.: Democrazia e cittadinanza
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Inserito da il Inserito da Oliverio Gentile il Mar, 21/06/2011 - 23:14

... vedi la relativa news per saperne di più e partecipa subito al nuovo forum (magari trasferendo lì le tematiche che ti stanno a cuore)!
Smile
Oliverio

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Inserito da il Inserito da Angelo Mandelli il Mar, 19/04/2011 - 17:29

Cosi' Napolitano ha sentito il bisogno di prendersela, pure lui, con i manifesti affissi a Milano dal Lassini.
 
Vorrei dire al Presidente che forse ci sono cose piu' importanti di cui indignarsi e che accadono nelle nostre citta'.
 
Ad esempio ci si potrebbe indignare per quella  colossale associazione a delinquere che da decenni spadroneggia nelle citta' Italiane (Milano in primis) e che e' costituita da Centri Sociali, Anarchici e Writers.
Costoro da decenni commettono ogni genere di reato (occupazioni abusive, disturbo alla quiete pubblica, imbrattamento di muri altrui, ecc.ecc.) e ne fanno tranquillamente apologia dai loro siti internet (che nessuno oscura).
Sistematicamente oltraggiano le Istituzioni e le Autorita';  diffamano, insultano, fanno violenze, disturbano le manifestazioni  altrui (comprese quelle istituzionali), non pagano le tasse, spacciano alcoolici e altro.  Nelle loro "sedi" (rubate e abusive ) ogni tanto qualche ragazzo muore di overdose.
Ma, chissa' perche' nessun Presidente l' abbiamo mai sentito esprimere la sua indignazione in merito.
 
Se talvolta questi farabutti vengono sgomberati dagli edifici (che occupano magari da anni), subito dopo rientrano in pompa magna o occupano altri edifici, in una escalation di arroganza senza vergogna.
E poi,  le poche volte che vengono sgomberati,  ci tocca di assistere alla solita sceneggiata INFAME. E cioe' il levarsi in coro delle voci dei partiti di sinistra che danno ragione NON a chi ha fatto rispettare la legge, ma agli occupanti abusivi, accusando le autorita' di essere "repressive" e di non "capire i giovani".
Chi strilla nelle piazze per la Costituzione , la legalita', i crimini del perfido Belusconi, ecc. si guarda bene dal parlare male della associazione a delinquere dei centri socli e dei loro amici.  Anzi il piu' delle volte si ritrovano a braccetto in piazza.  Chi fa le "carovane antimafia"  omette sempre di includere nel novero della delinquenza organizzata da stigmatizzare,  quella dei centri sociali anarco-comunisti.
 
E i Magistrati che fanno?  Non potrebbero indagare e perseguire un po' di piu' questa gente, oltre che interessarsi del caso Ruby?
 
E Napolitano non potrebbe dare una strigliata  ai PM perche' si diano una mossa per perseguire queste squadracce fasciste (tali sono, benche' quasi sempre ROSSE)  che replicano esattamente el squadracce del regime che e' stato sconfitto il 25 Aprile di 60 anni fa?
 
Chi fa inchieste sui centri sociali illegali?  Come mai tutti i principali graffitari abusivi sono ancora a piede libero  (e vengono intervistati sui giornali come eroi)?
Come mai chi occupa stazioni e autostrade viene quasi sempre assolto (come successo per i Cobas di Arese che avevano bloccato l' Autostrada dei Laghi causando disagi immani a migliaia di cittadini incolpevoli?).
Come mai i processi per le occupazioni abusive vengono spesso dirottati  sui giudici di Pace, come fossero volgari liti di condominio?
Come mai i personaggi di spettacolo e politici o sindacalisti che entrano nei negli edifici occupati illegalmente (a tener concione ai ladri) non vengono indagati?
Ad esempio  (tanto per citare uno dei tanti casi)  nella nostra zona,  un gruppo di farabutti denominatosi "centro sociale Sos Fornace", dopo essere stato sgomberato da una fabbrica che occupava da 5 anni,  ha occupato un altro edificio a Gennaio.   Nel successivo Week end si e' tenuta una assemblea  nella nuova "sede" a cui ha partecipato addirittura Giorgio Cremaschi della segreteria FIOM di Milano.       Nello stesso centro sociale abusivo era andato a tenere conferenza anche Renato Curcio.  Che bello!   Un brigatista pregiudicato che entra abusivamente in un edificio occupato,.....
Ce ne sarebbe abbastanza forse i giudici per fare o dire qualcosa...O No, sig. Presidente Napolitano?
 
Sig. Napolitano,  Lei  e' sicuro  che la "provcazione" dei manifesti anti-pm di Milano sia molto piu' "infame" di quello che le abbiamo descritto?   E, se no,  perche' non si da da fare in merito con la stessa solerzia per combattere il fenomeno?
 
Napolitano purtroppo   ci e' diventato antipatico gia'  un po' di tempo fa, quando si e' rifiutato preventivamente di firmare il decreto per la salvezza di Eluana.
Non siamo i soli ad essere indignati e delusi per il gesto.
Anche padre Aldo Trento (eroico missionario in Paraguay)  si e' rifiutato di rivedere un premio da Napolitano per lo stesso motivo.
E per lo stesso motivo Napolitano, secondo noi, dovrebbe  dimettersi e andarsene.  Non e' degno di rappresentare il popolo italiano, che e'  un popolo PER LA VITA sempre e comunque!
Tutte le parole e i giudizi  con cui ci  sommerge negli ultimi tempi,  ci hanno francamente stancati.

