«Sotto il Vesuvio, il nucleare»
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La Campania succursale degli Usa. Gli impianti militari, i costi e i pericoli in un dossier della Rete Lilliput. Zanotelli: anche per questo oggi in piazza
Francesca Pilla
Napoli
Napoli come Vicenza e Napoli è con Vicenza. Un allarme lanciato da padre Alex Zanotelli e dagli attivisti della Rete Lilliput per spiegare, con un libretto autoprodotto, alla cittadinanza quello che tutti sanno, ma che in pochi hanno il coraggio di denunciare: la città di Napoli è il quartier generale di tutte le operazioni militari Usa via mare in Europa, Asia, Africa. Da qui controlla 89 paesi, da Capo Nord a Capo di Buona Speranza e a est fino al Mar Nero. «Vicenza ha finalmente rotto il cliché leghista del nordest - dice Zanotelli - con il suo rifiuto coraggioso all'ampliamento della base militare, ma Napoli, dopo lo smantellamento della Maddalena, è già il comando supremo navale degli Stati Uniti e nessuno ha il coraggio di fiatare». Per questo oggi a Vicenza il padre comboniano sfilerà con le centinaia di pacifisti in trasferta dalla Campania con una t-shirt «Napoli come Vicenza». Per questo si è impegnato in prima persona, con l'aiuto di associazioni, studenti e del comitato civico Smilitarizziamo la Campania, a presentare un fascicoletto che scotta.
Cinquantacinque pagine dove sono elencate le basi, i costi e i pericoli delle installazioni militari Nato e Usa in Campania: Ischia e Licola (antenne di telecomunicazioni, Usa), Lago Patria (Comando Statcom), Capodichino (base Us Navy - Comando Us naval forces Europe), Camaldoli (due radio della marina Usa), Bagnoli (Comando Nrf), Nisida (Allied marittime component command Naples), Agnano (Us naval support activity), Carinaro (base Nato di Caserta), Grazzanise (aeronautica Usa) Mondragone (centro di comando Usa e Nato, nonché sotterraneo antiatomico dove sarebbero spostati i comandi in caso di guerra), Montevergine (stazioni di comunicazione Usa nell'avellinese).
Un capitolo a sé riguarda le servitù militari del porto civile di Napoli, da cui passano tutte le navi impiegate nelle operazioni militari, sottomarini nucleari, portaerei, natanti da guerra. Proprio da questo Golfo lo scorso ottobre è partita la Eisenhower, una delle portaerei più grandi della marina statunitense che attualmente, nel Golfo Persico, avrebbe il compito di puntare sull'Iran. Ma a destare maggiori preoccupazioni sono i sommergibili che sostano periodicamente nel porto, possono misurare 110 metri, pesare 7 mila tonnellate e sono dotati di reattori nucleari simili a quelli delle centrali, solo che non hanno a disposizione le pesanti schermature di cemento e calcestruzzo e non sono dotate delle stesse misure di sicurezza di quest'ultime. Ultimo incidente in ordine di tempo quello nella base della Maddalena, venuto alla luce grazie alle rilevazioni di un istituto indipendente corso e a un'inchiesta del manifesto. «Nei porti civili Usa - continua la Romano - secondo una legge del 2001 non possono attraccare, da noi vanno e vengono come voglio. Cosa succederebbe in caso di esplosione?». Secondo una legge del 1995, adeguata alle norme comunitarie, per la città dovrebbe essere già pronto un Ppe (piano di emergenza ed evacuazione), ma i prefetti che si sono succeduti negli anni non hanno mai voluto fornire i termini e i documenti relativi. «La "gestione" del porto - spiega Sandro Fucito, consigliere comunale del Prc - è sottoposta agli accordi bilaterali del '54, in parte ancora secretati e in cui ritengo siano previsti anche i transiti nucleari. In realtà io temo che un piano di emergenza non esista, anche perché sarebbe impossibile evacuare una metropoli come Napoli in breve tempo così come richiederebbe un incidente nucleare. Non sappiamo, inoltre, nulla della giurisdizione statunitense sul sottosuolo». E Angelica Romano aggiunge: «L'eruzione del Vesuvio sarebbe un petardo in confronto a un'esplosione nucleare nel porto. E' assurdo per un paese che ha rifiutato con un referendum le centrali». Martedì Giuseppe De Cristofaro, deputato del Prc, presenterà in parlamento un'interrogazione urgente al ministro della difesa e a quello dell'interno.
