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Il Blog di Ivano Grioni | www.partecipaMi.it
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.: Il Blog di Ivano Grioni
Giovedì, 14 Settembre, 2006 - 13:56

Pertecipazione al Forum di Milano

 

 

Scopo del Forum di Milano e di quello europeo di Lisbona è favorire 
l'interscambio di esperienze, la discussione, l'incontro delle
diversità e
la definizione di eventuali proposte e attività comuni tra quanti
lavorano
per la pace, la nonviolenza, i diritti umani e il superamento di ogni
forma
di discriminazione.

Tutto questo sarà possibile se si valorizzeranno le diversità e allo
stesso
tempo si metterà in risalto ciò che abbiamo in comune, unendo le forze
e
ispirandoci a vicenda: un tentativo in più perché l'incontro delle
diversità
si converta in progetto e in pressione su coloro che oggi decidono il
destino di tutti.

Il 16 e 17 settembre si svolgerà presso l'Istituto Tecnico Ettore Conti
-
Piazza Zavattari, 3 il primo forum Umanista di Milano.

Scopo del forum è favorire l'interscambio di esperienze, la
discussione,
l'incontro delle diversità e la definizione di eventuali proposte e
attività
comuni tra quanti lavorano per la pace, la nonviolenza, i diritti umani
e il
superamento di ogni forma di discriminazione.

Tutto questo sarà possibile se si valorizzeranno le diversità e allo
stesso
tempo si metterà in risalto ciò che abbiamo in comune, unendo le forze
e
ispirandoci a vicenda: un tentativo in più perché l'incontro delle
diversità
si converta in progetto e in pressione su coloro che oggi decidono il
destino di tutti.


Il programma del Forum prevede le seguenti aree tematiche:

* Economie solidali
* Educazione
* Immigrazione
* Dialogo tra le culture
* Reciprocità e auto-organizzazione nella cooperazione
internazionale
* Pace e nonviolenza
* Precariato
* Informazione
* Spiritualità
* Questioni GLBT
* Ambiente
* Sanità
* Area artistica
* Laboratorio di educazione alla nonviolenza nelle scuole
* Laboratorio di fotografia sociale
* Menti Mediaticamente Modificate
* Fronte studentesco e attività universitarie

E inoltre:

* Laboratorio di educazione alla nonviolenza nelle scuole
* Laboratorio di fotografia sociale
* Rappresentazioni teatrali
* Seminari, conferenze, dibattiti su temi di attualità, mostre,
proiezione di film e video, eventi artistici e tutti i contributi che
singoli e organizzazioni vorranno dare.

Siete tutti invitati a Pertecipare attivamente o per curiosità

Iscrizione  e  inf. su  sito

www.forumumanista.org




 RingraziandoVi  tutti  un  grande  abbraccio  e forza

Donatella  Camatta 

Martedì, 12 Settembre, 2006 - 12:54

Gli orchi e i ciechi

statua_cimitero.jpg

Nelle città, intorno a noi, esiste un mondo separato. Un mondo di orchi, di ciechi, di vittime. Gli orchi sono squallidi delinquenti che sfruttano i bambini. I ciechi siamo noi. Noi quando ci voltiamo dall’altra parte. Le vittime sono bambini di cinque/otto/dieci anni che chiedono l’elemosina ai semafori. O nelle metropolitane suonando un violino e vergognandosi di chiedere la carità abbassando gli occhi. Bambini picchiati se non raccolgono qualche centinaio di euro al giorno. Bambini costretti al furto. Importati in Italia per prostituirsi pubblicamente in strada.
Una volta, alla vista di un bambino solo, in difficoltà, lo si prendeva per mano. Gli si chiedeva il nome. Lo si accompagnava dai vigili, alla polizia, in chiesa. Gli si offriva una caramella, un gelato, una carezza.
Tra i ciechi e i delinquenti c’è una differenza sottile, sempre più sottile. Impalpabile.
A Milano, davanti a un cimitero, quello di Musocco, i bambini dell’Est sono merce a buon mercato. Dai 20 ai 100 euro per prestazione. E’ certo merito della globalizzazione. Una volta costavano di più e si correvano maggiori rischi. Adesso è tutto più facile, più comodo. Non c’è bisogno di andare all’estero per godere dei piaceri della carne. Tra qualche anno li ordineremo da casa.
Oggi voglio fare pubblicità a un numero: il 114, per l’emergenza infanzia. Se siete testimoni di un abuso su un bambino, non voltatevi più da un’altra parte, ma telefonate al 114. Fatelo per voi, oltre che per i bambini. Vi sentirete meglio, dopo.

