UNITÀ D’ITALIA. LA MORATTI PERDE TRE A ZERO
Da Arcipelago Milano di oggi 26 luglio 2010.
Cordiali saluti a tutte/i
Antonella Fachin
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UNITÀ D’ITALIA. LA MORATTI PERDE TRE A ZERO
REFRESH: APPELLO DELL'ISTITUTO PEDAGOGICO DELLA RESISTENZA: firmiamolo tutti/e!
vi ricordo la necessità di sottoscrivere l'appello affinché un istituto che sta tenendo viva la memoria storica della resistenza non sia chiuso.
Quindi vi invito a entrare nel mio precedente blog: cliccate qui e avrete tutti i riferimenti.
Con l'occasione ringrazio Roberto ed Enrico delle loro testimonianze umane, che sono più significative di tante mie parole.
Cordiali saluti
Antonella Fachin
Questa non è l’Italia che i Partigiani sognavano.
Questa non è l’Italia che i Partigiani sognavano.
La situazione in Italia, in quest’ultimo periodo, è sempre più complicata, sembrerebbe che la metropoli Milanese e quella Romana, stiano tracciando una strada per un completo rientro nella “norma” di fascisti e razzisti, si susseguono raduni, manifestazioni, eventi, dove i simboli e i saluti romani si sprecano, il tutto con l’appoggio di forze politiche e dei loro rappresentanti che si mostrano forza trainante e di pressione anche verso le Istituzioni, che dimenticando il loro ruolo di garanti della democrazia partecipano, concedendo patrocini ed aiuti.
Complicati esercizi di trasformismo, un giorno con le regole della Costituzione, con i valori e i riconoscimenti alla Resistenza alla Liberazione, ed il giorno dopo con l’adesione e spesso con la sotterranea convivenza con movimenti, persone, ideali che ripropongono razzismo, fascismo, nazismo, xenofobia.. Il tutto dunque come normalità, accettata come un semplice gioco politico e poi.. suvvia una telecamera, un articolo sul giornale non lo si nega a nessuno… La storia è di nuovo stravolta, verità confuse, distorte, una palude di revisioni, negazioni, falsità che tutto intorpidiscono, annebbiano… E di nuovo l’ANPI è al centro del ciclone, strattonata, denigrata, accusata di colpe, posizioni, indicazioni… La storia si ripete, ancora una volta soli, Partigiani ed antifascisti, accusati di tutti i mali che la brutta politica Italiana, getta quotidianamente sul tavolo della comunicazione.
E noi… NO,non ci stiamo.
Non ci stiamo, con Istituzioni trasformiste, che ci accusano di fomentare estremismi, e di non rappresentare più nessuno, non ci stiamo a “litigare” con movimenti giovanili che ci urlano di immobilismo. Non ci stiamo a chi ci indica solo come portatori di demagogia, Non ci stiamo a chi ci accusa di convivenze, e di essere fuori dalla vita politica e sociale di questa “nuova” Italia.
Eppure basterebbe così poco per capirci, un libro di storia, di quelli veri e sinceri… una chiacchiera con un Partigiano, un giro per le vie delle città, per i sentieri di montagna, leggendo nomi e date su lapidi e cippi… e magari anche informandosi senza preconcetti, su cosa è l’ANPI, su cosa fa l’ANPI, in questo sempre più completo mondo virtuale della rete Internet, o meglio ancora nel mondo reale delle sezioni ANPI che in tutta Italia, lavorano, propongono, elaborano, discutono, di donne e uomini, che da sempre senza alcun compenso ne economico, ne di carriera politica, ne di voler apparire a tutti i costi, continuano imperterriti a credere in un “mondo migliore” dove ancora una volta le parole, Libertà, Eguaglianza, Diritti, sono radici di un pensiero, dove ancora ideali ed esempi concreti, aiutano a costruire comportamenti e regole, dove ancora la nostra Costituzione è carta viva e attuale per indicare strade e ragionamenti…
Noi dell’ANPI ci siamo… non ci tiriamo indietro, siamo da sempre disposti ad offrire tutto il possibile, e la nostra storia anche quella degli anni del dopoguerra, ci vede spesso e purtroppo da soli a ragionare, confrontarci, lavorare… non temiamo dunque le critiche, le accuse, rispondiamo con il sacrificio supremo di centomila morti, che ha permesso anche a chi ci denigra ed accusa di poter esprimere liberamente il loro triste e confuso pensiero..