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Inserito da il Inserito da Fiorello Cortiana il Mer, 01/12/2010 - 16:16

Care/i tutti,

 

vorrei usare l'occasione dell'incontro del 13 Dicembre al Teatro Franco Parenti per mettere a punto una proposta di Direttiva Europea per garantire un sistema minimo di assiomi affinché le potenzialità di Internet non possano essere precluse, per via normativa o tecnologica. Partecipazione informata, disintermediazione, condivisione, costituiscono alcune delle pratiche che hanno indicato le potenzialità di sviluppo della rete nella produzione di valore, sia nella qualificazione democratica dell'agire politico che nella qualità del vivere sociale e negli aspetti economici.

Noi sappiamo che questa natura di Internet non è scontata e che sono in atto reazioni non solo di natura omeostatica da parte di chi sente in discussione delle rendite di posizione ma, peggio, di chi vuole usare la rete per forme di controllo e definizione dei profili identitari, nonché per costringere la relazione disintermediata dentro processi/piattaforme relazionali pre-definiti.

La neutralità della Rete è in discussione, sia per ciò che riguarda l'accesso sia per quel che riguarda la profilazione della nostra identità, giustificata magari dalla difesa del copyright, attraverso la Deep Packet Inspection. Sono altrettanto evidenti le derive presenti nel walled garden di molti social network, piuttosto che i tentativi di diversi governi di reintrodurre forme gerarchiche di distribuzione e controllo dell'informazione nel nome dell'editoria. Questo mentre Report ci informa che Finmeccanica ha affidato la security dei dati relativi al settore dell'industria militare a società russe, israeliane e cinesi, alla faccia della sovranità nazionale e della trasparenza democratica.

Nell'ultimo decennio siamo riusciti più volte a reagire, sia a livello europeo contro i reiterati tentativi della Commissione di brevettare il software, sia sul piano locale limitando le sanzioni a seguito dell'equiparazione del peer to peer alla contraffazione che contribuendo a fermare la legge sulle intercettazioni attraverso la campagna Nobavaglio.it. Abbiamo anche avviato la proposta/processo per l'Internet Bill of Rights, ma oggi è urgente un'azione sulle regole e la regolamentazione per non pregiudicare Internet come spazio pubblico e i suoi netizen come impresa cognitiva collettiva che lo anima.

E' tempo di mettere in campo un'azione propositiva utilizzando la possibilità di iniziativa dei cittadini europei contenuta nel Trattato Costituzionale Europeo se vogliamo avere un'efficacia anche locale.

Ai primi di Dicembre, in coincidenza con il primo anniversario del Trattato, dovrebbe essere ufficializzato il regolamento che consente a un milione di cittadini europei una iniziativa propositiva.

Il testo sul quale raccogliere le sottoscrizioni dovrà essere approvato prima.

Per questo chiedo a tutti voi di segnalare gli elementi costitutivi da garantire attraverso una direttiva europea: si tratta di definire e condividere una proposta di sistema minimo di assiomi da sviluppare rapidamente in modalità wiki in dimensione aperta ed europea (almeno). Ne ho parlato ad un convegno europeo a Grenoble trovando significativi riscontri. Chi può venga a sviluppare il tema che crede insieme a noi il 13 dicembre, altrimenti mi invii la sua nota e la metterò in comune.

Intanto vi segnalo la bella e puntuale iniziativa promossa da Stefano Rodotà e da WIRED e lanciata all’IGF Italia, chiedendovi di sottoscrivere la petizione online http://internetcostituzione.it/

Articolo 21-bis della Costituzione

Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.

a presto

Fiorello

 

manifesto di ottobre

passione del presente, per una rinascita della res publica e per un nuovo impegno politico-culturale

rete e libertà

Milano, Teatro Franco Parenti - lunedì 13 dicembre 2010, ore 9.30-13.30

con fiorello cortiana e i firmatari del Manifesto di Ottobre

partecipano fra gli altri: luca barbareschi, umberto croppi, fiorella de cindio, giorgio de michelis, paolo gentiloni, fabio granata, roberto masiero, marco pancini, roberto polillo, stefano quintarelli, sergio scalpelli, rosario sica, claudio tancini, vincenzo vita

 
Accesso, condivisione, tracciabilità, privacy, partecipazione informata, beni comuni della conoscenza:  l’interattività digitale può essere intesa come la formalizzazione di una società orwellianamente controllata, totalitaristicamente panoptica, o come una straordinaria opportunità di partecipazione del sapere, di valorizzazione sociale, cognitiva, culturale e anche di nuovi profili di interesse economico. Ma in Italia questi temi che non trovano nella rappresentazione politica giuste parole e adeguate figure: latita un progetto politico e culturale per l’innovazione, sia sotto il profilo delle policies, che delle norme legislative e delle infrastrutture.Urge disegnare insieme un indirizzo coerente ed efficace per la politica pubblica della rete e per la definizione delle libertà che la dimensione del digitale apre per i cittadini. Alla fine del 2010, anno che il Consiglio d’Europa fissò, con l’Agenda di Lisbona del 2000, come termine entro il quale divenire il continente più competitivo nella società della conoscenza, e dopo l’appuntamento italiano dell’IGF-Internet Governance Forum, il Manifesto di Ottobre promuove un confronto intorno ai nodi della rete e delle libertà.

