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Il commento. gli interventi per migliorare i servizi si fanno sempre più urgenti Lavori fermi e spreco di risorse. Il timore è la progressiva abdicazione alla funzione pubblica di programmazione La Milano di oggi non riesce proprio a darsi un volto. Litiga con se stessa, con le opere che mette in cantiere e poi si accorge che non vanno bene. E si trascina fra incoerenze, impacci, contraddizioni paralizzanti, mentre urgono tanti interventi per migliorare servizi pubblici e qualità della vita, visto che l'Expo incombe. L'ultima conferma viene dall'annuncio del sindaco: verrà cambiata la pensilina davanti al Teatro Nazionale, fresca d'installazione, perché troppo invasiva. Le proteste hanno sortito effetto. Sarebbe bastato un po' di buon senso per evitare lo sbrego, la figuraccia, lo sperpero di danaro pubblico. È vero che un antico proverbio dice «fa e disfà l'è tùtt un lavorà», ma forse la misura dell'irresolutezza è colma. Una serie di domande incomincia a salire dalla gente. Se, e come, gli interventi pubblici vengono pensati e coordinati; se è così difficile valutare per tempo e con ragionevolezza l'impatto che ogni realizzazione ha sulla zona interessata; se si ha memoria storica della città (vedi piazza Meda, dove gli archeologi sapevan bene dei resti romani, e gli sfregi di piazza Sant'Ambrogio e Darsena). Insomma, vien da chiedersi se l'amministrazione si muove in base a idee complessive, a un effettivo coordinamento decisionale al proprio interno, se tiene il polso dell'opinione pubblica, se è interessata a un coinvolgimento e ad una responsabilizzazione condivisa. Molti cantieri oggi sospesi e in discussione erano stati oggetto di contestazione non da parte di estremisti dell'ecologia, ma di gente per bene, professionisti, uomini di cultura, semplici cittadini, persone ragionevoli convinte che la città possa venir governata col concorso di tutti. Vorremmo essere smentiti e continuare a credere che Milano ce la può fare, che l'Expo è un appuntamento unico per svecchiare e cambiare. Ma il timore è che Milano oggi manchi della capacità di esprimere una visione globale, che sia in atto una progressiva abdicazione alla funzione pubblica di programmazione. Un deficit politico, di pensiero e di progetto, di scommessa intellettuale e civica, che la fa assomigliare a una sorta di «patchwork», cioè a quelle stoffe composte da riquadri scombinati, diversi per colori e fogge, magari suggestive per una coperta da letto invernale, decisamente meno adatte come modello di tessuto urbano. Così si tollerano i progetti più contestati, i lavori che per anni mettono in ginocchio l'economia di un quartiere (vedi piazza XXV Aprile), la ruota panoramica al Parco Sempione e: lampioni, panchine, marciapiedi, impianti per manifesti pubblicitari, arredi urbani dalle forme più improbabili e stravaganti che sembrano concepiti per fare a pugni l'un l'altro e deludere l'immagine tradizionale di una Milano che sa cavarsela e trovare ogni volta un suo ordine. Ma anche gli errori marchiani non riusciranno a neutralizzare il fiume carsico di risorse morali e creatività culturale che son lì per rendere ambrosianamente Milano più funzionale, bella, giusta. C'è da crederci, spes contra spem . Frustrazioni a parte. Marco Garzonio |
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