.: Discussione: Neo-imprenditoria dinamica e globalizzata opera sulla città!
Opzioni visualizzazione messaggi
Seleziona la visualizzazione dei messaggi che preferisci e premi "Aggiorna visualizzazione" per attivare i cambiamenti.
:Info Utente:
![]()
:Info Messaggio:
Punteggio: 0
Num.Votanti: 0 Quanto condividi questo messaggio?
|
![]() |
Da milano.corriere.it:
Assimpredil: le prefetture ci aiutino a non dare lavoro alle imprese «corrotte» Mafia nelle imprese. «Favorita dalla crisi» L’allarme di De Albertis. Rosati, Cgil: è un grave rischio. Manfredi Catella: più controlli La mafia è un tarlo. Che rode piano piano il cuore produttivo di Milano. Le imprese più vulnerabili sono quelle colpite dalla crisi ma che, nonostante la fragilità, hanno a che fare con gli affari più ricchi. Un identikit che oggi corrisponde a pennello alle attività delle costruzioni. A lanciare l’allarme — per una volta il termine non è sprecato — è Claudio De Albertis, presidente di Assimpredil, associazione dei costruttori di Milano e Lodi che assiste 8.000 imprese di cui un migliaio associate. «Esiste una stretta correlazione tra infiltrazione mafiosa e l'attuale fase di recessione economica — mette in allerta De Albertis —. Se l'economia legale registra una drastica contrazione dei finanziamenti, quella illegale può contare su una "permanente, enorme, illimitata liquidità finanziaria", come ha già fatto notare il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso. Il pericolo dell'usura è in agguato e l'usura è il veicolo che innesta relazioni pericolose». Tradotto: in questa fase ottenere credito dalle banche è difficile, perciò chi è alle strette accetta l’ingresso in azienda, magari sotto forma di soci, di nuovi attori che possono garantire liquidità. Così l’azienda diventa un perfetto veicolo per il riciclaggio di danaro sporco. «Questa questione va presa maledettamente sul serio — accetta la sollecitazione dei costruttori Onorio Rosati, segretario generale della Cgil di Milano —. Le imprese non vanno lasciate sole. Il problema andrebbe affrontato insieme, attraverso un tavolo cittadino a cui partecipino tutti gli attori coinvolti nella partita». I costruttori dicono di non avere strumenti sufficienti per isolare i colleghi che hanno a che fare con la criminalità organizzata. Il certificato antimafia garantirebbe sempre meno. E non solo perché, come ha detto il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, è aggirabile creando società con dei prestanome. «Il certificato rileva solo situazioni di mafiosità conclamata, pressoché inesistenti — fa il punto De Albertis —. L'impresa, ma anche il privato che voglia affidare lavori edili, rischia di cadere nella rete di soggetti mafiosi senza essere messo in condizione di sapere con chi ha a che fare». Dall’inizio dell’anno stanno sulle dita di una mano le imprese a cui la prefettura di Milano ha ritirato il certificato antimafia. «Una di queste è la Lucchini Artoni. L’azienda lavorava per i più grandi cantieri della città, compreso quello della linea 5 del metrò e delle grandi riqualificazioni urbane. Adesso i 130 dipendenti sono a spasso, e non per colpa loro», lamenta Ferdinando Lioi della Uil. Così il sindacato confederale oggi chiede al prefetto di trovare una soluzione che salvi la parte sana dell’azienda. «Per quanto ci riguarda, come Comune lavoriamo fianco a fianco con Dia e prefettura. Chiediamo informazioni sulle aziende che partecipano ai nostri bandi di gara e quando qualcosa non ci convince le estromettiamo», racconta l’assessore ai Lavori Pubblici del comune di Milano, Bruno Simini. Ma allora come è possibile che un’azienda a cui viene ritirato il certificato antimafia si trovi nei cantieri del metrò cinque? «Quello è project financing, non si è passati attraverso l’appalto pubblico». La via d’uscita, secondo De Albertis, è garantire ai privati le stesse informazioni su cui possono contare le stazioni appaltanti pubbliche. «A oggi all'operatore privato è preclusa la verifica presso la Prefettura e l'accesso alla banca dati dell'autorità», lamenta Assimpredil. Ma cosa ne pensano i singoli operatori? «I nostri azionisti sono fondi bancari, assicurazioni, fondi pensione. L’esigenza di trasparenza è massima. Per noi è meglio evitare di affidare i lavori a imprese colluse invece di scoprire una situazione in corso d’opera», assicura Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia, gruppo che sta creando il nuovo quartiere Porta Nuova. Conclude il manager: «Chiediamo di potere al più presto lavorare con le stesse informazioni a cui hanno accesso gli operatori pubblici». Rita Querzé rquerze@corriere.it 29 giugno 2009
|
|
![]() ![]() |
|