Un ampio capitolo del libretto «Allarme Napoli» è, infatti, dedicato all'industria della guerra: in Campania ci sono 18 fabbriche che producono materiale bellico. Tra queste, oltre alle più note Alenia Aeronautica (che progetta e realizza, da sola o in collaborazione l'Eurofighter/Typhoon, l'Amx, il Tornado e lo Sky-X primo velivolo senza pilota) e l'Agusta Westland (elicotteri militari) a Bacoli c'è la Mbda, definita da Le Monde il primo fabbricante al mondo di missili. «In Campania siamo talmente competenti nel produrre armi - spiega ancora Angelica Romano - che abbiamo una collaborazione diretta tra l'Università Federico II e la Dema, impegnata nella progettazione e nella ricerca bellica. I migliori ingegneri sono selezionati e offerti direttamente dai professori all'impresa. Nel 2005 le esportazioni di armi in Italia sono aumentate del 72% e il nostro primo cliente è Israele». «Domani (oggi, ndr) a Vicenza andremo per dire no anche a tutto questo», conclude Zanotelli, «gireremo per la città molto spontaneamente e in maniera tranquilla». E i lillipuziani precisano: «Non siamo antiamericani, ma siamo contro la politica di guerra del governo Usa».
Live Earth, un concerto per salvare il pianeta
Francesco Adinolfi
Era nell'aria, tanto per restare in tema, e alla fine la conferma è arrivata. A luglio si terrà una serie di concerti - denominati Live Earth - per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione ambientale in generale e del surriscaldamento del pianeta in particolare. Lo fa sapere la pattuglia ambientalista guidata da Al Gore, ex vicepresidente Usa, particolarmente attivo sul versante clima. All'evento - che prevede concerti il sette luglio in sette stati - parteciperanno nomi come Red Hot Chili Peppers, Black Eyed Peas, Bon Jovi, Snoop Dogg, Faith Hill e molti altri da annunciare. Si suonerà in Cina, Australia, Sudafrica, Gran Bretagna, Brasile, Giappone e Stati Uniti. Ci sarà anche una performance in Antartide.
La campagna - la Save Our Selves (Sos) - punta a raggiungere un'audience globale di 2 miliardi di persone attraverso concerti, interventi radiotelevisivi e trasmissioni via web. Insomma un altro «aid» in arrivo di cui Gore si è fatto catalizzatore.
«Dobbiamo pensare in termini di gradissimi ascolti, è l'unica possibilità per far capire di quale crisi stiamo parlando - ha dichiarato l'ex vice presidente -. La campagna Sos e i concerti Live Earth avvieranno su scala globale un processo crescente di informazione per indurre all'azione. La questione climatica potrà essere risolta solo con un movimento di sensibilizzazione globale senza precedenti».
Il coinvolgimento di Gore è ormai a 360 gradi: il racconto del suo attivismo è stato affidato a un film come Una scomoda verità. Il documentario ambientalista che ha legittimato l'impegno dell'ex vice presidente, è stato nominato agli Oscar nella categoria «best documentary», mentre il tema musicale della pellicola I Need to Wake up di Melissa Etheridge è in corsa per la statuetta della «best song». Ma soprattutto il film ha indotto a riflettere sulla rotta di collisione tra iperconsumo energetico/ipersviluppo capitalista e stato del pianeta.
Allo stesso tempo Una scomoda verità è servito a riaccendere accorati dibattiti in ambito scientifico sulla correlazione tra emissione umana di CO2 e cambiamenti climatici.
Gli eventi di luglio saranno organizzati dagli stessi promoter del Live8 e dunque l'impatto a livello internazionale sarà enorme. Kevin Wall - produttore esecutivo del Live 8 - fa sapere che ogni show durerà dalle quattro alle otto ore e a momenti prestabiliti, durante l'intera giornata, due e o tre concerti verranno trasmessi in simultanea.
Saranno presenti anche artisti locali come avvenuto in occasione del Live 8 a cui gli show di luglio si ispirano in tutto e per tutto.
L'unica speranza è che sensibilizzazioni di massa così evidenti, riescano a radicarsi sul territorio, con una progettualità che ai Live Aid in molti casi è mancata: i denari arrivavano in Africa, ma venivano utilizzati non per sfamare ma per guerreggiare.
Inequivocabilmente ......
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art. 11). La
partecipazione italiana allo scellerato crimine dell'infinita guerra
terrorista e stragista afghana e' uno sciagurato delitto, complice e
fomentatore di terrorismi e massacri ulteriori.
