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Il Blog di Donatella Elvira Camatta | www.partecipaMi.it
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Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 13:45

La Costituzione delle mille famiglie

di Felice Mill Colorni, studioso liberaleda Critica liberale
Tempo fa Rai Educational ha trasmesso un incontro fra un gruppo di liceali romani e un illustre costituzionalista, attivo militante della sinistra. A una ragazza che gli chiedeva se non ritenesse opportuno prevedere qualche forma di tutela giuridica delle famiglie di fatto e di quelle omosessuali, il protagonista della trasmissione rispondeva: «Secondo l'articolo 29 della Costituzione, la Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, dunque le famiglie di fatto non possono venire tutelate, perché è assente l'elemento determinante che è il matrimonio», concedendo poi che tuttavia una qualche attenuata forma di riconoscimento sarebbe stata ipotizzabile sulla base dell’art. 2, relativo alle «formazioni sociali ove si svolge la personalità» dell’individuo.
La citazione dell’art. 29 è testualmente sbagliata, ma l’errore è molto significativo, perché rispecchia una convinzione oggi molto diffusa, frutto di un vivacissimo attivismo politico-culturale, che è riuscito a riportare il dibattito diffuso su questi temi indietro di svariati decenni. Questa storia secondo cui l’articolo 29 primo comma della Costituzione impedirebbe di riconoscere parità di diritti alle famiglie di fatto e a quelle omosessuali (distinte, queste ultime, dalla generalità delle prime, in quanto le coppie gay in Italia non possono scegliere volontariamente se essere o meno “di fatto”) è in effetti da qualche anno un Leitmotiv del neoclericalismo italiano che, sempre più minoritario nella società, riesce a guadagnare peso politico grazie ad aggressive strategie di lobbying e all’accondiscendenza dell’intera classe politica: anche di molti “laici”, scarsamente interessati a questi argomenti e quindi pronti ad assecondare il punto di vista clericale, ritenuto (a torto) molto popolare fra gli elettori.
La storia si ripete: anche alla vigilia del referendum del 1974 i politici “laici” erano convinti che gli elettori avrebbero bocciato la legge sul divorzio. Da ultimo, si è fatto un largo, aggressivo e apodittico uso di queste tesi sull’art. 29 primo comma in occasione del dibattito parlamentare sulla legge sulla fecondazione assistita. L’articolo 29 della Costituzione non dice affatto, come una lettura superficiale potrebbe suggerire, che la Repubblica riconosce come famiglia solo quella definita come «società naturale fondata sul matrimonio» - definizione, peraltro, come è evidente, intrinsecamente contraddittoria e comicamente incongrua, dato che è ben arduo sostenere che un negozio giuridico come il matrimonio esista “in natura” o sia sempre esistito ed esista ovunque e fondi un modello di famiglia sostanzialmente identico in tutte le società umane.
L’art. 29 dice invece una cosa diversa: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». I costituenti vollero con ciò statuire che lo Stato non avrebbe potuto fare a meno di garantire «i diritti» delle famiglie fondate sul matrimonio, alle quali veniva così assicurata una relativa sfera di autonomia rispetto al potere regolativo dello Stato: di qui l’illegittimità costituzionale una legge ordinaria che mirasse a disconoscere i diritti di tali famiglie. I cattolici hanno sempre tentato di interpretare questa norma secondo la loro prospettiva giusnaturalistica, affermando che a tali famiglie viene qui piuttosto riconosciuta una priorità e una originalità rispetto all’ordinamento dello Stato. Hanno sempre negato che il riferimento al carattere di «società naturale» della famiglia possa ricavarsi da un concetto sociologicamente determinato e storicamente mutevole di che cosa costituisca “famiglia” ai sensi della Costituzione e che a tale espressione vada quindi riconosciuto un valore puramente recettizio.
Questa tesi però non nasce con lo scopo artificioso di fornire oggi una legittimazione costituzionale al riconoscimento delle famiglie di fatto o di quelle omosessuali, ma era già stata sostenuta in epoca non sospetta: per esempio, già nel capitolo del Commentario della Costituzione diretto da Giuseppe Branca dedicato all’art. 29, redatto nel 1976 da Mario Bessone. In ogni caso, rispondendo alle critiche dei parlamentari laici contro il carattere ideologico che altri democristiani, come La Pira, intendevano attribuirle, lo stesso Aldo Moro, in sede di Assemblea costituente, dichiarò che quella dell’art. 29 «non è una definizione, è una determinazione di limiti». E Mortati ribadì che essa aveva lo scopo di «circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua [della famiglia] regolamentazione». L’autonomia della famiglia fondata sul matrimonio, come “formazione sociale intermedia”, non avrebbe potuto essere invasa da interventi autoritari, come quelli messi in atto dai regimi fascisti appena tramontati o da quelli comunisti, volti a soppiantarla a vantaggio di regolamentazioni autoritative di taglio statalista o collettivista e di modelli organizzativi o fini contrastanti con quello di sede del libero e autonomo svolgimento della personalità dei suoi singoli componenti e di tutela dei loro «diritti inviolabili» (così definiti dall’art. 2). Punto. L’art. 29 non prende neppure in considerazione modelli familiari alternativi a quello della famiglia fondata sul matrimonio, modelli che certo non tutela, ma dei quali anche si disinteressa totalmente, e quindi non gli si può far dire che diritti analoghi o uguali a quelli riconosciuti alla famiglia tradizionale devono essere sempre negati alle famiglie non tradizionali e non fondate sul matrimonio. Un tale riconoscimento da parte della legge ordinaria, infatti, non riguarderebbe minimamente la materia regolata dall’art. 29, e non avrebbe nessuna incidenza su quel che l’art. 29 dispone, dato che non sarebbe suscettibile di modificare, limitare, compromettere o intaccare in nessun modo e in nessuna misura i diritti o la sfera di autonomia delle famiglie tradizionali, che non ne sarebbero neppure sfiorati.
