.: Spazi pubblici ed effetti pubblici
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Inserito da il Inserito da Alessandro Rizzo il Dom, 10/02/2008 - 14:01

Quale sarà il futuro della Galleria Vittorio Emanuele? Si apre un dibattito, come sempre da qualche anno a questa parte, dopo anni di non intervento pubblico e municipale in situazioni di diversa portata che si sono portate al tracollo definitivo, su quale destino si riserverà per questo storico salotto di Milano.
Un salotto che è diventato, però, terra allettante e interessante per business commerciali di vari privati che vedono in questo spazio occasioni di elrgire affitti d'oro, oppure di cedere locali esistenti a soggetti più promettenti in termini di disponibilità di pagamento per l'acquisto di locali, oppure, infine, prodigiosi sigle e marchi multinazionali che si offrono a proprio piacimento come gli unici detentori di un lavoro di restaurazione della Galleria stessa corrispondendo questa disponibilità elargitiva con una presenza abbondante dello sponsor per tutta la Galleria, quasi diventasse un proprio e privato salone espositivo.
Mi viene in mente un caso che ha fatto scandalo in diverse occasioni: la vendita e la cessione dei locali della Libreria Reminder, fornita di diversi e preziosi libri interessanti, di vario genere, vario tipo, salotto culturale e incontro artistico per diverse persone, amanti della lettura, a un bar che, sotto l'osservanza del vincolo di destinare parte dei propri spazi ad attività tipiche di cafè letterario, esercita in modo totalmente privato un esercizio puramente commerciale, prevalentemente dedito alla ristorazione. Niente di male: ognuno fa i propri legittimi interessi commerciali. Ma i patti erano diversi e se il brocardo latino "pacta servanda sunt" non è ancora caduto in disuso, penso che si debba osservare coerentemente le regole che sono vincolative dell'atto di cessione, sia dell'affitto sia della proprietà del locale ceduto.
Si parla in amministrazione, precisamente l'assessorato al commercio e attività produttive Majolo d'intesa con la Camera di Commercio, della costituzione di una "fondazione partecipata" che garantisca una condivisione tra interessi dei commercianti, che sono riusciti a garantirsi il mantenimento degli affitti contro le possibilità, paventate dalla precedente giunta, di cedere gli affitti e le proprietà dei locali ad altri privati, una sorta di blocco della cessione degli affitti, e amministrazione comunale in una sorta di condivisione di regole e di comportamenti, di un codice regolamentativo della gestione collaborativa dello spazio. Posso essere concorde con questo tipo di procedura, soprattutto se si considerano esserci in Galleria luoghi che ormai sono storici e che rischiano di essere venduti o ceduti a terzi, in quanto per i due terzi degli esercizi commerciali è scaduto il contratto di affitto da tempo.
Si parla, giustamente di ritorno alla concezione di "salotto milanese", come sostiene la stessa assessora Majolo: più che propenso ad attivare percorsi che possano raggiungere questo obiettivo finale di rinascita culturale e civile della Galleria. Ma qualche anno fa l'Ottagono fu totalmente ceduto in affitto per alcuni mesi, quelli prossimi a periodo natalizio, con prezzi conveninenti a un'installazione commerciale di Swaronsky, rendendo la Galleria ostaggio di un messaggio pubblicitario permanente, come fosse un salone open space espositivo della multinazionale dei gioielli e dei cristalli? Come si spiega il fatto che esista la possibilità che la restaurazione degli impiantiti consumati della Galleria sia affidata a una multinazionale tedesca con la liberatoria per quest'ultima di apporre in ogni dove all'interno della Galleria i marchi della propria produzione?