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Inserito da il Inserito da Simone Piacelli il Ven, 19/11/2010 - 16:03

Ma guarda un po' sarà una novità!!! Fissiamo appuntamento con Davide Boni per le ore 15:00 di oggi.

Arriviamo in Fabio Filzi e ci manda una segretaria perchè lui deve prepararsi per andare a Roma. Ma io mi chiedo un appuntamento preso un mese fa per essere trattati cosi. Poi li votiamo!!! Non so se siamo imbecilli noi o sono loro che non sanno lavorare...

A VOI LE CONCLUSIONI!!!

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Inserito da il Inserito da Guido Miserandino il Dom, 07/11/2010 - 00:42
L'associazione Il Gabbiano organizza il Convegno

La Democrazia Perfetta:
Democrazia Rappresentativa
e
Democrazia Diretta.

che si svolgerà

Venerdì 12 Novembre 2010
ore 20.30
Presso la Sala Bracco del
Circolo della Stampa
Corso Venezia 16
MILANO

Programma

20.00 registrazione

20.30 introduce
          Stefano Zamponi Capogruppo Italia dei Valori
          Consiglio regionale della Lombardia

20.40 Bruno Aprile Presidente Comitato Cittadino Democrazia Diretta
          Democrazia e Costituzione Italiana

21.05 Valerio Onida
          Costituzionalista
          Con quali limiti si può esercitare la Democrazia Diretta

21.30 Sen. Luigi Li Gotti Vicepresidente Giunta Elezioni
          componente commissione parlamentare Giustizia
          I Disegni di Legge presentati da Italia dei Valori

21.55 Fiorella De Cindio
          Presidente Fondazione RCM Rete Civica di Milano
          Cosa si fa in Lombardia e nel mondo

22.20 Manfredi Palmeri
          Presidente Consiglio Comunale di Milano
          Cosa si fa nel Comune di Milano

22.45 Raffaele Grassi
          Consigliere IdV Comune Milano
          La posizione di Italia dei Valori in Consiglio Comunale

23.00 Dibattito

23.30 Conclude
          Sen. Felice Belisario
          Presidente Gruppo Italia dei Valori Senato

          Modera Guido Miserandino
          Presidente Associazione Il Gabbiano

Data la grande attualità e l'interesse dell'argomento, si invita tutti a partecipare

SI PREGA DI CONFERMARE
LA PROPRIA PRESENZA ALLA SEGRETERIA
Segreteria organizzativa:
tel. 02 67 48 63 77 - fax 02 67 48 20 52
e-mail: italia.valori@consiglio.regione.lombardia.it

LA LOCANDINA:
https://docs.google.com/...

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Inserito da il Inserito da Cristiana Fiamingo il Mer, 04/08/2010 - 08:50