Al contrario, è la Costituzione, all’art. 30, che richiede esplicitamente, almeno ai fini della tutela dei figli naturali, l’eliminazione delle leggi ordinarie emanate al solo fine di punire le famiglie diverse da quelle tradizionali (obiettivo che, realizzato in buona misura dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, viene oggi apertamente contraddetto da leggi regionali - come quella del Friuli-Venezia Giulia - che discriminano apertamente i figli naturali per colpire le scelte di vita dei genitori, leggi che non sono ancora state dichiarate illegittime, e che sono state approvate grazie al nuovo clima e ai nuovi poteri ottenuti con l’improvvida riforma sul federalismo interno, oltre che grazie al lobbismo neoclericale e all’assenza di quel controllo democratico diffuso e competente che circonda pur sempre l’attività delle Camere ma non quella dei Consigli regionali). Del resto, all’epoca dell’approvazione della Costituzione, le famiglie non tradizionali non costituivano certo quel fenomeno sociale diffuso ed emergente che ne fa oggi un problema politico di tutto rilievo nelle nostre società; o meglio, esistevano come mera conseguenza dell’impossibilità di scioglimento del matrimonio, ma non costituivano in genere una scelta di vita volontaria, bensì un mero ripiego cui gli interessati avrebbero ben volentieri rinunciato se avessero potuto risposarsi. Tanto meno era pensabile che si potesse mai porre in termini legislativi il problema del riconoscimento delle famiglie omosessuali. Nessuna sorpresa quindi che la materia non fosse ritenuta di rilevanza (addirittura) costituzionale. Anche in linea più generale, d’altra parte, è del tutto illogico pretendere che la particolare o rinforzata tutela esplicitamente garantita dalla Costituzione a una specifica situazione obblighi positivamente anche a denegare lo stesso trattamento ad altre situazioni socialmente analoghe o identiche: la garanzia costituzionale rinforzata di un diritto non implica di per sé anche l’obbligo costituzionale di negare la parità di trattamento ai casi in cui, pure, essa non sia costituzionalmente dovuta. Gli articoli 33 primo comma e 19 tutelano in modo particolare, rispettivamente, la libertà di insegnamento e la libertà di culto, ma nessuno si sogna di trarne la conseguenza che la libertà di espressione del pensiero in altri campi, garantita in modo meno incondizionato dall’art. 21, debba essere obbligatoriamente limitata al solo fine di sottolinearne un presunto minor valore o una minore dignità nei casi che non sono oggetto della tutela rinforzata prevista dagli artt. 33 e 19. Affermare in modo particolarmente solenne e impegnativo i diritti di qualcuno (perché sono la storia recente e gli avvenimenti altrove in corso a consigliare di farlo) non equivale a vietare qualunque minimo riconoscimento dei diritti di qualcun altro; e comunque una così rilevante denegazione di diritti, per essere obbligatoria benché derogatoria rispetto a principi fondamentali della Costituzione, dovrebbe almeno essere stata formulata in modo espresso.
Il problema dei limiti costituzionali all’intervento legislativo sulla famiglia ha semmai posto delicati problemi nel passato: quando si è a lungo e animatamente discusso se e fino a che punto proprio la disciplina legislativa della famiglia tradizionale fondata sul matrimonio potesse essere oggetto di incisive riforme, in particolare in relazione ad un preteso obbligo di garantirne l’indissolubilità (nonostante la Costituente avesse approvato, per soli tre voti, un emendamento soppressivo della costituzionalizzazione dell’indissolubilità) e più in generale in relazione ad un presunto obbligo di preservarne i caratteri tramandati dalla tradizione e ritenuti da politici e giuristi clericali intrinseci ad un astorico modello proprio della «famiglia come società naturale»: e ciò, nonostante che lo stesso art. 29, al secondo comma, e l’art. 30, non solo autorizzassero, ma addirittura imponessero incisive riforme, con ciò smentendo la fondatezza dell’interpretazione “tradizionalista”. Ma questi problemi, risolti con la legge sul divorzio e con la riforma del ’75, non hanno comunque alcuna attinenza con l’introduzione e il riconoscimento di nuovi istituti giuridici, relativi a modelli di famiglia non tradizionali e diversi da quello di cui si occupa l’art. 29. Va tra l’altro rilevato che l’interpretazione qui esposta dell’art. 29 primo comma, perfino banale oltre che strettamente letterale, dovrebbe in teoria essere tutt’altro che sgradita a giuristi di orientamento conservatore, se non portasse a sgradite conseguenze politiche. Essa è infatti perfino coerente con una assai sobria concezione positiva della Costituzione, intesa come mero limite all’attività del legislatore ordinario, concezione abitualmente preferita dai giuristi conservatori, o anche liberalconservatori, a quella di chi nella sinistra italiana ha considerato per anni la Costituzione del ’48 come la traccia di un “programma” di mutamento sociale cui il legislatore ordinario avrebbe dovuto attenersi per realizzarne gli obiettivi di riforma sociale e attuare i valori etico-politici in essa racchiusi (Tarello). Negli ultimi anni si è tentato in realtà di leggere l’articolo 29 primo comma come se esso riproducesse in Italia l’art. 6.1 della Costituzione tedesca, secondo il quale «il matrimonio e la famiglia godono della particolare protezione dell’ordinamento statale» [Ehe und Familie stehen unter dem besonderen Schutze der staatlichen Ordnung]. Tale formulazione avrebbe potuto in teoria, con qualche forzatura, autorizzare interpretazioni restrittive come quelle auspicate in Italia dagli esegeti neoclericali dell’art. 29, dato che l’aggettivo besonder-, qui reso in italiano con “particolare”, copre anche un campo semantico più ampio, che include significati come “speciale” o “über das Normale” (Duden), cioè “superiore al consueto”: se ne potrebbe in teoria dedurre non solo una particolare tutela da regolamentazioni invasive, ma anche l’imposizione di un regime “di privilegio”, derogatorio rispetto al principio di uguaglianza formale.
È molto verosimile che all’origine o a sostegno della nuova vulgata interpretativa dell’articolo 29, incentrata non più sui limiti alla regolamentazione legislativa della famiglia fondata sul matrimonio ma sull’asserito divieto di parità di trattamento per le famiglie non tradizionali, ci sia stato, a suo tempo, il più sofisticato e ambizioso intento di proporre in Italia interpretazioni dottrinali restrittive elaborate dai giuristi conservatori tedeschi. In realtà, se tale fosse stato l’obiettivo, va detto che lo sforzo era mal indirizzato: contro la legge tedesca sul “matrimonio gay”, la Lebenspartnerschaftsgesetz, analoga alle leggi “matrimoniali” scandinave, approvata due anni fa dalla coalizione “rosso-verde”, avevano fatto ricorso alla Corte costituzionale i Länder governati da Cdu e Csu, ma la Corte ha recentemente respinto la tesi dell’incostituzionalità (anche se, significativamente, sulla base dell’argomento che tale legge non equipara proprio interamente al matrimonio tradizionale le unioni omosessuali). In ogni caso, in Italia l’art. 29 primo comma stabilisce soltanto che la legge non può denegare i diritti o ledere la sfera di autonomia delle famiglie fondate sul matrimonio, e non tutela, ma neppure regola in alcun modo, le famiglie alternative. Non fissa nessuna scala gerarchica di dignità delle scelte individuali, e non esprime neppure indicazioni o “preferenze” sulle libere scelte che i cittadini compiono riguardo alle loro vite. Questo però non significa che altre indicazioni, anche cogenti, non siano desumibili da altre disposizioni costituzionali.