Beppe  Grillo 

Domenica, 10 Settembre, 2006 - 11:49

Notizie di Amir da chi sta seguendo da vicinolaSua situazione


Ciao a tutti, splendidi amici, fratelli e compagni di meravigliose avventure, sono rientrato questa notte ad Arezzo, dopo 4 giorni di intensa attività pratica ed emotiva da Milano per seguire Amir in questa assurda storia che lo vede privato della sua libertà dei suoi diritti di ESSERE UMANO.
Nonostante tutte le difficoltà ieri dopo averci sentito durante la manifestazione mi ha detto (Per telefono) “… ora credo proprio di potercela fare…”. Questo lo spirito di Amir al quale mi unisco insieme a tutti voi. Per lui, per me e per tutti noi questo è un momento intenso e importante per la nostra azione come Centro delle Culture, come Umanisti, come … ESSERI UMANI. Amir sta già parlando con i suoi compagni di reclusione all’interno del CPT, per dargli speranza e spiegare che la nostra azione non si fermerà solo al suo caso. I prossimi giorni saranno decisivi per l’iter legale e burocratico, è comunque ben assistito dall’avvocato Maria del Canto e naturalmente da tutti noi. Vi terremo aggiornati chiedendovi l’aiuto che servirà. Intanto vi comunico due cose:

  Oggi scriverò a tutti una versione ufficiale della sua storia e dei motivi per i quali si è trovato nella situazione odierna. Invito tutti ad attenersi a questi fatti e a non divulgare altre notizie che possono compromettere il suo iter legale. Il tutto sarà corredato da ampia
documentazione e prove che stiamo finendo di raccogliere.
Vi bacio tutti

Carlo

Domenica, 10 Settembre, 2006 - 11:33

Iraq.ventisette esecuzioni per terrorismo


6 settembre 2006: 27 “terroristi” sono stati giustiziati nella capitale irachena Baghdad, dopo essere stati condannati in diverse province del paese per omicidi e stupri. Lo rende noto il Governo iracheno, senza fornire ulteriori dettagli.
Sul finire dello scorso giugno, il primo ministro iracheno Nouri-al-Maliki aveva detto essere 260 le condanne capitali emesse dai tribunali iracheni negli ultimi due anni, 22 delle quali eseguite.
Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, avvenuta il 9 aprile 2003, la pena di morte in Iraq era stata sospesa dall’Autorità Provvisoria della Coalizione.
E' stata reintrodotta dopo il trasferimento di poteri alle autorità irachene, avvenuto il 28 giugno 2004.
L’8 agosto 2004, a poco più di un mese dal suo insediamento, l’allora Governo iracheno ad interim guidato da Iyad Allawi ha varato una legge che ripristina la pena di morte per omicidio, sequestro di persona, stupro e traffico di stupefacenti.
Il 4 ottobre 2005, il Parlamento iracheno ha approvato una nuova legge anti-terrorismo che prevede la pena di morte per “chiunque commetta ... atti terroristici”, così come per “chiunque istighi, prepari, finanzi e metta in condizione terroristi di commettere questo tipo di crimini”.

