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Segnalo qualche articolo sulla giornata di ieri: Tantissimi spunti e zero fuffa smart al primo appuntamento di peso della Social Media Week. Il primo convegno - con un ospite d'eccezione come Stefano Rodotà - è dedicato ai temi più caldi del web 2.0: il rapporto fra le nuove modalità di partecipazione online e la loro applicazione in chiave di etica pubblica. L'evento si è svolto all'Università statale di Milano che non solo ospita una parte della Social Media Week ma ha partecipato attivamente al suo sviluppo con un ruolo da protagonista per il Dipartimento di Informatica e Comunicazione. Secondo Rodotà, la rete non può essere imbrigliata: può però essere regolamentata con una sorta di Costituzione del web in grado di esaltarne le caratteristiche migliori in termini di partecipazione informata. Quando parliamo di navigazione, suggerisce Rodotà, non usiamo soltanto una metafora: la rete è davvero come il mare, qualcosa che sfugge alla sovranità classica - sia essa economica o statale, sia essa la centralizzazione dei grandi gruppi o la legge bavaglio. Per questo serve una carta che ne mappi i diritti: affinché rimanga sempre un patrimonio di libertà, e non venga geneticamente modificata. "Se rimanesse anche solo il luogo del puro cazzeggio", ride il vecchio Rodotà, "mi preoccuperebbe assai di meno. Quello che mi preoccupa è che la vera partecipazione non sia lesa". La cittadinanza contemporanea è ormai ridefinibile in termini di possibilità di agire nella sua ricostruzione online, sempre tenendo presente il suo impatto nel mondo reale. Da utenti e navigatori siamo passati una volta per tutte a persone e cittadini che danno voce alle loro possibilità e ai loro progetti. Apre quindi le danze il direttore del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino, Juan Carlos de Martino. Il professore spiega che le reti sociali sono vecchie di almeno trent'anni (basti pensare ai profili associati alle e-mail di AOL): dunque più dello stesso Mark Zuckerberg. In ogni caso, Facebook invita a delle riflessioni serie proprio per le sue dimensioni inaudite: secondo de Martino, il fatto che così tante persone dipendano da una rete tanto centralizzata non è tanto un vantaggio quanto uno svantaggio. In primo luogo, come ormai sappiamo, Facebook conosce e traccia praticamente ogni click dei suoi utenti. Quello che potrebbe essere un paradiso di dati per la ricerca sociologica, però, è di fatto un database privato utilizzato per fini commerciali o di marketing. In secondo luogo, centralizzazione è il vero nome del tanto citato cloud computing. Può sembrare l'esatto opposto, e invece no: le enormi webfarm come Facebook e Google vanno a sostituire di fatto i personal computer dove ognuno possedeva tutte le informazioni sul proprio disco rigido. Ora disco e CPU sono sottoutilizzati, e tutto è condiviso, ma anche in mano ai grandi colossi. Una reazione possibile? Riprendere i propri dati, e dunque i propri server - e insieme le proprie regole di esportazione e controllo. In questo senso, Diaspora potrebbe essere il modello giusto per una decentralizzazione autentica. Dove nessuno tocca le tue informazioni finché non glielo consenti. Appassionato e viscerale lo speech di Giuseppe Attardi, professore di Informatica a Pisa: "Dalla società della conoscenza alla società delle conoscenze". Attardi ricostruisce in breve la storia del web moderno: dal 1995 al 2000 il web ha assistito a una guerra feroce tra i bellhead (che volevano delle reti centralizzate e "intelligenti", con scarsa attenzione alla periferia) e i nethead (che invece sostenevano una rete decentralizzata, quale appunto è internet, dove l'intelligenza sta negli utenti e non nei pacchetti di informazione in sé: in parole povere, i precursori del web 2.0). La vittoria dei nethead - grazie a Dio, secondo Attanasio, e la sua tesi è condivisibile - è stata consacrata dalla Strategia di Lisbona e le sue proposte di riforma di internet come una vera società della conoscenza: contenuti liberi, tendenzialmente aperti e fruibili per chiunque. Bene. E dal 2000 a oggi? Qui comincia la parte brutta della storia: non è successo niente. La politica non ha investito in questa rivoluzione, mantenendo spaventosamente alti i prezzi degli accessi (basti pensare agli SMS, che costano zero ai gestori), specie di fronte a un hardware sempre più economico. Per non parlare del crollo dei fondi per la banda larga in Italia: ulteriore conferma, a giudizio di Attardi, di quanto la politica non comprenda le necessità della rete contemporanea. Quindi l'utopia della società della conoscenza ha fallito, e siamo passati a una società delle conoscenze: si frequentano amici invece di informazioni, e si finisce ad accettare l'idea di pagare per i servizi più banali. "Perché la conoscenza non è più condivisa", conclude Attardi invitando alla resistenza: "e invece di creare contenuti seri, il tempo libero è sempre più dedicato al puro cazzeggio". In questo panorama critico apre una parentesi luminosa Annibale D'Elia, fra i responsabili del progetto Bollenti Spiriti: un'avventura partecipativa per i giovani pugliesi, con l'obiettivo di rivalutare luoghi abbandonati e impiegare al meglio i finanziamenti europei per gli under 35. Se il tema all'ordine del giorno è "Chi lavora per internet deve o meno scappare dall'Italia", Bollenti Spiriti si interroga se "chi fa qualunque cosa deve o meno scappare dalla Puglia". La storia raccontata da D'Elia dimostra che la risposta è no. Che dare voce alle buone idee è sempre possibile. Di fronte a un panorama di effettiva sfiducia nella pubblica amministrazione, e un ecosistema di scarse possibilità rappresentative, Bollenti Spiriti ha creato un'enorme rete sociale a basso costo condividendo innanzitutto le risorse: fuori dai denti, dando soldi ai giovani pugliesi con progetti. In questo modo, investendo i singoli della responsabilità di fare qualcosa per il territorio, ha riattivato un sistema di fiducia e condivisione che sembrava perduto. Per i risultati, basta guardare il loro sito. Per una sintesi, è illuminante quanto dice D'Elia: "Con questo progetto, l'istituzione pubblica - fossile per tradizione in Italia - è diventata una vera piattaforma di lancio". Chiude l'incontro il big di turno, Stefano Rodotà. Tirando le fila dei molti temi toccati, l'ex garante della privacy punta l'indice sulla necessità di comprendere politicamente il valore della rete sociale come forma di redistribuzione del potere. L'unico modo per tenere saldo questo valore è appunto mantenere l'autonomia dell'apparato informativo di ognuno: i miei contatti, le mie informazioni, il cosa mi piace o meno su Facebook, si traducono in danaro per il web advertising. Perché dovrei cederli con leggerezza? |
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