Io credo che sia giusto parlare di codice di comportamento, come sostiene l'amministrazione, ma mi domando da chi e come le regole saranno statuite e determinate, in quanto dipende dalle modalità di approvazione e discussione delle regole, di partecipazione alla definizione delle regole, il raggiungimento della finalità di rendere la Galleria un salotto milanese civicamente aperto. Ma perchè non rendere partecipi al tavolo di discussione delle regole del codice anche le associazioni e le realtà collettive, soprattutto culturali, che potrebbero, in turnazione, beneficiare dell'Ottagono per promuovere incontri ed eventi che siano aperti alla cittadinanza e che siano di diversa portata? Io penso a un Ottagono dove l'accesso alla cultura e al sapere possa essere reale, condiviso, concepito come utile e importante per l'universalità della cittadinanza. Sarebbe bello ritornare, per esempio, al Festival del Teatro di Strada, che aveva carattere europeo, internazionale, e che trovava a Milano a cavaliere tra gli anni 70 e gli anni 80 una propria sede naturale, culturale e annuale, molto frequentato. C'è bisogno di cultura, esiste un'alta domanda di cultura, di eventi artistici, da parte della cittadinanza: lo testimonia il fatto che Milano, come analizzato da una ricerca utlimanente elaborata da La Repubblica, vive un aumento cospicuo di  pubblico, soprattutto apprtenente a fasce generazionali più giovani, alle serate di spettacolo, cong rande soddisfazione dei più grandi registi milanesi, da De Vita a De Capitani. La spiegazione è chiara: Milano ha realizzato una rete di teatri e di spettacoli artistici nell'ambito audiovisivo totalmente avanzato e sperimentale, fortemente innovativo, indipendente, creativo, a differenza di altre città, come Roma, dove le prime messe in scena non sono spesso inedite e autonome. Tant'è che si richiede da più parti di anticipare la seconda serata alle ore 21,30 per pemettere un0eqau distribuzione del pubblico su due fasce di orario possibili.
Ma perchè non rendere la Galleria realmente spazio pubblico condiviso, dove il commercio, l'amministrazione municipale, la cittadinanza, l'associazionismo e il mondo intellettuale e culturale, artistico, gli altri enti locali, Provincia e Regione, possano determinare un codice condiviso in senso plurale e possano stabilire un manifesto programmatico funzionale strumentale a rendere la Galleria un salotto civico universale e aperto?
Vogliamo cogliere questa sfida, come avvenuto in tante altre città europee, da Vienna a Parigi, da Berlino a Barcellona, dove gli spazi pubblici sono diventati luoghi di incontro civile e di convivenza culturale di alto spessore.
Io penso anche all'Ottagono come laboratorio permanente dove le associazioni attive in città possano testimoniare la possibilità di dare un'offerta alle nuove generazioni di artisti e di uomini di cultura, magari anche in collaborazione con il Conservatorio di Milano, la Scuola Civica del Cinema, l'Accademia delle Belle Arti, di poter sperimentare la propria creatività, mettendosi in gioco e in relazione con un percorso di cambiamento e di trasformazione del sostrato artistico e culturale della città che cresce.
Ottimo l'avere disposto l'Ottagono per accogliere eventi intenri alla programmazione di MI-TO: finalmente, passando per la Galleria, in settembre, avevo notato con entusiasmo performance musicali e concertistiche di alto valore e livello, con anche artisti giovani, di nuova formazione, sperimentali, e mi ero sinceramente galvanizzato dato che pensavo che l'Ottagono, fortunatamente, non sarebbe stato ostaggio dei soliti appuntamenti commerciali di esposizione di prodotti, come in un reality show di una televendita locale.
Da questo si può ripartire, non pensando solo al lato commerciale, che giustamente necessita di regole e di definizioni limitative di concessioni e cessioni che mettano in pericolo l'integrità civile della Galleria a favore di privati singoli e potenti. Si può ripartire con un senso collettivo di rendere la gestione della Galleria condivisa, rendendo partecipe la cittadinanza in tutte le sue componenti rappresentative: commerciale, culturale, universitaria, associazionistica e amministrativa, dal consiglio di zona competente per territorio, al Comune, alla Provincia, alla Regione. Solo così si può sperare di ripartire, insieme.

Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

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Inserito da il Inserito da Alessandro Rizzo il Sab, 03/11/2007 - 12:37

L'UNESCO ha redatto un Manifesto circa la funzione e la gestione delle biblioteche, come luogo di preservazione e di promozione della cultura, patrimonio che diventa internazionale, fortemente inalienabile, il cui accesso è diritto di tutte e di tutti senza discriminazione alcuna, senza distinzione alcuna, senza differenza alcuna nelle condizioni di utilizzo del patrimonio e del suo godimento.
A Milano si registra una situazione che direi essere totalmente antitetica allo spirito e alla filosofia di questo Manifesto, che definisce delle linee guida, di indirizzo generali e universali a cui attenersi se si vuole definire biblioteca uno spazio comune, pubblico, dove professionalità dei soggetti che elargiscono il servizio si commistiona con la possibilità dell'utenza, nella sua generalità e complessità, di poter reperire in questo spazio un confortevole luogo fisico di accesso libero e incondizionato ai saperi.
Perchè dico che Milano, il Comune, l'amministrazione attuale, non rispetta queste linee di indirizzo, questi principi insindacabili e assolutamente condivisibili grazie la forza dei principi espressi? 
Vorrei esaminare, sviscerando il testo del Manifesto dell'UNESCO, punto per punto le situazioni di fatto che non corrispondono agli enunciati, che devono essere attuati se si vuole dare alla biblioteca nel suo complesso una funzione civica di promozione dei saperi e di stimolo alle creatività, allo studio, alla cultura personale che diventa fattore collettivo, forte base fondante di uno spirito comune e condiviso di crescita continua e permanente, nella conoscenza, nella formazione, nell'informazione, nella comuniazione.
Nel preambolo il Manifesto dell'UNESCO sul ruolo e la funzione delle biblioteche civiche dice espressamente:
"La partecipazione costruttiva e lo sviluppo della democrazia dipendono da un'istruzione soddisfacente, così come da un accesso libero e senza limitazioni alla conoscenza al pensiero, alla cultura e all'informazione".
Ed è chiaramente annunciata la connessione imprescindibile intercorrente tra un'educazione che è in formazione, un'educazione che è in divenire con la crescita della persona, l'accesso al più alto livello e grado di istruzione, che deve essere garantito direttamente, il diritto allo studio, e dall'altra parte, indirettamente, la disponibilità di risorse pubbliche che possano creare canali di formazione permanente e di accesso ai saperi, alla cultura.
Io credo che sia assolutamente lacunosa e fallimentare la direzione politica amministrativa in questo ambito e nel precipuo caso dell'accessibilità ai luoghi di sapere e di conoscenza, in quanto la situazione attuale che vive la città di Milano è quella di un'assenza di un criterio omogeneo di gestione degli orari e del servizio su tutta la metropoli; riguarda l'assenza di una rete che possa mettere in comunicazione i diversi distretti bibliotecari della provincia con quelli della città; la mancanza di personale aggiuntivo pubblico che possa garantire un'apertura adeguata e prolungata del servizio, pur, dico pur, essendoci le condizioni per aumentare l'organico professionale, attingendo, grazie alla legge finanziaria 2007, secondo la quale le graduatorie del 2002 possono essere considerate nuovamente vigenti e legittime per attingere, da parte delle amministrazioni pubbliche, nuovo personale.
Il Manifesto prosegue nel preambolo con la seguente definizione:
"La biblioteca pubblica, via di accesso locale alla conoscenza, costituisce una condizione essenziale per l'apprendimento permanente, l'indipendenza nelle decisioni, lo sviluppo culturale dell'individuo e dei gruppi sociali".
Non si comprende come mai esista ancora nel regolamento delle biblioteche civiche di Milano la scriminante tra "utenti propri" e utenti "impropri", ossia, nell'ultima categoria, le studentesse e gli studenti che accedono giustamente allo spazio bibliotecario perchè luogo e via di accesso locale alla conoscenza per l'apprendimento permanente. E' una discriminante, questa, che vige da anni e che deve essere assolutamente superata, abrogata, elusa, se si pensa a un rilancio funzionale delle biblioteche corrispondente a quello che in altri contesti urbani, Roma in primis, dove il Comune ha investito diversi capitoli di spesa per la valorizzazione del patrimonio bibliotecario generale e civico, è ormai divenuta prassi amministrativa e politica gestionale: mi riferisco alla biblioteca come luogo polifunzionale, attinente al contesto e alla funzione di "spazio dove poter accedere liberamente alla conoscenza", di contaminazione educativa, culturale, artistica dove si forma la coscienza civica plurale e la conoscenza universale della persona e della collettività. Non esiste utenza impropria in quanto esiste uno spazio di accesso libero ai saperi che, per sua concezione, è universale, deve essere universale e indiscriminatamente garantito: esiste una dichiarazione internazonale dove si delineano principi generali e universali che registrano la cultura e il suo apprendimento libero e autonomo come diritti inalienabili e universali dell'essere umano. Questo è in parte, dico solo in parte, garantito a Milano: per diversi motivi possiamo dire che questo sviluppo funzionale dei centri civici bibliotecari, in città, è totalmente evaso dall'amministrazione pubblica. Occorre registrare un impegno nuovo e diverso, alternativo, di politiche di rilancio delle biblioteche come luoghi permamenti di formazione, comunicazione, informazione, conoscenza plurale, elargizione di cultura.