Denunciamo ancora una volta chi appoggia il fascismo, ricordiamo che esistono leggi d’applicare contro chi ne fa ancora uso e pratica, chiediamo ad Istituzioni e garanti il rispetto di tali leggi e dunque limpidi e certi comportamenti.
Denunciamo l’uso distorto della storia, per fini che nulla hanno a che fare con il nostro pensiero, i nostri ideali. Denunciamo i comportamenti ostili di chi ci pensa “vecchi” e incompetenti per gestire ancora una parola che ricordo è nata con noi, noi non siamo antifascisti. Noi siamo l’ANTIFASCISMO.
Chiediamo ai vertici della nostra associazione di rendere reale la nuova stagione dell’ANPI, di non attendere oltre, d’evitare immobilismi e ragionamenti , di confrontarsi senza fraintendimenti con tutti soprattutto con i giovani che sono tanti, oggi, che chiedono la nostra tessera, chiedono immediate risposte, chiedono suggerimenti ed indirizzi senza la solita logica del “partito” ma con la semplicità di rapportarsi alla pari, con voglia di continuare a seminare semi per far crescere fiori.. Dimostriamo con i fatti, evitiamo il tutto ci è dovuto… scaliamo di nuovo ripide montagne, cantiamo ancora “fischia il vento”.
Noi ci siamo….
Noi continueremo, sempre a lottare, scendere in piazza, manifestare, applicando le regole della democrazia, noi sempre ci saremo, tutti insieme, continueremo senza alcun timore e remore a costruire sulle fondamenta della nostra Repubblica, La Resistenza, è per noi stimolo sempre attuale. Per chi pensa il contrario, per chi pensa l’inutilità, per chi attualizza falsità, per chi pensa solo all’odio… un suggerimento, venite a conoscerci.!
“A coloro che non vogliono più saperne della Resistenza perché in Italia le cose non vanno come dovrebbero andare, c’è da rispondere che la nostra non sempre lieta situazione presente non dipende da una ragione soltanto: che non abbiamo ancora appreso tutta intera la lezione della libertà. E siccome l’inizio di questo nuovo corso della libertà e stata la Resistenza, si dovrà concludere che i nostri malanni, se ve ne sono, non dipendono già dal fatto che la Resistenza sia fallita, ma dal fatto che non l’abbiamo ancora pienamente realizzata.” - (Norberto Bobbio).
ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA
Sezione Barona. Milano.
Adesioni:
ANPI sezione Lambrate Ortica.
ANPI sezione Corsico.
ANPI sezione Monza.
ANPI Monza & Brianza.
ANPI sezione Precotto.
ANPI sezione Voghera.
ANPI sezione Quarto Oggiaro.
ANPI sezione Sempione Certosa.
ANPI sezione Lainate.
ANPI Zavattarello.
Come uccidere il 25 aprile a Milano
Dal notiziario ARCIPELAGO,
COME UCCIDERE IL 25 APRILE
in vista del 25 aprile: FESTA DELLA LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO
Dovunque è morto un italiano per riscattare la Libertà e la Dignità,
perché li è nata la nostra COSTITUZIONE".
Antonella Fachin
Consigliera di Zona 3
Capogruppo Uniti con Dario Fo per Milano
Facebook: Antonella Fachin
25 aprile: resistenza della INNSE ieri e oggi
Per opportuna informazione e partecipazione.
Cari saluti
Antonella Fachin
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Il nemico della stampa... e della nostra democrazia
Per riflettere … e diffondere.
(le evidenziazioni in neretto sono mie).
Saluti
Antonella
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Il nemico della stampa
Umberto Eco, L' espresso, 09-07-2009
Sarà il pessimismo della tarda età, sarà la lucidità che l'età porta con sé, ma provo una certa esitazione, frammista a scetticismo, a intervenire, su invito della redazione, in difesa della libertà di stampa. Voglio dire: quando qualcuno deve intervenire a difesa della libertà di stampa vuole dire che la società, e con essa gran parte della stampa, è già malata. Nelle democrazie che definiremo 'robuste' non c'è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno viene in mente di limitarla.