Una norma cardine dell’intero ordinamento costituzionale italiano, come l’articolo 3 primo comma, che impone l’uguaglianza formale fra i cittadini come parametro fondamentale di legittimità della legge ordinaria, impone che situazioni giuridiche uguali siano trattate in modo uguale. Nella misura in cui situazioni giuridiche attinenti alle famiglie tradizionali siano identiche a quelle attinenti a famiglie non tradizionali, queste ultime devono essere trattate in modo identico. Non solo quindi l’art. 29 primo comma non impone un trattamento differenziato, ma la Costituzione vigente nel suo complesso - e in alcuni casi gli impegni internazionali dell’Italia - impongono al contrario parità di trattamento e parità di diritti. E ancora: si è detto che l’art. 29 primo comma colloca la tutela della famiglia nel quadro del sistema delle autonomie riconosciute alle “formazioni sociali intermedie”. Tali «formazioni sociali», che dunque ricomprendono anche la famiglia (tradizionale e matrimoniale) come caso speciale, rivestono il ruolo essenziale di luoghi «ove si svolge la personalità» del singolo individuo, come recita l’art. 2. Come tali esse sono i luoghi all’interno dei quali «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Che fra tali «formazioni sociali» possano riconoscersi anche le “famiglie di fatto” comincia ad essere abbastanza pacificamente riconosciuto da dottrina e giurisprudenza. Ed è altrettanto chiaro dalla lettura complessiva delle disposizioni costituzionali riguardanti le «formazioni sociali» e la famiglia che il loro fine comune è il pieno e libero sviluppo della personalità e dei diritti umani fondamentali degli individui che le compongono (tanto che non ha mai avuto successo il tentativo di attribuire alla famiglia - neppure alla famiglia tradizionale e matrimoniale - il carattere di persona giuridica, titolare di situazioni giuridiche soggettive distinte e sovraordinate rispetto a quelle dei singoli componenti): è evidente che, a questi effetti, qualunque discriminazione non potrebbe che ritenersi del tutto illegittima. Né si pensi che la stessa qualificazione di “famiglia” qui attribuita alle famiglie non tradizionali e non fondate sul matrimonio sia irrilevante o meramente ideologica. Anche a prescindere dall’evidente rilievo assiologico della questione - che pure è costituzionalmente rilevante, trattandosi di riconoscere ai cittadini la «pari dignità sociale» assicurata dall’art. 3 primo comma - sono numerose le norme di vario rango, a cominciare dall’art. 31 primo comma della stessa Costituzione, che attribuiscono alle “famiglie” (non sempre solo alle famiglie con figli) determinati benefici o agevolazioni economici o sociali: la mancata attribuzione della qualificazione di “famiglie” a quelle non tradizionali non potrebbe che comportare pesanti e illegittime discriminazioni, spesso a carico degli individui che le compongono.
Quel che può essere oggetto di dibattito è quanto penetrante possa essere la parificazione dei diritti: l’articolo 3 primo comma impone di trattare in modo identico situazioni giuridiche identiche, ma, si argomenta, le situazioni configurabili per le famiglie di fatto non sono mai identiche a quelle delle famiglie fondate sul matrimonio, dato che i partner che hanno dato vita alle prime hanno pur volontariamente scelto di non sposarsi. Ed è evidente che, come ha anche sottolineato la Corte costituzionale, si frustrerebbe tale libertà di scelta, se si volesse imporre loro autoritativamente lo stesso regolamento giuridico delle famiglie tradizionali. Tale argomento è ben fondato nel caso di conviventi di sesso diverso - ma non certo fino al punto di ritenere necessariamente del tutto irrilevante ogni e qualunque conseguenza economica, sociale e giuridica dell’unione di fatto e comunque non mai, come ha anche riconosciuto la stessa Corte, per quel che riguarda i diritti dei figli, che non hanno potuto scegliere proprio nulla. Ma non lo è nel caso delle famiglie di fatto omosessuali, dato che i loro componenti, a differenza dei primi, non hanno potuto affatto liberamente scegliere, in Italia, se sposarsi o meno. E, come tutti gli esseri umani, non hanno neppure scelto il proprio orientamento sessuale, e quindi affettivo, che costituisce così una «condizione personale» ascritta, sulla base della quale ogni discriminazione legislativa dovrebbe ritenersi espressamente vietata dall’art. 3 primo comma della Costituzione. Né d’altra parte si vede in che cosa la condizione giuridica di una coppia omosessuale convivente si possa distinguere rispetto a quella di una coppia di coniugi eterosessuali che non possano o non intendano avere figli. Una soddisfacente soluzione di questo aspetto del problema potrà aversi solo quando anche in Italia sarà consentito agli omosessuali di contrarre matrimonio (come al momento può avvenire solo in Olanda) o almeno di fare ricorso ad un istituto corrispondente che, magari senza assumere il nomen juris di matrimonio, e magari limitandosi a regolamentare soltanto i rapporti fra i partner (senza cioè estendervi l’applicabilità delle norme sulla filiazione), consenta però a due persone dello stesso sesso di scegliere di regolare i loro propri rapporti giuridici e patrimoniali ricorrendo alle stesse possibili alternative fra cui possono scegliere due partner di sesso diverso, senza alcuna discriminazione o differenziazione. Tali istituti sono ormai vigenti in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, e un progetto in tal senso (mirante a istituire le «unioni domestiche registrate») è stato da qualche mese presentato anche al Parlamento italiano dal deputato Grillini e altri. Anche una volta che un tale istituto fosse introdotto nell’ordinamento italiano, resterebbe comunque il problema delle famiglie di fatto (eterosessuali o omosessuali), non intenzionate a ricorrere al matrimonio o alla corrispondente “unione registrata”. La predisposizione di nuovi istituti giuridici ad esse riservati appare necessaria, di fronte alla molteplicità dei legami famigliari e affettivi prodotti dal pluralismo sociale, e può essere prevista sia introducendo la possibilità, per chi lo preferisca, di adottare regolamentazioni pattizie più leggere ed elastiche del matrimonio e dell’“unione registrata” (come il Pacs francese, di cui lo stesso deputato diessino ha appena presentato una versione italiana), sia prevedendo una qualche minimale forma di tutela almeno del partner economicamente molto svantaggiato in caso di scioglimento di convivenze more uxorio anche non formalizzate in alcun modo ma protrattesi a lungo nel tempo. Che la Costituzione italiana vieti tutto questo è un’emerita sciocchezza. Ripetuta ossessivamente da zelanti parlamentari, giornalisti e giuristi neoclericali potrà anche diventare senso comune, come sempre più spesso capita che avvenga alle sciocchezze ossessivamente ripetute dai media. Ma resterà pur sempre un’emerita sciocchezza.
Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 13:41