Sabato, 9 Settembre, 2006 - 08:19

chiesa e gay, un'altra occasione perduta

 
Due ragazzi gay vengono aggrediti e picchiati selvaggiamente da un gruppo di teppisti. La scorsa settimana, una ragazza lesbica è stata violentata “per punizione” a Torre del Lago da altri teppisti. Da diversi mesi un buon numero di omosessuali, dell’uno e dell’altro sesso, subiscono agguati e violenze.Queste violenze hanno un unico denominatore: sono rivolte verso omosessuali notori o dichiarati, e si verificano quasi sempre in luoghi d’aggregazione gay o comunque tolleranti con questi ultimi.
È il caso dei ragazzi bolognesi. Pare che la loro colpa fosse quella di passeggiare abbracciati. Non avevano, cioè, occultato la loro omosessualità. E ciò ha scatenato l’ira degli assalitori.
Non sappiamo ancora se si trattasse di italiani o – come qualcuno dice – di stranieri, forse slavi. Per chi proviene da Paesi in cui “diritti umani” è un’espressione senza senso e le donne sono disprezzate simili atti non sono crimini. Sembrano normali, in qualche caso persino lodevoli. Due maschi osano scambiarsi tenerezze in pubblico? Una donna cammina sola per strada, magari con un vestito un po’ attillato? Agli occhi di costoro sono già colpevoli; sono dei sacrileghi, che con la loro semplice esistenza sovvertono un intero mondo imperniato su valori ferrei di gerarchia, morale, possesso e dominio. Si sono posti fuori della comunità, della famiglia, del clan. Meritano, come minimo, una punizione esemplare.
Per questo in Olanda è stato avviato un progetto di accoglienza degli stranieri che preveda, fra l’altro, un’educazione al rispetto verso quelle minoranze o gruppi di persone che, nei luoghi d’origine, sono condannati addirittura per legge. Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: gli autori di questi atti sono sempre e solo stranieri?
Non erano stranieri gli stupratori della ragazza lesbica, come non lo sono gli innumerevoli che quasi quotidianamente seviziano tante, troppe donne eterosessuali. Non erano stranieri gli assassini di Paolo Seganti.
Non sono stranieri molti nostri politici di primo piano, addirittura al governo fino a pochi mesi fa. Eppure non passava giorno, o quasi, che non indirizzassero agli omosessuali apprezzamenti pesanti, quando non veri e propri insulti e maledizioni; pensiamo ai “culattoni” di Tremaglia”, ai “froci” di Calderoli, ai “peccatori” di Buttiglione per finire con l’ineguagliabile “meglio fascista che frocio” di Alessandra Mussolini.
La Lega Nord ha incentrato la sua campagna elettorale sullo slogan [I]“No ai matrimoni omosessuali”[/I]. Dalle pagine della “Padania” si leggeva che con la sinistra al governo la società naturale e occidentale sarebbe scomparsa a causa dell’approvazione dei matrimoni gay; profezia che [I]“ognun può vedere come si sia avverata”[/I].
Sempre in quel periodo Comunione e Liberazione diffondeva volantini sullo stesso tenore, esortando “per questo” a votare Berlusconi. Ancora al Meeting di Rimini hanno fischiato sonoramente la senatrice Binetti, che pure ce l’aveva messa tutta per ingiuriare i gay (definendoli sterili, senza diritti all’amore ecc.) e hanno osannato l’ex-presidente del Consiglio quando si profondeva in lodi sperticate del cristianesimo e della famiglia. Ma il caso dei ciellini non deve stupire. Chi obiettasse che Berlusconi per tanti, troppi versi è tutto tranne che cristiano  dovrebbe tener presente che, per Cl, basta non essere di sinistra e non amare gli omosessuali. Rispettate queste due irrinunciabili condizioni sono disposti a dare il loro placet a chiunque, da sempre.
Come si vede, il pretesto del “barbaro” straniero (o meglio, extracomunitario) non regge più.Si deve riconoscere che neppure in Italia il rispetto verso le minoranze e i soggetti deboli è poi così sviluppato.
Avevamo accennato a un progetto educativo. Progetto – si badi bene – che non può interessare solo gli adulti provenienti da Paesi lontani, ma deve iniziare dall’infanzia, dai banchi di scuola. È quanto accade in Nord Europa. E da noi?
Da noi non c’è nulla di simile. Ancor oggi, dai programmi scolastici la storia delle donne è del tutto ignorata. I musulmani – spesso ancora chiamati maomettani e, non di rado, confusi con gli arabi – non vengono più menzionati da Lepanto in poi. Si riaffacciano timidamente, quando i tempi didattici lo permettono (vale a dire, quasi mai), in qualche paragrafo letto in fretta e furia nel mese di maggio, al quinto anno delle superiori. Il risultato è ovviamente nullo.
Sugli altri soggetti sociali, specialmente omosessuali, non varrebbe nemmeno la pena soffermarsi. Parlarne è un’iniziativa del tutto individuale, dell’insegnante o degli studenti che ogni tanto, stufi di essere lasciati nell’ignoranza, chiedono di incontrare quel tal rappresentante dell’Arcigay per chiarirsi un po’ le idee. Se il professore non è troppo timorato è probabile che accetti.
