Ancora Metroweb.....
Vorrei raccontarvi come è andato il consiglio comunale straordinario chiesto dalla opposizione per discutere della faccenda di Metroweb e avvenuto giovedì 12 ottobre.
Si inizia tardi, come sempre…mai in orario. Aspettiamo il Sindaco; tocca a lei l’apertura dei lavori con la presentazione della posizione comunale su tutta le vicenda e la spiegazione delle scelte fatte.
Finalmente si comincia. Sono circa le 17.00.
Legge.
Non vi sto a raccontare il contenuto: sono esattamente le cose che abbiamo letto e continuiamo a leggere sui giornali sia per quanto riguarda le strategie sia per ciò che concerne il metodo seguito. Nulla di nuovo ovviamente, ma per di più piuttosto noioso.
La lettura finisce dopo un quarto d’ora circa e inizia il ballo degli interventi. I primi ad iscriversi a parlare sono i consiglieri della minoranza. Si comincia. Primo intervento: ben preparato, si vede che ha studiato….d’altra parte è anche un esperto di cose societarie)…..ma…non finisce mai. Sì, perché dovete sapere che in questo tipo di consigli chi interviene ha diritto a parlare fino ad un massimo di 75 minuti (un’ora e un quarto!!!!!). E i primi interventi li usano tutti…ma anche quelli che seguono: ognuno vuole dimostrare di esserci, sia in quanto rappresentante di partito, sia in termini individuali.
Purtoppo, però, agli interventi della opposizione si alternano anche quelli della maggioranza che, per lo più, non hanno assolutamente nulla da dire: devono però dimostrare al Sindaco la loro lealtà prostrandosi ai suoi piedi e raccontando quanto lei sia brava, quanto bene voglia lla città e come tutto diventerà stupendo sotto la sua regia.
E gli interventi continuano. Potete immaginare come, man mano che gli interventi aumentano di numero, diminuiscano le cose da dire oppure, vengono dette esattamente le stesse cose degli interventi precedenti.
Insomma, arriviamo così alle 21.00 (ed andata bene perchè non tutti hanno saputo parlare per tutto il tempo disponibile).
E adesso che cosa succede….ci si aspetta che il Sindaco replichi; insomma che dica qualcosa (formale o sostanziale che sia)
Scena surreale: lei tace, tutti tacciono e aspettano qualcosa….fino a che – sorpresa!!!!!- il presidente del consiglio comunale invita a passare all’esame delle due delibere urbanistiche previste per la serata.
Dai banchi dell’opposizione si scatena il finimondo: ma come, non dice niente?
Prende la parola il capogruppo di FI che ci spiega come il regolamento comunale non preveda una replica. Se il sindaco vuole, può farlo; se non vuole, ne ha il diritto.
Altro putiferio e urla da una parte e dall’altra.
Lei osserva dal suo scranno con un sorrisino sardonico…fino a quando…si alza e se ne va….Così, come se niente fosse.
Lo sconcerto è grande anche perchè la prassi pare proprio che preveda sempre una replica…..ma non è finita. A questo punto i consiglieri della maggioranza se ne vanno….in aula manca il numero legale…..noi tapini dell’opposizione siamo tutti presenti pronti a proseguire i lavori (le delibere urbanistiche che, peraltro, fanno parte di un consistente accumulo lasciato dalla giunta Alberini)…ma non si può votare. Il presidente del consiglio comunale , un po’ sconcertato fa rifare l’appello per verificare il numero legale Niente da fare: siamo in 27 (24 dell’opposizione). Bisogna rimandare al prossimo consiglio continuando ad accumulare ritardi ..
Sono le 21.40
Questo un succinto quadretto di un piacevole pomeriggio di autunno al consiglio comunale di Milano. Incredibile: più di 4.30 completamente inutili, buttate via…ma quel che è peggio con la assoluta consapevolezza che non puoi fare nulla. Attualmente queste sono le regole in campo.
Suggerimenti?
UNA VOCE SCOMODA, Silenzi COMODI
La Cecenia è il nodo che collega e ingigantisce tutti i mali che affliggono la Russia: arbitrio, corruzione, xenofobia, crisi economica, disagio sociale, degrado del sistema giudiziario e dell'esercito. Anna si è tuffata a fondo nel tentativo di fare chiarezza su quel nodo complesso e per anni ha rischiato la vita senza mai smettere di denunciare la "guerra sporca" e di parlare ai suoi cittadini, ai potenti, al mondo.