l'articolo 29 della costituzione

l'articolo 29 della costituzione
LE FAMIGLIE NELLA COSTITUZIONE

Dichiarazione - appello sull'interpretazione dell'art. 29 della Costituzione


            Senza entrare nel merito della discussione delle attuali proposte di riforma, volte a riconoscere o tutelare in diversa forma e misura unioni familiari di tipo diverso da quello tradizionale, ci preme però chiarire che è infondata l'affermazione secondo cui l'articolo 29, primo comma, della vigente Costituzione porrebbe dei limiti costituzionali al riconoscimento giuridico delle famiglie non tradizionali o non fondate sul matrimonio, come è ormai avvenuto in quasi tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale.
            L'articolo 29, primo comma, non impone affatto alla Repubblica di riconoscere come famiglia solo quella definita quale "società naturale fondata sul matrimonio". Impone invece alla Repubblica di riconoscere i suoi diritti, in quanto espressione dell'autonomia sociale. Testualmente: "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Ad essa viene quindi garantita una sfera di autonomia rispetto al potere dello Stato. Per tale motivo sarebbe contraria alla Costituzione una legge ordinaria che mirasse a disconoscere i diritti di tali famiglie.
            "Circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua [della famiglia] regolamentazione": questa la funzione della disposizione secondo quanto ebbe a dichiarare Costantino Mortati nell'Assemblea costituente. "Non è una definizione, è una determinazione di limiti", ribadì nella stessa sede Aldo Moro.
            Il Costituente del 1946-47 non poteva immaginare che nei decenni successivi sarebbe stata avanzata in Italia o altrove la richiesta del riconoscimento di famiglie di tipo diverso dal modello tradizionale, mentre vivo era invece il ricordo del tentativo fascista di monopolizzare l'educazione dei giovani, tentativo analogo a quello in corso proprio in quei mesi con l'instaurazione di regimi stalinisti in molti paesi dell'Europa centrale: e tale era appunto il pericolo che con la formulazione dell'articolo 29 si intendeva scongiurare.
            Inoltre, secondo l'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la disciplina nazionale può modulare variamente le modalità di esercizio dei distinti diritti di sposarsi e di costituire una famiglia, ma non in forme tali che possano portare alla vanificazione dell'uno o dell'altro.
            Il riconoscimento giuridico di altri tipi di famiglia non comporterebbe alcun disconoscimento dei diritti delle famiglie fondate sul matrimonio e non potrebbe quindi violare il disposto dell'articolo 29, primo comma, della Costituzione.
            Il fatto che la Costituzione garantisca in modo particolare i diritti della famiglia fondata sul matrimonio non può in alcun modo avere come effetto il mancato riconoscimento dei diritti delle altre formazioni famigliari. A proposito delle quali vanno invece tenuti ben presenti il fondamentale divieto di discriminare sulla base, anche, di "condizioni personali", di cui all'articolo 3, primo comma, della Costituzione, e il dovere della Repubblica di riconoscere e garantire "i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità", di cui all'articolo 2, già richiamato in questa materia dalla giurisprudenza costituzionale.

Questo Appello, promosso dalla "Fondazione Critica liberale", è stato sottoscritto da:

Gaetano Azzariti (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Roma "La Sapienza"),
Mauro Barberis (Prof. Filosofia del Diritto - Univ. Trieste),
Piero Bellini (Prof. emerito Univ. Roma "La Sapienza" - Accademico dei Lincei),
Roberto Bin (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Ferrara),
Giuseppe Bozzi (Prof. Diritto Civile - Univ. Luiss "Guido Carli" Roma),
Giuditta Brunelli (Prof. Istituzioni di Diritto pubblico - Univ. Ferrara),
Massimo Carli (Prof. Istituzioni di Diritto pubblico - Univ. Firenze),
Paolo Cendon (Prof. Istituzioni di Diritto Privato - Univ. Trieste),
Enzo Cheli (Prof. Diritto costituzionale  - Univ. Firenze - Accademico dei Lincei),
Giovanni Di Cosimo (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Macerata),
Alfonso Di Giovine (Prof. Diritto Costituzionale Comparato - Univ. Torino),
Gilda Ferrando (Prof. Diritto Privato - Univ. Genova),
Gianni Ferrara  (Prof. emerito - Univ. Roma "La Sapienza"),
Vincenzo Ferrari (Prof. Filosofia del Diritto - Univ. Milano),
Nicola Fiorita (Prof. Diritto Ecclesiastico - Univ. Firenze),
Maurizio Fumo (Magistrato),
Gladio Gemma (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Modena e Reggio Emilia),
Paolo Giangaspero (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Trieste),
Gustavo Ghidini (Prof. Diritto Commerciale - Univ. Milano),
Riccardo Guastini (Prof. Filosofia del Diritto - Univ. Genova),
Mario Lana (Avvocato, Presidente Unione forense per la tutela dei diritti umani),
Sergio Lariccia (Prof. Diritto Amministrativo - Univ. Roma "La Sapienza"),
Barbara Pezzini (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Bergamo),
Roberto Pinardi (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Modena e Reggio Emilia),
Alessandro Pizzorusso (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Pisa - Accademico dei Lincei),
Fausto Pocar (Prof. Diritto internazionale - Univ. Milano - Pres. Tribunale penale dell'Aja)
Valerio Pocar (Prof. Sociologia del Diritto - Univ. Milano "Bicocca"),
Salvatore Prisco (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Napoli "Federico II"),
Andrea Pugiotto (Prof. di Diritto costituzionale - Univ. Ferrara),
Pietro Rescigno (Prof. emerito Univ. Roma "La Sapienza" - Accademico dei Lincei),
Paolo Ridola (Prof. Diritto Costituzionale Comparato - Univ. Roma "La Sapienza"),
Paola Ronfani (Prof. Sociologia del diritto - Univ. Milano),
Francesco Rimoli (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Teramo),
Stefano Rodotà (Prof. Diritto Civile - Univ. Roma "La Sapienza"),
Gustavo Zagrebelski (Prof. Diritto costituzionale  - Univ. Torino - Accademico dei Lincei),
Paolo Zatti (Prof. Istituzioni di diritto privato - Univ. Padova),
Alessandro Oddi (Avvocato, Dott. ric. in Diritto Costituzionale - Univ. Roma "La Sapienza"),
Roberto De Felice (Avvocato dello Stato),
Antonio Caputo (Avvocato, Docente Scuola di Specializzazione Professioni Legali - Univ. Torino),
Giuseppe Fiengo (Avvocato dello Stato),
Mario De Crescenzo (Studioso di Diritto Amministrativo),
Silvia Borrelli (Avvocato, Dott. ric. in Diritto del Lavoro, assegnista - Univ. Ferrara)
Domenico Pulitanò (Prof. Diritto Penale Univ. Milano "Bicocca"),
Andrea Galliano (Milano)
Nicola Vizioli (Ric. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Siena),
Paolo Solimeno (Avvocato, Coordinatore “Aequa Toscana”),
Dario Accolla (Catania)
Maurizio Mazzi (Roma).

Per eventuali altre adesioni info@criticaliberale.it

Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 13:39

"DICO! - Appello e riflessioni di un giovane gay

http://www.matrimoniodirittogay.it/firenze.htm

al Presidente della Repubblica italiana
al Presidente del Consiglio dei ministri
ai parlamentari italiani
alle istituzioni italiane
alla Conferenza episcopale italiana
alle rappresentanze cattoliche italiane
agli organi di stampa
ai rappresentanti delle associazioni Lgbt
e per la difesa dei diritti umani e civili
alle personalità del mondo dello spettacolo
e della cultura italiana

DICO che c’è da avere paura. Ho ventuno anni e per la prima volta ho davvero paura. Da giovane omosessuale ho paura di cosa mi aspetta. E se ripenso a cosa è stato nel passato lo sterminio di migliaia di omosessuali – e dell’attuale condizione in cui siamo, a discutere ancora di minaccia alla famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio (ma non sarebbe meglio a questo punto dire sulla procreazione?) – mi viene davvero da credere che verremo di nuovo emarginati e stipati nei nostri ghetti moderni e considerati di nuovo malati, di nuovo oggetto di scherno, di violenza, di privazione della nostra dignità.
Certo, sembrerà esagerato e sconnesso come pensiero; sembrerà ipocrita, forse, per chi – come i nostri Ministri – è convinto di averci dato fin troppo, di averci fatto un favore, di avere soddisfatto non solo le nostre richieste ma anche e soprattutto le nostre esigenze da cittadini di uno Stato che a quasi sessantun anni dalla proclamazione della Repubblica seguita a non riconoscerci, o a riconoscerci come una minoranza da non tutelare né considerare.

