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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 18:04

Campagna "Tesorerie disarmate"

Campagna "Tesorerie disarmate", verso le tesorerie etiche
http://www.territoridisarmanti.org

A seguito del successo dell'azione di pressione sugli istituti di credito coinvolti nel commercio di armi (secondo i dati della Presidenza del Consiglio diffusi dalla campagna Banche Armate), da qualche anno molti gruppi hanno iniziato a proporre un'analoga modalità di pressione anche agli enti locali. L'idea di fondo è chiedere a Comuni, Province e Regioni di inserire nei propri bandi per la definizione della Tesoreria dell'Ente specifiche clausole che escludano o penalizzino Istituti ufficialmente coinvolti nel commercio di armamenti.

La Campagna “Tesorerie Armate” è rivolta in particolare verso quegli enti locali d’Italia che da diversi anni compiono dichiarazioni ed azioni concrete volte al sostegno dell’ideale della pace. Siamo certi che gli enti pubblici che ci rappresentano, saranno concordi con noi nel considerare come questa proposta sia un passo fattibile e concreto per la diffusione della mentalità per la pace, che è mattone indispensabile per la costruzione di una società realmente democratica.
Dopo alcune prime esperienze e tentativi, dal vario impatto e dal vario successo, l'azione in questo senso si sta potenziando e raffinando, unendosi ad altre azioni che gli enti Locali stanno conducendo verso un'idea di Ente Locale Etico con una propria Tesoreria Etica.
In questa sezione presentiamo i siti di riferimento sul tema delle Tesorerie Disarmate/Etiche ed una serie di notizie rilevanti a riguardo.

Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 17:44

LA GUERRA CONTRO LA JUGOSLAVIA?


UNA GUERRA DIMENTICATA

di Alberto Tarozzi
la guerra contro la jugoslavia? una guerra dimenticata. ma alla periferia di belgrado, la citta' di Pancevo, il cui complesso petrolchimico venne bombardato dalla nato nel 1999, continua a rappresentare oggiil simbolo di una guerra chimica a due passi da casa nostra.
Messa in atto a suo tempo con armi convenzionali, che cadendo su un petrolchimico produssero gli stessi effetti di una bomba chimica. Con conseguenze a orologeria, perche in un paese con l'economia a pezzi se vuoi sopravvivere devi lavorare in un petrolchimico abberciato alla bella e meglio, che ti scarica, ancora oggi, una volta al mese, quantita' di benzene cancerogeno di oltre il MILLE per cento superiori al consentito. Nell'indifferenza generale.
buon anno pancevo hai bisogno di auguri.
buona notte movimento per la pace, ti sia maledetto il letargo.
SERBIA: GRAVE INQUINAMENTO, SECONDO IN DUE MESI A PANCEVO
(ANSA) - BELGRADO, 29 DIC - Un grave inquinamento al benzene ed allo zolfo, il secondo in due mesi, ha colpito la scorsa notte la citta' di Pancevo nei pressi di Belgrado. Lo ha reso noto l'agenzia Beta.
Sede di diverse vecchie industrie inquinanti jugoslave, Pancevo e' tornata di nuovo agli 'onori' della cronaca per una nuova fuoriuscita di benzene e zolfo dall'impianto petrolchimico.
La concentrazione del benzene e quella di zolfo la notte scorsa era fino a 14 volte oltre
la soglia considerata di sicurezza dalla normativa vigente. Tale concentrazione ha spinto le autorita' di Pancevo, citta' a 13 km al nord-ovest di Belgrado, a far scattare un allarme che e' durato quasi quattro ore. Pancevo e stata invasa da un odore molto sgradevole e
gli abitanti sono stati obbligati a restare nelle loro case.
Un mese fa le autorita' comunali di Pancevo avevano gia' fatto scattare un allarme sull'inquinamento chimico. Il rischio di una catastrofe ambientale a Pancevo e' stato evocato a piu' riprese negli ultimi anni. Gli abitanti della citta' hanno protestato molte volte contro l'emergenza ambientale in cui sono costretti a vivere da molti anni.
Una emergenza che si traduce in un tasso di incidenza di tumori tra i 100.000 abitanti della localita' fra i piu' alti dell'intera ex Jugoslavia. Secondo gli esperti serbi, l'inquinamento nella zona e' ormai endemico, mentre ulteriori effetti negativi sulla salute pubblica sono stati attribuiti alle conseguenze dei bombardamenti contro gli impianti cittadini compiuti dalla Nato nel 1999 durante la guerra per il Kosovo. (ANSA). COR
29/12/2006

Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 17:43

URANIO IMPOVERITO

REPORTAGE URANIO
tratto da www.osservatoriobalcani.org - dicembre 2006
di Luisa Morfini e Ciro Cortellessa, Centro di Documentazione di San Donato Milanese
Di fronte al fenomeno delle numerose morti dei soldati italiani che hanno preso parte alle diverse operazioni di decontaminazione del territorio bosniaco dopo la fine della guerra nella ex Jugoslavia, viene da domandarsi quale sia lo stato di salute della popolazione bosniaca che abita o abitava nelle stesse zone in cui hanno operato i nostri soldati. Non è solo una curiosità, è anche uno degli obiettivi della nuova Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, recentemente istituita dalla Commissione difesa del Senato, la cui principale novità risiede nella possibilità di indagare non solo sui militari colpiti ma anche “sulle popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale”.
Un’analisi della diffusione delle patologie tumorali in Bosnia (in termini quantitativi e con riferimento alla provenienza geografica dei malati) potrebbe fornire elementi anche per verificare l’eventuale correlazione tra l’insorgere delle malattie e le condizioni ambientali che si sono create come conseguenza dell’esplosione di proiettili all’uranio impoverito. Come si evince dalla letteratura recente sull’argomento, a cui si rimanda, non è né dimostrato né negato il legame diretto tra l’insorgere dei tumori e la presenza di radioattività da uranio impoverito nell’ambiente; tuttavia alcuni ricercatori stanno verificando che lo sviluppo di numerosi tumori (linfomi e leucemie) che si riscontrano nei nostri soldati è correlabile all’inalazione e all’ingestione delle nano-particelle di metalli pesanti; si tratta dei metalli pesanti contenuti nei proiettili e che, alla elevata temperatura che si genera nell’esplosione proprio in virtù dell’uranio impoverito, si riducono alla dimensione di non-particelle cancerogene.
Verificare e denunciare con più evidenza il legame tra malattie e condizioni ambientali potrebbe servire alla causa della richiesta di decontaminare il territorio.
Attraverso le interviste realizzate abbiamo quindi cercato risposta alle seguenti domande:
- è aumentato in Bosnia il numero dei malati e dei morti per linfomi e leucemie, cioè per le stesse malattie di cui sono stati vittime i nostri soldati?
- dove vivevano le persone che si sono ammalate?
- l’ambiente bosniaco risulta contaminato ed eventualmente da che cosa (radiazioni e/o nano-particelle)?
Non è semplice trovare risposta a queste domande; o meglio, non è semplice trovare qualcuno che risponda. Per diversi motivi. Ma qualcosa emerge.
L’aumento della mortalità
Al Ministero della Salute della Bosnia Erzegovina non esistono registri dei malati prima della guerra confrontabili con i registri dei malati dopo la guerra. Questo è dovuto al fatto che, dopo gli accordi di Dayton della fine del 1995, una parte significativa della popolazione di origine serba si è spostata in altre zone e in particolare in Republika Srpska, dove è stata inserita nei registri delle relative istituzioni sanitarie; allo stesso modo in Federazione sono arrivate altre persone di origine bosniaca e croata che prima vivevano in altre zone. Dunque le Autorità sanitarie bosniache non possono verificare se tra le persone che abitavano le zone bombardate al momento delle esplosioni con l’uranio impoverito c’è stato un aumento della mortalità.
Questo per quanto riguarda il confronto tra dati raccolti prima e dopo le esplosioni. Ma, poiché l’ambiente potrebbe essere ancora contaminato (da radiazioni, ma anche da nano-particelle) sarebbe utile conoscere lo sviluppo dei tumori nella popolazione che ormai da 11 anni abita nelle zone bombardate (le zone sono abitate da bosniaci e anche un certo numero di serbi che hanno scelto di rimanervi). Ma anche questi dati non sono in possesso del Ministero della Salute. Goran Cerkez, assistente del Ministro, dice che questa specifica verifica non è stata fatta perché ci sono altre priorità di cui il Ministero si deve occupare per la Bosnia.
All’Ospedale Kosevo di Sarajevo, dove l’indicazione dell’eventuale aumento della mortalità per tumori dovrebbe poter essere accessibile, un appuntamento già concordato con la professoressa Nermina Obralic dell’Istituto di Oncologia, ci viene negato all’ultimo minuto; la professoressa dice che a novembre 2005 ha incontrato una Commissione medica italiana e che ha già detto tutto quello che aveva da dire.
In effetti durante tale incontro sono stati stabiliti contatti importanti tra alcuni medici di Sarajevo e dei ricercatori italiani. In particolare la dottoressa Antonietta Gatti dell’Università di Modena, colei che ha individuato la probabile responsabilità delle nano-particelle nell’insorgenza dei diversi tumori nei nostri soldati, sta collaborando con alcuni medici dell’Ospedale Kosevo che, in modo informale, le mandano i dati clinici di alcuni malati per un confronto con i dati dei soldati italiani. Le verifiche di analogie patologiche sono in corso. Ma questo tipo di collaborazione non è tra le attività prioritarie dell’Ospedale che è in forti difficoltà economiche e al momento ha altre priorità (la disponibilità di medicinali, ad esempio: fino a pochi anni fa erano forniti gratuitamente dagli americani, ma adesso scarseggiano).
Poniamo la stessa domanda relativa alla verifica dell’aumento della mortalità al professor Slavtko Zdrale dell’Ospedale Kasindo: l’ospedale si trova nella parte serba di Sarajevo (Sarajevo Est, che qualcuno chiama Srpski Sarajevo) e dovrebbe avere in cura malati prevalentemente serbi, quindi in teoria la parte maggiormente “lesa” dall’esplosione dei proiettili all’uranio impoverito. Il dottor Zdrale però è restio a fornire dati; gli interessa di più dire che a Belgrado i medici sono riusciti a curare con successo un uomo affetto dai tipici tumori legati all’esplosione di uranio impoverito.
Un interlocutore più disponibile a dare informazioni sull’aumento delle malattie è l’associazione “Il cuore per i bambini malati di cancro nella Federazione di Bosnia Erzegovina” (“Srce za djecu koja boluju od raka u FBiH”) e il suo presidente, Sabahudin Hadzialic. L’associazione è stata fondata a Sarajevo nell’aprile del 2003 e riunisce genitori e amici di bambini malati; essa ha verificato che dopo la guerra la situazione dei bambini malati di cancro ha assunto dimensioni molto maggiori rispetto a prima, per motivi diversi; in particolare nella Federazione la malattia è raddoppiata rispetto al periodo precedente alla guerra, cioè rispetto alla diffusione della malattia tra il 1990 e il 1992; è raddoppiata soprattutto nel periodo 2000-2004: in tale periodo nella sezione di Oncologia e di Ematologia della Clinica Pediatrica a Sarajevo sono stati ricoverati 230 bambini con forme varie di cancro: leucemie, linfoma, cancro delle ossa, eccetera.
Questo dato, nella sua drammaticità, è importante ma è troppo semplice, è incompleto e non consente di individuare un legame diretto tra tumori e presenza di uranio impoverito o di nano-particelle nell’ambiente; bisognerebbe sapere di quali tumori sono malati i bambini e in quali aree di Sarajevo vivevano per poter eventualmente mettere in relazione la malattia con la contaminazione da uranio impoverito. Ma all’Associazione non è stato possibile fare questa verifica. Sabahudin Hadzialic ha chiesto da anni al governo della Federazione di effettuare degli studi indipendenti, ma non gli sono stati concessi. Al momento l’informazione può essere accolta come un dato di fatto: nell’area di Sarajevo la mortalità dei bambini è aumentata dopo la guerra.
L’unico lavoro oggi disponibile di verifica dell’aumento della mortalità collegabile alle esplosioni di proiettili all’uranio impoverito è quello di Slavica Jovanovic, dottoressa della Dom Zdraljie di Bratunac, la Casa della Salute. Il suo studio riguarda la popolazione direttamente esposta alle esplosioni, poiché ha analizzato l’aumento di tumori tra i profughi che vivevano ad Hadzici. Hadzici è una località a 27 km da Sarajevo che durante la guerra era in mano ai serbi, i quali anche da tale postazione assediavano la città: la località, e in particolare una fabbrica di manutenzione di armamenti, è stata bombardata dalla Nato nel settembre del 1995 con proiettili all’uranio impoverito. Ora i profughi serbi di Hadzici si sono spostati a Bratunac, cittadina che gli accordi di Dayton hanno attribuito alla Repubblica Srpska.