La totale illegittimità della disposizione discriminatoria "utenza impropria" viene evidenziata se si considera nel Manifesto questa dizione:
"I servizi della biblioteca pubblica sono forniti sulla base dell'uguaglianza di accesso per tutti, senza distinzione di età, razza, sesso, religione, nazionalità, lingua o condizione sociale".
Nello stesso Manifesto possiamo evincere i capisaldi delle linee guida, già attivate in diversi contesti comunali, ripeto in primis il Comune di Roma, per una nuova funzione aggiornata e rilanciata, rifondata, delle biblioteche civiche milanesi e del loro futuro gestionale, della filosofia della loro funzione attuale nel contesto pubblico urbano:
3. offrire opportunità per lo sviluppo creativo della persona;
4. stimolare l'immaginazione e la creatività di ragazzi e giovani:
5. promuovere la consapevolezza dell'eredità culturale, l'apprezzamento delle arti, la comprensione delle scoperte e innovazioni scientifiche;
6. dare accesso alle espressioni culturali di tutte le arti rappresentabili;
7. incoraggiare il dialogo interculturale e proteggere la diversità culturale.
E questi punti precisi e specificati, che evidenziano le funzioni della biblioteca civica e pubblica, che io penso debba essere amministrata nelle sue attività, nelle proposte che riguardano le iniziative che in tale contesto, ripeto PUBBLICO e non SINGOLO E PRIVATO,  quindi non autoreferenzialmente amministrato, devono trovare spazio ed espressione in nome di quel principio guida che è espresso nel manifesto dell'UNESCO al punto numero 3, 4 e 5 soprattutto, ossia al concetto per cui la biblioteca deve trovare nella partecipazione e nella condivisione pubblica alle proposte che ineriscono queste funzioni la propria identità, che non è quella di dare disponibilità di utilizzo dei libri, funzione importante, ma sterile e alquanto inadeguata se rimane unica e isolata, direi soprattutto insufficiente nella sua portata, alquanto anacronistica nel tempo, date esigenze nuove sorte e dovute allo sviluppo di nuove arti e nuovi canali di formazione e conoscenza, con lo sviluppo soprattutto delle nuove tecnologie e con lo sviluppo di nuovi contesti sociali che creano nuove sociologie urbane, nuovi visioni di cittadinanza culturale, nuove richieste aggiuntive di cultura e di saperi.
"I servizi devono essere fisicamente accessibili a tutti i membri della comunità. Ciò comporta una buona localizzazione degli edifici, attrezzature adatte per la lettura e lo studio, le tecnologie necessarie e orari di apertura sufficienti e comodi per gli utenti. Analogamente comporta servizi esterni per coloro che non sono in grado di frequentare la biblioteca".
Non è altro che confermativa questa definizione del principio espresso precedentemente, ossia l'esigenza di un magigore investimento strutturale che aumenti in quantità e in qualità il servizio pubblico bibliotecario attualmente presente a Milano. Io penso anche come sia inadeguata per una città dalla molteplicità delle espressioni culturali e delle esigenze sociali di arte e di accesso ai saperi l'attuale rete di servizi bibliotecari, dove non esiste ancora una Biblioteca Europea civica, dove non esiste un'uniformità dei criteri di elargizione dei servizi bibliotecari, dove ancora permangono strutture che non sono funzionali alle nuove richieste di cultura, dove esistono zone che non sono beneficiate da strutture bibliotecarie, mi sovviene, per quanto riguarda la circoscrizione di cui sono consigliere di zona, la parte relativa al quartiere di Via Mecenate, Salomone, oppure al nuovo insediamento di Santa Giulia. Esiste in quantità e in qualità un'inefficenza strutturale e amministrativa di questo servizio che deve essere realmente percepito come fondamentale nella cultura pubblica e civica attuale, dove l'esigenza di cultura e di conoscenza, di formazione permanente diventa capitolo di uno stato sociale moderno, che integri nuovi diritti che sono fondamentali per l'essere umano, che diventano imprescindibili per la crescita della persona e della collettiva, in un contesto comunitario e plurale, complesso.
Riproviamo a rilanciare questi concetti e a renderli attuativi a livello pubblico amministrativo a Milano? Direi che è necessario se si vuole promuovere Milano come città della cultura e dei saperi, la cui domanda cresce negli strati sociali e generazionali differenti che compongono un mosaico multiculturale e sempre più variegato della nostra sociologia urbana attuale.
Segue, in allegato, il testo del Manifesto delle Biblioteche civiche emesso dall'UNESCO.
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