Con gli esempi appena citati come aspettarsi un atteggiamento più maturo e tollerante da parte di cittadini italiani? Ma non è finita. L’episodio di Bologna è stato commentato, su “Repubblica”, dal vescovo ausiliario della città, mons. Vecchi. E il presule, dopo aver puntualizzato che “i problemi non si risolvono con le violenze e le aggressioni”, ha chiarito il suo pensiero con le seguenti parole: “La nostra società… da un lato spinge alla trasgressione, dall´altro non offre gli strumenti per raggiungere la padronanza e il dominio di sé. Per affrontare questi ambiti occorre un supplemento di riflessione”. Ma al giornalista che voleva sapere se per lui l’omosessualità è una trasgressione, ha risposto in modo sibillino:
“L´omosessualità è un argomento complesso che sarebbe sbagliato discutere qui. Dico che la violenza e la trasgressione sono cugine”.
Di là da certi toni gesuitici e ambigui, la posizione di mons. Vecchi è dunque chiarissima: egli sta dalla parte degli aggressori. E quand’anche (ma non è così) li ponesse sullo stesso piano degli aggrediti, il suo sarebbe uno spaventoso errore di valutazione. Tra due ragazzi che si scambiano tenerezze in pubblico e un gruppuscolo di balordi sempre pronti a menar le mani la differenza dovrebbe balzare all’occhio, ma i ragazzi in questione erano due maschi, pertanto, secondo mons. Vecchi, non stavano manifestando reciproco affetto, ma volevano solo scandalizzare e trasgredire. Nella sua ottica, perfettamente in linea con
la Chiesa gerarchica, due omosessuali sono incapaci di amarsi, fanno solo sesso e in ogni caso dovrebbero tener nascosta - tale il vero senso di “padronanza e dominio di sé” - questa loro “ignominia”. Non facendolo, provocano fatalmente reazioni a catena. Violenza genera violenza. Ma la violenza prima è partita da quell’abbraccio. I veri fedifraghi sono loro, i due ragazzi omosessuali.
Gli apologhi dell’omofobia cattolica non si stancano di reiterare, con la sorda monotonia di un disco rotto, che la Chiesa coi suoi anatemi combatte l’omosessualità, non i singoli omosessuali. Come se esistesse l’omosessualità indipendentemente dalle persone. C’è altro, però. Di solito, per avvalorare le loro tesi menzognere, essi sono soliti citare il passo n° 10 della lettera sulla Cura pastorale delle persone omosessuali compilata nel 1986 dall’allora card. Ratzinger. E sentiamo cosa dice: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”. Tutto bene, naturalmente; verrebbe allora da chiedersi perché la Chiesa, sempre molto solerte quando si tratta di stigmatizzare le “parate gay”, non sia mai (ripetiamo: mai) intervenuta a loro difesa nei casi sopra accennati. La risposta la fornisce lo stesso Ratzinger, nella seconda parte dello stesso passo 10 che, chissà come, tutti si scordano di citare. Lo faremo allora noi. Prosegue Ratzinger: “Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l’attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano”. Nella stessa lettera, al passo 3, Ratzinger affermava che non solo i comportamenti, ma anche la condizione omosessuale era intrinsecamente malvagia (il testo completo in http://www.ratzinger.it/documenti/curadegliomosessuali.htm ).
Nel 1992 toccò sempre a Ratzinger redigere una seconda lettera, dopo la decisione di alcuni Stati europei di estendere agli omosessuali alcuni diritti civili. Mentre la legislazione europea si adoperava per estendere ai gay alcuni diritti civili, Ratzinger ordinava al contrario di restringerli. I diritti che ai gay si potevano, anzi si dovevano legittimamente negare, secondo lui, erano due: la casa e il lavoro. Con queste motivazioni: “…tutte le persone hanno il diritto al lavoro, all’abitazione, ecc. Nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di azioni di persone fisicamente o mentalmente malate. Così è accettato che lo stato possa restringere l’esercizio di diritti, per esempio, nel caso di persone contagiose o mentalmente malate, allo scopo di proteggere il bene comune” (n° 12; cf. anche http://www.ratzinger.it/documenti/leggi_omosessuali.htm). Il contenuto del messaggio è incommentabile, ma ci stupisce il linguaggio da caserma, crudele e volgare, così insolito da parte di un fine intellettuale come Ratzinger. Evidentemente suo furore anti-omosessuale deve avergli fatto dimenticare non solo la prudenza, ma anche la grammatica.
Gli strali vaticani sono talmente numerosi che non riusciremmo a elencarli. Del resto, quelli su riportati bastano e avanzano. E dimostrano come, malgrado le frasi di circostanza e in barba alle scoperte più recenti della scienza, la Chiesa gerarchica continui a considerare gli omosessuali dei viziosi che offuscano la verità dell’uomo e attirano, col loro comportamento scandaloso e impudente, abusi e soperchierie d’ogni tipo. Proprio come i “malati contagiosi” di cui parlava Ratzinger col suo fiorito e caritatevole eloquio.
Mons. Vecchi ha fatto il suo dovere. Ratzinger, che nel frattempo è diventato Papa, elogerà questa sua coerenza ai dettami di Santa Madre Chiesa. Anche i criminali promossi a giustizieri ringraziano di cuore. Fra quattrocento anni un altro Papa implorerà vane e tarde scuse ai gay, ormai usciti definitivamente da quel gregge i cui pastori non mancavano di bastonarli. Quanto a noi, poveri mortali, non possiamo permetterci di aspettare nemmeno quattro anni. La teppaglia non è una compagnia di cui andar fieri.
 