Questa la prima ragione del mio scetticismo, da cui discende un corollario. Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia (vorrei dire da Catilina in avanti) è stata ricca di uomini avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e (talora) alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con l'interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo ha permesso.
Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare?
Ricorderò sempre una storia che raccontava mia mamma che, ventenne, aveva trovato un bell'impiego come segretaria e dattilografa di un onorevole liberale - e dico liberale. Il giorno dopo la salita di Mussolini al potere quest'uomo aveva detto: "Ma in fondo, con la situazione in cui si trovava l'Italia, forse quest'Uomo troverà il modo di rimettere un po' d'ordine". Ecco, a instaurare il fascismo non è stata l'energia di Mussolini (occasione e pretesto) ma l'indulgenza e la rilassatezza di quell'onorevole liberale (rappresentante esemplare di un Paese in crisi).
E quindi è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire, il proprio mestiere. È la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente - se il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio – la mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa – che sarà però ben presto superata perché è da quel dì che gli italiani, e i buoni cristiani in genere, vanno a mignotte anche se il parroco dice che non si dovrebbe.
Allora perché dedicare a questi allarmi un numero de 'L'espresso' se sappiamo che esso arriverà a chi di questi rischi della democrazia è già convinto, ma non sarà letto da chi è disposto ad accettarli purché non gli manchi la sua quota di Grande Fratello - e di molte vicende politico-sessuali sa in fondo pochissimo, perché una informazione in gran parte sotto controllo non gliene parla neppure?
Già, perché farlo? Il perché è molto semplice.
Nel 1931 il fascismo aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il fenomeno sia all'epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe.
Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti dell'antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l'onore dell'Università e in definitiva l'onore del Paese.
Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si sa che non servirà a niente.
Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto.
LA LISTA UNITI CON DARIO FO SARA' IN PIAZZA PER LA LIBERAZIONE
LA LISTA UNITI CON DARIO FO SARA' IN PIAZZA PER LA LIBERAZIONE
Domani è la Festa della Liberazione dell'Italia e dell'Europa dalla barbarie nazifascista: festa di aprile, festa di libertà, come diceva Calamandrei, che esortava a resistere ora e sempre. Su questo insegnamento proseguiamo nell'impegno storico verso l'attuazione della Costituzione che è il risultato della Lotta partigiana. La storia non può essere condivisa,
ma conosciuta per evitare che un eterno presente porti all'oblio: la storia deve essere collettiva per un futuro migliore in cui i principi di giustizia sociale, democrazia civica, uguaglianza dei diritti e delle opportunità, di libertà e di autodeterminazione della persona siano basi fondanti di una convivenza pacifica tra i popoli.
La Lista Uniti con Dario Fo domani dà appuntamento a Milano a manifestare per la Festa della Liberazione, perchè non sia solo una ricorrenza e un cerimoniale, ma sia occasione di un rinnovato impegno a essere "sentinelle partigiane" dell'oggi e dei principi su cui si fonda la nostra cultura.
La Lista sarà domani dietro allo striscione unitario della Lista Civica "Un'altra Provincia", insieme al candidato presidente Massimo Gatti, per iniziare un percorso collettivo che si riconosca nell'antifascismo e nell'antirazzismo.
L'appuntamento è alle 14,30 davanti al Planetario di Corso Porta Venezia Milano
Buon 25 aprile! Buona festa della Liberazione!
Un capitolo di storia: Marzo ’44, i giorni della Breda
Un capitolo di storia
Marzo ’44, i giorni della Breda
È il 6 marzo del 1944, già sera nell’Italia divisa in due dal conflitto. Il colonnello Stevens, da Radio Londra, commenta con parole piane lo straordinario evento che tedeschi e fascisti si trovano in quei giorni a fronteggiare: l’ondata di scioperi, data d’avvio il 1° marzo, che dopo Torino e Milano, passando per le fabbriche del vicentino, spingendosi a Porto Marghera, via Bologna scendendo a Firenze, ha bloccato un po’ dappertutto le regioni industriali del paese.