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Inserito da il Inserito da Alessandro Rizzo il Gio, 02/08/2007 - 17:10
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Riporto un interessante articolo sul tema degli spazi pubblici, servizi e decentramento, su cui occorrerebbe lanciare una discussione. Nell'articolo c'è un'intervista al sottoscritto, come capogruppo in consiglio di zona 4, dove esprimo alcune perplessità circa il futuro gestionale dei servizi erogati dai CAM, centri pubblici, oggi come oggi, di aggregazione civile e sociale, fondamentali per la cittadinanza, soprattutto nei luogh di estrema periferia, dove spesso sorgono. A fine articolo le dichiarazioni dell'assessore Colli. Apriamo, pertanto, una riflessione e una discussione a riguardo.

Un cordiale saluto
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4

PER IL DECENTRAMENTO LA PAROLA D’ORDINE È ACCENTRARE
Anche sulla gestione dei CAM il comune decide senza consultare i Consigli di Zona

fonte: www.chiamamilano.it

Fino a quattro anni fa si chiamavano CTS (Centri Territoriali Sociali), poi dal 2003, con la riforma dell’allora Assessore al decentramento Giulio Gallera –oggi Capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale–, sono diventati CAM (Centri di Aggregazione Multifunzionale).
Sono spazi nati e messi a disposizione dal Comune alla fine degli anni ’70, luoghi d’incontro e aggregazione. Sono

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Inserito da il Inserito da Marina Cazzola il Ven, 19/05/2006 - 22:20

Segnalo questa iniziativa di un gruppo di cittadini che preme perché i centri sportivi tornino ad essere luoghi di aggregazione sociale e di sano svago

Marina Cazzola 

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Lettera aperta ai candidati Sindaci--Comunali Milano 2006

Giorgio Maria Carlo Ballabio (giorgio.ballabio@latuamilano.org)
Valerio Colombo (valeriocolomb@tin.it)
Bruno Ferrante (brunoferrante@brunoferrante.it)
Cesare Fracca (cesare.fracca@vivere.milano.it)
Letizia Moratti (info@mettiamociincomune.it)
Gabriele Pagliuzzi (info@liberaliperlitalia.it)

PC: RCM (www.comunalimilano2006.it)

       Alle redazioni locali di
          Corriere della Sera
          Repubblica
          Il giorno
          L'Unità

Siamo un gruppo di cittadini, appassionati di sport. In particolare pratichiamo (a livello dilettantistico e agonistico) lo sport del pattinaggio, che tanto entusiasmo ha suscitato alle recenti Olimpiadi Invernali di Torino.

