Anne Penketh e Kim Sengupta, apparso sul giornale britannico "The
"Non voglio morire, voglio andare a scuola", dice Jamal, un bimbo libanese di quattro anni terrorizzato dal bombardamento del suo paese. "Casa", per Jamal, e' ora un centro profughi nella citta' di Jezzine, nel sud del Libano, dove la sua famiglia e' fuggita per salvarsi. "Il picnic l'abbiamo fatto, adesso vogliamo andare a casa", dice un altro bambino, nel campo per rifugiati sito nei giardini pubblici di Sanayeh, a Beirut. "Siamo stanchi e spaventati, vogliamo andare a casa", ribadisce un altro. Queste sono le voci degli spossessati del Libano, le centinaia di migliaia di bambini il cui mondo e' cambiato per sempre nei pochi secondi che seguono l'esplosione di una bomba. "Mamma, cosa vuol dire massacro?", domanda un terzo piccino. Sono circa 300.000 i bambini libanesi resi profughi alla terza settimana della guerra di Israele contro Hezbollah: si tratta di un terzo sul totale delle persone che hanno abbandonato le proprie case. In molti casi sono stati i volantini israeliani ad ordinare loro di andarsene. Vivono ora in campi all'aria aperta, come quello del parco di Beirut, o nelle scuole trasformate in rifugi. Numerosi bambini sono stati ospitati da famiglie estranee; nel porto di Sidone, a 48 chilometri dalla capitale, questi piccoli ospiti sono il 40% dei 22.700 bambini profughi arrivati sul posto. Il resto si trova nei centri di accoglienza. Deborah Haines, una volontaria dell'ong "Save the Children" presente a Sidone, dice che i bambini stanno soffrendo uno stress enorme: "Sebbene alcuni possano ancora giocare all'aperto ci sono tutti i problemi relativi alla loro sicurezza. Molti sono sconvolti dall'essere lontani da cio' che era familiare, come i loro giocattoli. I genitori non hanno avuto il tempo o il modo di arrangiare le cose per i bambini". Parecchi dei bambini profughi presenti nei campi stanno agendo in modo aggressivo, si impegnano in zuffe e litigi, un segno della pressione che vivono e che si manifesta anche nel pianto continuo, nel bagnare il letto la notte e negli incubi. I bambini che sono ospitati da famiglie non stanno necessariamente meglio, dice Haines: "Ci sono tensioni, ovviamente: devono aver il tempo di abituarsi a vivere con degli estranei". Rania al-Ameri, una psicologa per l'infanzia libanese che sta lavorando con i giovani profughi aggiunge: "Hanno disperatamente bisogno di aiuti, perche' sono quelli che stanno soffrendo di piu'. Molti hanno perduto oltre alla casa dei membri della famiglia. Sono profondamente traumatizzati". Le scuole sono divenute la scelta piu' semplice per organizzare centri per via delle vacanze, che in Libano terminano il 15 settembre. Ma in questi luoghi l'acqua sta diventando di cattiva qualita', le docce, quando ci sono, sono superaffollate, e gli impianti igienici ormai intasati. Oltre alle necessita' materiali di base, come i materassi, i bambini hanno bisogno di frutta fresca e di verdura per una nutrizione bilanciata. Ma "In alcuni campi di Tiro la gente ha bisogno di cibo e basta", dice il volontario di "Save the Children" Jeremie Bodin, ìIl trauma ha significato che le donne che allattavano hanno perso il latte, percio' abbiamo bisogno di alimenti sostitutivi, e di pannolini, perche' ci sono infanti a cui non sono stati cambiati per giorni e giorni". Emergendo dalla cantina, dove ha vissuto le ultime tre settimane, Ali, di nove anni, racconta: "Mio padre e mia madre sono andati con le mie sorelle e i miei fratelli in un'altra citta'. Hanno detto che vengono a prendermi quando le bombe finiscono". Dopo l'ennesima esplosione nei paraggi ci guarda e dice: "Perche' Israele ci sta colpendo? Ci odiano? Mio cugino mi ha detto che le bombe nucleari sono grandissime. Sono grandi come questi razzi?".
Anne Penketh e Kim Sengupta, apparso sul giornale britannico "The