Questa lettera è destinata ai miei Concittadini. È, certo, un’opinione, ma anche una prospettiva (è in voga, nel Continente di cui mi occupo, l'Africa, adottare visioni strategiche di lungo periodo, che chiamano "Vision", appunto) che nasce dal desiderio di coinvolgere e coscientizzare chi vuole migliorare questa società in cui siamo nati e lasciarla un po’ migliore di come l’abbiamo trovata, facendoci attori partecipi delle riforme in atto a partire da una, in particolare, quella educativa, proprio mentre è in discussione il II DDL Gelmini, per l’università. Sono un’accademica, certo, particolarmente coinvolta da quanto si sta dibattendo, ma chiedo ascolto a tutti perché è in gioco l'interesse di tutti... dunque:
"Concittadini... Italiani..."
il Presidente Napolitano, condannata la corruzione, si rimette agli anticorpi di questa Cittadinanza. Restando in tema di virulenza, i nostri  anticorpi sembrano piuttosto aver sviluppato, dopo lungo esercizio, un adattamento senza precedenti dell'organismo all’"ospite" salito al potere per esercitare "dominio": mentre vecchie mafie vengono distrutte dal potere istituzionale - e proprio mentre quelle stesse magnifiche operazioni di pulizia e progressive avvengono - i nuovi squali si garantiscono impunità a suon di "fiducia", brandendo parole di libertà... a garanzia di delinquenza. 
Nonostante l’indignazione non manchi, questa sembra appiattirsi sfogandosi in cortei viola, pur degnissimi convegni, manciate di coraggiosi progetti sociali e rosari di caratteri, non dissimili da questo, sul web, mentre le falene della politica, accecate dal potere cui mirano a qualunque costo, impegnate a sfuggire i colpi del retino, sfarfallano caotiche sui bisogni reali di questo paese. Chiamate a raccolta di nuova, sana ecumene e preghiere non bastano se non si punta ad una riforma sistemica, strutturale profonda che muova dal comparto della progettualità sociale: quello educativo. La malattia di cui soffre la canalizzazione  del dissenso in questo Paese - e non solo in questo, quale sintomatico, globale “paradosso della democrazia” - che non trova più sponda nei partiti politici, non rende meno politiche le nostre istanze dal basso. Nemmeno la cosiddetta ‘opposizione’ si rende conto di quanto abbisogni il nostro Paese di una metodologia integrata e organica nell’affrontare la riforma del sistema educativo nel suo insieme: il declamato approccio del Long Life Learning, dovrebbe trovare legittimazione politica almeno nella sua estrinsecazione istituzionale, tra istruzione primaria, secondaria, superiore e di formazione universitaria, assurdamente dis-integrate per evidenti ragioni di dominio. Eppure, in qualsiasi contesto, la riforma dell’istruzione pubblica (coesistente alla sua declinazione minoritaria privata) è la visione di lungo periodo di un governo per la società che guida e della società per se stessa. Forse non è tardi. Le componenti sociali, magari attraverso l’opposizione, operando in un suo rigurgito di coscienza nelle bracciate per stare a galla, devono portare ad una compartecipazione attiva la Cittadinanza nel realizzare una riforma sostenibile, attraverso l’iter legislativo. La responsabilità è di tutti. Che sia approvata una buona o una cattiva riforma, le sue conseguenze e i suoi riflessi impostano la Nazione. Nessuno potrà poi sentirsi assolto.
Il 29 luglio è stato approvato in Senato il DDL Gelmini (DDL 1905) ulteriormente emendato e, quale studiosa che della normatività sociale indotta da politiche educative se ne intende, perché da sempre se ne occupa e di ciò vive (il baricentro spostato sui modelli di stato di periferia coloniale non vi inganni), vorrei trovare un modo per appellarmi alla sensibilità civica e, quindi, politica dei miei concittadini e dei politici fra loro, circa l’opportunità reale che, pur creata, si sta perdendo.
Ogni Nazione ha proprie esigenze culturali, politiche ed economiche e difetti propri, storicamente consolidati, che una sana riforma educativa può sanare. Quindi, vi prego, non usate indifferenza, non rimanete invischiati nella parcellizzazione di dominio e nei problemi quotidiani che frammentano la visione d’insieme: che abbiate figli o no, che abbiate a che fare col settore o meno, tutti voi la “scuola” l’avete vissuta. Chi più chi meno ne ha esperito difetti e pregi e riconoscerete come molte delle esperienze più fortunate siano legate alla professione di speranza costruttiva di singoli docenti. Ce ne sono sempre stati, ce ne sono e sempre ce ne saranno, ma non van lasciati soli: occupatevene! Basta piegarsi al divide et impera, ma si consideri piuttosto in modo positivo come tutto il comparto educativo appartenga nuovamente allo stesso Ministero, mentre, in modo schizoide, rispetto ad una evidente volontà di coordinamento, da molte, troppe legislature, le politiche governative colpiscono tutte le forme di istruzione e formazione pubblica, separatamente e sistematicamente obbedendo alla formula neoliberale che anima un movimento insindacabilmente globale, volto a creare, da un lato, debitori/consumatori passivi e non personalità coscienti, vigili e animate da spirito critico attraverso la conoscenza e la cultura e dall’altro, in una riproduzione strutturale del potere che controlli il flusso di conoscenze, in opere di trasmissione piuttosto che di comunicazione – pur nel flusso della retorica della comunicazione – forme di dominio autoritario, che credevamo incompatibili con il culto della “libertà” sin qui maturato.
No, non è complottismo, ma una costernata constatazione di una strategia inerziale cui questa debole ‘opposizione’ contribuisce, non opponendosi, al punto da farsene trampolino.
