MILANO - Da fine maggio, tra il lavoro di giorno e il presidio di notte, si son fermati solo due ore. Mercoledì. Per partecipare ai funerali di Giuseppe R., 49 anni. Un collega. Uno dei cinquanta operai della Innse Presse che nonostante il telegramma di licenziamento spedito loro dall'ex padrone, continuano a lavorare e che salteranno le ferie, casomai qualcuno s'impossessi della fabbrica. La loro fabbrica, ormai, adesso più che mai: la autogestiscono, la occupano, la vigilano all'ingresso, gli operai; tengono viva la mensa; e sperano. Tutti Insieme. Senza Giuseppe R., morto lunedì per un infarto.
Bisognerebbe venire a farci un giro, in questi 25mila metri quadrati di padiglione, al Rubattino. Un padiglione che è storia (ospitò l'Innocenti, lo scorso secolo) e che vede la storia, drammatica e tenera, di un gruppetto di operai simili a indiani di una riserva con le bandiere dell'esercito nemico già sulle colline vicine all'accampamento. Il tempo stringe, arriva agosto, quando tutti, a cominciare dalla politica, vanno in ferie. E il 18 agosto, scadono i 75 giorni di tempo da regolamento per trovare un accordo che scongiuri la cassintegrazione e per trovare qualcheduno che rilevi l'attività e la rilanci.
Il proprietario della Innse Presse, il torinese Silvano Genta, dopo i famosi telegrammi, s'è dato per disperso. A Milano, l'hanno visto una volta, al processo per la causa intentatagli dalla Cgil. Il giudice ha dato ragione a Genta. Genta s'è presentato con quattro avvocati. «Non ha badato a spese, per i legali», osservano, ricordando gli ultimi due inverni, «teneva il riscaldamento a cinque gradi». Per risparmiare. C'è un programma immobiliare, sul luogo. Nascerà un'area residenziale o che altro. Per gli operai, non c'è posto. Qualcuno, che non ha visto il padiglione e l'immensità dei macchinari, dal peso di tonnellate, di quelli che si vedono in autostrada, avrete in mente, sui tir con il cartello «trasporto straordinario», ecco, qualcuno ha proposto: «Sposteremo altrove la produzione». Impossibile, dicono gli operai: «Quando ci annunceranno il trasloco, sarà arrivata la nostra fine». Bisognerebbe venire a farci un giro, al Rubattino. Non per altro: tra vicende di assenteisti, dipendenti che rubano lo stipendio, imboscati, sindacalizzati all'eccesso, i cinquanta, anzi quarantanove operai dopo la morte di Giuseppe R., macinano e macinano e ancora macinano.
Un elogio al lavoro. Ci son due turni, il primo 6.30-14.30 e il secondo 14.30-22.30. C'è la mensa, che funziona (ci badano tre operai). C'è la casupola all'ingresso un tempo occupata dalle guardie giurate e oggi presidiata 24 ore su 24 dagli operai. Ci sono i clienti che vengono, girano, stringono accordi. Ci sarebbero altri clienti che vorrebbero fare lo stesso ma un po' hanno paura. Cosa succederà dopo il 18 agosto? E il Comune? E la Provincia? Faranno qualcosa oppure no? Che strano, però. Nella Milano che dà la caccia spietata a chi occupa — i rom per primi, ovvio —, c'è un'occupazione che non importa a nessuno. Nessuno che tuoni, che faccia conferenze stampa, che mandi comunicati, che s'arrabbi, che polemizzi. Niente. Chissenefrega. Qualche giovane, e per il resto età media sui cinquant'anni, alla Innse Presse. Gente con una professionalità esperta, matura. E però difficile da ricollocare. Hanno mogli e figli. A proposito: lo stipendio di giugno, Genta l'ha pagato. Senza quattordicesima, senza festivo lavorato (2 giugno), senza straordinari — e quanti ne han fatti —, senza assegni mensili. Ogni assegno, sono 50 euro. Non hanno un soldo, gli operai. Ma non è per questo che passeranno le ferie qua in fabbrica.