Inequivocabilmente la Costituzione della Repubblica Italiana afferma
che "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo
L'esistenza nel nostro paese di veri e propri campi di concentramenti
per esseri umani migrati di tutto innocenti,
cosi' come la pratica delle espulsioni di persone che in Italia
avevano trovato scampo da guerre, dittature, poteri criminali,
persecuzioni, fame, morte (espulsioni che quelle persone fuggiasche
ricollocano nelle condizioni di pericolo cui erano scampate con la
fuga, e che sovente addirittura le riconsegnano negli artigli dei persecutori
da cui erano fuggite),
costituiscono un crimine, un crimine tremendo ed infame .
Inequivocabilmente la Costituzione della Repubblica Italiana
inviolabili dell'uomo" (art. 2). Eppure in Italia
servizi segreti che agiscono da terroristi (la Cia, per non far nomi)
per conto di governi che agiscono da terroristi (quello statunitense, per
non far nomi) rapiscono persone che in quanto nel territorio italiano
dovrebbero essere protette dal nostro ordinamento giuridico,
istituzioni italiane (settori ancora una volta "deviati" - tristo eufenismo
per dire che in quelle istituzioni vi sono personaggi che agiscono in
flagrante violazione della legalita' democratica cosi' come stabilita
dall'ordinamento giuridico della Repubblica Italiana nata dalla
Resistenza
contro la disumanita' totalitaria). Ed anche questo e' un delitto
scellerato.
Inequivocabilmente l'Italia e' un paese che - con giusto impegno
esplicitamente e solennemente assunto nel consesso internazionale - non
partecipa dell'onnicida proliferazione delle armi nucleari, e che anzi
e'
impegnato per il disarmo atomico, consapevole che l'arma atomica e'
nemica
dell'umanita' intera. L'esistenza in Italia di arsenali atomici di
potenze
straniere - di cui vi e' ormai purtroppo piena contezza al di la' di
ogni
ragionevole dubbio sebbene una esplicita e netta conferma ufficiale
(che
equivarrebbe anche alla confessione di un delitto) ancora non vi sia -
e' un
crimine di tali proporzioni che ci vorrebbe qui la penna di Guenther
Anders
per esprimere in modo adeguato l'indignazione che suscita.
stati di
diritto attestano nei loro piu' impegnativi monumenti e strumentigiuridici
che la pace e' una improcrastinabile necessita' per l'intero genere
umano.
Ed invece continuano le guerre, e la produzione degli strumenti per le
guerre e le stragi: continua il riarmo, continua il militarismo.
Inequivocabilmente tutte le grandi tradizioni morali e civili
dell'umanita'
intera affermano che la civile convivenza si fonda sul principio del
non
uccidere. Ed ogni giorno assistiamo a nuove stragi di esseri umani.
Inequivocabilmente manifestare una volonta' di pace richiede che essa
si manifesti con condotte di pace.
richiede
comportamenti coerenti, che costruiscano pace, dialogo, solidarieta'
fra
tutti gli esseri umani; richiede la scelta nitida e forte della
nonviolenza.
Inequivocabilmente la pace, la giustizia, la convivenza, il
riconoscimento
di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani, si costruiscono solo
con
la Nonviolenza.
Fermare le Guerre e le Stragi.
Smilitarizzare e Disarmare.
Contrastare tutti i terrorismi, contrastare tutte le logiche e gli
strumenti del terrore.
Difendere ogni umana vita, difendere l'unico mondo che
Solo la Nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Inequivocabilmente.
13.02.2007 - Netto rifiuto del terrorismo
Dichiarazione di Paolo Beni, presidente nazionale Arci
Con preoccupazione per il riemergere di sacche di violenza che pensavamo sconfitte per sempre, abbiamo appreso dell'azione giudiziaria in corso che ha portato all'arresto di un gruppo accusato di finalità terroristiche.
Nel ribadire la massima fiducia nell'operato della Magistratura e degli organi inquirenti, vogliamo sottolineare ancora una volta l'impegno della nostra associazione nella lotta al terrorismo e il netto rifiuto di ogni forma di violenza.
Il terrorismo è anche un nostro nemico, e non può che essere così per un'associazione che ripone nello sviluppo della partecipazione democratica una delle ragioni della sua esistenza. C'è una radicale contrapposizione tra poche persone che vogliono colpire nel mucchio agendo nell'ombra e le tante cittadine e cittadini che vogliono esercitare alla luce del sole il loro diritto a partecipare, ad esercitare in forme democratiche il conflitto sociale, a proporre alternative per un futuro diverso e più giusto.