Si tenti di cogliere l’insieme, senza lasciarsi offuscare da "gonfi" slogan che sproloquiano di “governance” e “meritocrazia”, che nessun senso hanno se svincolati da una cultura etica della trasparenza e del migliorare al massimo delle proprie capacità in un impegno sociale, politico ed economico altresì, volto a cogliere tali capacità per coltivarle e farne patrimonio produttivo. Agganciarsi a questa richiesta prepotente, che viene dal basso, senza rendere sostenibile una riforma è il più vuoto, ma anche il più dannoso e deleterio esercizio della politica che si possa immaginare, perché svuota di senso ogni speranza salvifica, mentre mortifica ciò che sopravvive d’un senso d’appartenenza alla Cittadinanza. È sbagliato opporsi parando i singoli colpi, perdendo di vista la strategia. Occorre produrre una riforma educativa sostanziale, organica, moderna, sensibile al cambiamento globale, ma soprattutto al progetto di una società sostenibile, che, partendo dal "Cittadino-studente formato", obbediente in primis ai bisogni del Paese, a ritroso, ne progetti il percorso formativo ottimale,  ma mantenendo vivi i desideri che hanno garantito approdo alle conquiste storiche reali della Nazione nel contesto internazionale, aspirando ad una libertà di scelta consapevole verso il "migliore dei mondi possibili" a fronte di risorse limitate, proprie altresì, ricusando la mera garanzia all’accesso ai beni di consumo... oggi, sempre meno "propri". Insomma forte di una cultura non vissuta come “bene di lusso” complementare alla formazione, ma come insieme di strumenti per interpretare il presente e adottare le migliori soluzioni per affrontarne la complessità e le crisi.
Eppure a fronte di questa evoluzione, la riforma che emerge prevede una riduzione costante dei finanziamenti all’istruzione di grado inferiore, destina una minima percentuale del Fondo per il Funzionamento Ordinario di premialità per l’Università, tagliandolo preventivamente a colpi di mannaia e non prevede alcun finanziamento per la ricerca e nemmeno per l’aggiornamento degli insegnanti attraverso l’Università - che, grazie allo sviluppo della ricerca, dovrebbe essere il luogo preposto alla riproduzione di una docenza efficiente e innovativa - mentre inibisce, attraverso il blocco del turn-over, l’avvicendarsi delle generazioni.
Come una riforma siffatta possa promuovere merito o good governance è mistero.
Addirittura alla maggioranza sfugge il disegno inerziale di cui si fa interprete: l’on. Valditara stesso, che il DDL 1905 ha elaborato (e in gran parte emendato rispetto alla prima, del tutto inaccettabile, versione), ha ammesso l’insostenibilità della riforma. Tale dichiarazione tradisce l’evidente sequenzialità non casuale che dalla “Finanziaria” L.133/2008, si snoda attraverso “Gelmini Atto I” (L.1/2009) e Atto II (DDL 1905/2010) nella ricorrente formula - “senza alcun aggravio per questa amministrazione” – che, oltre ad essere incostituzionale (l’art. 81 della Costituzione italiana prevede che ogni proposta di legge sia garantita da copertura finanziaria), rende l’art. 16 della L.133 (che promuove l'istituzione di fondazioni universitarie) uno sbocco inevitabile, peraltro, già intrapreso da alcuni atenei; mentre la manovra DL 78/2010 dà il colpo di grazia, colpendo anche gli individui e, in modo macroscopico, il comparto pubblico e i giovani ricercatori, in particolare.
Ciò detto, se questa riforma s’ha da fare, se si deve per forza affrontare una progettualità a mosaico, è innegabile che vi sia qualcosa di buono in essa. Quella dell’abilitazione nazionale è una novità imprescindibile nella promozione del merito e di cui si richiede immediata applicazione, approntando tutti i meccanismi di controllo umanamente possibili. I concorsi in questo paese (così come gli appalti), paradossalmente, sono fonte di riproduzione clientelare e di “interdipendenza debitoria” nella assoluta impunità e deresponsabilizzazione dei “pupari”. Certo, sono resi assolutamente insostenibili finanziariamente dal DDL 1905, che non rispettando con protervia – rispetto alla prima versione – il citato art. 81 della Costituzione, non prevede i fondi per l’accensione né dell’abilitazione, né dei concorsi interni, contribuendo al blocco delle assunzioni, a fianco del blocco del turn-over e a una politica accademica che tradizionalmente ritarda i pensionamenti, mentre in Atenei, come quello cui appartiene la scrivente, si stabiliscono regole che prevedono la possibilità di affidare un corso principale a docenti ormai in pensione. Se così si risponde alle esigenze dell’allungamento delle aspettative di vita, della sua qualità e dei riflessi di questa sul cerebro, si inibiscono sostanzialmente le istanze di rinnovamento del “parco intellettuale”.
Ancora, nella recente versione del DDL, mancano quei paletti legislativi che mettano al riparo da abusi di potere che possono consumarsi nelle “autonomie” universitarie e che evitino il perpetuarsi della cultura egemonica delle appartenenze, endemica di questo Stato. Qualora ciò avvenisse proprio a partire dalla compagine intellettuale che forma i quadri della Nazione, potrebbe essere buon inizio per tentare di assestare ogni comparto pubblico in questo Paese, che abbisogna di una nuova etica. Forse ricorderete come questa riforma invocasse la necessità di limitare lo strapotere “baronale”, che, a differenza di quanto si possa credere, solo in casi rari sfocia in stipendi favolosi, o giri d’affari miliardari: nella maggior parte dei casi è management parcellizzante di riproduzione di clientele, garantito dall’assenza di responsabilità diretta su fondi pubblici ma, soprattutto, sugli investimenti in capitale umano. Il “potere” degli ordinari si esplica nella loro funzione di "gate-keepers": nella determinazione dei destini dei giovani, selezionandoli per lo più, certo, in base al loro effettivo valore, ma pur sempre riconosciuto da singoli individui, talvolta adottando una serie di criteri legati anche alla “disponibilità” a soddisfare determinate “regole di ingaggio”. Spesso, dopo anni di esercizio sottoretribuito di docenza, nel precariato, viene acceso per loro un concorso nell'aspettativa che tale contributo continui nell'ufficialità. Il concorso si basa su squilibri di potere che esulano dalla graduatoria di merito dei candidati (frutto, lo ricordiamo di una prima, individuale cernita, che molti ha esclusi) e, una volta superato, oltre alla serie di lavori "dati in appalto" dietro alla più o meno esplicita promessa di carriera, la "missione" dell'insegnamento