Venerdì, 8 Settembre, 2006 - 13:30

Ogg ivisita al cpt...

 

CPT VIA CORELLI: PAKISTANO

RISCHIA ESPULSIONE E VITA

Oggi visita al Cpt di Rifondazione Comunista

 

 

Oggi alle 17.00 si terrà presso il CPT milanese di Via Corelli un presidio per impedire l’espulsione di Amir Karrar, cittadino pakistano trattenuto nel centro. Il gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista, nell’aderire al presidio, annuncia che alle 16.00 il consigliere regionale Luciano Muhlbauer , accompagnato dal consigliere provinciale Piero Maestri , farà visita al Cpt, incontrandovi altresì il signor Karrar.

 

“I Centri di Permanenza Temporanea - afferma Luciano Muhlbauer - sono degli autentici buchi neri dove finiscono rinchiusi uomini e donne stranieri non in regola con il permesso di soggiorno, senza che fuori la cittadinanza sappia normalmente alcunché di loro. Cosa per cui un ampio arco di forze associative milanesi aveva chiesto, già nel mese di luglio, un atto di trasparenza, cioè la pubblicazione di tutti i dati relativi al Cpt di Via Corelli, senza per ora ricevere risposta.

 

Tuttavia, grazie all’impegno del Centro delle Culture di Arezzo, questa volta si è saputo di Amir Karrar, cittadino pakistano di 23 anni. Lunedì 4 settembre il signor Karrar è stato fermato dalla polizia ad Arezzo, dove viveva da due anni, e, essendo privo di permesso di soggiorno, è stato fatto oggetto di provvedimento di espulsione e poi tradotto nel Cpt di Via Corelli. Nella giornata di ieri, il giudice di pace di Milano ha convalidato il trattenimento, non prendendo in considerazione gli elementi esposti dall’avvocato difensore.

 

Infatti - prosegue Muhlbauer - il signor Karrar, qualora venisse espulso verso il Pakistan, correrebbe seri rischi per la sua vita. Appartenente alla minoranza religiosa sciita e attivista studentesco, nel suo Paese era stato minacciato e poi aggredito fisicamente da parte di gruppi militanti sunniti. Considerata la violenza che in questi anni colpisce gli sciiti pakistani, egli abbandonò il paese e si recò in Svizzera, dove soggiornava regolarmente. Ma anche in Svizzera le minacce lo raggiunsero e così decise di scappare di nuovo, questa volta senza lasciare tracce e attraversando dunque clandestinamente il confine con l’Italia.

 

I legali che assistono il signor Karrar hanno già richiesto che gli venga riconosciuto lo status di rifugiato. Tuttavia, anche se il nostro ordinamento costituzionale parla chiaro, l’effetto combinato dell’assenza di una legge organica sul diritto d’asilo e dei guasti della Bossi-Fini fanno sì che il signor Karrar rischi ora il rimpatrio e dunque una sorta di condanna a morte.

 

Invitiamo pertanto le organizzazioni sociali, le forze politiche e le istituzioni - conclude Muhlbauer - a non ignorare il destino di Amir Karrar e ad attivarsi immediatamente perché venga posta fine alla sua detenzione, venga bloccata l’espulsione e, soprattutto, perché possa rimanere legalmente nel nostro paese”.

 

 

Milano, 8 settembre 2006

Giovedì, 7 Settembre, 2006 - 14:06

URGENTE....SOLO 48 ORE PER FERMARE LA SUA "CONDANNA A MORTE"

Abbiamo 48 ore per fermare la sua “condanna a morte”.

Questo è un appello per la liberazione di Amir, promosso dal Centro delle Culture.
Lunedì 4 settembre Amir K. cittadino pakistano residente da oltre 2 anni ad Arezzo, é stato fermato per accertamenti e dopo una giornata di interrogatori, è stato portato nel Centro di Permanenza Temporanea di via Corelli a Milano con un decreto di espulsione.
Amir è un ragazzo di 23 anni che da quando è in Italia è impegnato attivamente come volontario in iniziative non violente, contro la discriminazione e per l’apertura al dialogo tra le culture e le religioni (corsi di lingua per immigrati, campagna nazionale per il dialogo tra le religioni, raccolta firme per adibire aree di sepoltura ad ogni credo, promotore di un mensile multietnico, etc.).
Non essendo rientrato in nessuna sanatoria né decreto flussi, la sua attuale situazione è di clandestino.
Amir ha dovuto lasciare il proprio paese per motivi religiosi: appartiene ad una minoranza sciita e per questo è stato perseguitato e minacciato di morte (esiste un’accurata documentazione della sua situazione); solo nell’ultimo periodo, nella sua città, sono state uccise 41 persone per lo stesso motivo, quindi rimpatriarlo adesso significa condannarlo a morte.
Ci appelliamo all’art.10 della costituzione e chiediamo allo Stato italiano di dargli asilo politico per motivi religiosi.
Già oggi molti cittadini italiani amici di Amir stanno raccogliendo e sottoscrivendo migliaia di richieste per il suo asilo politico, per questo è attivo un sito su cui sottoscrivere ed aderire all’iniziativa:
www.c234.net/petizioni/amir