Le grandi questioni sociali che affliggono l'Italia, l'esigenza di maggiore giustizia sociale, il diritto a un futuro non precario per tutti, richiedono, accanto all'impegno del governo ad attuare con coerenza il suo programma, il sostegno e la mobilitazione di tutte le energie sane del paese in uno sforzo collettivo di confronto democratico che non deve lasciare spazio a derive violente e minoritarie.
Siamo certi che qualsiasi tentativo di far precipitare il paese in un clima di cupa violenza è destinato ad essere sconfitto. La società civile italiana sarà in grado di reagire con coraggio e fermezza. C'è una consapevolezza diffusa del fallimento storico e politico di una stagione che lascia dietro di sé morte ed orrore. Le tante forme di partecipazione in cui si esercita oggi la cittadinanza, le centinaia di migliaia di giovani, lavoratori, cittadine e cittadini che in questi anni hanno attraversato le vie e le piazze delle nostre città in modo assolutamente pacifico sono il miglior antidoto a quei pochi che ancora inseguono un progetto teso a colpire la nostra democrazia.
Roma, 13 febbraio 2007
http://www.arci.it/news.php?i
PER UNA GIORNATA MONDIALE CONTRO L’OMOFOBIA
di lesbiche, gay, bisessuali e trans
Per l’osservatore un po’ più attento, la situazione è globalmente ben diversa; e, in verità, il XX secolo è stato probabilmente uno dei periodi più violentemente omofobi della storia: deportazione nei campi di concentramento sotto il regime nazista, gulag in Unione Sovietica, ricatti e persecuzioni negli Stati Uniti all’epoca di McCarthy... Evidentemente, tutto ciò può sembrare molto lontano. Ma molto spesso le condizioni di esistenza nel mondo attuale sono ancora difficilissime. L’omosessualità è discriminata ovunque: in almeno ottanta stati gli atti omosessuali sono condannati dalla legge (Algeria, Senegal, Camerun, Etiopia, Libano, Giordania, Armenia, Kuwait, Porto Rico, Nicaragua, Bosnia...); in molti paesi la condanna può essere superiore a dieci anni (Nigeria, Libia, Siria, India, Malesia, Cuba, Giamaica...); talvolta la legge prevede l’ergastolo (Guyana, Uganda). E in una decina di nazioni può essere applicata la pena di morte (Afghanistan, Iran, Arabia Saudita...). Recentemente, in Africa, parecchi presidenti della repubblica hanno riaffermato brutalmente la volontà di lottare in prima persona contro questa «calamità» che sarebbe, secondo loro, «antiafricana». Le persecuzioni si moltiplicano anche in paesi dove l’omosessualità non è perseguibile penalmente. In Brasile, ad esempio, gli squadroni della morte e gli skinhead seminano il terrore: tra il 1998 e il 2000 sono stati contati ufficialmente 1960 omicidi ispirati da omofobia. In queste condizioni, sembra difficile pensare che la «tolleranza» stia guadagnando terreno. Al contrario, nella maggior parte di questi paesi l’omofobia sembra oggi più violenta che in passato. In generale, dunque, non si può certo dire che la situazione stia migliorando.
SETTE DOMANDE CONTRO L’OMOFOBIA
La Costituzione delle mille famiglie
l'articolo 29 della costituzione
Dichiarazione - appello sull'interpretazione dell'art. 29 della Costituzione
Senza entrare nel merito della discussione delle attuali proposte di riforma, volte a riconoscere o tutelare in diversa forma e misura unioni familiari di tipo diverso da quello tradizionale, ci preme però chiarire che è infondata l'affermazione secondo cui l'articolo 29, primo comma, della vigente Costituzione porrebbe dei limiti costituzionali al riconoscimento giuridico delle famiglie non tradizionali o non fondate sul matrimonio, come è ormai avvenuto in quasi tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale.
L'articolo 29, primo comma, non impone affatto alla Repubblica di riconoscere come famiglia solo quella definita quale "società naturale fondata sul matrimonio". Impone invece alla Repubblica di riconoscere i suoi diritti, in quanto espressione dell'autonomia sociale. Testualmente: "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Ad essa viene quindi garantita una sfera di autonomia rispetto al potere dello Stato. Per tale motivo sarebbe contraria alla Costituzione una legge ordinaria che mirasse a disconoscere i diritti di tali famiglie.
"Circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua [della famiglia] regolamentazione": questa la funzione della disposizione secondo quanto ebbe a dichiarare Costantino Mortati nell'Assemblea costituente. "Non è una definizione, è una determinazione di limiti", ribadì nella stessa sede Aldo Moro.
