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Sabato, 3 Marzo, 2007 - 19:19

Il prezzo della benzina non trova riduzioni

Francesco Piccioni
Tanto rumore per nulla. Il primo incontro intorno al «tavolo» tra il ministro dello sviluppo, Pierluigi Bersani, e i rappresentanti di petrolieri e benzinai, era stato annunciato come foriero di grandi decisioni in materia di prezzi dei carburanti. Vero è che l'incontro era stato convocato con all'ordine del giorno solo il decreto sulle liberalizzazioni e le sue conseguenze sulla struttura delle rete di distribuzione. Ma gli aumenti decisi dalle compagnie nei giorni scorsi - a partire dall'Agip, costola dell'Eni e quindi controllata direttamente dall'azionista di maggioranza (il governo stesso), avevano preparato un'atmosfera diversa.
Di prezzi, pare, quasi non si è parlato. Eppure Bersani aveva in mattinata lamentato lo scarto incomprensibile tra i prezzi praticati in Italia (al netto del peso delle «accise», ovvero le tasse) e quelli europei, «auspicando che la forbice si stringa». Gli avevano risposto le compagnie petrolifere, invocando da un lato «il cattivo esempio» dato dallo stesso governo, che ha già approvato due aumenti delle accise (uno a ottobre 2006, l'altro a partire dal prossimo maggio), senza peraltro curarsi dell'escalation dei prezzi avviata dalla «sua» Agip (solo la Erg si è mossa in controtendenza, facendo scendere il listino di 5 millesimi). Alle associazioni di consumatori non era rimasto altro che chiedere un «osservatorio dei prezzi» (per controllare le mosse dei petrolieri) e una «sterilizzazione delle accise» (pastrocchio tutto italiano: noi paghiamo l'Iva sul totale del prezzo industriale del carburante più le tasse; paghiamo una tassa sulla tassa).
Il costo industriale dichiarato dalle compagnie in Italia (44-45 centesimi di euro al litro) si discosta alquanto dalla media europea (poco sotto i 40). Dato decisamente sospetto, anche perché il nostro paese raffina più greggio di quanto non ne consumi, al punto che le esportazioni di «prodotti petroliferi raffinati» sono una delle voci più attive della nostra scalcagnata bilancia commerciale. Come è possibile, quindi, che il prezzo della benzina che noi raffiniamo e vendiamo all'estero sia più alto qui che non dove viene esportata?
I petrolieri glissano con eleganza sulla domanda, sparando numeri come una cortina fumogena. Il prezzo internazionale sarebbe arrivato a 600 dollari la tonnellata, che corrispondono però a 0,345 euro al litro. Meno (9 millesimi) di quanto non costasse sei mesi fa, nonostante l'aumento del petrolio - denominato in dollari - a causa della rivalutazione dell'euro rispetto alla moneta Usa. Insomma: le compagnie starebbero lucrando sul differenziale euro/dollaro per mettersi in tasca qualcosina in più. Nemmeno poco, se si pensa che un centesimo sulla benzina equivale a quasi 20 milioni di euro al mese.
Il governo, si diceva, non può fare la parte del «virtuoso», visto quello che fa sul fronte tasse (il 60% del prezzo alla pompa). In questo clima di accuse reciproche, l'incontro di ieri risulta communque «avvenuto in uno spirito di collaborazione» che ha lasciato ogni partecipante sulle posizioni di partenza. L'unanimità è stata raggiunta solo su un punto: il confronto va allargato alle Regioni e ai Comuni. Il motivo ufficiale sta nel fatto che la ristrutturazione della rete distributiva dei carburanti richiede la loro partecipazione. Ma qualcuno deve ancora dimostrare che, aumentando il numero dei dialoganti, il dialogo stesso diventi «più operativo».

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