La dottoressa Jovanovic ha analizzato i dati relativi alla mortalità nella popolazione proveniente da Hadžici (tra le 4.500 e 5.500 persone) e da altre regioni del Cantone di Sarajevo. In particolare ha analizzato e confrontato la percentuale di mortalità su tre gruppi di popolazione del territorio del Comune di Bratunac dal 1996 al 2000:
- popolazione residente a Bratunac già prima della guerra
- profughi arrivati a Bratunac da Hadzici
- profughi arrivati a Bratunac da altre zone della Bosnia Erzegovina.
L’analisi dimostra che la mortalità tra i profughi di Hadzici è 4,6 volte più alta rispetto a quella della popolazione di Bratunac, mentre la mortalità dei profughi che arrivano da altre parti della Bosnia è 2,2 volte maggiore rispetto a quella dei cittadini di Bratunac.
Ci sono diversi possibili motivi per spiegare l’alta percentuale di mortalità nella popolazione che si è spostata da una parte all’altra del territorio: lo stress durante e dopo la guerra, la perdita di familiari e di beni, la cattiva alimentazione, le cattive condizioni igieniche, ma anche la vita in un territorio contaminato da radiazioni o da nano-particelle di metalli pesanti. Dalla stessa analisi svolta dalla dottoressa Jovanovic è possibile estrapolare la percentuale di mortalità dovuta a tumori e verificare come la popolazione di Hadzici presenti la percentuale maggiore rispetto agli altri due gruppi. Purtroppo non viene fornito il dato di dettaglio circa la tipologia di tumori, dato che potrebbe confermare il legame con la contaminazione dell’ambiente da parte dell’uranio. Però intanto si registra che la mortalità da tumore di questa popolazione è più del doppio rispetto a quella della popolazione locale e supera di un terzo la mortalità per tumore degli altri profughi.
Dopo il 2000 l’analisi non è stata più proseguita perché il gruppo target di Hadzici non era più in condizione di essere seguito, avendo subito ulteriori grandi migrazioni.
Il lavoro della dottoressa Jovanovic indica che le persone che abitavano nelle zone dove è avvenuta l’esplosione dei proiettili si sono ammalati di tumore e sono morti in percentuale maggiore rispetto alla popolazione non esposta.
Invece, per quanto riguarda l’aumento della mortalità nella popolazione attualmente residente, l’unica segnalazione è quella proveniente dal dato del raddoppio della mortalità nei bambini che vivono intorno a Sarajevo.
Ma quali sono le condizioni ambientali attuali delle zone bombardate nel 1995?
La contaminazione dell’ambiente secondo l’Istituto di Igiene di Sarajevo
L’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina di Sarajevo ha svolto una ricerca nel corso della quale ha analizzato 37 luoghi in cui si sospettava la presenza di uranio impoverito; i ricercatori Suad Dzanic e Delveta Deljkic hanno trovato tracce di uranio impoverito solo ad Hadzici, in prossimità della fabbrica bombardata. La tabella che segue sintetizza i risultati delle rilevazioni a Hadzici.
I rilevamenti sono stati fatti a partire dal 2004 e per tutto il 2005. Non ci sono dati relativi agli anni immediatamente successivi ai bombardamenti. Il ritardo nelle analisi è dovuto - rispondono i ricercatori – al fatto che negli anni precedenti non c’erano i fondi per fare tale lavoro. La verifica è comunque importante perché sia nell’ipotesi che ad essere nociva sia la radiazione dell’uranio impoverito, sia nell’ipotesi che lo siano le nano-particelle di metalli pesanti, entrambe le possibili cause hanno durata nel tempo, non decadono.
Purtroppo l’Istituto di Igiene ha verificato la presenza di radiazioni solo nell’acqua; i ricercatori hanno analizzato l’acqua nei punti esatti delle esplosioni, subito a lato di tali punti e lontano da essi; e non hanno trovato tracce significative di radiazioni. Ma perché le verifiche sono state fatte solo nell’acqua? La risposta è che, siccome nell’acqua non hanno trovato tracce significative, non hanno analizzato il terreno. Questo anche perché, secondo i ricercatori e Goran Cerkez, il terreno attualmente non è contaminato. Non lo è, dicono, sia perché negli anni precedenti il governo federale ha dato dei fondi per decontaminare le aree, sia perché l’uranio impoverito si potrebbe essere diluito.
Vedremo che quest’ultima valutazione è in contraddizione con quanto rilevato da altre istituzioni.
Per quanto riguarda la possibile contaminazione dell’ambiente da parte di nano-particelle di metalli pesanti, vi ha lavorato un laboratorio all’Istituto di Sanità di Sarajevo: per il momento nell’acqua non sono state rilevate tracce di metalli pesanti; ma anche in questo caso non è stato analizzato il terreno; le ricerche, dati i fondi a disposizione, per il futuro andranno avanti solo per il rilevamento delle radiazioni, non delle particelle, e solo nell’area di Hadzici. Se in futuro dovessero essere segnalate altre località, anch’esse saranno analizzate.
La contaminazione dell’ambiente secondo la Commissione parlamentare
La Commissione parlamentare sull’uranio impoverito in Bosnia Erzegovina è stata istituita nel febbraio del 2005; essa era presieduta dalla serba Jelina Djerkovic e composta da medici, da fisici nucleari, da chimici e da veterinari.
La Commissione ha acquisito alcune informazioni sull’influenza delle radiazioni dell’uranio impoverito sulla salute delle persone e sull’ecosistema; in particolare ha collaborato con gli Istituti di Salute di Sarajevo, di Sarajevo Est e di Bratunac (si veda il citato lavoro della dottoressa Jovanovic) e ne ha assunto i risultati; ha poi collaborato con un Istituto di Ingegneria genetica di Sarajevo che è arrivato alla conclusione che la radiazione provoca modifiche genetiche.
Un altro degli obiettivi della Commissione è stato quello di individuare quali aree erano state decontaminate e quali restano ancora contaminate. Sono stati quindi raccolti i dati relativi al lavoro di decontaminazione delle istituzioni bosniache e della Republika Srpska, i rilievi che l’UNEP ha realizzato presso la fabbrica di Hadzici e presso altre località, e i dati che la Nato ha messo a disposizione circa le coordinate dei bombardamenti. I dati rilevati non sono completi: la Nato, per esempio, ha dato solo le coordinate di 16 località sul totale delle 21 bombardate. In ogni caso le tre località maggiormente colpite a oggi risultano Hadzici, Han Piesak in Repubblica Srpska e Kalinovik.
Di queste tre località solo una parte di Hadzici (non tutta la fabbrica) è stata decontaminata, le altre no. Così esse sono ancora minate e vi sono ancora i proiettili all’uranio impoverito nel terreno e negli edifici; gli esperti della Commissione hanno espresso il parere che per decontaminare queste località sia necessario togliere definitivamente questi proiettili perché, se è vero che dopo 10 anni la radiazione superficiale non è più presente nell’aria, essa permane nell’acqua e nel terreno. Inoltre i proiettili rimasti inesplosi nel terreno sono pericolosi perché, dice Jelina Djerkovic, nei prossimi 30-40 anni si possono ossidare e liberare le particelle di metalli pesanti che contengono e quindi inquinare terra e acqua ed entrare nella catena alimentare.
Anche Zijad Fazlagic, direttore della fabbrica di Hadzici bombardata, conferma che non tutto il terreno della fabbrica è stato decontaminato. C’è un rapporto UNEP che segnala i punti bombardati di Hadzici, ma i proiettili sono entrati a fondo nel terreno e, dice Fazlagic, “quando guardi con gli occhi non li vedi; ma ci sono”.
La Commissione ha concluso i lavori a novembre 2005 arrivando ad alcune raccomandazioni:
- ha suggerito che il governo della BiH crei un istituto per la sicurezza finalizzato ad affrontare a questo problema e che potenzi gli Istituti che si occupano di salute;
- ha suggerito un set di leggi per la protezione dalla radiazione nucleare in caso di nuova contaminazione per l’uranio non ancora esploso (per evitare di trovarsi impreparati come ai tempi di Chernobyl);
- ha chiesto che si completi in modo esaustivo il censimento delle località ancora minate da uranio e metalli pesanti.