Dovrebbero – e avrebbero dovuto – far pensare le ripetute aggressioni e violenze che avvengono in tutta Italia nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender; e così lo straziante suicidio-protesta del siciliano Alfredo Ormando, omosessuale bruciatosi vivo in San Pietro nel ’98 nella speranza di poter cambiare le cose per noi lgbt; e, ancora: il recente stupro di Paola perché lesbica; il brutale assassinio nel ‘98, da parte di due uomini, del sedicenne americano Matthew Wayne Shepard perché gay; il ventiquattrenne di Cortina d’Ampezzo Stefano Walpoth, toltosi la vita lo scorso anno con un colpo di pistola pochi giorni dopo aver confessato ai genitori il proprio orientamento sessuale; l’impiccagione pubblica e barbaramente legale di due giovani sedicenni omosessuali in Iran, il 19 luglio 2005.
Dovrebbero – e avrebbero dovuto – far sussultare ogni persona dotata di un cuore, e così far urlare a squarciagola il disdegno, lo strazio e il forte senso di rabbia di fronte a simili tragedie alimentate dall’ignoranza e dall’omofobia. E, invece, ancora oggi, nel febbraio del 2007, sentiamo la Cei e gran parte dei politici italiani inorridire di fronte a un disegno di legge – i DICO, per l’appunto – che riconoscono le unioni amorose tra noi omosessuali come un legame tra “due persone maggiorenni e capaci, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale”.
Ci sentiamo definire nuovamente minoranza, nuovamente minaccia, nuovamente apocalisse di Dio. Sentiamo definire i nostri sentimenti e i nostri legami deboli e sterili. Ci vediamo di nuovo additati per strada; visti come appestati se ci teniamo per mano o ci scambiamo una carezza.

Sì, DICO che c’è da avere paura. Non distrugge forse l’amore e la Famiglia il senso di odio che, più che mai consapevolmente, la Chiesa e i politici – di destra e di sinistra, cattolici e non – stanno propagandando nell’opinione pubblica per fermare una legge – per quanto mal costruita e ben poco rappresentativa – che proponga un riconoscimento minimo a due persone dello stesso sesso che si amano e pretendono solamente di assistersi e tutelarsi reciprocamente, con doveri e diritti comuni?

Io convivo da un anno e mezzo con il mio compagno. Insieme, ogni giorno, affrontiamo situazioni imbarazzanti e scomode, perché abbiamo deciso di non negare il nostro amore agli occhi degli altri, di non nasconderci, di non rinunciare – nonostante spesso possa venirci spontaneo di fronte a determinati atteggiamenti – a provare a vivere la nostra vita in libertà. E non è facile, giorno dopo giorno, affrontare gli sguardi interrogatori e quasi turbati di persone comuni, per strada, in un bar o al supermercato, che vedono due ragazzi tenersi per mano, scambiarsi uno sguardo ricco d’amore, darsi un bacio sulle labbra per salutarsi in vista di una giornata pesante da affrontare.

A sedici anni mi sono forse reso conto davvero che ero omosessuale; cominciavo a provare non più solo attrazione ma anche un forte sentimento verso una persona del mio stesso sesso. Ricordo le giornate passate in penombra in camera mia, quando ancora vivevo con i miei genitori, con il cuscino ficcato sulla faccia per soffocare un pianto strozzato; ricordo ancora le prese in giro dei compagni di classe maschi, a volte, che io accettavo col sorriso in volto – e anche un po’ nel cuore –, ma che avrebbero potuto ferire, anche in profondità, chi non fosse stato in grado di affrontare serenamente certi attacchi. Ricordo anche il terrore con cui mi svegliavo nella notte, sudato fradicio dalla testa ai piedi e con le palpitazioni accelerate, dopo l’incubo di aver raccontato a mio padre e a mia madre della mia omosessualità. Rimanevo sveglio fino alle 6 del mattino, quando mi dovevo alzare per andare a scuola, a contemplare il nulla e a pregare, perché ciò che il mio inconscio aveva ipotizzato non si realizzasse mai.

Un giorno, invece, si è realizzato. E dall’altra parte ho trovato la comprensione di due genitori eccezionali, fortunatamente, che, seppure con qualche plausibile difficoltà, mi hanno accettato e hanno accolto a cuore aperto il mio compagno, me e la mia diversità.

Ma, ripeto, io sono stato fortunato, e non poco.
Esistono storie di ragazze e ragazzi ben più tragiche, per cui un sorriso o una pacca sulla spalla non bastano a lenire il dolore di un distacco profondo con i genitori, o con un’amica o un amico, in seguito al proprio coming out. Esistono ferite e traumi ben più pesanti di un cuscino ficcato in faccia e di un incubo che ti corrode la coscienza, e non è certo compito mio testimoniarlo: lo fanno già le quotidiane pagine di cronaca delle associazioni lgbt e non, che denunciano la violenza e il disagio di migliaia e migliaia di persone che non vengono integrate e accettate nella nostra società.

Ma per i Monsignori e i Cardinali, per coloro che interpretano il messaggio cristiano secondo le loro vedute, per i teodem, per il nostro papa Benedetto XVI, per la destra e la finta sinistra italiana, noi lesbiche, gay, bisessuali e transgender rischiamo di mettere in serio pericolo la Famiglia. Siamo un cancro da arginare prima che la metastasi prenda il sopravvento. E dunque si organizzano sedute straordinarie, discussioni, prediche, moniti, mentre intorno a tutto ciò c’è ancora chi soffre, piange e si dispera; chi decide di dire addio alla vita perché non ce la fa più a sopportare; chi, in casa con i propri genitori, si tortura psicologicamente per non far trasparire uno sguardo o un pensiero equivocabile; chi viene buttato in mezzo a una strada da un padre inferocito e ferito nel suo orgoglio maschile, o da una madre che non riesce a sopportare l’idea di avere in casa una figlia o un figlio “contro natura”. C’è ancora chi non vuole arrendersi e continua a lottare, e testimonia con la propria forza e il proprio coraggio ciò che sente dentro.

DICO che dopo anni e anni di lotte, di manifestazioni, di pride passati dai media agli occhi della gente come carnevalate, di spargimenti di odio e sangue che continuano a macchiare indelebilmente la nostra storia sociale, di candele che si affievoliscono o si spengono per il giudizio e il pregiudizio, forse è l’ora di finirla. È l’ora di smettere di strumentalizzare la parola di Dio per giustificare questa crociata.