Beppe Carrà, oggi giovanissimo ottantenne allora diciottenne in fretta diventato uomo, ne fu a Sesto San Giovanni, cuore operaio della Lombardia, uno degli animatori – poi, dopo la guerra, sarebbe stato a lungo sindaco di Sesto e parlamentare del Pci –. Abbiamo voluto raccoglierne la testimonianza convinti che i suoi ricordi, in tempi di memorie troppo spesso recitate al presente, possano aiutarci non solo a illuminare un momento cruciale della nostra storia ma anche a guardare in maniera un po’ più avvertita a quel che oggi ci scorre davanti.
“Sì, lavoravo alla Breda ed ero membro del Comitato segreto di agitazione, l’organismo che aveva il compito di preparare lo sciopero. La fabbrica – ci dice scandendo le parole in questo inizio di racconto – l’avevo conosciuta nel marzo del ’40, a quattordici anni, due mesi prima che l’Italia entrasse in guerra. Entrato come apprendista, con la scuola serale ero diventato poi disegnatore meccanico.
“La mia famiglia veniva da Stradella. Prima di stabilirci a Sesto San Giovanni eravamo stati a Milano. Mio padre faceva il falegname, uno zio aveva messo su una piccola impresa in cui si lavorava il cuoio. Erano antifascisti. Per me fu del tutto naturale, una volta in Breda, stabilire un rapporto con gli operai che non si erano rassegnati alla dittatura. Importante in particolare l’incontro con Eugenio Mascetti, capo tecnico del reparto motori, che aveva fatto il confino, e Paolo Pulici, un operaio specializzato. Mi misero un po’ alla prova, per capire se potevano fidarsi. Verso la fine del ’43 ero già nel Pci.
“La Breda? Beh, per i tedeschi era assai importante. Un’azienda dedicata essenzialmente alla produzione bellica: armi, bombe, aerei e così via. Eravamo più di 18mila divisi in cinque sezioni. Io lavoravo al reparto torrette. Sì, quelle che si vedono nei film di guerra: le cupole girevoli degli aerei da dove sparano i mitraglieri. Come tutte le grandi fabbriche, la nostra era costretta alla disciplina militare. I tedeschi erano presenti direttamente con un loro presidio che aveva due compiti: primo, garantire le regole, ferree, d’occupazione; secondo, il controllo della produzione industriale. A fianco dei tedeschi i fascisti, che si davano da fare, diciamo così, con un ufficio disciplina.
“Mangiavamo malissimo. Ricordo un piatto orrendo fatto di fagioli e fichi secchi e, immancabile, il formaggio Roma, una roba scadente che non si capiva da dove venisse.
“Tu dici che gli storici ricordano sempre e giustamente come il grande sciopero del ’44 non sia nato all’improvviso e che era stato preceduto, nell’autunno-inverno, dalle forme più svariate di protesta. Ti voglio raccontare una cosa, allora. Eravamo a mensa, parlo di un episodio della fine del ’43: erano le 13, l’altoparlante dava come ogni giorno a quell’ora il bollettino di guerra. Non ne potevamo più: della guerra… del formaggio, di tutto il resto, e decidemmo di organizzare una protesta; ma lucidamente, non fu solo un moto di rabbia. Così, al grido di ‘Roma o morte’, lanciammo le nostre scodelle di alluminio contro l’altoparlante. La voce dello speaker prese a gracchiare, il formaggio era servito finalmente a qualcosa.
“Ma torniamo nei reparti. Lavoro duro, il cottimo che ci distruggeva le giornate. Vivevamo una doppia coercizione: quella che veniva dai ritmi imposti dalla direzione aziendale, quella esercitata dai tedeschi. I tempi poi si allungavano enormemente, per molti, a causa della difficoltà dei trasporti. Ci si muoveva in bicicletta, non c’era altro mezzo, lo facevo anch’io ma ero tra i fortunati, abitavo a un paio di chilometri dalla fabbrica. Non casualmente le gomme per le bici furono tra le rivendicazioni dello sciopero.