Il Costituente del 1946-47 non poteva immaginare che nei decenni successivi sarebbe stata avanzata in Italia o altrove la richiesta del riconoscimento di famiglie di tipo diverso dal modello tradizionale, mentre vivo era invece il ricordo del tentativo fascista di monopolizzare l'educazione dei giovani, tentativo analogo a quello in corso proprio in quei mesi con l'instaurazione di regimi stalinisti in molti paesi dell'Europa centrale: e tale era appunto il pericolo che con la formulazione dell'articolo 29 si intendeva scongiurare.
Inoltre, secondo l'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la disciplina nazionale può modulare variamente le modalità di esercizio dei distinti diritti di sposarsi e di costituire una famiglia, ma non in forme tali che possano portare alla vanificazione dell'uno o dell'altro.
Il riconoscimento giuridico di altri tipi di famiglia non comporterebbe alcun disconoscimento dei diritti delle famiglie fondate sul matrimonio e non potrebbe quindi violare il disposto dell'articolo 29, primo comma, della Costituzione.
Il fatto che la Costituzione garantisca in modo particolare i diritti della famiglia fondata sul matrimonio non può in alcun modo avere come effetto il mancato riconoscimento dei diritti delle altre formazioni famigliari. A proposito delle quali vanno invece tenuti ben presenti il fondamentale divieto di discriminare sulla base, anche, di "condizioni personali", di cui all'articolo 3, primo comma, della Costituzione, e il dovere della Repubblica di riconoscere e garantire "i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità", di cui all'articolo 2, già richiamato in questa materia dalla giurisprudenza costituzionale.
Questo Appello, promosso dalla "Fondazione Critica liberale", è stato sottoscritto da:
Gaetano Azzariti (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Roma "La Sapienza"),
Mauro Barberis (Prof. Filosofia del Diritto - Univ. Trieste),
Piero Bellini (Prof. emerito Univ. Roma "La Sapienza" - Accademico dei Lincei),
Roberto Bin (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Ferrara),
Giuseppe Bozzi (Prof. Diritto Civile - Univ. Luiss "Guido Carli" Roma),
Giuditta Brunelli (Prof. Istituzioni di Diritto pubblico - Univ. Ferrara),
Massimo Carli (Prof. Istituzioni di Diritto pubblico - Univ. Firenze),
Paolo Cendon (Prof. Istituzioni di Diritto Privato - Univ. Trieste),
Enzo Cheli (Prof. Diritto costituzionale - Univ. Firenze - Accademico dei Lincei),
Giovanni Di Cosimo (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Macerata),
Alfonso Di Giovine (Prof. Diritto Costituzionale Comparato - Univ. Torino),
Gilda Ferrando (Prof. Diritto Privato - Univ. Genova),
Gianni Ferrara (Prof. emerito - Univ. Roma "La Sapienza"),
Vincenzo Ferrari (Prof. Filosofia del Diritto - Univ. Milano),
Nicola Fiorita (Prof. Diritto Ecclesiastico - Univ. Firenze),
Maurizio Fumo (Magistrato),
Gladio Gemma (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Modena e Reggio Emilia),
Paolo Giangaspero (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Trieste),
Gustavo Ghidini (Prof. Diritto Commerciale - Univ. Milano),
Riccardo Guastini (Prof. Filosofia del Diritto - Univ. Genova),
Mario Lana (Avvocato, Presidente Unione forense per la tutela dei diritti umani),
Sergio Lariccia (Prof. Diritto Amministrativo - Univ. Roma "La Sapienza"),
Barbara Pezzini (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Bergamo),
Roberto Pinardi (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Modena e Reggio Emilia),
Alessandro Pizzorusso (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Pisa - Accademico dei Lincei),
Fausto Pocar (Prof. Diritto internazionale - Univ. Milano - Pres. Tribunale penale dell'Aja)
Valerio Pocar (Prof. Sociologia del Diritto - Univ. Milano "Bicocca"),
Salvatore Prisco (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Napoli "Federico II"),
Andrea Pugiotto (Prof. di Diritto costituzionale - Univ. Ferrara),
Pietro Rescigno (Prof. emerito Univ. Roma "La Sapienza" - Accademico dei Lincei),
Paolo Ridola (Prof. Diritto Costituzionale Comparato - Univ. Roma "La Sapienza"),
Paola Ronfani (Prof. Sociologia del diritto - Univ. Milano),
Francesco Rimoli (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Teramo),
Stefano Rodotà (Prof. Diritto Civile - Univ. Roma "La Sapienza"),
Gustavo Zagrebelski (Prof. Diritto costituzionale - Univ. Torino - Accademico dei Lincei),