Il ruolo dell'informazione durante la prima guerra cecena era stato determinante per mobilitare l'opinione pubblica e giungere agli accordi che nel 1996 avevano messo fine ad una guerra impopolare. Il Cremino ha fatto tesoro della lezione e con la seconda campagna, dal 1999, ha efficacemente impedito in tutti i modi l'informazione libera nel Paese e soprattutto la documentazione delle violazioni dei diritti umani nella Repubblica Cecena. Anna iniziò ad occuparsi di Cecenia proprio quando farlo diventava ancora più rischioso e con gli anni la sua figura era diventata un punto di riferimento internazionale, non solo come giornalista ma anche come difensore dei diritti umani.
Se qualcosa del conflitto ceceno è trapelato, moltissimo è merito del suo lavoro, della sua professionalità e tenacia, e della sua passione per il suo popolo e per la libertà.
Anna amava moltissimo il suo Paese, per questo non poteva stare zitta. C'era chi non voleva sentirla, chi aveva paura di ascoltarla, chi non era in grado di reggere la pesantezza delle sue denunce, così contrastanti con la versione ufficiale del Cremlino e della televisione. E c'era chi la ammirava: per tanti costituiva un esempio di impegno e coraggio.
Ma forse Anna è stata uccisa anche dai colleghi che l'hanno lasciata sola a raccontare quello che anche loro avrebbero dovuto raccontare, quelli che hanno preferito diventare cronisti di corte e hanno abdicato alla loro dignità di giornalisti. Sembrava che il suo nome, la sua notorietà e il suo essere al di sopra delle parti e contro tutte le forme di violenza fossero in grado di proteggerla, e forse per molto tempo è stato così.
Anna è stata uccisa in pieno centro a Mosca, nell'androne di casa sua. Oggi più che mai la Cecenia non è solo un posto pericoloso in cui andare, ma anche e soprattutto un argomento pericoloso di cui scrivere o anche solo parlare, indipendentemente da dove ci si trovi.
Silenzio in patria e dall'estero espressioni di sdegno, anche dai tanti leader che si vantano dell'amicizia personale di Putin e portano la loro parte di responsabilità nel non aver mai affrontato la questione dei diritti umani in Russia, nell'aver lasciato che la Cecenia divenisse una "tragedia dimenticata". Quante persone dovranno morire prima che l'Europa passi all'azione dopo aver preso coscienza di quello che sta succedendo in Russia e in Cecenia?
Il mondo intero reclama a gran voce indagini chiarificatrici e accurate che svelino i colpevoli e le responsabilità. Ma per avere ottimismo in merito occorrerebbe negare l'evidenza, e dimenticare i depistaggi che hanno circondato gli attentati di Mosca dell'autunno '99, le omissioni che circondano i terribili eventi del Nord-Ost (il sequestro del teatro di Mosca) e le verità nascoste della tragedia di Beslan. E non c'è più Anna ad indagare con la sua tenacia, a dare voce ai testimoni, ai superstiti, ai parenti, a tutti i dimenticati dopo le tragedie che hanno sconvolto il mondo intero.
Anna è andata al cuore delle questioni, mostrando alla Russia e al mondo le tante drammatiche conseguenze del conflitto intricato, gli attori che ne traggono profitto così come le vittime, da entrambe le parti, documentando con rigore e professionalità ogni sua singola affermazione, ogni sua denuncia, ogni più piccolo avvenimento.
Ci ha insegnato i motivi per cui i diritti umani in Russia e specialmente in Cecenia dovrebbero preoccupare tutti noi.
Aveva dato voce alle madri dei soldati russi, all'abbandono, da parte dello stato che avevano servito, dei propri figli con terribili ferite fisiche e traumi psicologici, del loro divenire pericolosi per sé stessi e per la società, sbandati, alcolizzati, violenti. Aveva raccontato il degrado del sistema militare, i pestaggi, le violenze. Andando avanti nonostante l'odio e a volte le minacce dei militari a causa del suo lavoro in Cecenia.
Aveva dato voce ai ceceni, entrando clandestinamente nel Paese e spiegandoci che per far sentire parte della Federazione Russa un popolo stremato sin dalle deportazioni di Stalin degli anni '40, e ora decimato da un decennio di guerra, ci vuole ben altro che una costituzione scritta a Mosca, elezioni farsa in odore di brogli e signori della guerra che nascosti dietro alte cariche dello stato sguinzagliano bande armate irregolari che terrorizzano il Paese, lasciandolo in un clima di paura che terrorizza quanto le bombe.