Come comunità lgbt chiedevamo dei diritti – e dei doveri, si badi bene! – che garantissero un riconoscimento sociale alle nostre unioni amorose e tutelassero la nostra quotidianità: non chiedevamo la Luna, né ledevamo qualcun altro nella sua libertà; speravamo in una legge che ci desse la possibilità di essere integrati come cittadini, con tutti gli obblighi e le conseguenze che questo status avrebbe comportato. Chiedevamo che ci fosse permesso di assistere la nostra compagna o il nostro compagno di vita (ed essere assistiti) – “moralmente e materialmente”, sì – quando la salute avrebbe impedito il normale decorso di vita di entrambi, e come risposta c’è stato un DICO.
Sì, un “dico sì” o “dico no” alla nostra richiesta di assistere e visitare la persona con cui condividiamo l’esistenza, pronunciato da un medico che, a seconda del proprio umore o della propria visione mentale (e spirituale, aggiungo), è favorevole o meno che tu stringa la mano a chi ami per testimoniargli il tuo amore e la tua vicinanza. Siamo nelle mani degli altri, e come cittadini di serie B dobbiamo sperare affinché chi ci curerà o curerà il nostro partner sia comprensivo e riconosca che la nostra salute dipende anche dalla vicinanza di chi fino a quel momento, da mattina a sera, ci è stato accanto, ci ha riempito la vita di emozioni, belle e meno belle, di ricordi, di sospiri e brividi straordinari in grado di lenire ogni preoccupazione.

Eppure questo sembra minacciare, sempre secondo i timori dei sopraccitati nemici delle unioni civili, due persone eterosessuali con la volontà di concepire un bambino, di educarlo e di crescerlo con amore. Ma forse clericali e non, cattolici e non, – omofobi e transfobici – non sanno che da quella unione eterosessuale e da quell’educazione fatta di amore e attenzioni potrebbe crescere una figlia lesbica o bisessuale, o un figlio gay o bisessuale, o un figlio transgender.
Ignorano che potrebbe essere proprio il frutto di quell’unione a dover sortire le conseguenze della discriminazione, del bullismo, dell’esclusione sociale e familiare. Ignorano che potrebbe essere proprio il frutto di quell’unione a decidere, un giorno, di recarsi in piazza San Pietro a Roma, riversarsi addosso una tanica di benzina e accendersi come una torcia da giardino, e lasciare che quel fuoco purificatore che per troppi secoli ha lacerato anime proprio per ordine della Chiesa cattolica scalfisca anche la più profonda ferita interiore dettata dall’indifferenza e dallo scherno dei più.

DICO che ci sono mille altri aspetti del disegno di legge Bindi-Pollastrini che ci ridicolizzano e discriminano, e invito a visitare il sito di Arcigay per avere un’idea di quelle che sono le dieci modifiche sostanziali e più impellenti da apportare al testo prima di un’eventuale discussione.

DICO anche al cardinale Camillo Ruini che Dio ci insegna ad amare e ad accogliere, e, da credente, che sono disponibile a un incontro sereno e costruttivo con lui e con tutti coloro che siano disposti a un dialogo e a un confronto pacifico su questi temi, per cercare per lo meno di comprendere le loro posizioni e di portare la mia testimonianza e la mia assoluta volontà di non incrinare alcun fondamento cristiano nel pretendere un sacrosanto diritto alla libertà.

CHIEDO, da cittadino italiano maggiorenne e capace, a tutte e tutti coloro che leggeranno questo testo, al mondo della Stampa, ai parlamentari, alle Istituzioni, ai rappresentanti di associazioni lgbt e non, a personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura italiana, a coloro che si battono quotidianamente perché vengano riconosciuti i diritti primari dell’uomo, alla base della Dichiarazione Universale adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, di sostenere, con chiare prese di posizione, tutta la comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender che mai come in questi momenti sta vedendo i propri diritti intaccati dal dilagante senso di pregiudizio e viene ingiustamente esclusa dagli articoli 1 e 2 della suddetta Dichiarazione, che affermano:

Articolo 1. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2. 1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. 2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.

Infine, auspico che lo Stato italiano, nella figura delle sue più alte cariche rappresentative, voglia applicare pienamente e quanto prima gli articoli di cui sopra per non venire meno a un accordo internazionale che sta alla base – e regola i rapporti – della nostra Società Civile.

Matteo Pegoraro

Segretario e responsabile attività giovanili e culturali di Arcigay Firenze “Il Giglio Rosa” Tel. (+39) 340 8135204 ::: Fax (+39) 055 0518897
e-mail: matteopegoraro@emergentesgomita.com

Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 12:21

Inviati emittenti del mondo arabo...

BASE VICENZA: ANCHE TV ARABE HANNO SEGUITO IL CORTEO

AGI) - Vicenza, 18 feb. - Tra le centinaia di giornalisti presenti a Vicenza per documentare la manifestazione contro la nuova base militare americana all'aeroporto Dal Molin c'erano anche gli inviati di diverse emittenti del mondo arabo, fra le quali Al Jazeera e il corrispondente della televisione satellitare egiziana Nile News Tv, Yossef Ismail. "Per il nostro pubblico la vicenda della base di Vicenza e' di grande interesse", ha spiegato il giornalista. "L'Egitto - ha aggiunto - guarda con grande attenzione allo spiegamento logistico dell'esercito americano, da cui in gran parte dipende la sicurezza del paese e dell'intera area mediorientale".(AGI)

Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 12:16

La manifestazione Vicenza

La manifestazione di Vicenza
In testa mamme e bambini: 'Resisteremo un minuto in più'. Ma anche striscioni solidali con i br arrestati
Vicenza, 17 feb. (Adnkronos/Ign) - Al via poco prima delle 14.30 la manifestazione contro l'ampliamento della base Usa di Vicenza . Decine di migliaia di persone sfilano lungo un percorso di 6 chilometri che va dalla stazione ferroviaria a Campo Marzio. La città è blindatissima: schierati 1300 agenti, rafforzati i controlli ai caselli autostradali. Polizia e carabinieri in tenuta antisommossa. Saracinesche abbassate per diversi esercizi. Chiuso anche lo spazio aereo: elicotteri della Polizia sorvolano la città. Gli ospedali sono in stato di allerta.

legger  articolo  completo  http://www.adnkronos.com/3Level.php?cat=Politica&loid=1.0.698583936

Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 11:58

appello per una affermazione comune

MANIFESTO
PER L'EGUAGLIANZA
DEI DIRITTI

http://www.matrimoniodirittogay.it/
Appello

Al Presidente della Repubblica, ai Membri del Governo, del Parlamento italiano ed europeo, ai Rappresentanti delle Istituzioni locali, alle Associazioni per la difesa e la promozione dei diritti civili e umani, alle Parti Sociali, ai media, alle cittadine e ai cittadini italiani ed europei
 