Scriviamo per porre una semplice domanda ai futuri amministratori della città di Milano:

  • La pista del pattinaggio del Lido di Milano riaprirà al pubblico e alle associazioni?

Ricordiamo che la pista di pattinaggio del Lido è l'unica pista di pattinaggio a rotelle al coperto nel comune di Milano, che la struttura del Lido di Milano è un complesso sportivo storico per la città e che ha subito per anni un completo abbandono; abbandono che di fatto lo ha reso inutilizzabile da parte dei cittadini, abitanti di una città che tanto bisogno ha di zone di sano svago.

Maggiori informazioni sulla vicenda sono disponibili sul nostro sito internet www.otto-ruote.it/lettera.

Teniamo a ricordare che la vicenda "abbandono delle strutture sportive pubbliche esistenti" riguarda anche:

  • Centro sportivo XXV aprile
  • Centro sportivo Saini
  • Palazzo del ghiaccio (palazzo di interesse storico per la città)
  • Velodromo Vigorelli
  • Ex "Palalido"
  • Centro Sportivo Pavesi

In attesa di una vostra risposta pubblichiamo questa lettera sul nostro sito, dove saremo lieti di darvi ampio spazio di replica.

Lettera firmata dai cittadini
attraverso il sito www.otto-ruote.it

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Inserito da il Inserito da Domenico Palladino il Gio, 18/05/2006 - 09:50

E' bastato un abile colpo di mano in un mattino invernale di inizio anno per eliminare l'apertura serale delle biblioteche comunali di Milano.
Prima del 3 gennaio scorso tutte le biblioteche comunali garantivano l'apertura fino alle 22.30 di sera, e rappresentavano un ritrovo sociale, ma anche una risorsa per lo studio di indubbia utilità.
Attualmente solo tre biblioteche (tibaldi, crescenzago e gallaratese) rimangono aperte fino alle 22, mentre le altre terminano il servizio tra le 19.30 e le 20, privando soprattutto gli universitari milanesi di una valida alternativa per dedicarsi ad attività culturali e ludiche, senza contare di adulti e anziani che approfittavano di quelle ora per una tranquilla lettura dei giornali.
Ora, capisco che con i tagli agli enti locali, magari il provvedimento si è reso necessario, penso però che se si vogliono creare spazi di aggregazione sociale, non è certo utile operare qui tagli al personale. Sarebbe già molto utile tornare all'orario delle biblioteche in vigore l'anno scorso, fatto questo si potrà anche discutere di spazi maggiormente dedicati allo svago che soprattutto nelle aree periferiche, come la 4 dove io mi candido nella lista dell'Ulivo, sono scarsi se non assenti.

Saluti

Domenico Palladino, candidato al consiglio di zona 4 Milano
http://www.comunalimilano2006.it/domenico palladino
http://www.scriviloschiavo.it

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Inserito da il Inserito da Pierfilippo Pozzi il Ven, 24/03/2006 - 17:10
Le persone hanno a che fare con gli effetti pubblici di iniziative che possono derivare tanto dalla Pubblica Amministrazione quanto da cittadini o associazioni: una biblioteca, un centro sociale, un ritrovo informale, un concerto. Ma l’interpretazione di ciò che è ‘pubblico’ sembra ancora legata a vecchi schemi che inseguono gli ‘effetti pubblici’ alle volte per promuoverli, alle volte per tollerarli, altre per intralciarli. Discutiamo allora su cosa può fare la pubblica amministrazione per favorire i processi di aggregazione sociale, ricordando che protagoniste sono le persone e non le istituzioni.
 
I documenti allegati, che analizzano in maniera approfondita i concetti di ‘territorio’, ‘pubblico’, ‘spazio’, ‘rete’, sono di Pierluigi Crosta (Dipartimento di Pianificazione dello IUA di Venezia). Con lui e con alcuni ricercatori, tra i quali Paolo Cottino, Comunità Nuova ha avviato da tempo un dialogo su questi temi.
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