Nel marzo 2006 l’Agenzia atomica europea ha messo a disposizione 60.000 euro per i problemi connessi con la decontaminazione da uranio. La Commissione ha chiesto che siano formulati precisi programmi per la decontaminazione e che siano formate squadre di esperti per utilizzare questi fondi per curare le conseguenze dell’uranio sull’ambiente e sulla salute.

Perché
L’impressione che si ricava dall’insieme di questi contatti è che le autorità bosniache non si possano ancora permettere di affrontare il problema in modo esaustivo. A tratti sembrano anche cercare di ridimensionarlo. Cerkez, per esempio, Assistente del Ministro della Salute, dice che “si fa troppa ricerca e si parla troppo di uranio mentre bisogna cercare anche altre cause”; in particolare, con riferimento alle morti dei nostri soldati, Cerkez domanda: “Cosa hanno mangiato i vostri militari quando erano qui? Io so che i cittadini della Bosnia per tutta la guerra hanno mangiato cibo in scatola per tre anni, con molti conservanti: questi sono fattori di rischio. Anche lo stress è un fattore di rischio, molto più dei bombardamenti. Secondo le nostre fonti ci sono altre cause per le numerose morti”.
E’ vero che le cause dell’aumento della mortalità potrebbero essere diverse, è vero che non si può pretendere troppo da un Paese che sta lentamente riprendendosi dalla guerra tra mille difficoltà di natura economica e legate alle esigenze di ricostruzione. E’ vero che ci sono molti altri problemi prioritari da affrontare tutti i giorni (come la disoccupazione al 40%, tanto per dirne una). Però, negare la “responsabilità” della contaminazione ambientale correlata con l’esplosione dell’uranio impoverito ha conseguenze pericolose per la popolazione, e intralcia l’avvio del necessario percorso di ulteriore decontaminazione del territorio.
Intervista a Zvonko Maric
Abbiamo raccolto il parere di Zvonko Maric, giornalista di “Bosnia-Hercegovina Federacija TV”; Maric lavora ad un programma televisivo che si occupa di quei problemi di cui nella stessa Bosnia si parla poco, di problemi che tanti hanno paura di affrontare, come il caso dell’uranio impoverito.
Perché le autorità bosniache non possono dedicare energie al problema dell’uranio impoverito?
Uno dei motivi è il fatto che le Nazioni Unite non hanno controllato bene, non hanno avvisato bene ed hanno anche fatto una grande pressione presso il Parlamento bosniaco, presso la Commissione parlamentare, chiedendo di non parlare, di non mettere in evidenza questo problema. Anche il Parlamento bosniaco è sotto pressione.Un secondo motivo è l’intenzione di tenere la popolazione bosniaca più serena, perché se si cominciasse a parlare di questo problema, la popolazione si preoccuperebbe molto e forse ci sarebbe ancora un ulteriore spostamento di popolazione.Sarebbe necessario portare in tribunale i responsabili delle Nazioni Unite che hanno lasciato eseguire questi bombardamenti all’uranio impoverito. Qua potete parlare con i giornalisti che hanno coraggio e che vogliono che si scopra la verità e che qualcuno risponda per essa. Quelli che sono meno curiosi non parlano mai, cercano di evitare il problema perché temono di non resistere nel portarlo avanti.
Secondo lei qual è la vera dimensione del problema nei dintorni di Sarajevo e nei campi profughi serbi in Republika Srpska?
Il problema ha delle dimensioni che si cerca di nascondere. Solo quelli che non vogliono essere e non sono informati non sanno che pericolo esiste; ma tutti quelli che sono un po’ informati, non possono non vedere sia il dato del numero di soldati italiani che sono stati qua in missione di pace e che sono morti, come anche il dato dell’elevato numero di persone che abitavano a Hadzici, e che ora vivono nei campi profughi di Bratunac e che si ammalano e muoiono. Stanno morendo molti giovani. Ma si ammalano e muoiono tante persone che vivono ora a Hadzici.
Jelina Djerkovic ha detto che molti posti non sono ancora stati decontaminati...
E’ vero e non si può negare, ma la cosa peggiore è che nessuno fa qualcosa per decontaminare quei terreni che rappresentano ancora oggi un pericolo per le bombe ancora non esplose nel terreno. La Bosnia Erzegovina non è ancora uno Stato normale. Non voglio che si pensi che la popolazione non sia normale, sono i politici a non essere normali, non so se si arrabbiano a sentire dire questo, ma lo posso mettere per iscritto: non sono normali. Non hanno fatto proprio niente per proteggere la popolazione, per garantire il diritto alla salute.
L’unica loro preoccupazione è la criminalità, ma non per eliminare quel problema. Come giornalista ho verificato tante volte che non fanno niente per proteggere il diritto alla salute della popolazione, che è uno dei diritti più importanti.
Secondo lei, anche la Commissione parlamentare ha subito pressioni nei suoi lavori?
Sicuramente le commissioni che si formano in Bosnia hanno l’obiettivo specifico di non fare niente, vengono messe le persone che non vogliono fare niente.
Lei hai la libertà di dire queste cose nella sua televisione?
Io le dirò sempre queste cose; vivo da 4 mesi protetto da poliziotti perché ci sono delle persone che mi minacciano, ma io le dirò sempre.
Ma la sua trasmissione va in onda su questo argomento?
Sicuramente, sì. Vorrei però dire ancora una cosa sulla Commissione: essa è sempre sotto la pressione dei politici e delle Nazioni Unite e funziona sempre sotto quelle pressioni; la Commissione non ha tanta forza, tanta possibilità di trattare questo problema, di avere tutti i dati ma anche se li ha, non può pubblicarli. La Commissione è politica, non ha esperti.
Cosa pensa del lavoro di Slavica Jovanovic?
Lei ha provato ma il suo lavoro non è stato sufficiente. Non perché non sia preparata, ma perché anche lei è stata sotto pressione. In tutta la Bosnia non si trova nessuno che possa dimostrare la relazione tra malattie e presenza di uranio impoverito. Tutti fanno tentativi di fare qualcosa, ma sono quasi tutti sotto pressione.
Cosa pensa del lavoro di Slavtko Zdraje?
Lui ha alcuni dati, ma se ve li darà, lo farà in modo non ufficiale, perché non li può dare; magari ve li darà un po’ modificati. Davanti alla telecamera dirà qualcos’altro, un po’ meno di quello che è veramente; se gli dici che lo proteggerai e che non metterai il suo nome e cognome, i dati possono essere più importanti, più vicini alla verità.
Solo i giornalisti parlano e non hanno paura; hanno paura della loro sicurezza, ma non della loro carriera; sono minacciati, ma non rischiano il posto di lavoro; gli altri cercano di nascondere la verità perché proteggono il loro posto di lavoro. In Bosnia funziona tutto così: se tu intervisti qualcuno della Commissione e gli prometti di non dire il suo nome, ti darà più informazioni rispetto a quello che ti dirà di fronte ad una telecamera.
Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 17:42

ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA


Amnesty International - www.amnesty.it
Nel mondo in cui viviamo, sono in circolazione quasi 700 milioni di armi e altri 8 milioni vengono prodotte ogni anno. Ci sono aziende che le fabbricano, intermediari che le mettono in commercio, governi e privati che le acquistano e le vendono, persone che le utilizzano. E in fondo a questa catena, le vittime che ne muoiono, una al minuto. I dati sul traffico incontrollato di armi nel mondo sono sconvolgenti.
Occorre riflettere, innanzitutto, sui nomi degli stati che portano la responsabilità più grave di questa incontrollata proliferazione di armi nel mondo. Quasi il 90% proviene dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Usa, Russia, Cina, Francia e Regno Unito. I paesi in via di sviluppo sono i primi destinatari di questo commercio: circa il 70% del valore di tutte le armi commercializzate al mondo. Dal 1999 al 2003 Usa, Regno Unito e Francia hanno ricavato dalla vendita di armi ad Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina più di quanto hanno destinato in aiuti a queste stesse aree.
Anche l’Italia fa la sua parte: figura al secondo posto dopo gli Usa nella classifica dei paesi esportatori di armi leggere nel mondo ed è al settimo posto per valore complessivo di armi esportate. Nel 2003, ha venduto 1,3 miliardi di euro di armamenti, con un incremento rispetto al 2002 che sfiora il 40%. In un periodo generalmente caratterizzato da una crisi generale dei mercati, un solo settore ha mostrato capacità di performance incredibili: quello delle armi. Sono state esportate verso la Cina armi per 127 milioni di euro: prima ancora che il presidente Ciampi a dicembre si recasse a Pechino e, in nome degli interessi commerciali, annunciasse il vergognoso sostegno dell’Italia all’eliminazione dell’embargo sulle armi alla Cina, il nostro paese già aveva violato quell’embargo e la legislazione italiana.
Sono scandalose anche le cifre sul business delle esportazioni mondiali autorizzate: intorno ai 28 miliardi di dollari ogni anno. Si tratta di risorse che potrebbero essere sufficienti a ridurre la mortalità infantile ed eliminare del tutto l’analfabetismo in Africa, Asia, Medio Oriente ed America Latina; invece vengono utilizzate per sostenere le politiche sbagliate di governi che preferiscono ingigantire il loro debito estero nella corsa agli armamenti, piuttosto che sostenere programmi virtuosi, e spesso meno costosi, di sviluppo economico e lotta alla povertà. Non ci sono dubbi: la proliferazione delle armi acuisce la povertà del mondo. La metà dei paesi spende più soldi per la difesa che per la salute. Il 42% degli stati con il più alto budget destinato alla difesa figurano in fondo alla classifica dell’indice di sviluppo umano.
Ma le statistiche più difficili da raccontare sono quelle che davvero contano. Riguardano le conseguenze finali di questo commercio della morte. Un essere umano ogni minuto, 1.300 ogni giorno, almeno 500.000 all’anno. Le conseguenze, in termini di vittime, sono equiparabili a quelle di due Tsunami ogni anno.
Il traffico di armi colpisce in modo diretto o indiretto soprattutto i più deboli: le donne
e i bambini.
Per le donne, la presenza di un’arma tra le mura di casa è un fattore di rischio che aggrava a dismisura la portata della violenza domestica. In Francia e in Sudafrica una donna su tre che rimangono vittime di omicidio è uccisa dal proprio marito con un arma da fuoco; questo rapporto aumenta a due su tre negli Stati Uniti.
Le cifre sui minori accrescono la drammaticità del fenomeno. Non c’è solo l’imbarazzante dato dei 300 mila bambini soldato direttamente coinvolti in un conflitto, ma anche l’alto numero di minori che fa parte di bande criminali nelle tante periferie del mondo. In Brasile, ad esempio, le armi di piccolo calibro sono la prima causa di morte dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni: la gran parte delle pistole che vengono sequestrate giorno dopo giorno dalla polizia brasiliana proviene da una fabbrica italiana. Il nostro Made in Italy può davvero essere sempre un motivo di orgoglio nazionale?
Dalle gang di Rio de Janeiro e Los Angeles, alle guerre civili in Liberia e Indonesia; dalle crisi dei diritti umani in Sudan e Repubblica Democratica del Congo, alla violenza che ormai quasi non fa più notizia in Iraq e in Colombia. Siamo arrivati ad un punto critico: l’impatto della proliferazione incontrollata di armi ha conseguenze che sono diventate inaccettabili in termini di vite spezzate, di inasprimento del livello generale di violenza tra gli stati e all’interno degli stati, di opportunità perse nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze su scala globale.
Eppure invertire questa tendenza non è impossibile. In Canada nel 1995 è stata inasprita la legge sul possesso delle armi: nell’arco di 8 anni, il tasso di omicidi contro le donne è sceso del 40%. In Australia, cinque anni dopo la modifica di un’analoga legge, la percentuale si è addirittura dimezzata. Anche a livello internazionale i risultati ottenuti dalla campagna contro le mine antipersona dimostrano che il cambiamento è possibile: il trattato di Ottawa del 1997 non ha ancora portato al definitivo superamento del problema, ma da allora più nessun paese commercia apertamente questo tipo di armi.
"Control Arms" è un ultimatum ai governi, che autorizzano formalmente fino al 90% dei traffici di armi nel mondo. "Control Arms" è un richiamo alla loro responsabilità di disinnescare ora, subito le autentiche armi di distruzione di massa che circolano indisturbate:
attraverso un controllo statale più rigoroso sui trasferimenti, la disponibilità e l’uso delle armi, nel rispetto del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario; a partire dall’introduzione in Italia di una legge specifica sugli intermediari di armi e l’adozione di norme più restrittive sull’esportazione di armi leggere;
attraverso il rafforzamento dei meccanismi di controllo a livello regionale, a partire dalla revisione del Codice di Condotta europeo sull’esportazione di armamenti;
attraverso soprattutto l’adozione di un trattato internazionale sul commercio delle armi entro il 2006.
I principi alla base di questo trattato sono semplici e alla portata dei governi e della comunità internazionale. Intervengono sia sulla domanda che sull’offerta di armi e si propongono di:
- impedire il trasferimento di armi che sarebbero utilizzate illegalmente per violare i diritti umani, influenzare negativamente la sicurezza regionale o lo sviluppo sostenibile;

