DALLE 15 ALLE 17 SCIOPERO DI SOLIDARIETÀ DEI METALMECCANICI
Presidio Innse, quattro operai su una gru
Un corteo verso la stazione di Lambrate
Ripreso lo smantellamento dei macchinari venduti dopo
il vertice in Prefettura. Pd: «Fermare l'uso della forza»
MILANO - Situazione ancora incandescente alla Innse di via Rubattino. Quattro operai sono saliti su una gru alta dieci metri, dopo essersi introdotti nello stabilimento intorno alle 11.30, chiedendo che sia fermato lo smantellamento dei macchinari e minacciando di lanciarsi nel vuoto. Altri lavoratori, una ventina, si stanno muovendo in corteo verso la stazione di Lambrate con striscioni che recitano «Giù le mani dalla Innse».
«VOGLIAMO TRATTATIVA VERA» - Nello stabilimento intanto si organizza la resistenza a oltranza. «Rimarremo quassù fino a che non ci sarà una trattativa vera, perché non si può smantellare una fabbrica di queste dimensioni - dice un funzionario della Fiom salito sulla gru assieme ai quattro operai -. Appena entrati abbiamo chiesto che tutti i lavoratori che stavano smontando i macchinari smettessero di farlo, cosa che è poi successa». I quattro, dai 30 ai 60 anni, sono entrati nella fabbrica aggirando il cordone delle forze dell'ordine che da giorni presidia l'area e poi sono stati raggiunti dal segretario milanese della Fiom Marina Sciancati e dal segretario generale Gianni Rinaldini, che, scortati da Digos e carabinieri, hanno portato agli operai panini e acqua. «Stanno bene, ma non scenderanno fino a che non ci sarà una risposta. Hanno visto che è già stato smontato il primo macchinario - spiega Sciancati -. Non ci sono ancora spiragli aperti». Il gesto di protesta ha di fatto portato al blocco dei lavori di smantellamento, effettuati da operai di due ditte di Arluno e Vicenza chiamati dal proprietario Silvano Genta.
PD: «NO ALL'USO DELLA FORZA» - E si allarga la solidarietà ai 49 dipendenti della Innse: la Fiom ha indetto per oggi, dalle 15 alle 17, uno sciopero nelle aziende metalmeccaniche della provincia di Milano. I partecipanti potrebbero raggiungere lo stabilimento di via Rubattino, dove il presidio dei lavoratori è andato avanti tutta la notte. Martedì mattina ci sono stati nuovi tafferugli tra i manifestanti, i giovani dei centri sociali e le forze dell'ordine. Una situazione condannata dal Pd: Cesare Damiano, responsabile lavoro, e Emanuele Fiano, deputato lombardo dei Democratici, hanno fatto un appello ai ministri Maroni e Scajola perché la vertenza non si risolva con l'uso della forza. «Occorre sospendere lo sgombero e lo smontaggio dei macchinari della fabbrica - affermano - e riaprire un tavolo di confronto per la piena tutela occupazionale di tutti i lavoratori». I due esponenti del Pd chiedono anche a Regione e Comune «di dare un segnale concreto e coerente». Il senatore del Pd Paolo Nerozzi ha chiesto al governo con un'interrogazione urgente interventi immediati per uscire dalla crisi: «Dobbiamo purtroppo registrare un aumento del grado di tensione all'interno dello stabilimento Innse - ha detto -. Torniamo a chiedere l'urgente apertura di un tavolo di consultazione».
SMONTAGGIO MACCHINARI - Nella sede della storica azienda in liquidazione alla periferia est di Milano erano riprese martedì mattina le operazioni di smontaggio dei macchinari. I 49 dipendenti, che chiedono di poter continuare a lavorare, spiegano che resisteranno «fino all'ultimo davanti alla fabbrica». Messi in mobilità a maggio 2008, ora si augurano che «arrivino altre persone per darci una mano. Già stiamo aumentando di numero e così potremo prendere forti iniziative di protesta». Al presidio sono presenti i sindacalisti della Fiom-Cgil, tra cui il segretario milanese Maria Sciancati.
Lunedì il sindacato ha partecipato a un incontro in Prefettura con rappresentanti della Regione e della Provincia, al termine del quale il viceprefetto ha chiarito di dover far rispettare il decreto ingiuntivo per la consegna dei macchinari venduti. Così nella fabbrica sono entrati gli operai delle ditte acquirenti che hanno ripreso le operazioni di smontaggio. «Il tavolo con le istituzioni che abbiamo chiesto ci è stato negato e per ora non sono previsti nuovi incontri» spiega il sindacato.