Venerdì 8 settembre alle ore 17,00 si terrà una manifestazione davanti al CPT di via Corelli a Milano, per dare forza a questo appello.


Invitiamo tutti i singoli cittadini, le comunità culturali e religiose, le associazioni, i partiti a partecipare e a non appoggiare la sua CONDANNA A MORTE!

Per informazioni: Niccolò Paoli Niccolò Paoli
www.c234.net/petizioni/amir


petizioni online è un servizio offerto dal sito c234.net che non è diretto responsabile delle petizioni archiviate ma be
Mercoledì, 6 Settembre, 2006 - 15:11

L'Italia non rinunci alla componente civile.....

La Tavola della pace insiste: l’Italia non rinunci alla componente civile, indispensabile e insostituibile
Non solo soldati.
 
In Libano una missione più civile.
Proposto un Difensore civico e un “Corpo di pace civile europeo”
6 settembre 2006 - La missione di pace in Libano approda in Parlamento e la Tavola della pace presenta nuove proposte concrete per favorire il suo successo.
“Non basteranno i militari, hanno affermato Flavio Lotti e Grazia Bellini, coordinatori nazionali della Tavola della pace. In Libano serve anche una forte componente civile. L’Italia deve costruirla anticipando una decisione che deve diventare europea. La missione dell’Onu non deve fallire e la componente civile è indispensabile.”
Data la natura complessa e l’alto rilievo della missione dell’Onu in Libano l’Italia, l’Europa e la comunità internazionale non possono fare a meno del contributo insostituibile di una componente civile impegnata a curare la “dimensione diritti umani” e a promuovere la “sicurezza umana”.
Quello che serve è innanzitutto personale civile in congruo numero e con appropriata competenza: monitori dei diritti umani, specialisti nel settore dello sviluppo e dell’assistenza umanitaria, personale esperto in comunicazione e dialogo interculturale. L’intera missione UNIFIL deve tener conto dei bisogni fondamentali delle popolazioni che sono afflitte da violenza e da insicurezza. Serve dunque personale civile impegnato in un continuo processo di comunicazione, consultazione e dialogo con le autorità di governo locale, i gruppi e le organizzazioni della società civile, sindacali, religiose, i media locali.
L’Italia ha scommesso sull’Onu. Ora deve prendere l’iniziativa, ancora una volta con coraggio e determinazione, per costruire questa componente civile anche investendo parte delle proprie risorse economiche stanziate per la ricostruzione (gestite dal Ministero Affari Esteri) nelle stesse zone del sud del Libano in cui si trovano ad operare le forze militari dell’Onu.
L’iniziativa del governo italiano potrà contare sulla collaborazione e il contributo autonomo di numerose organizzazioni della società civile e di Enti Locali e riceverà un largo sostegno internazionale. L’attenzione alla dimensione umana delle operazioni di pace è infatti da tempo coltivata nell’ambito delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea per iniziativa di centri di studio universitari e di governi, tra i quali esemplare è quello del Canada.
E’ importante che tra questi civili ci sia anche un “difensore civico” o “mediatore” (ombudsman) che sorvegli il comportamento dei Caschi blu nei loro rapporti con la popolazione. Il difensore civico assegnato alla missione dovrebbe assicurare che i diritti fondamentali siano rispettati, in primo luogo dal personale militare impiegato ed essere responsabile delle indagini sulle denunce fatte dai cittadini del luogo riguardo abusi o infrazioni commesse dalla Forza di pace UNIFIL. La sua nomina dovrebbe essere di competenza del Parlamento Europeo, cui riferirebbe regolarmente e possibilmente anche ai parlamenti nazionali, sia su richiesta sia d’iniziativa se il caso presunto riguarda una specifica forza nazionale di sicurezza; potrebbe agire ulteriormente come “punto di informazione legale”, informando la popolazione locale sui diritti e doveri e sulle disposizioni giuridiche vigenti durante l’operazione.
Due possono essere gli strumenti per assicurare una forte presenza civile in Libano: il “Meccanismo di reazione rapida” dell’Unione Europea, già funzionante dal 2001 e il “Corpo di pace civile europeo”, di annosa preconizzazione e che potrebbe finalmente trovare una prima attuazione nel contesto dell’operazione di pace in Libano.