- subordinare qualsiasi trasferimento di armi all’autorizzazione di uno stato attraverso un meccanismo di licenze e alla registrazione degli intermediari e dei trasportatori;

- interrompere le forniture a quegli stati che sono sotto embargo o non hanno direttamente fornito il loro consenso al trasferimento stesso;

- garantire – come avviene per gli alimenti prodotti a partire da OGM o i bagagli negli aeroporti – il funzionamento di un sistema globale di marcatura e tracciabilità di armi e munizioni.

Parliamo di un trattato che ripropone obblighi già presenti nel diritto internazionale: possono sembrare norme minime di buon senso, ma riaffermarle in un testo solenne e vincolante dal punto di vista giuridico può realmente salvare milioni di vite.
Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo hanno deciso di aderire a questa campagna. I governi di paesi come Brasile, Cambogia, Costa Rica, Finlandia, Kenya, Mali, Messico e da ultimo, a febbraio, il Regno Unito, hanno scelto di sostenere questa proposta. Amnesty International auspica che l’Italia faccia subito una scelta analoga.

Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 17:41

Gli Usa i migliori clienti

  Nel 2003 record di esportazioni per le armi italiane
Presentata la relazione del governo al parlamento: export aumentato del 40 per cento.

Gli Usa i migliori clienti
LUCIANO BERTOZZI
Il 2003 è stato un anno record per le esportazioni di armi italiane. I nuovi contratti autorizzati l'anno scorso dal Governo sono stati pari a 1,3 miliardi di euro, con un incremento del 40% rispetto al 2002, mentre le armi fornite sono state pari a 630 milioni di euro, con un aumento del 30% sul 2002. Sono questi alcuni dei dati più significativi contenuti nella relazione che il Governo ha trasmesso nei giorni scorsi al Parlamento sul commercio delle armi. Il documento contiene anche la lista dei paesi acquirenti, che per i nuovi contratti vede al primo posto la Grecia con commesse per quasi 250 milioni di euro per la vendita di aerei da trasporto C-27 dell'Alenia Aeronautica. Seguono Malaysia con 166 milioni, soprattutto per i contratti di siluri navali, la Cina con 127, l'Arabia Saudita con 109, la Francia con 88 milioni per radar, il Pakistan con 70, la Polonia con 49 per torrette navali, la Danimarca con 41, gli Usa e la Finlandia con 37. Fra i paesi con importi minori ci sono l'Egitto con 10, la Turchia con 8, il Messico con 7 e Israele con 3. I paesi Ue hanno assorbito armi per un valore di oltre 500 milioni, quelli asiatici per 412, l'Africa settentrionale e il Medio oriente per 200 milioni, l'America centromeridionale per 25, l'Africa subsahariana per 11 e l'Oceania per 2. La classifica per paese relativa alle armi fornite è invece la seguente: Malaysia con 91, Usa con 62, Siria con 56, Francia con 45 milioni, Egitto con 42, Abu Dhabi con 41. Con forniture di minor valore sono da segnalare India con 24, Regno unito con 22, Turchia con 20, Arabia saudita con 8, Nigeria con 4, Taiwan con 5, Israele con 1,5 e Tunisia con 1. Come in passato le armi italiane sono state vendute a regimi liberticidi, basti pensare alla Cina sottoposta a embargo Ue. L'Unione spinge per l'eliminazione dell'embargo e su questo sono d'accordo in perfetto stile bipartisan sia Berlusconi sia Prodi, mentre il Parlamento europeo si è espresso per il suo mantenimento perché la tutela dei diritti umani "resta insoddisfacente". Leggendo la lista dei nostri clienti vi sono altri paesi violatori, ad esempio Israele che è stato condannato da molte istituzioni internazionali, l'Arabia Saudita in cui le donne non possono nemmeno guidare l'auto, l'India e il Pakistan addirittura sull'orlo di una guerra nucleare, la Turchia che per questo motivo rischia di non entrare nell'Ue, Taiwan in stato di perenne tensione con la Cina, la Siria nella lista Usa degli "stati canaglia" e l'Egitto dove, secondo l'Onu, la tortura è abituale.