è il piatto di lenticchie. Il carico di insegnamento, per lo più gratuito, certo offerto/accettato per permettere il rafforzamento professionale, diventa materia di ricatto: il mancato espletamento – sebbene la legge non lo renda esplicitamente obbligatorio, legando l'assunzione del ricercatore alla ricerca, non alla docenza – mette a serio rischio il futuro del ricercatore o non accendendo alcun concorso ad associato "per lui/lei" (interessante esercizio la lettura delle gazzette ufficiali per gli ultimi concorsi ad associazione: per lo più lettere di raccomandazione ritagliate sui curricula dei candidati "eletti", mondati del loro nome) e, anche qualora avesse ottenuta idoneità in un concorso acceso in altra sede e per altro collega, potrebbe non venir chiamato. E' anche per questo che le proteste contro la riforma si esercitano sul veicolo del ricatto, col blocco della didattica e certo non per ledere gli interessi degli Studenti.
Il DDL propugna un accentramento autoritario non dissimile da quello che tenta di stabilire il dominio in questo Stato, focalizzato sulla figura del Rettore e di pochi ordinari. Si sono esclusi da organi di gestione e di valutazione o abilitazione professori associati e ricercatori, perché “manipolabili” da “manipolatori”, ovvero dagli ordinari. Sebbene molti appartenenti a questo ruolo affermino che finalmente si vedrà chi tenga in mano il fucile, la contraddizione di accentrare il potere nelle loro mani è evidente. Per svellere una cultura egemonica delle appartenenze, bisogna operare in modo organico, non inserendo precari da precarizzarsi ulteriormente a copertura di incarichi didattici, come si intende fare con i ricercatori a tempo determinato (RTD) assunti dietro la mascherata della tenure track: un meccanismo fattibile in altri contesti, ma difficilmente gestibile, se non garantito da norme stringenti, in questo nostro contesto italico, permeato d’una cultura malata. Con l’emendamento approvato il 29 luglio, l’assunzione degli RTD avviene in due tempi: dapprima con contratto a tempo pieno o parziale, da uno a cinque anni, (si badi bene) pure non consecutivi, cui seguirebbe un secondo contratto di tre anni a tempo pieno, cui dovrebbe conseguire la chiamata a professore. Sempreché tale delirio trovi applicabilità tanto sotto profilo economico che di accettabilità umana, si vede bene quanto ipocrita sia la percezione da cui tale proposta deriva: il ricercatore viene assunto per fare didattica. Il ricatto assume rigore di legge, mentre si riconosce ai ricercatori a tempo indeterminato (RTI ad esaurimento) la loro dignità, non legittimata ad oggi, di docenti, attribuendo pure a loro la valenza culturale che il docente universitario ("il barone") ha assunto in Italia, di colui che ha diritto allo "schiavo", dotando pure gli RTI di cultori della materia che svolgano il 10% di didattica per loro (emendamento della Lega), mentre vengono garantiti loro altri concorsi per l’assunzione del 25% di associati l’anno – ad accoglimento parziale della mozione Crui e sempre senza copertura finanziaria.
Nel caos di iniziative, pur lodevoli, di contrasto ad una siffatta riforma, emergono due correnti principali. Sebbene il nome possa trarre in inganno, il "Coordinamento Nazionale dei Ricercatori Universitari" del dott. Merafina rappresenta solo una piccola parte dei ricercatori, concordi nel richiedere un’ope legis. La maggior parte dei ricercatori universitari, invece, ritiene le proposte dal CNRU un’autogoal, in totale dispregio del primo articolo della Costituzione: ovvero d’invocare una garanzia di legge per manetenere lo status quo di asservimento, erogando il carico didattico cui sarebbero tenuti gli associati al costo dei ricercatori, per la seconda medaglia di cartone, dopo quella di "professore aggregato", d'una terza fascia. La “Rete 29 Aprile”, piuttosto, propone un ruolo unico della docenza con esaurimento del ruolo di ricercatori di professori associati e ordinari, declinato in una serie di livelli con promozione per merito e capacità specifiche desumibili con una valutazione seria di ricerca e didattica con retroazione premiale sugli individui e la loro produzione scientifica e i risultati didattici che beneficiano o puniscono, a ricaduta, i Dipartimenti cui appartengono, quali organismi primari responsabili di ricerca e didattica.
Ora, mi chiedo... vi chiedo: adottando un'ottica lungimirante, non vedete anche voi possibile un ruolo unico di docenza scandito da livelli di merito (e, quindi,  stipendiali e d’erogazione di fondi di ricerca supplementari) garantiti da una attenta valutazione di ricerca e didattica a scansione triennale e ponderata secondo settori scientifico disciplinari e d’abilità pedagogiche, anche per i gradi di istruzione precedente alla formazione universitaria, che possa favorire scelte di ricercatori/docenti di valore in base a criteri qualitativi (e non meramente quantitativi) di cui beneficino tutti i gradi dell’istruzione? Non sarebbe possibile, vi chiedo, garantire la mobilità fra i settori educativi e in quelli delle imprese correlate alle specializzazioni scientifiche: accanto alla possibilità di riflusso negli altri atenei e/o negli altri gradi di formazione / istruzione, ove il caso, occorre incentivare un rapporto con le aziende (realizzato solo a macchia di leopardo in questo Paese), prevedendo un progressivo riflusso in esse di quanti abbiano superato l’abilitazione nazionale e le valutazioni triennali in modo comunque positivo a partire dal primo triennio e per tutta la loro carriera, e non certo come un ripiego, ma in una dialettica costante e incentivante nell’alta qualità di formazione, produzione e perizia didattica. Un ulteriore sbocco, poi, per merito dovrebbe essere la trasformazione di questo rinnovato corpo docente (a tutti i livelli) in funzionari che entrino con cariche di responsabilità negli organi di governance di scuole, università e ministeri. Il tutto avrebbe bisogno di un periodo di transizione utile all’adattamento pratico ma, soprattutto, culturale rispetto alla nuova situazione. Ditemi, che ne pensate.