  • Noi sottoscritti, consapevoli dell'importanza che i valori e i principi fondamentali di uguaglianza e pari dignità sociale sanciti dalla nostra Costituzione hanno per il libero e pieno sviluppo della persona, riteniamo che il provvedimento del Governo in materia di Unioni Civili non esprima una posizione laica e di respiro europeo e soprattutto non sia compatibile con il nostro dettato costituzionale.
  • I diritti di cui è questione sono evocati e rivendicati come palliativi di situazioni limite, in altre parole come meri rimedi giuridici nell’emergenza o come strumenti di pura gestione patrimoniale (assistenza ai detenuti, ai malati e ai morenti; subentro in affitto di case, eredità), rimedi peraltro in parte già esistenti nel nostro ordinamento: al contrario, il diritto a realizzare un Progetto di Vita comune, matrimoniale o familiare, è elemento fondante ed essenziale per il pieno sviluppo della persona e, in quanto tale, é garantito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana.
  • Il provvedimento governativo prevede invece il riconoscimento di alcuni limitati diritti alle persone che abbiano deciso di costituire un'unione di fatto, ma non esaurisce la discriminazione in atto nel nostro Paese in ragione del sesso e dell’orientamento sessuale dei componenti la coppia, restando in ogni caso precluso l’accesso all’istituto del matrimonio civile per la coppia omosessuale e disponendo di conseguenza una sostanziale e inammissibile diversità di accesso al diritto legata alla condizione della persona, cosa che costituisce un vulnus inammissibile verso i Principi Fondamentali della nostra Costituzione.
  • Noi invece siamo profondamente convinti che a tutti i cittadini e a tutte le cittadine deve essere garantita parità e uguaglianza e pertanto anche il diritto di registrare a tutti gli effetti le loro unioni, indipendentemente dal loro sesso e dal loro orientamento sessuale. 
  • Occorre affermare che il matrimonio civile è un istituto giuridico non sostituibile, né vicariabile da altri, e che solo con l’accesso anche delle coppie dello stesso sesso a tale istituto è rispettato e pienamente applicato il principio fondamentale di eguaglianza e pari dignità sociale di tutti i cittadini sancito dalla nostra Costituzione.
  • Il riconoscimento della coppia di fatto, il diritto al matrimonio civile indipendentemente dal sesso dei coniugi e senza alcuna compressione dei diritti di genitorialità e adozione, può e deve essere garantito da una legislazione analoga a quelle della Spagna, del Belgio, dei Paesi Bassi e del Canada. La disciplina normativa dovrà riferirsi ai componenti del nucleo familiare con il termine «coniugi», assicurare parità di trattamento a tutte le coppie indipendentemente dal sesso dei coniugi e riformare le leggi laddove esistono esplicite forme discriminatorie (ad esempio la legge 40/2004 sulla fecondazione assistita), così come previsto dalla Proposta di Legge n. 1244 (XV Legislatura: primo firmatario Daniele Capezzone). 
  • Facciamo appello per una affermazione comune di libertà a tutti coloro che condividono aspirazioni inclusive, laiche, fondate sulla parità dei diritti, proprie dell'Europa che vogliamo e che  già esiste, di un'Europa in cui il diritto costituisce l'orizzonte di civiltà dei singoli, delle comunità e delle Istituzioni che li rappresentano, contro il pregiudizio, l'esclusione e contro la discriminazione, che l'art. II 81 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea vieta in qualsiasi forma, compresa quella fondata sull'orientamento sessuale. 
Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 11:54

Non cambia idea il Governo....

La manifestazione di Vicenza, in cui decine di migliaia di persone hanno sfilato pacificamente contro l'allargamento della base Usa, non farà cambiare idea al governo, malgrado le resistenze della sinistra radicale.

E' quanto ha annunciato già ieri sera il presidente del Consiglio Romano Prodi.

"Come auspicato da tutti gli esponenti della maggioranza .. . la manifestazione di Vicenza si è svolta in modo ordinato e corretto. Questo è il primo e più importante fatto che va rimarcato", ha osservato Prodi in una nota.

"Il governo ha detto e continuerà dire i suoi sì e suoi no in coerenza con le linee generali di politica interna ed estera che si è impegnato ad attuare con le componenti della maggioranza che lo sostiene", ha detto ancora il premier.

Il programma di legislatura "non sarebbe degno di questo nome, se cambiasse orientamento sotto la spinta di una manifestazione pure legittima e importante".

La manifestazione di ieri non ha registrato incidenti in una città in cui la presenza della polizia è stata consistente ma discreta.

Dopo un percorso di circa sei chilometri, il corteo è sfociato in un grande raduno, di fronte ad un palco sul quale si è esibito anche il premio Nobel Dario Fo.

Ai timori di disordini a cui aveva accennato il Viminale, nei giorni precedenti si erano aggiunte le preoccupazioni per gli arresti di presunti neobrigatisti rossi nel Norditalia.

La dimostrazione ha creato tensioni all'interno della maggioranza di centrosinistra, con l'ala radicale decisa ad opporsi alla decisione di Prodi di consentire l'allargamento della base americana "Ederle", mentre i riformisti l'hanno appoggiata.

A livello locale, però, diversi esponenti di Ds e Margherita sono stati dalla parte dei manifestanti.

L'allargamento della base di Vicenza - autorizzato dalla giunta di centrodestra del Comune e dal governo - prevede una spesa di 500 milioni di dollari (oltre 380 milioni di euro). La nuova "Ederle 2" dovrebbe essere operativa a partire dal 2010 e dovrebbe ospitare la 173esima brigata aviotrasportata statunitense.

Domenica, 18 Febbraio, 2007 - 11:48

Il governo Prodi si apra al confronto...

                                     COMUNICATO STAMPA della TAVOLA DELLA PACE


Appello della Tavola della pace al Governo
Il 26 febbraio saremo anche a Padova per partecipare alla grande manifestazione contro il terrorismo promossa dai sindacati
Alla vigilia della manifestazione per la pace di Vicenza che domani vedrà la partecipazione di decine di migliaia di persone, Flavio Lotti e Grazia Bellini coordinatori nazionali della Tavola della pace hanno rilasciato la seguente dichiarazione:
“La base americana di Vicenza non è il campo di gioco dello scontro tra la “sinistra radicale” e quella riformista. Essa chiama in causa un bene e un obiettivo come la pace tanto prezioso quanto minacciato. Per questo molti cittadini e organizzazioni, al di là delle diversissime appartenenze politiche, sociali e religiose, sentono il dovere di esprimere democraticamente e pacificamente le proprie preoccupazioni.
Quando si manifesta un dissenso così ampio e argomentato, osservano Flavio Lotti e Grazia Bellini, a nulla servono i toni ultimativi. Meglio fermarsi e ascoltarsi reciprocamente. Basta con la demonizzazione di chi si impegna per la pace. Basta con le accuse ideologiche di antiamericanismo. Basta con le minacce e le intimidazioni. Il muro contro muro non giova a nessuno.
Chi vuole la pace deve praticare il dialogo e il confronto. Governo e Parlamento si aprano dunque al confronto con le organizzazioni della società civile e gli enti locali che tutti i giorni s’impegnano concretamente a promuovere la pace e i diritti umani. C’è una politica di pace da costruire in un mondo attraversato da tensioni complesse e profonde. Ci sono numerose emergenze che attendono insistentemente di essere affrontate con coraggio e lungimiranza. Neanche il migliore dei governi possibili potrà farcela senza il sostegno e il contributo attivo dei propri cittadini.
Annunciamo sin d’ora che il 26 febbraio saremo a Padova per partecipare alla manifestazione unitaria contro il terrorismo indetta da Cgil, Cisl, Uil, alla quale assicuriamo la piena adesione della Tavola della pace. ”
Tavola della pace, 16 febbraio 2007
Tavola della Pace
Venerdì, 16 Febbraio, 2007 - 14:43