“Il clima, fuori, era cupo. All’ombra dei tedeschi, a Milano imperversavano gli uomini della Muti, per lo più criminali liberati dalle galere e arruolati nell’esercito di Salò. I bombardamenti erano pesanti, distrussero anche la quinta sezione della Breda, da dove uscivano gli aerei da caccia. Comprare qualcosa da mettere in tavola era un’impresa: si viveva di borsa nera, bisognava andare a rifornirsi nell’Oltrepò pavese, in Brianza. E i pochi soldi che si guadagnava erano sempre più pochi. Come non bastasse c’era l’assillo dei controlli. Con le prepotenze che dovevi sopportare. ‘Eccolo, viene dalla Breda, un altro sovversivo’. E ti mollavano una pedata. Poi dovevano lasciarti andare via: avevi il lasciapassare tedesco. Ma, insomma, il clima era questo: soffocante. E l’insofferenza era cresciuta enormemente. Bisognava solo organizzarla.
“La preparazione fu lunga. Con le rivendicazioni materiali, salario e razioni alimentari, c’era quella politica: via i nazifascisti, vogliamo la pace. Facemmo circolare per settimane, in fabbrica, i bollettini del Comitato d’agitazione, eravamo attenti alle regole cospirative ma poi c’erano i rapporti personali: si parlava, no? La coscienza operaia, in quei mesi, era cresciuta, si capiva che c’era ormai la volontà di farla finita con la guerra: non si trattava di una coscienza militante, intendiamoci, ma eravamo ben oltre i sentimenti che avevano animato gli scioperi dell’anno prima, del marzo ’43, quelli che avevano preceduto la caduta del fascismo.
“Così arrivammo al momento fatidico. Nei giorni precedenti le riunioni si erano infittite. La sera prima ci incontrammo ancora per definire tutti i particolari. E la mattina del 1° marzo, tra le 8 e le 10, la fabbrica si fermò.
“Se l’aspettavano? Certo che se l’aspettavano. Ma non pensavano che lo sciopero potesse avere quell’ampiezza. La direzione fece sapere che il lavoro andava immediatamente ripreso. Ma fu tutto inutile. Così, il giorno seguente, come accadde in molte altre aziende, venne decisa la serrata. I militi della Tagliamento occuparono poco dopo la fabbrica e il 3 presero in ostaggio i turnisti, che noi facevamo andare al lavoro. Provammo a entrare, ma ci bloccarono mentre sui muri era apparsa la scritta: ‘Operai, cosa volete, piombo?’.
“Altro che socializzazione, già. Poco prima, in febbraio, c’era stata questa trovata dei repubblichini. Ma non ci aveva creduto nessuno. E lo sciopero approfondì ulteriormente il fossato tra gli operai e il fascismo.
“Come si chiuse? Beh, ovviamente non poteva continuare all’infinito. Verso il 6-7 cominciammo ad avvertire qualche sintomo di sfilacciamento. La situazione si era fatta difficile. Erano iniziati gli arresti, alla fine sarebbero stati deportati centoventicinque lavoratori: praticamente tutti, centoventitrè, a Mauthausen. Fra l’altro si era diffusa un’aspettativa: l’arrivo dei partigiani; non solo i Gap, le formazioni che operavano in città, ma i partigiani di montagna. E questo, se in un primo momento ci aveva aiutato, era diventato poi controproducente. I partigiani non arrivavano, non potevano arrivare, serpeggiava una certa disillusione. Così l’8 marzo si decise di ritornare in fabbrica. Sotto il profilo pratico lo sciopero non diede nulla, è vero. Ma dal punto di vista politico ebbe un’importanza enorme. L’eco fu davvero grande, ne parlò tutta l’Europa. E ci aiutò in seguito a rafforzare la lotta partigiana.
“Cosa mi accadde? Poco dopo dovetti scappare. Si presentò in Breda una squadra della polizia di sicurezza tedesca. Ero stato già avvertito dai portinai. Scavalcai, entrai nella Pirelli, che era lì a un passo, i compagni mi tennero nascosto un giorno e una notte, presi poi la strada dell’Oltrepò dove andai a combattere nelle formazioni garibaldine. Ma nel febbraio del ’45 ritornai in fabbrica. Il comando militare partigiano di Sesto era caduto quasi tutto nelle mani dei nazifascisti: un colpo pesantissimo. La mia presenza era giudicata necessaria, mi chiesero di rientrare. Arrivai alla Breda con documenti falsi e andai dall’ingegner Bozzini, il capo del personale, che ovviamente mi conosceva, con la pistola in pugno. Bozzini non mi denunciò, questo gli avrebbe evitato in seguito l’epurazione. Non toccai più un solo strumento di lavoro: fino al 25 aprile, tutti i giorni, mi dedicai soltanto al mio impegno politico-militare. Gli altri operai, straordinaria complicità, facevano finta di nulla”.