Paolo Zatti (Prof. Istituzioni di diritto privato - Univ. Padova),
Alessandro Oddi (Avvocato, Dott. ric. in Diritto Costituzionale - Univ. Roma "La Sapienza"),
Roberto De Felice (Avvocato dello Stato),
Antonio Caputo (Avvocato, Docente Scuola di Specializzazione Professioni Legali - Univ. Torino),
Giuseppe Fiengo (Avvocato dello Stato),
Mario De Crescenzo (Studioso di Diritto Amministrativo),
Silvia Borrelli (Avvocato, Dott. ric. in Diritto del Lavoro, assegnista - Univ. Ferrara)
Domenico Pulitanò (Prof. Diritto Penale Univ. Milano "Bicocca"),
Andrea Galliano (Milano)
Nicola Vizioli (Ric. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Siena),
Paolo Solimeno (Avvocato, Coordinatore “Aequa Toscana”),
Per eventuali altre adesioni info@criticaliberale.it
"DICO! - Appello e riflessioni di un giovane gay
http://www.matrimoniodirittog ay.it/firenze.htm
al Presidente del Consiglio dei ministri
ai parlamentari italiani
alle istituzioni italiane
alla Conferenza episcopale italiana
alle rappresentanze cattoliche italiane
agli organi di stampa
ai rappresentanti delle associazioni Lgbt
e per la difesa dei diritti umani e civili
alle personalità del mondo dello spettacolo
e della cultura italiana
DICO che c’è da avere paura. Ho ventuno anni e per la prima volta ho davvero paura. Da giovane omosessuale ho paura di cosa mi aspetta. E se ripenso a cosa è stato nel passato lo sterminio di migliaia di omosessuali – e dell’attuale condizione in cui siamo, a discutere ancora di minaccia alla famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio (ma non sarebbe meglio a questo punto dire sulla procreazione?) – mi viene davvero da credere che verremo di nuovo emarginati e stipati nei nostri ghetti moderni e considerati di nuovo malati, di nuovo oggetto di scherno, di violenza, di privazione della nostra dignità.
Certo, sembrerà esagerato e sconnesso come pensiero; sembrerà ipocrita, forse, per chi – come i nostri Ministri – è convinto di averci dato fin troppo, di averci fatto un favore, di avere soddisfatto non solo le nostre richieste ma anche e soprattutto le nostre esigenze da cittadini di uno Stato che a quasi sessantun anni dalla proclamazione della Repubblica seguita a non riconoscerci, o a riconoscerci come una minoranza da non tutelare né considerare.
Dovrebbero – e avrebbero dovuto – far pensare le ripetute aggressioni e violenze che avvengono in tutta Italia nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender; e così lo straziante suicidio-protesta del siciliano Alfredo Ormando, omosessuale bruciatosi vivo in San Pietro nel ’98 nella speranza di poter cambiare le cose per noi lgbt; e, ancora: il recente stupro di Paola perché lesbica; il brutale assassinio nel ‘98, da parte di due uomini, del sedicenne americano Matthew Wayne Shepard perché gay; il ventiquattrenne di Cortina d’Ampezzo Stefano Walpoth, toltosi la vita lo scorso anno con un colpo di pistola pochi giorni dopo aver confessato ai genitori il proprio orientamento sessuale; l’impiccagione pubblica e barbaramente legale di due giovani sedicenni omosessuali in Iran, il 19 luglio 2005.
Dovrebbero – e avrebbero dovuto – far sussultare ogni persona dotata di un cuore, e così far urlare a squarciagola il disdegno, lo strazio e il forte senso di rabbia di fronte a simili tragedie alimentate dall’ignoranza e dall’omofobia. E, invece, ancora oggi, nel febbraio del 2007, sentiamo la Cei e gran parte dei politici italiani inorridire di fronte a un disegno di legge – i DICO, per l’appunto – che riconoscono le unioni amorose tra noi omosessuali come un legame tra “due persone maggiorenni e capaci, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale”.
Ci sentiamo definire nuovamente minoranza, nuovamente minaccia, nuovamente apocalisse di Dio. Sentiamo definire i nostri sentimenti e i nostri legami deboli e sterili. Ci vediamo di nuovo additati per strada; visti come appestati se ci teniamo per mano o ci scambiamo una carezza.
Sì, DICO che c’è da avere paura. Non distrugge forse l’amore e la Famiglia il senso di odio che, più che mai consapevolmente, la Chiesa e i politici – di destra e di sinistra, cattolici e non – stanno propagandando nell’opinione pubblica per fermare una legge – per quanto mal costruita e ben poco rappresentativa – che proponga un riconoscimento minimo a due persone dello stesso sesso che si amano e pretendono solamente di assistersi e tutelarsi reciprocamente, con doveri e diritti comuni?
