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Venerdì, 14 Settembre, 2007 - 00:31

Ma a Milano la cultura dove sta andando?

Della cultura non si dice niente. Un incontro promosso alla Festa de L'Unità a fine agosto aveva questa titolazione che, a parere del sottoscritto, era abbastanza esemplificativa della situazione politica culturale della Giunta e dell'amministrazione di centrodestra. Non potevo che considerarmi concorde sul significato del titolo stesso. La cultura è occasione di crescita della città: in senso civile, sociale, politico. E' vero: ma nel passato esistevano, come dice Fontana, strutture istituzionali. Esisteva nel 1921 la Fondazione Scala, come Enete autonomo, nel 1947 viene costituito il Piccolo Teatro. Si faceva sistema: è vero, come testimoniano le grandi linee progettuali della politica culturale o, meglio, della cultura politica, dato che la cultura deve essere essa stessa programma, progetto di una nuova società, rinnovata, riformulata, rivista, riletta, costituita e ricostituita, rigenerantesi civilmente. Oggi abbiamo l'assenza di questa visione complessa che è innata nella dimensione del fare cultura. Le nuove generazioni di artisti e di uomini di cultura, di impegno intellettuale, sono abbandonate da un potere che gestisce la cultura come momenti continui di pura ostentazione dell'effimero, della superficialità finalizzata a sè stessa, a volte al guadagno, a volte a rendere plateale quello che è altamente evanescente, esetmporaneo. Abbiamo la cultura dei grandi slogan, delle grandi boutade, dei "ballon d'essay", delle promesse esternate e, poi, subito, di seguito, ridimensionate, inevase, come insegnano i terribili precedenti del sostegno al Festival Gay Lesbico o della mostra "Vade retro". Abbiamo l'esempio di come spesso la cultura diventi solamente "elargizione" di beni e di contributi fortemente cospicui a realtà amiche, clientelamrnete vicine, che assicurano forte sostegno a un'assenza esautorante di cultura politica o poliica culturale. Dov'è la progettualità? Non esiste nessun tipo di pianificazione che dia a Milano una visione complessiva, generale, più completa di dimensione internazionale di cosa si intenda per cultura oggi, garantendo l'istituzione di laboratori, di confronti tra ispirazioni ed estri differenti, di incontro tra diverse tipologie di tagli interpretativi della realtà, riletta nell'ottica dell'artista che distrugge, crea e ripropone sotto l'ottica dell'innovatore del sentimento civile. Io penso drammaticamente a un fatto: in Europa esistono esperimenti anche azzardati, ma scommesse, quindi evolutive nella loro dimensione e struttura, che consistono nell'affidare a giovani compagnie teatrali la gestione artistica di grandi teatri, oppure a giovani registri la gestione di agenzie per la promozione del cinema, oppure, infine, giovani letterati nella gestione di festival internazionali di letteratura. A Milano abbiamo perpetui alla guida di epicentri della cultura: questo determina, se non ridimensionato, non sotto la prospettiva dello scontro intergenerazionale ma, bensì, sotto l'ottica della fiducia nella capacità dei nuovi, guidate dalle esperienze dei più vecchi, l'esaurimento delle spinte riformatrici e rifondatrici del fare e concepire cultura oggi e della sua funzione nella società attuale.
I giovani, dice Fontana, sono abbandonati a una "beata solitudo". Esiste come una forza oscura che ci protegge dal futuro, dal cambiamento, dalla rifomulazione e dalla messa in discussione in senso sperimentale dei canoni tradizionali e tipici su cui si struttura la conservazione culturale e asfittica, di cui Milano soffre: come disse un dirigente del regime dittatoriale di Salazar a proposito della forza populisitca del proprio duce, come ricorda Filippo Del Corno, musicista di dimensioni rilevanti.Ha ragione Del Corno a ricordare come la cultura conservativa di un Carrubba avesse ingessato la proposta culturale: ma pur sempre di proposta si poteva parlare. Oggi non esiste proposta, come non esiste la dimensione di una cultura come basamento fondativo di una società libera, dell'ascolto, del confronto, della solidarietà, della tolleranza, della giustizia. Dell'uomo al centro dello sviluppo: della sostenibilità del sistema, come lo è un'opera architettonica, come lo è un'opera urbanistica, come lo è un quadro, che fa pensare, che rende lo spettatore conoscitore del proprio io in relazione al resto della realtà. Non si riesce a comprendere a Milano quanto la cultura possa essere fonte di investimento, ossia di opportunità di trasformazione urbana e di arricchimento economico e sociale della città, nell'età del post fordismo, del post industrialismo, delle aree dismesse. Esistono a Milano centri di eccellenza? Strutture atte a ospitare grandi eventi continuativi e costanti, programmatici, di arte e di cultura mondiale: non esistono spazi, ha ragione e convergo con l'assessora alla cultura della Provincia di Milano, Daniela Benelli. Dove sono gli investimenti nelle risorse umane e intellettuali che compongono lo scenario culturale e artistico? Non esistono opportunità e garanzie per chi vuole diventare protagonista del mondo dell'arte, di un grande progetto di trasformazione della città e in un'ottica di valorizzazione del terrtorio, dei territori, delle loro sociologie, di comprensione della sua caratteristica civica e politica. Il bene stare è anche sinonimo di bene vivere: ossia è sinonimo di un percorso che rende la città vivibile, a musira d'uomo, socialmente e umanamente sostenibile.
Esiste un fuga dei talenti, delle risorse intellettuali che potrebbero essere motore di un progetto di cultura come servizio per la cittadinanza, una nuova cittadinanza della consapevolezza e della responsabilizzazione. Non esiste la conoscenza culturale delle risorse che vivono il territorio, ma che sono soffocate, silentite da un ammasso di eventi di grido, di estemporanee kermesse, di meteoritici avvenimenti e iniziative effimere ed estemporanee, spesso cattedrali in un deserto di proposte e di continuità di progettualità culturale: dove sono le idee? Ma, soprattutto, cosa significa, come spesso fatto da Sgarbi, parlare di "economia di scala" nella promozione artistica? L'amministrazione non deve essere espressione di un consiglio di gestione di società di organizzazione di eventi ma, bensì, deve essere stimolatrice di programmi e garante di spazi autonomi e autogestiti di laboratori culturali. L'amministrazione deve creare la rete tra eccellenze, divenendo protagonista di un percorso di investimento nella fase dello start up, nella fase iniziale di costruzione di sostegni e di scommessa verso le nuove energie, sono molte, che affiorano e che attendono di essere considerate. Ha ragione Daniela Benelli quando denuncia a Milano l'assenza di strutture adeguate, quali biblioteche, musei, spazi, show room, laboratori diffusi, atti a dare albergo permanente a momenti artistici costruttivi e arricchenti.
A Torino abbiamo gli ecomusei che rappresentano progetti di interventi di archeologia industriale rivista e rivisitata, mentre a Roma le municipalità aprono luoghi di produzione artistica innovativa e sperimentale e a Firenze artisti e cittadini si mettono insieme per approvare momenti di conoscenze artistiche collegialmente definite e partecipate. A Milano dove sono queste risorse? Vogliamo attendere e investire dove già la pioggia cade sul bagnato? Vogliamo lasciare che le eccellenze intellettuali abbandonino una città che, se non consente il sostegno alla libera espressione dei pensieri e alla loro circolazione, rischia di implodere in una terribile era della decadenza?

Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

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