Tenuto conto che in passato funzionari delle Nazioni Unite hanno tenuto comportamenti che non sono conformi agli ideali e ai principi dell’Onu, con l’effetto di dare scandalo agli occhi dei più bisognosi, occorre che il personale civile da impiegare in questa che si preannuncia o comunque dovrebbe essere una operazione esemplare anche sotto il profilo del rilancio-rinnovamento delle Nazioni Unite, deve essere reclutato attingendo agli ambienti che sono più qualificati e attendibili: università (con specializzazione sui diritti umani) e reputate organizzazioni della società civile.
Il buon funzionamento della missione dell’Onu in Libano può facilitare l’indispensabile iniziativa politica dell’Europa e delle Nazioni Unite per costruire finalmente la pace in Medio Oriente e può aprire la strada a nuove missioni di pace a partire dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania.
Nota bene.
Il “Meccanismo di reazione rapida” (creato con Regolamento (CE) N. 381/2001 del Consiglio del 26 febbraio 2001), ha la funzione principale di mettere in grado l’UE, attraverso una celere erogazione di finanziamenti, di “rispondere in modo rapido, efficace e flessibile a situazioni d’emergenza o di crisi o a minacce di crisi”. Tale Meccanismo può essere attivato in quei paesi dove si verificano minacce all’ordine pubblico, alla sicurezza e alla incolumità delle persone o dove la situazione potrebbe degenerare in un conflitto armato o minacciare una destabilizzazione del paese o compromettere i benefici delle politiche e dei programmi di assistenza e di cooperazione. Tra le iniziative assunte dall’UE nel quadro del Meccanismo di reazione rapida si segnalano l’istituzione di una unità di polizia integrata a Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo, l’avvio di un programma di sostegno al processo elettorale e costituzionale in Iraq, il supporto mediatico al processo di pace in Liberia, il progetto per la promozione del negoziato e del dialogo e la riduzione del conflitto violento in Bolivia. E’ importante sottolineare che spetta alla Commissione europea decidere e attuare le azioni previste dal meccanismo di reazione rapida. I soggetti destinatari possono essere le autorità statali, le organizzazioni internazionali, le ONG e gli operatori pubblici e privati.
Da diversi anni si discute, soprattutto al Parlamento europeo e nella società civile, della creazione di un “Corpo di pace civile europeo” (CPCE), quale ulteriore strumento dell’UE per accrescere la sua azione esterna in materia di prevenzione dei conflitti e costruzione della pace dopo un conflitto. Nel 1999 il PE ha adottato una Raccomandazione, con la quale chiede al Consiglio di elaborare uno studio di fattibilità sulla possibilità di istituire un CPCE nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune. Nella Relazione che accompagna la Raccomandazione sono indicate le funzioni che tale Corpo dovrebbe svolgere: mediazione e rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti, aiuto umanitario, reintegrazione degli ex combattenti, sostegno agli sfollati, ai rifugiati e ad altri gruppi vulnerabili, ricostruzione, stabilizzazione delle strutture economiche, monitoraggio dei diritti umani, osservazione elettorale, creazione e sviluppo di istituzioni democratiche, educazione alla pace e ai diritti umani, dialogo interculturale. Il CPCE dovrebbe essere istituito dall’UE quale servizio specifico nell’ambito della DG Relazioni esterne ed operare sotto la sua autorità sulla base di un mandato dell’ONU o delle organizzazioni regionali (OSCE, OUA, OSA).
“In modo crescente, il mantenimento della pace richiede che i funzionari politici civili, i supervisori dei diritti dell'uomo, i funzionari elettorali, gli specialisti nell'ambito dei rifugiati e degli aiuti  umanitari e le forze di polizia giochino un ruolo centrale al pari dei militari.  Si è dimostrato sempre piu' difficile ottenere nei quantitativi richiesti il personale di polizia. Io  raccomando che siano riveduti e migliorati gli accordi per l'addestramento del personale per il  mantenimento della pace - civile, di polizia, o militare - utilizzando le varie potenzialità dei Governi  degli Stati Membri, delle organizzazioni non governative e le strutture del Segretariato”.
Boutros Boutros-Ghali, Segretario generale dell’Onu (1995)

Mercoledì, 6 Settembre, 2006 - 15:06

Chi Vuole firmare Petizione.....