Io convivo da un anno e mezzo con il mio compagno. Insieme, ogni giorno, affrontiamo situazioni imbarazzanti e scomode, perché abbiamo deciso di non negare il nostro amore agli occhi degli altri, di non nasconderci, di non rinunciare – nonostante spesso possa venirci spontaneo di fronte a determinati atteggiamenti – a provare a vivere la nostra vita in libertà. E non è facile, giorno dopo giorno, affrontare gli sguardi interrogatori e quasi turbati di persone comuni, per strada, in un bar o al supermercato, che vedono due ragazzi tenersi per mano, scambiarsi uno sguardo ricco d’amore, darsi un bacio sulle labbra per salutarsi in vista di una giornata pesante da affrontare.
A sedici anni mi sono forse reso conto davvero che ero omosessuale; cominciavo a provare non più solo attrazione ma anche un forte sentimento verso una persona del mio stesso sesso. Ricordo le giornate passate in penombra in camera mia, quando ancora vivevo con i miei genitori, con il cuscino ficcato sulla faccia per soffocare un pianto strozzato; ricordo ancora le prese in giro dei compagni di classe maschi, a volte, che io accettavo col sorriso in volto – e anche un po’ nel cuore –, ma che avrebbero potuto ferire, anche in profondità, chi non fosse stato in grado di affrontare serenamente certi attacchi. Ricordo anche il terrore con cui mi svegliavo nella notte, sudato fradicio dalla testa ai piedi e con le palpitazioni accelerate, dopo l’incubo di aver raccontato a mio padre e a mia madre della mia omosessualità. Rimanevo sveglio fino alle 6 del mattino, quando mi dovevo alzare per andare a scuola, a contemplare il nulla e a pregare, perché ciò che il mio inconscio aveva ipotizzato non si realizzasse mai.
Un giorno, invece, si è realizzato. E dall’altra parte ho trovato la comprensione di due genitori eccezionali, fortunatamente, che, seppure con qualche plausibile difficoltà, mi hanno accettato e hanno accolto a cuore aperto il mio compagno, me e la mia diversità.
Ma, ripeto, io sono stato fortunato, e non poco.
Esistono storie di ragazze e ragazzi ben più tragiche, per cui un sorriso o una pacca sulla spalla non bastano a lenire il dolore di un distacco profondo con i genitori, o con un’amica o un amico, in seguito al proprio coming out. Esistono ferite e traumi ben più pesanti di un cuscino ficcato in faccia e di un incubo che ti corrode la coscienza, e non è certo compito mio testimoniarlo: lo fanno già le quotidiane pagine di cronaca delle associazioni lgbt e non, che denunciano la violenza e il disagio di migliaia e migliaia di persone che non vengono integrate e accettate nella nostra società.
Ma per i Monsignori e i Cardinali, per coloro che interpretano il messaggio cristiano secondo le loro vedute, per i teodem, per il nostro papa Benedetto XVI, per la destra e la finta sinistra italiana, noi lesbiche, gay, bisessuali e transgender rischiamo di mettere in serio pericolo la Famiglia. Siamo un cancro da arginare prima che la metastasi prenda il sopravvento. E dunque si organizzano sedute straordinarie, discussioni, prediche, moniti, mentre intorno a tutto ciò c’è ancora chi soffre, piange e si dispera; chi decide di dire addio alla vita perché non ce la fa più a sopportare; chi, in casa con i propri genitori, si tortura psicologicamente per non far trasparire uno sguardo o un pensiero equivocabile; chi viene buttato in mezzo a una strada da un padre inferocito e ferito nel suo orgoglio maschile, o da una madre che non riesce a sopportare l’idea di avere in casa una figlia o un figlio “contro natura”. C’è ancora chi non vuole arrendersi e continua a lottare, e testimonia con la propria forza e il proprio coraggio ciò che sente dentro.
DICO che dopo anni e anni di lotte, di manifestazioni, di pride passati dai media agli occhi della gente come carnevalate, di spargimenti di odio e sangue che continuano a macchiare indelebilmente la nostra storia sociale, di candele che si affievoliscono o si spengono per il giudizio e il pregiudizio, forse è l’ora di finirla. È l’ora di smettere di strumentalizzare la parola di Dio per giustificare questa crociata.
