per un 4 novembre diverso: L’obbedienza non è più una virtù
Per un 4 novembre diverso, conviene leggersi -o rileggersi- lo scritto di Don Milani
"L’obbedienza non è più una virtù".
Scritto nel febbraio del 1965, è indirizzato ai cappellani militari toscani che in un comunicato avevano definito l'obiezione di coscienza (fino al 1972 assimilata alla renitenza alla leva e alla diserzione) «estranea al comandamento cristiano dell'amore» e «espressione di viltà».
Milani stesso raccontò più tardi che un ritaglio di giornale col comunicato dei cappellani gli era stato portato da un amico mentre come sempre stava con i suoi ragazzi: l'attività quasi esclusiva del priore a Barbiana era infatti quella scuola popolare (attiva «dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno») che avrebbe di lì a poco prodotto Lettera a una professoressa, il più radicale pamphlet contro la scuola di classe mai scritto in Italia.
Lo sdegno dei ragazzi per il fatto che nessuna autorità, né civile né religiosa, avesse reagito al pronunciamento dei cappellani rafforza nel priore la scelta di prendere posizione.
Dalle ricerche e gli studi fatti con i suoi scolari nasce la Lettera ai cappellani militari, dapprima stampata e diffusa in mille copie e poi ripresa dal settimanale del Partito comunista italiano Rinascita.
Scoppia un caso: una campagna stampa denigratoria e ostile, una pioggia di lettere anonime, la minaccia della sospensione a divinis per Milani, la denuncia, per Milani e il direttore di Rinascita Luca Pavolini.
Milani si autodifende rincarando la dose in una famosa Lettera ai giudici.
Entrambi gli imputati vengono assolti in primo grado «perché il fatto non costituisce reato».
Nel processo d'appello Pavolini sarà condannato a cinque mesi e dieci giorni,
IL DISCORSO INTEGRALE DI BARACK OBAMA A BERLINO
(24 luglio 2008)
4 novembre:Non glorificare la guerra - ignoranza e falsi idoli
Manifesto – 2.11.08
Per parte mi rifaccio ad un altro passaggio della lettera scritta da don Lorenzo Milani ai cappellani militari: "Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri".
Trattoria Musicale del Circolo ArciCorvetto
Circolo Arci Corvetto, Via Oglio 21, MM Brenta - Milano
Se non ora quando? Aggiornamento adesioni appello
per una Commissione d'inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia nel territorio milanese
A Milano la mafia esiste. I fatti dimostrano che nella "capitale finanziaria" la corruzione persiste in modo invasivo. Vincenzo Macrì, componente della Direzione Nazionale Antimafia, assicura che "Milano è la vera capitale della "ndrangheta". Si parla anche di mafia, camorra, sacra corona unita. A testimoniarlo sono fatti giuridicamente sottoposti a procedimenti penali ancora in corso. Politica ed economia intessono relazioni pericolose con esponenti delle cosche.
Diversi sono stati gli omicidi di stampo mafioso commessi negli ultimi mesi, ricordiamo per ultimo Cataldo Aloisio, 34 anni, freddato nel Nord Ovest di Milano da un colpo di pistola alla nuca.
Come spiega Gianni Barbacetto, un potere non più occulto si è insediato nella città e come una idra multitentacolare tende a pervaderne il tessuto sociale, economico e politico.
L'emergenza in città viene indirizzata verso i Rom, oppure verso i furti e le rapine che sono in netto calo negli ultimi anni: il resto non sussiste. Non si comprende che spesso la microcriminalità esiste perché esiste la macrocriminalità delle organizzazioni mafiose.
La mafia a Milano, come scrive nel suo libro Giampiero Rossi, permane ormai da tempo in diversi settori: dai piccoli spacciatori sulla strada ai consulenti finanziari, ai commercialisti, ai direttori di banca negli uffici "ovattati" del centro cittadino, capitale del "business".
La macrocriminalità ricicla il denaro che gli viene fornito da una certa finanza bancaria e di borsa che, pur non essendo organica alla "cosca", rimane complice di un sistema di corruzione e di inquinamento della libera concorrenza.
La mafia è un problema culturale, asserisce Giovanni Impastato, fratello di Peppino. E anche nel Nord la cultura dominante è quella dell'illegalità.
Occorre creare una Commissione di controllo sugli appalti dell'EXPO, una commissione speciale d'inchiesta sugli interessi mafiosi attivi nel territorio cittadino: la proposta giace in Consiglio Comunale, nonostante l'apprezzamento trasversale che ha ottenuto.
La società civile, l'associazionismo per la legalità, Don Gino Rigoldi, Libera, intellettuali e uomini di cultura hanno più volte avanzato la proposta, anche precedentemente all'assegnazione dell'EXPO a Milano. Ma l'amministrazione è sempre apparsa sorda di fronte a una richiesta corale di fare fronte all'emergenza dell' illegalità mafiosa, corrosiva della convivenza civile e sociale della nostra città.