La vita e gli scritti di Anna Politkovskaya dimostrano senza mezzi termini che l'umanitarismo militare in realtà è solo la faccia pulita del terrorismo di stato. "Terrorismo di stato contro terrorismo di gruppo", l'aveva definito.
Anna ha tentato fino alla fine di mettere questa drammatica realtà sotto gli occhi dei cittadini russi e dei potenti che li manipolano nascondendosi dietro la vuota retorica della guerra. Ora che manca una delle menti piu' lucide e coraggiose della Russia, il futuro della Federazione sembra ancora più buio.
Chiunque sia stato il vero mandante di questo omicidio a sangue freddo, la sparizione di questa voce scomoda è stata sicuramente un ottimo regalo di compleanno per Putin e per i suoi pretoriani in Cecenia. E far emergere la verità sulle vittime di tutti i terrorismi, di stato e di gruppo, senza di lei sarà ancora più difficile.
Maddalena Parolin
TFR Un furturo da mendicanti
19 Ottobre 2006
Un futuro da mendicanti
TFRsignifica Trattamento di Fine Rapporto. Sono i soldi che mettiamo da parte per la nostra vecchiaia. O in caso di perdita del lavoro. Un investimento per il futuro, per le emergenze. Un salvagente sempre più pesante, importante, ogni anno che passa.
Una cosa va chiarita: sono soldi nostri. Il datore di lavoro li tiene in banca per noi. Non appartengono allo Stato, non all’azienda, non alle banche. Se ci rompiamo le balle e ci licenziamo finiscono dritti dritti sul nostro conto corrente. Se vogliamo comprare casa possiamo chiederne una parte. Se ci vengono gli incubi di notte per l’Italia che si inabissa (con noi sopra) il TFR è un piccolo sollievo. Una brezza gentile che ci fa riprendere sonno.
L’Inps è ormai una vecchia baldracca che nessuno paga più. I soldi che le abbiamo dato, quando era più attraente di adesso (sempre un cesso, ma almeno più giovane) non li ha più. La dava, li dava, a tutti. Le pensioni si devono però pagare. Se non si pagassero in Italia ci sarebbe la Rivoluzione. Altro che Argentina. Cadrebbero, metaforicamente o meno, molte teste nei cesti. La valutazione del Governo di trasferire con destrezza il 50% del TFR all’Inps è un chiaro segnale al Paese: “Nessuno, se paga le tasse, è intoccabile”. Accompagnato da un’altro: “L’Inps è fallita”. E ancora da un altro: “Ciò che è dei cittadini è proprietà dello Stato”.
Tutti sanno che le aziende usano in parte il piccolo, o grande, capitale dei TFR dei dipendenti per finanziarsi. Non ci nascondiamo dietro a un dito: le banche finanziano Tronchetti o Benetton, ma non la media e piccola impresa. E a questa sarà sottratto il TFR. All’unica parte del Paese che produce ancora qualcosa. Ma non è meglio dichiarare bancarotta? Sarebbe più onesto. Un punto fermo e si riparte, invece di sprofondare in una palude quotidiana fatta di Cimoli che resiste (ma cosa resiste a fare?), di Tronchetti che si rafforza e di Benetton che vuole aumentare i pedaggi. Perchè questa, e non altro, è oggi l’economia dell’Italia.
Liberare Gabriele Torsello....
LIBERARE GABRIELE TORSELLO, LIBERARE L'AFGHANISTAN DALLA
GUERRA
[Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance,
collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni
dei
diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006]
Che cessi il rapimento di Gabriele Torsello, che possa tornare subito
libero, sano e salvo.
Che cessi la guerra afgana.
Salvare occorre tante vite umane: ciascuno faccia la sua parte.
Rompiamo il silenzio......chiudiamo i CPT
Sono ormai oltre 3 milioni gli uomini e le donne immigrati in Italia, di cui un quarto circa in Lombardia, arrivati per cercare un lavoro e un futuro migliore. Sono profughi di un sistema economico internazionale che ingabbia la maggior parte dell’umanità nella povertà, mentre consegna sempre più ricchezze a una ristretta minoranza.
L’Italia è già multietnica e la costruzione di una società multiculturale potrebbe essere una grande opportunità. Invece, le politiche sin qui praticate trattano i cittadini stranieri esclusivamente come un problema di ordine pubblico e come manodopera a basso costo e senza diritti. Così il 75% delle risorse pubbliche spese in Italia in materia di immigrazione sono destinate a misure repressive, mentre non esistono canali di regolarizzazione, se non l’attesa dell’ennesima sanatoria, dichiarata o mascherata. Il risultato non è certo la diminuzione dei flussi migratori, bensì l’allargamento della condizione di clandestinità, la diffusione di situazioni di abuso e sfruttamento e l’assenza di politiche di accoglienza e di diritti di cittadinanza. Una negazione di diritti che colpisce specificamente i cittadini stranieri, ma che provoca una progressiva erosione dei diritti e delle tutele per l’insieme della società italiana, a partire dai ceti popolari e dai lavoratori.