Come comunità lgbt chiedevamo dei diritti – e dei doveri, si badi bene! – che garantissero un riconoscimento sociale alle nostre unioni amorose e tutelassero la nostra quotidianità: non chiedevamo la Luna, né ledevamo qualcun altro nella sua libertà; speravamo in una legge che ci desse la possibilità di essere integrati come cittadini, con tutti gli obblighi e le conseguenze che questo status avrebbe comportato. Chiedevamo che ci fosse permesso di assistere la nostra compagna o il nostro compagno di vita (ed essere assistiti) – “moralmente e materialmente”, sì – quando la salute avrebbe impedito il normale decorso di vita di entrambi, e come risposta c’è stato un DICO.
Sì, un “dico sì” o “dico no” alla nostra richiesta di assistere e visitare la persona con cui condividiamo l’esistenza, pronunciato da un medico che, a seconda del proprio umore o della propria visione mentale (e spirituale, aggiungo), è favorevole o meno che tu stringa la mano a chi ami per testimoniargli il tuo amore e la tua vicinanza. Siamo nelle mani degli altri, e come cittadini di serie B dobbiamo sperare affinché chi ci curerà o curerà il nostro partner sia comprensivo e riconosca che la nostra salute dipende anche dalla vicinanza di chi fino a quel momento, da mattina a sera, ci è stato accanto, ci ha riempito la vita di emozioni, belle e meno belle, di ricordi, di sospiri e brividi straordinari in grado di lenire ogni preoccupazione.
Eppure questo sembra minacciare, sempre secondo i timori dei sopraccitati nemici delle unioni civili, due persone eterosessuali con la volontà di concepire un bambino, di educarlo e di crescerlo con amore. Ma forse clericali e non, cattolici e non, – omofobi e transfobici – non sanno che da quella unione eterosessuale e da quell’educazione fatta di amore e attenzioni potrebbe crescere una figlia lesbica o bisessuale, o un figlio gay o bisessuale, o un figlio transgender.
Ignorano che potrebbe essere proprio il frutto di quell’unione a dover sortire le conseguenze della discriminazione, del bullismo, dell’esclusione sociale e familiare. Ignorano che potrebbe essere proprio il frutto di quell’unione a decidere, un giorno, di recarsi in piazza San Pietro a Roma, riversarsi addosso una tanica di benzina e accendersi come una torcia da giardino, e lasciare che quel fuoco purificatore che per troppi secoli ha lacerato anime proprio per ordine della Chiesa cattolica scalfisca anche la più profonda ferita interiore dettata dall’indifferenza e dallo scherno dei più.
DICO che ci sono mille altri aspetti del disegno di legge Bindi-Pollastrini che ci ridicolizzano e discriminano, e invito a visitare il sito di Arcigay per avere un’idea di quelle che sono le dieci modifiche sostanziali e più impellenti da apportare al testo prima di un’eventuale discussione.
DICO anche al cardinale Camillo Ruini che Dio ci insegna ad amare e ad accogliere, e, da credente, che sono disponibile a un incontro sereno e costruttivo con lui e con tutti coloro che siano disposti a un dialogo e a un confronto pacifico su questi temi, per cercare per lo meno di comprendere le loro posizioni e di portare la mia testimonianza e la mia assoluta volontà di non incrinare alcun fondamento cristiano nel pretendere un sacrosanto diritto alla libertà.
CHIEDO, da cittadino italiano maggiorenne e capace, a tutte e tutti coloro che leggeranno questo testo, al mondo della Stampa, ai parlamentari, alle Istituzioni, ai rappresentanti di associazioni lgbt e non, a personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura italiana, a coloro che si battono quotidianamente perché vengano riconosciuti i diritti primari dell’uomo, alla base della Dichiarazione Universale adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, di sostenere, con chiare prese di posizione, tutta la comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender che mai come in questi momenti sta vedendo i propri diritti intaccati dal dilagante senso di pregiudizio e viene ingiustamente esclusa dagli articoli 1 e 2 della suddetta Dichiarazione, che affermano:
Articolo 1. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2. 1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. 2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.
Infine, auspico che lo Stato italiano, nella figura delle sue più alte cariche rappresentative, voglia applicare pienamente e quanto prima gli articoli di cui sopra per non venire meno a un accordo internazionale che sta alla base – e regola i rapporti – della nostra Società Civile.
Matteo Pegoraro
Segretario e responsabile attività giovanili e culturali di Arcigay Firenze “Il Giglio Rosa” Tel. (+39) 340 8135204 ::: Fax (+39) 055 0518897
e-mail: matteopegoraro@emergentesgomi
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Thomas Schmid - 13.02.07