La Relazione afferma invece il contrario: "Fra le autorizzazioni rilasciate(i nuovi contratti) oltre a non esserci alcun paese rientrante nelle categorie indicate dall'art. 1 della legge (paesi belligeranti, regimi liberticidi, ecc.) il Governo ha mantenuto una posizione di cautela verso i paesi in stato di tensione". Il Governo nel 2004 cercherà "di agevolare la presenza dell'industria nazionale nel mercato internazionale" e continuerà a lavorare per l'assistenza alle operazioni commerciali di maggiore rilevanza per il paese. L'esame delle aziende del settore, inoltre, evidenzia la prevalenza di società che hanno quale azionista di riferimento il ministero dell'Economia.

Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 14:35

ostaggi italiani in Nigeria"" abbandonati""

Gli ostaggi italiani in Nigeria: «Ci avete abbandonati»
Articolo pubblicato il: 2007-02-07

ROMA - Prima la rabbia e l'angoscia degli ostaggi italiani in Nigeria
che
irrompono dalle pagine del Manifesto, poi le rassicurazioni dell'Eni e
la
cautela della Farnesina, infine l'appello della moglie di uno dei
rapiti e
la notizia della telefonata imprevista e tranquillizzante di Cosma
Russo.
È pieno di colpi di scena il film della giornata sulla vicenda dei due
tecnici dell'Agip italiani e di un libanese, rapiti il 7 dicembre
scorso
dal Mend, il Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger. (nella
foto da sinistra il libanese Saliba Amad e gli italiani Damiano Russo e
Franco Arena).
«Siamo delusi. Delusi dal governo italiano, che non sta facendo nulla
per
tirarci fuori da qui. Delusi dalla nostra compagnia, che ci ha lasciati
a
marcire in questa giungla. Delusi da questa situazione, in cui ci
troviamo
incartati», hanno detto Francesco Arena, Cosma Russo e Imad Saliba
all'inviato del Manifesto che, dopo lunga attesa a Port Harcourt e un
viaggio in barca nella notte sul Delta del Niger, è riuscito ad
incontrarli e intervistarli.
Nella foto pubblicata dal Manifesto che li ritrae a bordo di
un'imbarcazione, guardati a vista da tre uomini armati e mascherati, i
tre
appaiono in buona salute, anche se stanchi.
Arena e Russo hanno dichiarato di non poterne più di una «situazione di
abbandono» e accusato il governo italiano e l'Agip di non fare
abbastanza
affinché il governo nigeriano «accetti le richieste dei rapitori», il
cui
accoglimento porterebbe alla loro liberazione.
Sulle trattative, ieri in mattinata, è intervenuto un portavoce
dell'Eni:
«Stiamo lavorando - ha detto - e continueremo a farlo in stretta
collaborazione con l'Unità di Crisi della Farnesina e le Autorità
nigeriane». Da parte sua la Farnesina ha rilevato che la situazione
permane «estremamente delicata» e ha ribadito che il governo «non
trascura
alcuna pista ed alcun elemento che possa portare alla liberazione» dei
tre
tecnici «nel più breve tempo possibile» e che si ha «piena comprensione
della forte preoccupazione e dell'angoscia delle famiglie».

Fonte: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=59301

Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 14:32

10 febbraio 2007 presidio a Monza

 

Vi segnalo che sabato 10 febbraio, dalle ore 14.00 alle ore 18.00 in P.zza San Paolo a Monza
è stato concordato un presidio antifascista per protestare contro il corteo fascista.
Vi giro di seguito i comunicati.

Al Sindaco di Monza, Michele Faglia
Al Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati
Ai Deputati e ai Senatori dell’Unione eletti in Brianza

Abbiamo appreso da manifesti affissi in città che sabato 10 febbraio ’07 un gruppo di associazioni legate all’estrema destra vorrebbe fare un corteo nel centro di Monza, strumentalizzando il giorno del ricordo della tragedia delle Foibe. Sotto sigle diverse si nascondono le organizzazioni neonaziste di forza nuova che già in dicembre e  in gennaio hanno cercato di fare manifestazioni in chiave razzista e xenofoba contro ambulanti ed immigrati. VERE  E PROPRIE MANIFESTAZIONI DI ODIO RAZZIALE. Inoltre le organizzazioni che promuovono e aderiscono a questo sfilata sono di chiara matrice neofascista e neonazista, per questo motivo manifestazioni di questo tenore nella MONZA CITTA’ PER LA PACE non vanno tollerate. L’associazione “Lorien” promotrice di questa gazzarra è l’associazione che nel 2004 in una iniziativa (al chiuso) faceva cantare persone che inneggiavano al fascismo, all’odio contro Ebrei ed Immigrati. Monza proprio in questi giorni ha ricordato i deportati non più tornati dai campi di sterminio e tutti i Monzesi che si sono immolati per dare al paese la democrazia. Oggi negazionisti, fascisti e nazisti vorrebbero usare lo strumento democratico per garantirsi il diritto a manifestare.  Inoltre le forze democratiche ed antifasciste di Monza manifestano la loro preoccupazione perché questo proliferare di iniziative di stampo neonazista avviene con insistenza a Monza, città dove fra breve si andrà a votare, e questo  assume un carattere di vera provocazione. Per questo insieme di questioni le forze democratiche ed Antifasciste di Monza, chiedono al Sindaco e alla Giunta di Monza una presa di posizione autorevole verso le autorità competenti affinché, per motivi di ordine pubblico e di opportunità politica, il corteo di Sabato non venga effettuato. Nel caso questo venisse confermato le scriventi forze si mobiliteranno per un presidio democratico e pacifico del centro di Monza. Di questa grave situazione ne faremo oggetto di iniziative Parlamentari nei confronti del Ministero degli Interni.

