lo sviluppo delle indagini che si svolgeranno fino al 2005 e comporteranno le acquisizioni di tutti gli atti del processo del '51 al maggiore Reder svoltosi a Bologna, che si concluse con la condanna al carcere a vita (Reder fu rilasciato nell''85, morì nel '91), oltre ai verbali e alle testimonianze raccolte dalla war crime commission, ufficio investigativo della V armata americana che fra il '44 e il '48 raccolse le testimonianze dei prigionieri di guerra e dei sopravvissuti italiani agli eccidi (dal '48 con la Costituzione le competenze giurisdizionali passarono alle autorità di polizia giudiziaria italiana), oltre a tutte le schede matricolari personali e di ricovero dei militari presso gli ospedali. Fino ad arrivare al 2005 data d'inizio della fase processuale, in cui l'avvocato Andrea Speranzoni ha rappresentato 83 parti civili, il collega Bonetti 18, e il legale Giuseppe Giampaolo le istituzioni, fra cui Regione, Provincia e Comuni coinvolti. Fra i pochi sopravvissuti alle carneficine del 29 settembre '44 in territorio di Marzabotto Fernando Piretti, all'epoca 9 anni, oggi 72. E' contento il signor Piretti, ma è una gioia contenuta la sua, «è andata bene» dice «sono soddisfatto per come è andato il processo finora, spero solo che non si vada in Cassazione». L'esperienza del processo è stata emotivamente pesante per tutti i testimoni, che hanno voluto essere presenti anche all'appello di Roma. Piretti, che ha testimoniato cinque volte, commenta: «a raccontarla adesso sembra una favola, ma quelle cose lì non si possono mica dimenticare. Se chiudo gli occhi e ripenso ai fatti di allora è come se li vedessi. Li ho impressi nella mente. Rinnovare la memoria mi emoziona ancora troppo, mi viene il magone».
Sul lungo iter giudiziario usa parole dure: «Sono trascorsi 60 anni per colpa dell'armadio della vergogna, io il processo l'avrei fatto a chi ha nascosto. Non perdonerò mai chi da bambino mi ha tolto l'affetto della mamma, è da 60 anni che aspetto il suo conforto, ma lei è rimasta là, nell'oratorio di Cerpiano quel 29 settembre». Fernando Piretti è sopravvissuto all'eccidio di Cerpiano dove il mattino del 29 settembre 47 persone, più di trenta donne e una dozzina di bambini, furono riunite e rinchiuse nell'oratorio dove le SS gettarono bombe a mano dalle finestre. Piretti, ferito alla spalla si salvò, fu il corpo della madre a fargli da scudo, poi rimase riparato dai corpi dei morti. Oltre alla madre morì la sorella di 11 anni e alcuni cugini. Il padre era nascosto nel bosco, i tre fratelli più grandi erano partigiani. Il giorno dopo si svegliò con intorno solo cadaveri e un lago di sangue, il viso sporco, forse fu questo a salvarlo quando i tedeschi tornarono per finire a fucilate chi era rimasto vivo. A portarlo via di lì un giovane arrivato a cercare la madre, anche lei fra le vittime. Insieme a Piretti si salvò Paola Rossi di 7 anni e la maestra, la suora orsolina Antonietta Benni. La famiglia Piretti solo un mese prima si era rifugiata a Cerpiano da Gardelletta, località più a valle, pensando, come molti altri sfollati, che quei luoghi impervi di montagna fossero più sicuri.
Nei giorni precedenti c'erano stati molti rastrellamenti, case e bestiame bruciati. Piretti trascorse alcuni giorni nello stabile del massacro, poi con il padre s'incamminò attraverso i boschi fino a Marzabotto, e in camion fino Bologna. Qualche giorno dopo il padre morì in ospedale, lasciandolo «orfano di vittime civili». Insieme ad un fratello raggiunse in Romagna la sorella sposata. Dopo alcuni anni tornò a vivere nei luoghi degli eccidi. Secondo l'avvocato Speranzoni il processo, dice, «ha confermato la premeditazione di un'operazione studiata a tavolino: lo sterminio di massa di un'intera popolazione. Una comunità cancellata da componenti delle SS specializzati in uccisioni di massa, esperienza fatta nei campi di sterminio dell'est europeo, per bonificare l'area, zoccolo duro della resistenza partigiana. La 16esima divisione aveva dei precedenti: era responsabile della strage di S. Anna di Stazzema». «La sentenza», continua, «ha dimostrato come, a distanza di più di 60 anni, sia stato possibile raggiungere la prova di responsabilità di crimini contro l'umanità, cosa che avrebbe riguardato un numero molto più ampio di colpevoli se celebrata anni prima».
In fase dibattimentale è emerso che né durante gli eccidi, né in precedenza, vi furono combattimenti con i partigiani, la maggior parte degli eccidi avvennero in località dove non erano presenti partigiani. Le perdite fra loro furono modeste, circa una ventina, tutte le vittime erano civili inermi. Le azioni avvennero nelle località in cui operava la brigata Stella Rossa guidata da Mario Musolesi detto Lupo. Nessun'altra unità tedesca compì in Italia stragi paragonabili a quella di Marzabotto. Sulla sentenza è laconico l'avvocato di Kusterer Nicola Canestrini, dopo la condanna in appello del suo assistito seguita all'assoluzione in primo grado, preferisce non commentare prima della pubblicazione delle motivazioni.
Nel gennaio 2006, in occasione del processo penale di primo grado, è nata l'associazione delle vittime degli eccidi nazifascisti perpetrati sui territori dei comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi dalla primavera all'ottobre del 1944, composta da più di 300 tra superstiti, familiari ed eredi, con lo scopo di coordinare la tutela legale familiari.