Simbolo e paradigma di questo approccio securitario e del doppio binario giuridico che ne consegue sono i cosiddetti Cpt, i centri di permanenza temporanea, dove cittadini stranieri non in regola con il permesso di soggiorno possono essere segregati fino a 60 giorni, senza aver commesso alcun reato e senza mai vedere alcun giudice ordinario. Sono delle vere e proprie carceri amministrative su base etnica, dove vigono delle regole che si collocano al di fuori dalla nostra Costituzione. A Milano ce n’è uno in via Corelli, nascosto alla vista della città dal ponte della tangenziale e da alti muri.
Dicono che i Cpt non sono carceri, chiamano i detenuti “ospiti” e affermano che sono strutture “necessarie” e che non c’è nulla da nascondere. Eppure, sono coperti da segretezza più di un supercarcere. Un’omertà istituzionale che fa sì che la stragrande maggioranza dei cittadini non sappia cosa siano, cosa vi accada e quanto costino.
Siamo convinti che strutture del genere non siano compatibili con i principi democratici e che vadano chiusi insieme alla stagione delle leggi repressive, cominciando con l’abrogazione della Bossi-Fini.
E siamo altrettanto convinti che occorre urgentemente porre fine all’omertà istituzionale, permettendo così ai cittadini di poter sapere. Ecco perché avevamo chiesto al Prefetto di Milano di rendere pubblici tutti i dati relativi al Cpt di via Corelli, ricevendo però un diniego totale di fonte ministeriale.
Riteniamo sia inaccettabile continuare a negare la trasparenza e pretendere poi di assumere decisioni politiche sulla base di una presunta “necessità”. Invitiamo quindi le organizzazioni sociali, i movimenti, le forze politiche, i cittadini e le cittadine a partecipare alla mobilitazione presso il Cpt di via Corelli.
SABATO 28 OTTOBRE - ORE 15.00
appuntamento in p.zza San Gerolamo (inzio cavalcavia Buccari)
MILANO
prime adesioni:
Arci Milano - Arciragazzi Milano - Bastaguerra Milano - Centro delle Culture - Comitato Intercomunale per la Pace del Magentino - Coordinamento Immigrati Bergamo - Coordinamento nord sud del mondo – Fiom Milano – Naga - Opera Nomadi Milano - Rivista Guerre&Pace – SinCobas - Giovani Comunisti Milano - Associazione Sinistra Rossoverde - Partito della Rifondazione Comunista Milano - Partito Umanista
Franco De Alessandri (segr. gen. Fillea-Cgil Lombardia) - Tommaso Vitale, Alberto Giasanti (Università di Milano Bicocca) - Andrea Membretti (Università di Pavia) - Bruno Cousin (dottorando in Sociologia)
info e adesioni: cittapertutti@yahoogroups.com
Muhammad Yunus il nobel all ìnventore del microcredito
intervista ad Amir su telelombardia
Ciao a tutti, Martedì sera a Milano Amir è stato
invitato da una importante rete locale TELELOMBARDIA, a partecipare ad una
trasmissione in diretta (tipo talk-show), con politici dei due schieramenti,
sul tema della revisione della Bossi-Fini. Il programma inizia alle 20,00 e
finisce alle 23,00. Per chi ha il decoder Sky è visibile sul canale 901.
Sintonizzatevi!! ciao
La guerra di Anna
Si diceva e si scriveva, con pazienza, che dopo il sangue sarebbe venuta la legge, perché anche i nuovi padroni ne avrebbero avuto bisogno per godere finalmente dei beni acquisiti. La violenza avrebbe avuto una fine, prima o dopo.
L'assassinio di Anna Politkovskaja dice crudamente che il tempo della legge non è ancora arrivato a Mosca. E' ancora guerra per bande, sicuramente non del tutto nuove, che tornano a mandare i sicari negli androni dei palazzi moscoviti - se si tratta dei meno abbienti - o agl'incroci delle grandi vie d'uscita dalla città verso le dacie lussuose immerse nei boschi tutto attorno, vigilate da alte mura di cemento, da telecamere sempre accese, da guardie del corpo numerose e bene armate. E' toccato a un grande banchiere di stato poche settimane prima che alla giornalista Politkovskaja. Due assassini eccellenti, sicuramente diversi per movente e mandante, ma la logica è una sola. Le questioni irrisolte si regolano privatamente a colpi di piombo. Per un banchiere servono raffiche di mitra, e non poche. Per Anna sono bastati due colpi di pistola: il secondo a Mosca lo chiamano, in gergo tecnico, «kontrolnij», di controllo, per verificare che la vittima sia morta per davvero. Anna Politkovskaja è finita così, ieri, nell'ascensore della Via Lestnaja, in pieno centro di Mosca.