ARABIA SAUDITA. IRACHENO DECAPITATO PER DROGA

4 settembre 2006: un cittadino iracheno, Muhammad Bin-Shalal Bin-Farhud al-Shammari, è stato decapitato in Arabia Saudita per traffico di droga.
Con quest’esecuzione diventano sei le persone messe a morte nel paese dall’inizio dell’anno.
Come già riportato da Nessuno tocchi Caino, lo scorso 28 agosto due militari sono stati decapitati nella città saudita di Arar per traffico di droga. Lo ha reso noto il Ministero degli Esteri, che identifica i giustiziati come Mueid bin Yahya Al-Waeli e Mehdi bin Hamad Al-Mansour. Di guardia lungo il confine con l’Iraq, i due sarebbero stati arrestati mentre trasportavano droga per mezzo di un veicolo.
L’Arabia Saudita ha un numero di esecuzioni tra i più alti al mondo, sia in termini assoluti che in percentuale sulla popolazione. Il record è stato stabilito nel 1995 con 191 esecuzioni.
Le esecuzioni nel 2004 sono state 38, il numero più basso nella storia degli ultimi anni, ma subito superato dalle almeno 90 esecuzioni effettuate nel 2005.

 
AFGHANISTAN. GIUSTIZIATO IN PUBBLICO DAI TALEBANI

2 settembre 2006: i Talebani hanno giustiziato in pubblico un uomo nella provincia afghana di Helmand, dopo averlo giudicato colpevole di omicidio.
L’esecuzione extra-giudiziaria è avvenuta nel villaggio di Safaar, nel distretto di Garmsir, alla presenza di decine di spettatori.
L’uomo è stato impiccato dopo che il leader talebano della zona ha pronunciato un lungo sermone.
E’ stato giustiziato – ha detto un esponente talebano, Qari Yousaf Ahmadi – per aver recentemente ucciso una persona innocente. Il padre della vittima avrebbe “chiesto giustizia”.
Il presunto assassino sarebbe stato arrestato dai talebani una settimana fa e processato da un tribunale religioso.
Per il portavoce dei talebani si tratta dell’11a esecuzione pubblica effettuata dagli “studenti di religione” nella provincia meridionale di Helmand dal 2001, anno in cui ha avuto termine il loro regime.
Il villaggio di Safaar – hanno confermato abitanti del luogo – si trova da tempo fuori dal controllo del governo afghano.
Da parte loro, funzionari del distretto hanno detto di non avere alcuna notizia dell’esecuzione extra-giudiziaria.
Non esistono statistiche ufficiali sulle esecuzioni effettuate in Afghanistan nel periodo dei talebani, ma nel solo 2001 almeno 68 persone, comprese due donne, sono state giustiziate.
Dal crollo del regime nel 2001, numerose condanne a morte sono state emesse ma il numero preciso è sconosciuto e le notizie variano dalle 11 rese pubbliche dai media alle 38 che sono state sottoposte all’approvazione presidenziale nel luglio del 2005.
Nel 2002, per la prima volta dopo moltissimi anni, non si sono registrate esecuzioni in Afghanistan e vi è stata una sola condanna a morte. Nel 2003, per il secondo anno consecutivo, non sono state effettuate esecuzioni.
Il 20 aprile 2004, è stata eseguita la prima condanna a morte comminata dalla caduta del regime dei talebani: un ex comandante militare, Abdullah Shah, condannato per più di 20 omicidi è stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco alla nuca nella prigione Pul-e-Charkhi, nella zona orientale della capitale, davanti a testimoni, tra cui rappresentanti della polizia e della Procura.
Nel 2005, non sono state registrate esecuzioni in Afghanistan. Una donna è stata lapidata, ma si è trattato di una esecuzione extra-giudiziaria, effettuata dal marito della donna a seguito di una decisione di un Mullah locale.
Il 2 marzo 2006 Human Rights Watch ha reso noto che dal 2001, oltre 25 sentenze capitali sono state inviate all’ufficio del Presidente perché decida se eseguirle o commutarle.

http://www.nessunotocchicaino.it/areautenti/firmaonline.php 

  Chi  vuole  firmare   petizione!!

Mercoledì, 6 Settembre, 2006 - 13:28

Area Metropolitana e Decentramento

Sono un po' demoralizzato, mi sono ricandidato nella speranza di poter arrivare all'Area Metropolitana dove i Cons. Di Zona potessero avere molta più voce in capitolo, dall'andazzo che vedo e dal programma presentato dalla maggioranza mi sembra non si voglia fare nulla di ciò.

Allego, come tema di riflessione, un link dove è pubblicato un mio documento in proposito, da notare che è stato scritto quattro anni fa ma con piccole modifiche è più che mai
valido oggi.

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