MEMORIA SFREGIATA
MEMORIA SFREGIATA
Imbrattata la lapide che ricorda Eugenio Curiel alla vigilia del sessantaquattresimo anniversario dell’assassinio
da ChiamaMilano del 27.2.2009
“Capo ideale e glorioso esempio a tutta la gioventù italiana di eroismo, di amore per la Patria e per la Libertà”.
Sono le parole incise sulla lapide in piazza Conciliazione che ricorda Eugenio Curiel, riprese dall’encomio che gli assegnò la medaglia d’oro al valor militare.
Eugenio Curiel fu ucciso dai repubblichini il 24 febbraio del 1945 in piazza Conciliazione. Quei repubblichini, o “ragazzi di Salò” come vorrebbe una zuccherosa vulgata revisionista, che un progetto di legge che dovrebbe essere discusso dal Parlamento vorrebbe equiparare ai Partigiani nel riconoscimento di combattenti per l’Italia.
Eugenio Curiel aveva 32 anni, quando fu fucilato su indicazione di un delatore. Era giunto a Milano da Ventotene –dove era al confino dal 1940– nell’estate del 1943 per unirsi alla lotta di liberazione. Dirigeva l’Unità clandestina e guidava il Fronte della gioventù, la formazione unitaria dei giovani partigiani costituita dai rappresentanti dei giovani comunisti, socialisti, democratici cristiani, liberali e del Partito d'Azione.
Alla vigilia del sessantaquattresimo anniversario della morte la lapide che ricorda Eugenio Curiel è stata imbrattata con vernice rossa e alla sua base sono stati lasciati trenta bossoli di proiettile.
É l’ennesimo e indubbiamente più grave caso registrato a Milano negli ultimi anni. Dal 2007 si è verificato un crescendo di atti vandalici, dal chiaro significato politico, contro le lapidi che ricordano i Partigiani vittime delle esecuzioni dei repubblichini e dei nazisti: gli sfregi alle lapidi in Porta Romana e alla rotonda di Rozzano, la lapide in piazza Miani frantumata due volte, nel giugno del 2007 e nel gennaio 2008.
Tre giorni fa lo sfregio alla lapide in memoria di Eugenio Curiel. Un episodio che segna un preoccupante salto di qualità, poichè messo in atto proprio nell’anniversario dell’assassinio e condito da 30 bossoli di proiettile.
Impossibile derubricarlo, come vorrebbero gli “equiparatori” di memoria, a semplice atto vandalico.
B.P.
Nessun riconoscimento ai repubblichini: nemici dello Stato
"Vogliono appropriarsi anche della storia, non si accontentano di fregarci il presente."
Una proposta di legge assegna lo status di combattente a chi aderì a Salò.
Intervista a Giuliano Vassalli, presidente emerito della Corte Costituzionale
"Nessun riconoscimento ai repubblichini. Erano e restano nemici dello Stato"
di MATTEO TONELLI
Per farlo il Pdl ha presentato una proposta che ha come primo firmatario Lucio Barani del Nuovo Psi (schierato con il centrodestra). Un disegno di legge, il numero 1360, con il quale la maggioranza pretende di istituire l'Ordine del Tricolore, con tanto di assegno vitalizio. Assegnandolo indistintamente sia ai partigiani, sia "ai combattenti che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente e aderirono a Salò". Un testo che l'Anpi bolla come "l'ennesimo tentativo della destra di sovvertire la Storia d'Italia e le radici stesse della Repubblica"
Presidente Vassalli un'operazione analoga fu tentata anche nelle precedenti legislature, ma venne respinta. Adesso il tentativo riprende vigore. Perché è contrario?
"Perché è assolutamente chiaro che c'è stata la continuità dello Stato anche dopo l'8 settembre e la caduta del fascismo. E non si può riconoscere a chi ha contrastato lo stato italiano sovrano schierandosi con la Repubblica sociale il titolo di combattente. La Cassazione è chiara in merito. Tutte quelle pronunce sono concordi nel definire i repubblichini come nemici".