Occorre subito attivare ogni forma utile a riportare a Milano la cultura della legalità, che è cultura di democrazia, giustizia sociale ed eguaglianza.
Ti chiediamo di aderire a questo appello che alcune cittadine e cittadini indirizzano all'Amministrazione Comunale affinché si chieda subito e si approvi una Commissione d'Inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia a Milano, coerentemente con quanto sostenuto da più relatori nell'incontro in memoria di Peppino Impastato, tenutosi proprio a Palazzo Marino il 16 settembre 08.
Invia la tua adesione all'indirizzo listafoappello@gmail.com scrivendo:
aderisco all'appello " Se non ora quando? Appello per una Commissione d'inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia nel territorio milanese da inviare all'Amministrazione Comunale di Milano".
ROGO DI OPERA: CASSAZIONE ANNULLA ASSOLUZIONE DEL SINDACO FUSCO
Luciano Muhlbauer
Consigliere Regionale PRC
www.lucianomuhlbauer.it
progetti per la riqualificazione della Cascina Monluè
Milano, 23 ottobre 2008
dell'Assessorato allo Sviluppo del Territorio del Comune di Milano;
del Settore Demanio e Patrimonio del Comune di Milano;
della Commissione Territorio, Viabilità e Ambiente del Consiglio di Zona 4 di Milano;
della Commissione Cultura del Consiglio di Zona 4 di Milano;
del Consiglio di Zona 4 e di tutte le sue Componenti
e p.c.
dell’Assessorato al Tempo Libero del Comune di Milano
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano
mafia da nord a sud
L'Associazione Le Girandole vi invita al dibattito:
MAFIA:
da Nord a Sud isole comprese!
Raccontare significa resistere
e resistere significa preparare le condizioni
per un cambiamento
Roberto Saviano
Vi racconteranno:
Gianni Barbacetto
Nando dalla Chiesa
Claudio Fava
Alberto Nobili
Basilio Rizzo
I ragazzi di "Ammazzateci tutti"
Modera:
Antonella Mascali
Milano, lunedì 10 novembre 2008
Ore 20,30
Camera del Lavoro
Corso di Porta Vittoria, 43
Per altre informazioni:
Cell. 338-2518730
e-mail: legirandole@tiscali.it
Un camion carico di spranghe
Un camion carico di spranghe
e in piazza Navona è stato il caos
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti
di CURZIO MALTESE
(Embedded image moved to file: pic27753.jpg)Un camion carico di spranghe e
in piazza Navona è stato il caos
Gli scontri di ieri a Roma
AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che
vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il
mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione
degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti
da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi
minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle
di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati,
paonazzi.
Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono
arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente
ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo,
menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o
quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si
muove.
Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni,
spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei
tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere
studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra
i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno
sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da
gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo
di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università
di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito
alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!"
dicono le professoresse.
Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il
funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei
studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza
la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il
funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa
incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del
funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è
un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La
professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta
al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto
un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe
che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra?
È un reato e voi dovete intervenire".
Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino:
"Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma
Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?".
"Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare
passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La
professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico,
è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti
mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non
sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente
parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione,
mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo
allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i
bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete
scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto
letto sul giornale, non ci avrei mai creduto".
Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo
Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano
professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un
intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io
quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti
pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti
devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono
delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della
polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza
pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i
docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine
sì".
È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri,
negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce
dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di
polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di
seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di
essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il
tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La
battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".
Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro:
"Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si
va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice
questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e
aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il
finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della
Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige
contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza.
Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le
saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.
Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di
scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai
sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di
sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano
riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina
ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le
braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente,
Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una
manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si
ritrae.
A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con
la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo
e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di
un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica
che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello
più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai
voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in
piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare
le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da
stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo
giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il
metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".
(30 ottobre 2008)
«Facciamo l'ipotesi»
Piero Calamandrei
Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un
partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la
Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su
Roma e trasformare l'aula in un alloggiamento per manipoli; ma vuole
istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per
impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di
partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere
imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino
sotto il fascismo c'è stata.
Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi
teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a
screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire
le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito,
di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste
scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia perfino a
consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono
migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi a quei
cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle
scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Così la
scuola privata diventa una scuola privilegiata. .
Il partito dominante, non potendo apertamente trasformare le scuole di
stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la
prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, questa è la ricetta.
Bisogna tenere d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa
in tre modi, ve l'ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che
vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non
controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno
i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare
alle scuole priva te denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole
private denaro pubblico.
(in Scuola Democratica, 20 marzo 1950)
Approvato il Piano Rifiuti da parte del Consiglio provinciale