.: Discussione: Migranti: le facce della nuova Milano per favorire l'integrazione
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Da milano.corriere.it:
Il centro islamico Un centro di preghiera che fa paura Vent'anni di difficile convivenza tra la moschea di viale Jenner e la gente che vive nel quartiere MILANO - Ha vent’anni, la moschea di viale Jenner. E nel giugno del ’95, ad appena sei dalla fondazione, viene travolta dalla prima inchiesta della magistratura che spalanca le porte del carcere all’intero vertice amministrativo e religioso. Operazione «Sfinge» si chiamava l’inchiesta. L’imam di allora, Answar Shaban, sfuggì alla cattura. Di lui si seppe qualche mese più tardi, quando morì combattendo in Bosnia. A Milano reclutava kamikaze, formava anime pronte a farsi saltare in aria per guadagnarsi il paradiso. Dopo lungo tempo passati agli arresti, i detenuti tornarono in libertà, furono rilasciati. Ma su viale Jenner, nel ’97, si abbatte un altro ciclone giudiziario. Altri arresti, altre accuse di associazione per delinquere, anche perché il reato di terrorismo internazionale non è ancora nel nostro codi ce. E non finisce qui. Non si prega solo, in viale Jenner. Passano altri quattro anni, altre polemiche. E nel 2001, era d’ottobre, il ministro del tesoro americano collega l’istituto milanese a una presunta società di copertura di Bin Laden, una ditta a Dubai che ufficialmente esporta miele. Si dice che in viale Jenner telefoni addirittura il responsabile militare di Osama. Ci sono le intercettazioni. Spunta un pentito, Houssaine Kherchtou, proprio il testimone chiave del processo americano a Bin Laden: «Fu l’imam del centro islamico di Milano — racconta il collaboratore ai magistrati statunitensi — a farmi arruolare nei campi di addestramento di Osama. Fu lui a organizzare il mio viaggio in Afghanistan...». La gente, soprattutto quella che vive attorno a viale Jenner, non ha dimenticato queste vicende. E adesso, dopo l’attentato del libico Mohamed Game, ha ancora più paura. Per ammissione dello stesso portavoce del centro islamico, Hamid Shaari, da qualche mese il libico andava a pregare in moschea. Prima era un tipo tranquillo, dicono in tanti. Un giorno è cambiato. L’idea di farsi saltare in aria, sono convinti dalle parti della moschea, gli è venuta frequentando il centro. «Vogliamo subito un incontro con il ministro Roberto Maroni, non lo si può più rimandare... — dice il portavoce del comitato Jenner Farini, Luca Tafuni —. Già prima prosegue non riuscivo a trovare persone disposte a venire con me neanche a una trasmissione televisiva perché avevano paura. Dopo questo attentato il disagio non potrà che essere peggiore... Se ne parla poco anche sui giornali, eppure attraverso contatti che abbiamo stabilito con i gestori del centro abbiamo scoperto che sarebbero disposti a pagarsi di tasca loro un’altra struttura e andarsene». Il dialogo si fa difficile. Biagio Marsiglia 13 ottobre 2009 Notizie correlate: Libico con bomba artigianale si fa esplodere in caserma |
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