Lo scorso 2 giugno il ministro della Difesa Ignazio Larussa chiese di accomunare i morti "di entrambe le parti". I firmatari parlano di "un progetto coerente con la cultura di pace della nuova Italia".
"Ma cosa vogliono ancora? Hanno avuto tutto, l'amnistia di Togliatti, la legittimazione democratica immediata, l'Msi in Parlamento, adesso sono al potere. Eppure vanno avanti, incuranti del fatto che non esiste paese in Europa dove i collaborazionisti del nazismo sono premiati".
La formulazione del testo apre la porta anche alla legittimazione a tutti coloro che "facevano parte delle formazioni che facevano riferimento alla Rsi". Non solo dunque agli appartenenti delle 4 divisioni dell'esercito ma anche a chi faceva parte delle "brigate nere".
"E' vero ma non c'è spazio per sottilizzare troppo. Lo status di combattente non va riconosciuto a nessuno di coloro che fecero parte della Rsi. Bisogna dire no e non solo per ragioni politiche ma anche dal punto di vista costituzionale".
Martedi 13 gennaio alle 16, Giuliano Vassalli interverrà all'iniziativa organizzata dall'Anpi dal titolo "Totalitarismo e democrazia, occorre rispettare la lezione della storia".
(8 gennaio 2009)
GAZA: finirà mai questa guerra?!?!
Questo documento straordinario sanciva certi impegni: “Lo Stato di Israele si dedicherà allo sviluppo di questo paese per il bene di tutti i suoi cittadini ; sarà fondato sui principi di libertà, giustizia e pace, e sarà guidato dalla visione dei profeti di Israele; garantirà pieni e eguali diritti, sociali e politici, a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalle differenze di religione, di razza o di sesso; tutelerà la libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura".
Certo, la dichiarazione di indipendenza di Israele non ripudia la guerra, come affermato nella nostra Costituzione, ma c'è da chiedersi, come ha fatto Mustafa Barghouti:
Data la tragicità della guerra tra Israele e il popolo palestinese e i tanti morti a Gaza e nel sud di Israele, riporto qui di seguito altri contributi di informazione e riflessione.
AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE PROTEZIONE PER I CIVILI A GAZA E NEL SUD D'ISRAELE
Amnesty International ha chiesto alle forze israeliane e ai gruppi armati palestinesi di porre immediatamente fine agli attacchi illegali contro Gaza e il sud d'Israele, che a partire da sabato 27 dicembre hanno causato
la morte di almeno 280 civili palestinesi e di due civili israeliani.
I bombardamenti sulla Striscia di Gaza hanno provocato il piu' alto numero di morti e feriti mai registrato in quattro decenni di occupazione israeliana: tra le vittime palestinesi vi sono decine di civili non armati e di poliziotti che non stavano prendendo parte alle ostilita'.
'L'uso sproporzionato della forza da parte di Israele e' illegale e rischia di provocare ulteriore violenza in tutta la regione' - ha
dichiarato Amnesty International. 'L'escalation di violenza e' arrivata in un momento in cui la popolazione di Gaza gia' era impegnata in una lotta quotidiana per la sopravvivenza, a causa del blocco israeliano che impedisce l'ingresso anche di viveri e medicinali'.
'Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi condividono la responsabilita' per l'escalation. I continui lanci di razzi sulle citta' e i villaggi israeliani sono illegali e non possono essere giustificati in alcun modo' - ha proseguito Amnesty International, che ha sollecitato la comunita' internazionale a intervenire senza indugio per garantire che i civili intrappolati nella violenza siano protetti e che il blocco di Gaza sia rimosso.
L'ultimo pesante attacco ha portato a 650 il numero dei palestinesi uccisi quest'anno dalle forze israeliane: almeno un terzo delle vittime, tra cui 70 bambini, erano civili. Nello stesso periodo, i gruppi armati palestinesi hanno ucciso 25 israeliani, 16 dei quali civili, tra cui quattro bambini. Negli ultimi otto anni la violenza israelo-palestinese ha causato la morte di circa 5000 palestinesi e 1100 israeliani. La maggior parte delle vittime da entrambi i lati erano civili e tra esse figurano circa 900 bambini palestinesi e 120 bambini israeliani.