ANPI di Monza
Partito della Rifondazione Comunista
Associazione per l’Ulivo
Democratici di Sinistra
Margherita
Partito dei Comunisti Italiani
SDI
Verdi

Monza,  4 febbraio ’07

Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 14:25

16 febbraio 2007 risparmio energetico

Oggetto: M'illumino di Meno - 16 febbraio 2007 Giornata Internazionale del risparmio energetico

Cari amici,

Vi invitiamo ad aderire all'appello "M'illumino di meno" lanciato dal noto programma di Radio 2 "Caterpillar" in occasione della Giornata internazionale del Risparmio Energetico  del 16 febbraio 2007. 
La Tavola della pace sostiene "M'illumino di meno" e invita tutti a partecipare: donne  e uomini, ragazze e ragazzi, associazioni, enti locali,  scuole, aziende, musei, astrofili, società sportive, gruppi scout, istituzioni, univesità,   negozianti e artigiani...
Il 16 febbraio diminuiamo i consumi in eccesso e dimostriamo all’opinione pubblica come un altro utilizzo dell’energia sia possibile.  L’invito rivolto a tutti è quello di spegnere le luci e tutti i dispositivi elettrici non indispensabili il 16 febbraio 2007 alle ore 18!
In particolare moltissimi ristoranti organizzeranno cene a lume di candela, mentre le amministrazioni locali forniranno il colpo d’occhio più spettacolare all’iniziativa effettuando, a partire dalle 18 del 16 febbraio, spegnimenti simbolici delle grandi piazze italiane e dei monumenti più importanti (come l’Arena di Verona, il Duomo di Milano, la Mole Antonelliana di Torino, Palazzo Vecchio a Firenze, le piazze di Catania, Bari, Bologna e Palermo).
Nelle due precedenti edizioni “M’illumino di meno” ha contagiato centinaia di migliaia di persone impegnate in una allegra e coinvolgente gara etica di buone pratiche ambientali. Lo scorso anno si risparmiò, nella sola ora e mezza di durata della trasmissione, l’equivalente del consumo medio quotidiano di una regione come l’Umbria. La campagna di “M’illumino di meno” inizierà il 15 gennaio e si protrarrà per un mese fino al 16 febbraio (anniversario dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto). 
Caterpillar racconterà giorno per giorno le iniziative più originali, la preparazione delle piazze e dei comuni in Italia e all’estero, le idee più innovative di chi propone soluzioni per abbattere il grafico dei consumi energetici. Mettete in moto la Vostra fantasia e il Vostro ingegno  per dare vita a delle  iniziative originali di risparmio energetico.
Sul sito internet del programma www.caterueb. rai.it, sarà possibile segnalare la propria adesione alla campagna, precisando quali iniziative concrete si metteranno in atto nel corso della giornata, in modo che le idee più interessanti e innovative servano da esempio e possano essere riprodotte dagli altri aderenti. Quest’anno la campagna “M’illumino di meno” è patrocinata dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero delle Politiche Agricole. 
Buon risparmio a tutti!
Tavola della pace
Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 14:21

rete scuola e pace parlano la stessa lingua

Milano , 08/02/2007
La Scuola e la Pace parlano la stessa lingua
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di Retescuole

ReteScuole, coordinamento di genitori ed insegnanti delle scuole di
Milano e provincia, in sintonia con il coordinamento delle scuole di
Vicenza e provincia aderisce alla manifestazione di Vicenza del 17
febbraio, indetta dal Presidio Permanente e dal Coordinamento dei
Comitati Cittadini contro il Dal Molin.

La Scuola e la Pace parlano la stessa lingua. Come genitori ed
insegnanti impegnati per una scuola improntata al dialogo e
all'incontro, alla convivenza civile e alla valorizzazione delle
diversità, portatrice di una cultura di pace tra i popoli, rifiutiamo
totalmente qualsiasi scelta funzionale alle politiche di guerra e di
servitù militari che contrastano con tali principi e con l'articolo
11 della nostra Costituzione, tanto bistrattato, che sancisce il
ripudio alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali.

Vorremmo che decisioni così importanti venissero prese dopo aver
ascoltato le popolazioni sulle quali tali scelte ricadono.
Così, come per la base del Dal Molin non si vuole tener conto della
volontà delle comunità locali, altrettanto, per la nostra esperienza
e per la scuola in generale, non si vuole tener conto delle istanze e
delle proposte per una buona scuola per la Repubblica che giungono da
chi nella scuola vive e lavora.
In solidarietà con la stragrande maggioranza dei cittadini vicentini,
rifiutiamo l'ampliamento della base di Vicenza anche perchè questa
nuova servitù militare deprimerebbe ulteriormente il territorio dal
punto di vista ambientale e lo renderebbe più povero, sottraendo le
risorse idriche ed energetiche necessarie ai bisogni delle
popolazioni locali.

Nella Finanziaria il Governo ha deciso un aumento complessivo delle
spese militari che ammontano a 20,354 miliardii di euro. Inoltre il
41% delle spese per il mantenimento della base statunitense in
questione, come per tutte le altre sul territorio nazionale, sono a
carico dello Stato italiano.
Riteniamo questo un incredibile spreco di risorse economiche che
potrebbero essere destinare ad altri servizi essenziali per la
collettività.
Tanto per rimanere solo nel campo della scuola, il settore della
Pubblica istruzione viene sottoposto ad un taglio complessivo di 3
miliardi di euro in tre anni di cui 448 milioni nel 2007, che portano
a peggiorare le già critiche condizioni della scuola pubblica di
tutte e di tutti, per tutte e per tutti.

A chi ci chiede: ma cosa c'entrate voi di ReteScuole con la base di
Vicenza noi diciamo: la scuola c'entra sempre con la pace e vorremmo
che i soldi delle nostre tasse fossero impiegati più saggiamente
nell'educazione e non nell'acquisto e nel mantenimento di macchine da
guerra.

Venerdì, 9 Febbraio, 2007 - 13:36

CORTEO ANTIFASCISTA

Sabato 10 Febbraio ad Opera
ore 10.00 partenza dal Municipio
CORTEO ANTIFASCISTA

Siamo tutti chiamati, su invito degli amministratori e delle associazioni locali, delle forze democratiche ed antifasciste, a partecipare a questa grande manifestazione contro i rigurgiti delle adunate razziste di stampo fascista che vi sono state, e continuano ad esserci: una è prevista addirittura per questo sabato. Non c'è bisogno di spiegare l'importanza di una presenza massiccia, essendo chiara a tutti la necessità di una risposta all'altezza della gravità della situazione.

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