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.: Il Blog di Donatella Elvira Camatta
Martedì, 8 Agosto, 2006 - 09:35

Anne Penketh e Kim Sengupta, apparso sul giornale britannico "The

 

"Non voglio morire, voglio andare a scuola", dice Jamal, un bimbo 
libanese
di quattro anni terrorizzato dal bombardamento del suo paese. "Casa",
per
Jamal, e' ora un centro profughi nella citta' di Jezzine, nel sud del
Libano, dove la sua famiglia e' fuggita per salvarsi. "Il picnic
l'abbiamo
fatto, adesso vogliamo andare a casa", dice un altro bambino, nel campo
per
rifugiati sito nei giardini pubblici di Sanayeh, a Beirut. "Siamo
stanchi e
spaventati, vogliamo andare a casa", ribadisce un altro.
Queste sono le voci degli spossessati del Libano, le centinaia di
migliaia
di bambini il cui mondo e' cambiato per sempre nei pochi secondi che
seguono
l'esplosione di una bomba. "Mamma, cosa vuol dire massacro?", domanda
un
terzo piccino.
Sono circa 300.000 i bambini libanesi resi profughi alla terza
settimana
della guerra di Israele contro Hezbollah: si tratta di un terzo sul
totale
delle persone che hanno abbandonato le proprie case. In molti casi sono
stati i volantini israeliani ad ordinare loro di andarsene. Vivono ora
in
campi all'aria aperta, come quello del parco di Beirut, o nelle scuole
trasformate in rifugi. Numerosi bambini sono stati ospitati da famiglie
estranee; nel porto di Sidone, a 48 chilometri dalla capitale, questi
piccoli ospiti sono il 40% dei 22.700 bambini profughi arrivati sul
posto.
Il resto si trova nei centri di accoglienza.
Deborah Haines, una volontaria dell'ong "Save the Children" presente a
Sidone, dice che i bambini stanno soffrendo uno stress enorme: "Sebbene
alcuni possano ancora giocare all'aperto ci sono tutti i problemi
relativi
alla loro sicurezza. Molti sono sconvolti dall'essere lontani da cio'
che
era familiare, come i loro giocattoli. I genitori non hanno avuto il
tempo o
il modo di arrangiare le cose per i bambini". Parecchi dei bambini
profughi
presenti nei campi stanno agendo in modo aggressivo, si impegnano in
zuffe e
litigi, un segno della pressione che vivono e che si manifesta anche
nel
pianto continuo, nel bagnare il letto la notte e negli incubi. I
bambini che
sono ospitati da famiglie non stanno necessariamente meglio, dice
Haines:
"Ci sono tensioni, ovviamente: devono aver il tempo di abituarsi a
vivere
con degli estranei".
Rania al-Ameri, una psicologa per l'infanzia libanese che sta lavorando
con
i giovani profughi aggiunge: "Hanno disperatamente bisogno di aiuti,
perche'
sono quelli che stanno soffrendo di piu'. Molti hanno perduto oltre
alla
casa dei membri della famiglia. Sono profondamente traumatizzati".
Le scuole sono divenute la scelta piu' semplice per organizzare centri
per
via delle vacanze, che in Libano terminano il 15 settembre. Ma in
questi
luoghi l'acqua sta diventando di cattiva qualita', le docce, quando ci
sono,
sono superaffollate, e gli impianti igienici ormai intasati.
Oltre alle necessita' materiali di base, come i materassi, i bambini
hanno
bisogno di frutta fresca e di verdura per una nutrizione bilanciata. Ma
"In
alcuni campi di Tiro la gente ha bisogno di cibo e basta", dice il
volontario di "Save the Children" Jeremie Bodin, ìIl trauma ha
significato
che le donne che allattavano hanno perso il latte, percio' abbiamo
bisogno
di alimenti sostitutivi, e di pannolini, perche' ci sono infanti a cui
non
sono stati cambiati per giorni e giorni".
Emergendo dalla cantina, dove ha vissuto le ultime tre settimane, Ali,
di
nove anni, racconta: "Mio padre e mia madre sono andati con le mie
sorelle e
i miei fratelli in un'altra citta'. Hanno detto che vengono a prendermi
quando le bombe finiscono". Dopo l'ennesima esplosione nei paraggi ci
guarda
e dice: "Perche' Israele ci sta colpendo? Ci odiano? Mio cugino mi ha
detto
che le bombe nucleari sono grandissime. Sono grandi come questi
razzi?".