Nelle ultime settimane le agenzie delle Nazioni Unite, che provvedono all'80 per cento del fabbisogno alimentare di un milione e mezzo di abitanti, hanno ripetutamente protestato contro il rifiuto israeliano di consentire l'ingresso di aiuti umanitari a Gaza.
Il blocco israeliano ha fatto si' che la tregua di cinque mesi e mezzo tra Israele, Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi migliorasse di poco o niente la vita della popolazione di Gaza. La tregua e' di fatto cessata il 4 novembre, quando le forze israeliane hanno ucciso sei militanti palestinesi e una scarica di razzi palestinesi ha colpito le citta' e i villaggi del sud d'Israele.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 29 dicembre 2008
Vittorio Arrigoni"
per un 4 novembre diverso: L’obbedienza non è più una virtù
Per un 4 novembre diverso, conviene leggersi -o rileggersi- lo scritto di Don Milani
"L’obbedienza non è più una virtù".
Scritto nel febbraio del 1965, è indirizzato ai cappellani militari toscani che in un comunicato avevano definito l'obiezione di coscienza (fino al 1972 assimilata alla renitenza alla leva e alla diserzione) «estranea al comandamento cristiano dell'amore» e «espressione di viltà».
Milani stesso raccontò più tardi che un ritaglio di giornale col comunicato dei cappellani gli era stato portato da un amico mentre come sempre stava con i suoi ragazzi: l'attività quasi esclusiva del priore a Barbiana era infatti quella scuola popolare (attiva «dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno») che avrebbe di lì a poco prodotto Lettera a una professoressa, il più radicale pamphlet contro la scuola di classe mai scritto in Italia.
Lo sdegno dei ragazzi per il fatto che nessuna autorità, né civile né religiosa, avesse reagito al pronunciamento dei cappellani rafforza nel priore la scelta di prendere posizione.
Dalle ricerche e gli studi fatti con i suoi scolari nasce la Lettera ai cappellani militari, dapprima stampata e diffusa in mille copie e poi ripresa dal settimanale del Partito comunista italiano Rinascita.
Scoppia un caso: una campagna stampa denigratoria e ostile, una pioggia di lettere anonime, la minaccia della sospensione a divinis per Milani, la denuncia, per Milani e il direttore di Rinascita Luca Pavolini.
Milani si autodifende rincarando la dose in una famosa Lettera ai giudici.
Entrambi gli imputati vengono assolti in primo grado «perché il fatto non costituisce reato».
Nel processo d'appello Pavolini sarà condannato a cinque mesi e dieci giorni,
Allegato | Descrizione |
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Per un 4 novembre diverso.pdf 28.21 KB |
4 novembre:Non glorificare la guerra - ignoranza e falsi idoli
Manifesto – 2.11.08
Per parte mi rifaccio ad un altro passaggio della lettera scritta da don Lorenzo Milani ai cappellani militari: "Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri".
"Ho visto Zingari e Italiani insieme felici": lunedì 24 gennaio 2010, ore 21.15
Carissimi/e,
lunedì 24 gennaio p.v. alle ore 21.15 in via Porpora 45, presso la casa della sinistra, si terrà il primo incontro del breve ciclo"Ho visto Zingari e Italiani insieme felici" un percorso di conoscenza
per una convivenza possibile Rom e Sinti:
attraverso
la STORIA:
lunedi 24 gennaio 2011 -ore 21:15
presso la Casa della Sinistra –Via Porpora 45, Milano
Conferenza del Prof. P. Finzi: giornalista, saggista e politologo
“A FORZA DI ESSERE VENTO: lo sterminio nazista dei Rom e dei Sinti”
la CULTURA:
lunedi 21 febbraio 2011 -ore 21:15
presso la Casa della Sinistra –Via Porpora 45, Milano
Conferenza dei
Prof. A. Alietti: docente di Sociologia Urbana e di Comunità, Università di Ferrara
Prof. M. Pagani: studioso e presidente dell’Opera Nomadi di Milano
“Origine, organizzazione e politiche possibili delle società Rom e Sinti”
l’ARTE:
domenica 13 marzo 2011 -ore 15:00
presso il parco Trotter, Viale Padova 69, Milano