CONTRO LA CULTURA DELLO SFRATTO

CONTRO LA CULTURA DELLO SFRATTO
CONTRO LO SFRATTO DELLA CULTURA
Il fatto: TRA POCHI GIORNI SARA' ESEGUITO A MILANO IN VIA CONFALONIERI 3 LO SFRATTO NEI CONFRONTI DI DUE ANZIANI ARTISTI CHE VIVONO DA ANNI IN UNO STUDIO LABORATORIO DEL COMUNE CON IL QUALE HANNO ACCUMULATO ORMAI UN CONSISTENTE DEBITO.
DAVIDE DE PAOLI DI ANNI 70 E' UNO STIMATO SCULTORE CHE HA FONDATO IN QUARTIERE UNA SCUOLA LABORATORIO DI LAVORAZIONE ARTISTICA DEL METALLO E CHE HA AVVIATO AL LAVORO DECINE DI ARTISTI ARTIGIANI ANCHE ALL'ESTERO.
BETTY GILMORE DI 66 ANNI E' POETESSA E CANTANTE DI BLUES  ED HA AL SUO ATTIVO OLTRE A MOLTISSIMI CONCERTI DIVERSE PUBBLICAZIONI DI CD, POESIE, E ARTICOLI.   PURTROPPO IL LORO REDDITO NON E' SUFFICIENTE A PAGARE L'AFFITTO DEL NEGOZIO LABORATORIO DOVE HANNO RICAVATO NEL RETRO UNA STANZA PER DORMIRE.
DA TEMPO SONO IN GRADUATORIA PER AVERE UN ALLOGGIO POPOLARE CHE IL COMUNE NON GLI HA MAI VOLUTO ASSEGNARE. IL 5 DI MARZO VERRANNO SFRATTATI DALLO STESSO COMUNE DI MILANO.
UN IMPORTANTE LABORATORIO CULTURALE DEL QUARTIERE ISOLA VERRA' CHIUSO PER FAR POSTO PROBABILMENTE AD UN LOCALE COMMERCIALE E BETTY E DAVIDE RIMARRANNO SENZA TETTO.
Il Quartiere Isola: E' UNO DEGLI ULTIMI QUARTIERI POPOLARI RIMASTO ALL'INTERNO DELLA CIRCONVALLAZIONE DI MILANO DOVE  VARIE ETNIE CONVIVONO CON STUDENTI E ANZIANI.
 LA SERA C'E' UNA FERVENTE ATTIVITA' CULTURALE CON TEATRI, MOSTRE E LOCALI APERTI FINO A TARDI NON ANCORA CONVERTITI ALLA ESCLUSIVA "MOVIDA" MILANESE.
VI SONO ANCORA ARTIGIANI, PICCOLI NEGOZI E VARIE ASSOCIAZIONI.
PURTROPPO IL COMUNE DI MILANO HA AUTORIZZATO LO STRAVOLGIMENTO DI QUESTA ISOLA CHE VERRA' SOMMERSA DA UN MILIONE DI METRI CUBI DI CEMENTO, VERRANNO ESTIRPATI ALBERI E PRATI IN CAMBIO DI GIARDINI CONDOMINIALI. L'OMBRA IN COMPENSO VERRA' FATTA DAI   GRATTACIELI PER UFFICI CHE PORTERANNO NEL QUARTIERE TRAFFICO E SMOG.
L'emergenza abitativa : A MILANO SONO IN ESECUZIONE UNDICIMILA SFRATTI LA MAGGIOR PARTE DEI QUALI DI INQUILINI CHE NON RIESCONO PIU' A PAGARE L'AFFITTO CON CANONI CHE HANNO RAGGIUNTO CIFRE IMPAGABILI PER LAVORATORI DIPENDENTI E PRECARI.
2000 SONO LE FAMIGLIE NELLA GRADUATORIA DI EMERGENZA CHE IL COMUNE  HA DECISO DI AZZERARE SENZA EFFETTUARE PIU' ALCUNA ASSEGNAZIONE ED ALTRE MIGLIA SONO LE FAMIGLIE IN STATO DI EMERGENZA ABITATIVA CHE NON RICEVERANNO PIU' NESSUNA RISPOSTA.
MENTRE NEL FRATTEMPO ALTRE 16.000 FAMIGLIE HANNO PARTECIPATO AL BANDO PER L'ASSEGNAZIONE DI CASE POPOLARI CHE NON CI SONO. PERO' RIMANGONO OLTRE 2000 GLI ALLOGGI PUBBLICI SFITTI PER MANCANZA DI MANUTENZIONE E MALA AMMINISTRAZIONE.
INOLTRE IL COMUNE E L'ALER, CONTINUANO A SGOMBERARE FAMIGLIE CHE HANNO OCCUPATO PER NECESSITA' NON AVENDO RIGUARDO PER NESSUNO: DONNE INCINTE,  BAMBINI, MALATI,   CASI SEGUITI DAI SERVIZI SOCIALI , INCALZATI DA UNA CAMPAGNA DI STAMPA DISINFORMATA E PERSECUTORIA.
Cosa chiediamo: CHE LO SFRATTO DI BETTY E DAVIDE VENGA RINVIATO FINO ALL'ASSEGNAZIONE DI UN ALLOGGIO E POSSIBILMENTE AL REPERIMENTO DI UNO SPAZIO IN QUARTIERE PER POTER CONTINUARE LA LORO ATTIVITA'.
IN GENERALE CHE CI SIA UN PASSAGGIO DA CASA A CASA PER TUTTI GLI SFRATTATI.
UNA POLITICA DELLA CASA CHE SODDISFI LA RICHIESTA DI CASE POPOLARI CHE RIQUALIFICHI I QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA CON L'ASSEGNAZIONE DEGLI ALLOGGI TENUTI COLPEVOLMENTE SFITTI.  INFINE UNA POLITICA URBANISTICA PIU' ATTENTA AGLI INTERESSI DELLA CITTADINANZA E MENO A QUELLA DEGLI IMMOBILIARISTI E DEGLI SPECULATORI.
CHIEDIAMO DI SOTTOSCRIVERE QUESTA APPELLO CHE VERRA' INVIATA AL COMUNE DI MILANO

Venerdì, 16 Febbraio, 2007 - 09:34

Partito Umanista

La nonviolenza è l’unica risposta
Il governo Prodi sta reagendo con un misto di isteria e arroganza all’ondata popolare di protesta che culminerà nella manifestazione di sabato a Vicenza. Forse si aspettava che il ricatto del “governo amico” riuscisse anche questa volta a tacitare chi si oppone a una politica di servilismo verso gli Stati Uniti in perfetta continuità con quella di Berlusconi. O forse si aspettava che la gente rimanesse indifferente di fronte alla costruzione della più grande base USA in Europa, da cui partiranno i futuri attacchi verso i paesi non allineati al nuovo ordine di potere, creando un ulteriore rischio terrorismo sul nostro territorio.
Visto che questa tecnica non ha funzionato, si è passati alle ridicole accuse di Amato, con il chiaro proposito di creare tensione e scoraggiare la partecipazione al corteo.
Per tutto questo è fondamentale che la manifestazione di sabato faccia della nonviolenza attiva il suo segno distintivo e respinga ogni provocazione violenta, non dando nessuna solidarietà a  chi promuove e realizza la lotta armata.
Partito Umanista

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