04 agosto 2009
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Dopo il vertice in prefettura, continua il presidio
I lavoratori della Innse: non ci muoviamo
Ancora tensioni nello stabilimento. Fiom: ora tocca agli operai decidere cosa fare, 2 ore di sciopero di solidarietà
MILANO - Sono sempre determinati, gli operai della Innse. Nonostante il defilarsi, uno dopo l’altro degli interlocutori della partita. Nonostante tutto. Erano 50 un anno e mezzo fa, all’inizio di questa vicenda. Oggi sono 49. E l’unico che manca non ha mollato per cercare un altro lavoro: si è arreso a un'infarto, a 49 anni, dopo una notte passata a presidiare i reparti. Lunedì sera, davanti alla prefettura, le maestranze della Innse volgevano lo sguardo in alto, verso le stanze dove è proseguito fino a tarda sera l’incontro del viceprefetto, Renato Saccone, con i rappresentanti della Regione e il sindacato. Che poi in questo caso vuol dire la Cgil regionale e il vertice nazionale della Fiom, con il segretario generale Gianni Rinaldini e il segretario Giorgio Cremaschi. Alle 9 di sera, quando è terminata la riunione, i lampioni di corso Monforte hanno illuminato la delusione dei 49: lo smantellamento dei macchinari, sospeso per dare corso alla trattativa, riprenderà già da oggi. Nessuna disponibilità da parte della prefettura a impostare un nuovo tavolo senza novità di sostanza.
Resta quindi alta la tensione in via Rubattino 81. La Fiom ha indetto due ore di sciopero in provincia. Intanto nel deserto produttivo della periferia di Milano, tra scheletri di capannoni e fabbriche vuote, i reduci della Innse promettono battaglia. Cremaschi l’aveva già detto fin dalla mattina di lunedì: «Da qui non ci muoviamo. Possono smontare i macchinari ma non li lasceremo certo uscire da qui. Questa non è la fine della Innse ma l’inizio di un dramma». Per la Fiom «se il governo non difende i posti di lavoro sani figuriamoci quelli delle aziende in crisi». Il candidato alla guida del Pd, Pierluigi Bersani, ha telefonato al ministro dell’Interno, Roberto Maroni: «Gli ho detto che quando un problema è così acuto bisogna fermare le macchine e discutere. Avendo fatto il ministro dell'Industria posso dire che ogni volta che si smantella un'attività è un pezzo di noi che se ne va». «Mi auguro che queste vicenda si risolva al più presto e per il meglio» ha detto il segretario del Pd, Dario Franceschini. Paolo Ferrero, segretario del Prc, chiede al ministro Maroni di ritirare subito la forza pubblica a protezione dello smantellamento delle macchine.
Nel merito della vicenda, lunedì è stata la giornata dei passi indietro. La Regione - che pure si era molto adoperata nei mesi scorsi - ha dato forfait. In prefettura assenti Comune e Provincia. Il Pirellone lascia il cerino nelle mani della magistratura che «avrebbe potuto anche decidere di sospendere lo sgombero». E dei potenziali acquirenti: «C'è stato chi si era detto in un primo tempo interessato, ma poi si è tirato indietro». Facile leggere tra le righe il nome della Ormis di Bergamo. L’azienda non interviene. Ma già nei mesi scorsi fonti interne lasciavano intendere che la partita fosse ormai difficile da recuperare: «Il nostro interesse era sincero, se ci fosse stata davvero l’intenzione di andare verso un rilancio della Innse a quest’ora la partita sarebbe già chiusa. E le macchine non si sarebbero fermate». Certo è che la trattativa non è mai entrata nel vivo. Mai si è parlato di soldi per l’acquisto della Innse. Dal canto suo Stefano Genta, il proprietario dell’azienda («acquisita sull’orlo del fallimento a 750 mila euro» ricorda la Cgil) deve ad Aedes una consistente somma per l’affitto dell’area. Di qui la causa della stessa Aedes. La vendita dei macchinari alla Mpc di Santorso (Vicenza) e alla Lombardmet di Arluno (Mi). E la sentenza dello scorso maggio che autorizza la loro uscita dall’azienda.
Se la vicenda si concluderà con lo smantellamento della Innse, nulla più impedirà la realizzazione del piano di riqualificazione urbana della zona varato negli anni 90. Al posto dei capannoni si parla di università, residenziale, parchi. Dal canto suo il Comune assicura che a fronte di un piano industriale con qualche prospettiva sarebbe stato pronto a cambiare il progetto sull’area. Ma la Cgil insiste: «L’azienda è vittima della speculazione edilizia». Così - dopo un anno mezzo di trattative, presidi, proposte - i 49 tornano soli. A scrivere l’ultimo capitolo della loro storia all’Innse.
Rita Querzé
04 agosto 2009