 
Cristiana Fiamingo
Ricercatore in Storia e Istituzioni dell’Africa
Università degli Studi di Milano
                                                                                   Monghidoro, 30 luglio 2010
 

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Inserito da il Inserito da Guido Miserandino il Lun, 26/07/2010 - 11:59

La mia idea di partecipazione è molto vicina alla Democrazia Partecipata come viene attuata nella vicina Confederazione Svizzera e, da tempo, studiamo l’approntamento di un modello applicabile in Italia.

Ho creato nel 2001 una associazione, “Il Gabbiano”, che si occupa di cultura politica e sociale e vivo quotidianamente le difficoltà di aggregare persone per discutere. Con i gruppi “La Politica alla Gente” (siamo riusciti a crearne, con grande impegno, venti in diversi quartieri di Milano), abbiamo fatto riunioni periodiche con stesura di documenti e progetti, sapendo che è molto difficile avere un interlocutore nelle istituzioni, locali o nazionali.
A Gennaio 2010 abbiamo fondato il Comitato Cittadino Democrazia Diretta!

Cosa è?

La Costituzione dice:

Art. 1 “La sovranità appartiene al POPOLO, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Art. 55 che una forma è la l’espressione del Parlamento (Democrazia Rappresentativa - DR)
Artt. 50, 56, 58, 71, 75 e 138 che un’altra forma è l’espressione del popolo al di fuori delle
rappresentanze elette (Democrazia Diretta – DD)
La Legge 3 agosto 1999, n. 265 e il Dlgs 18 agosto 2000, n. 267, impongono ai Comuni di inserire negli Statuti e nei Regolamenti forme e strumenti di partecipazione popolare, anche referendari (quindi di Democrazia Diretta), spesso disattesi dalla stragrande maggioranza dei Comuni.

Bene, insieme ad altri amici abbiamo fondato il Comitato Cittadino Democrazia diretta (CCDD) che ha come scopo di fare introdurre nei Comini, Province, Regioni che non l’hanno fatto (quasi tutti) gli strumenti previsti e di spingere la popolazione ad usarli.

La Sovranità appartiene al Popolo

La Sovranità appartiene a NOI

(allegato il logo del CCDD) 
Penso quindi che il nostro progetto si integri perfettamente con partecipaMi e più in generale con quello che era lo spirito del  “Progetto e21” e che si possa creare una sinergia interessante al fine di rendere completa e fattiva la Partecipazione dei Cittadini alla vita politica e sociale di Milano e non solo.
Il CCDD è infatti attualmente presente in Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Lazio, Sicilia, e si estenderà in tutt’Italia con l’effettuazione di numerosi eventi.
A Milano, oltre al Convegno con il Consiglio di Zona 4 (http://www.partecipami.it/?q=node/10535&single=1), stiamo organizzandone un altro per inizio Novembre, al Circolo della Stampa, al quale vorremmo invitare Manfredi Palmeri e Fiorella De Cindio.
Come possiamo contattarli tramite partecipaMi?
Chi ci da una mano? Oliverio Gentile? Embarassed
Speriamo anche che si apra una discussione interessante su questa “discussione”.
Cordiali saluti a tutti,
Guido Miserandino

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Inserito da il Inserito da Michela Messina il Lun, 17/05/2010 - 18:02

LA MIA ITALIA: Madre o Matrigna?

http://current.com/groups/videos/92418482_my-italy-mother-or-stepmother.htm
Cosa vuol dire appartenere ad una Nazione? È un documento che lo stabilisce? Quanta importanza ha il contribuire alla crescita del luogo in cui si vive? In che misura l’Italia sta dando l’opportunità alla nuova generazione di crescere e di esprimere al massimo la propria potenzialità?
Le riflessioni, le esperienze, lo sguardo di un ragazzo appartenete a una nuova generazione di italiani che non si sente riconosciuto per quello che è: come ci si può liberare da uno sguardo che classifica e giudica senza aprirsi alla conoscenza?

Scritto e diretto da Yonas Tesfamichael con l'aiuto di Michela Messina.

Ditemi cosa ne pensate!!! :)

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Inserito da il Inserito da Giuseppe Criseo il Gio, 13/05/2010 - 11:27

Sto organizzando la costituzione di un circolo di Generazione Italia, l'associazione vicina alle posizione del Presidente Fini, per una politica nuova, pulita e innovativa, potete seguirne l'evoluzione sul sito http://somma-attiva.blogspot.com/  e su facebook col gruppo Generazione Italia di Somma e Malpensa

gli interessati possono contattarmi al n. 347 3142298 o via mail : lottatoreunico@hotmail.com

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Inserito da il Inserito da Fiorello Cortiana il Ven, 19/02/2010 - 09:22

La modifica al decreto alla Commissione Ambiente della Camera e l’inchiesta della magistratura seguono il loro corso normativo e giudiziario, ma ancora una volta sono le questioni ambientali a misurare e a definire la qualità della politica e della cultura ad essa sottesa. Sono di pochi giorni fa le immagini nei telegiornale degli Ischitani che facevano muro contro le forse dell’ordine a difesa degli edifici abusivi, edificati spesso in zone a rischio idrogeologico.

Per questo le immagini che dai Nebrodi ci hanno mostrato la montagna, con la sua terra, i suoi ulivi e le sue case muoversi verso valle come una gigantesca colata lavica ci chiedono anche un altro sguardo per una riflessione efficace sulla Protezione civile in Italia e sulla cultura politica nell’amministrazione della cosa pubblica e del territorio cui si riferisce.

Il Servizio nazionale per la Protezione civile nasce con la legge 24 febbraio 1992, n. 225, “al fine di tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, catastrofi o altri eventi calamitosi”.