Lei non aveva partecipato alla divisione del malloppo statale. Lei aveva raccontato come «quelli», dopo essersi scannati tra di loro, avevano organizzato le guerre di Cecenia, per far credere ai russi che tutelavano i loro interessi, che volevano ripristinare la grandezza perduta del Paese. Ma dire la verità sulla Cecenia, andare laggiù - come lei fece tante volte - per raccontare come i diritti umani di un popolo venivano schiacciati, era pericoloso. A 48 anni, dopo essere stata cronista della perestrojka, e aver tifato per coloro che la perestrojka tradirono, l'aveva scampata più d'una volta. In Cecenia doveva arrivarci, negli ultimi anni, in segreto, per quanto possibile. I militari non gradivano quel tipo di testimoni non «embedded», che poi scrivono per giornali, come la «Novaja Gazeta», rimasti come un'isola di critica in un oceano di silenzio. I palazzi dei poteri, pubblici e privati, non gradiscono i ficcanaso che rovistano nei loro affari. Nei Paesi «civili», di regola i giornalisti scomodi li si ferma con l'uso improprio delle leggi. Il vantaggio, per chi ha voglia di dire la verità è che, se anche non ci riesce del tutto, almeno rimane vivo.
In Russia, vent'anni dopo Gorbaciov, i giornalisti li si ferma «spegnendoli», come avrebbe detto Niccolò Machiavelli, secondo il vecchio criterio staliniano, che un uomo morto è un problema chiuso. Aveva «offeso» molti, sicuramente troppi. Ma non è probabile che l'abbiano ammazzata per vendetta. Anna Politkovskaja stava forse inseguendo una traccia delle sue. Il suo libro sulla «Russia di Putin» le ha dato fama in Occidente e un sacco di guai in casa. La Cecenia l'ha raccontata meglio di chiunque altro. Aveva altre cose da dire. L'hanno tolta di mezzo prima ch
e le dicesse.
Iran sospesa l'esecuzione di Kobra
Kobra Rahmanpour
13 ottobre 2006: l’esecuzione in Iran di Kobra Rahmanpour è stata sospesa, per consentire ai familiari della persona uccisa di decidere se perdonarla o meno, rende noto l’avvocato della ragazza, Abdolsamad Khorramshahi.
Kobra, 24 anni, è stata condannata a morte nel 2002 per l’omicidio della suocera, avvenuto due anni prima.
“L’Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi, massima autorità giudiziaria del paese, non ha firmato l’ordine di esecuzione”, ha detto l’avvocato, aggiungendo che si tratta della seconda sospensione.
Tuttavia – continua l’avvocato - se i familiari della vittima non concederanno il perdono, l’impiccagione sarà inevitabile.
“La solidarietà internazionale nei confronti di questa giovane donna ha giocato un ruolo essenziale nella decisione di Shahroudi, ma ora l’opinione pubblica internazionale deve rivolgere la propria attenzione ai familiari della persona uccisa, poiché loro possiedono le chiavi della cella di Kobra”.
“Prima di tutto – dice il legale - è necessario convincere le cognate di Kobra che quest’ultima non è il carnefice bensì la vittima, e persuaderle a concedere il perdono”.
L’avvocato è molto preoccupato per lo stato di salute della ragazza: “Non è stato facile trascorrere sei anni chiusa in cella in attesa dell’esecuzione. Ha seri problemi psichici, è molto depressa, e potrebbe peggiorare se non verrà liberata per tempo e restituita alla sua famiglia”.
A proposito dell’uccisione della suocera, Kobra afferma di avere agito per legittima difesa, essendo stata aggredita dalla donna con un coltello da cucina.
La ragazza sarebbe stata costretta a sposarsi dai propri genitori a causa della povertà della sua famiglia, e sarebbe stata in seguito vittima di violenze domestiche.
IRAN/ VENIER (PDCI): CONDANNA TOTALE NEGAZIONISMO AHMADINEJAD
Legittimità Israele non da Olocausto, basta strumentalizzazioni