.: Discussione: Via padova, integrazione fallita - I residenti: traditi dal Comune
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Da milano.corriere.it:
dalla parte del cittadino Cinquanta nazionalità in 4 chilometri Via Padova, la rabbia dei dimenticati I residenti: più attenzione dal Comune, qui nessuno ci difende dai rom. Don Piero: sfida quotidiana MILANO - Di italiano, nel negozietto, c’è mezza insegna e la lacca Splendor: la titolare, alla cassa, è cinese; il parrucchiere, alle forbici, è algerino; il taglio, senza shampoo e scontrino, costa 8 euro. Trenta metri più in là, sul marciapiedi di fronte, la «Boutique del fumatore» marca e fotocopia la differenza sui volantini, che i clienti lo sappiano: «Prodotti italiani, qualità italiana, professionalità italiana, personale italiano». In mezzo c’è tutta via Padova. Trentadue mesi fa il quartiere scese in piazza: una marcia per la sicurezza, contro il degrado. Ieri, alla fermata della 56, il comitato «Riprendiamoci Milano» raccoglieva ancora le firme contro il campo rom di via Idro: «Siamo oltre 5 mila». Sempre ieri, nel cortile al 144 di via Padova, i residenti dei palazzi di ringhiera hanno ribadito che «convivere con il centro culturale islamico, in queste condizioni, è impossibile»: nella moschea di condominio si prega anche su tre turni, il venerdì. Il parroco di San Giovanni Crisostomo, don Piero Cecchi, sostiene che «la gente non era pronta a un’immigrazione così veloce e numerosa» e che ora è una fatica ricucire le fratture, superare le diffidenze, cercare il dialogo: «Ma dobbiamo farlo. Trovare una convivenza civile nella conoscenza e nel rispetto delle regole». Da Loreto allo svincolo sulla tangenziale, in poco meno di 4 chilometri, convivono 50 nazionalità, azeri inclusi (oltre la metà degli alunni della Casa del Sole-Rinaldi, ormai, è frequentata da figli d’immigrati). Per la Camera di commercio questa è la strada più straniera di Milano: 1.311 imprese, oltre una su tre. Le associazioni «Il ponte» e «Vivere in zona 2» hanno censito 436 negozi, dai kebap ai phone center: di questi, 101 sono gestiti da immigrati (per metà cinesi). Ieri l’altro, gli abitanti di via Pietro Crespi hanno spedito una raccolta di firme a sindaco e prefetto: «L’assembramento di individui ubriachi o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti provoca risse, atti vandalici e insicurezza per donne e bambini». Otto vetrine su dieci, in via Crespi, sono euromarket e ristoranti etnici (Sri Lanka, Egitto, Marocco). Il valore delle case, dopo un aumento del 66,7 per cento in dieci anni, nel 2009 ha perso due punti. In via Vittorelli, dietro lo spiazzo dei giostrai e del mercato, i palazzi non hanno ancora le fogne: scaricano nella fossa biologica, passa l’impresa spurghi. Eppure, qui, i problemi «sentiti» sono altri: gli stranieri, i musulmani, i rom. Anche sui bus, dove un passeggero su sette non paga — la media peggiore della città, 6.744 multe in sei mesi — il portoghese è «sempre» straniero: «Uno scandalo », dicono gl’italiani. E la moschea? «Noi facciamo un grande sforzo per non creare disagi », assicura il presidente della Casa della cultura islamica, Asfa Mahmoud. La comunità, per altro, ha già subito una scissione: parte dei fedeli ha traslocato nello stabile ex Enel al numero 266 («Regolarmente acquistato»). Così, nonostante i divieti del Comune, le case islamiche sono attualmente due. Non solo: il capannone in via Cesarotti 8 è in ristrutturazione, diventerà una chiesa cristiano copta, i residenti non sono contenti. Vittoria Alberoni ha comprato una bella villetta lungo la Martesana, nel 1988, in via Idro 61: «Qui di fronte avrebbe dovuto nascere un parco». Il Comune, nel 1989, ha aperto un campo nomadi provvisorio: «Ecco, è lì da vent’anni». Quattro ragazzini, all’ingresso, urlano «vi uccidiamo!». La signora Vittoria, dopo aver subito tre furti, ha sbarrato porte e finestre: «È come stare in carcere». «Insisto. Ci vuole dialogo, conoscenza reciproca». Don Piero Cecchi sa cosa vuol dire «integrazione»: al primo anno di catechismo un bimbo su due è figlio d’immigrati, tra gli animatori ha un ragazzo buddhista e gli adolescenti islamici giocano sul campetto con gli altri. E non è solo, don Piero: i volontari della scuola d’italiano di via Meucci seguono 130 studenti di 31 nazionalità ogni quadrimestre. Silvia Scopece è un’insegnante in pensione: «I problemi ci sono, impossibile non vederli. Ma bisogna fare di via Padova un laboratorio, investire di più». Ha pensato anche al titolo del progetto: «Il mondo in una strada». Rende bene l’idea. Cesare Giuzzi Armando Stella 29 ottobre 2009 Notizie correlate: - Case occupate: «Noi, in fuga dai palazzi della paura» A. Galli - Da quartiere casbah a strada multietnica di Luca Doninelli |
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