La Protezione civile coinvolge l’articolazione dello Stato dal centro alla periferia e la società civile attraverso le organizzazioni di volontariato. Questa struttura permette il coordinamento centrale e, ad un tempo, una grande elasticità e tempestività operativa. La Protezione civile vede il coinvolgimento operativo di circa 800.000 volontari organizzati in quasi 4.000 gruppi, coordinati alle amministrazioni locali e ai corpi dello Stato, dal Corpo Forestale a quello dei Vigili del Fuoco, dalle Forze armate a quelle di polizia, dal Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico al Corpo forestale, alle società legate alle infrastrutture come Enel e Telecom, così come la Croce Rossa e gli Istituti di Ricerca scientifici. Una elevata concentrazione di professionalità, anche tra i volontari, unita ad una notevole intensità motivazionale legata alla missione e alla natura, anche drammatica, degli interventi. In questi giorni la Protezione civile è stata paragonata ad un esercito, ad una forza di pace, ma se uniamo allo sguardo descrittivo sulla sua struttura le funzioni che nel tempo le sono state affidate essa si presenta in modo plastico come lo Stato stesso. Indubbiamente la consapevolezza che in questi giorni sta prendendo corpo, mista ad indignazione, stupore e sconforto, pone ad una tale struttura questioni di legalità legittimità e di controllo. Non si tratta soltanto di separare l’organizzazione e la gestione dei grandi eventi previsti e annunciati anni prima, siano i mondiali di nuoto a Roma, i raduni religiosi o il prossimo Expo 2015 a Milano, dal servizio nazionale che si occupa delle catastrofi o delle emergenze “imprevedibili”, perché annunciate ma non considerate. Anche qui ci viene chiesto un ulteriore sforzo di riflessione: sommare ed equiparare le catastrofi e le calamità ai grandi eventi e ai grandi raduni, rendere sinonimi l’urgenza e l’emergenza non richiede solo deroghe che costituiscono l’ambiente naturale per distorsioni e degenerazioni illecite. Ciò che impressiona è constatare che, delega dopo delega, un Paese  invece di semplificare una ridondante e anche contraddittoria articolazione di norme e competenze sceglie di prescindere da esse.

La politica pubblica abdica così al suo ruolo ed al suo compito di governo dei processi e si affida in outsourcing ad un Servizio nazionale connaturato alle calamità e alle emergenze, che una buona pianificazione e gestione di infrastrutture e territorio dovrebbe evitare, scongiurare e ridurre.

 Proprio la buona azione della Protezione Civile e dei suoi tecnici ha evidenziato questa alterazione. Il dissesto idrogeologico nel messinese dopo l'alluvione del 2007 è oggetto di una inchiesta della Procura. I tecnici della Protezione Civile nella loro relazione del 2008 ai pubblici ministeri rilevarono che: "La causa scatenante le forti alluvioni è stata certamente l'elevata intensità di eventi meteorici, ma non può non essere presa in considerazione la leggerezza di alcune scelte territoriali, che si sono rilevate determinanti negli effetti provocati dal dissesto idrogeologico. Scelte che hanno fatto sì che il degrado dei corsi idrici del messinese diventasse un fenomeno ormai generalizzato e diffuso capace di provocare un vero e proprio disastro". Sono state riscontrate responsabilità? Di più: Calogero Ferlisi, comandante del nucleo per la tutela del territorio dei vigli urbani di Messina lungo tre anni  ha denunciato 1200 edifici abusivi, 200  dei quali erano nel borgo della catastrofe alluvionale dello scorso 2009 a Giampilieri.  Di fronte ad un’emergenza descritta e agli eventi catastrofici previsti come si è mossa articolazione istituzionale che da’ corpo e definisce la politica pubblica nel territorio, Sindaci, Presidenti di Provincia, Prefetti, Governatore? Non pervenuto. La giunta regionale siciliana, a seguito del dissesto idrogeologico catastrofico che interessa il comune di San Fratello, ha dichiarato lo stato di calamità  per gran parte del territorio della provincia di Messina e parte della provincia di Palermo. La giunta ha inoltre deliberato la richiesta dello stato di emergenza al Consiglio dei ministri.

Certamente ora interverrà in aiuto degli sfollati la Protezione Civile, lo farà con la consueta abnegazione e i suoi operatori devono essere confortati dalla stima di sempre. Troppo semplice, e un po’ razzista, ridurre questo succedersi di fatti e di mancanze ad una vicenda Pirandelliana da circoscrivere e da commentare davanti al televisore, ogni italiano non deve andare molto indietro nella memoria della sua regione per trovare esempi simili, purtroppo.

Non a caso  Bertolaso chiese a Berlusconi 25 miliardi di euro per mettere in sicurezza tutte
le zone a rischio idrogeologico presenti sul territorio nazionale. L’ignavia di chi ha competenze e funzioni per la pianificazione e la gestione del territorio può indignare, ciò che deve preoccupare è la mancanza di una cultura politica capace di vedere il proprio territorio, la propria regione, il proprio Paese, come un ecosistema complesso del quale sentire la responsabilità. Per questo la semplificazione normativa, pur necessaria, non può significare l’assenza di regole e procedure che vedano, ad esempio, la valutazione di impatto ambientale come elemento interno alla progettazione di un intervento e non come sua successiva mitigazione. Agire nel rispetto del principio di precauzione non significa immobilismo ma tener conto di tutte le indicazioni presenti. I sistemi informativi territoriali e la partecipazione informata nell’era digitale sono utili proprio per “fare bene” nel rispetto dell’interesse generale e della sostenibilità ambientale. Non sempre il “fare presto e comunque” è altrettanto efficace.

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