Da
milano.corriere.it:
L'intervista: «L’esposizione sarà un’occasione per lanciare un nuovo modo di pensare»
«Milano riscoprirà l’anima agricola
Meno cemento ma case valorizzate»L’architetto Stefano Boeri sul master plan per Expo 2015: il progetto di Milano supera i modelli tradizionaliIl guru è stato
Carlin Petrini. «L’illuminazione ci è arrivata quando ci ha parlato di coltura di prossimità. Noi cercavamo un’idea che puntasse sull’esperienza diretta, Petrini ci spiegava Milano agricola ed è nato il progetto». Un progetto condensato nel
concept plan che proprio l’architetto Stefano Boeri ha presentato l’altro giorno insieme ai colleghi cui è stato affidato l’incarico (Jacques Herzog, Ricky Burdett, Joan Busquets, William McDonough) di dare una sede all’
Expo 2015 dedicato al tema della nutrizione: invece di realizzazioni monumentali e di stand asettici, ecco serre e lotti dove i Paesi del mondo presenteranno i loro prodotti, dalla semina al piatto in tavola, accompagnando i visitatori in un percorso visivo e tattile tra i sapori e i saperi agricoli del pianeta.
Un’idea tutta vostra, o politica e spa vi hanno dato linee guida? «Abbiamo avuto massima libertà. Siamo stati contattati per la Consulta circa un anno fa dal sindaco Letizia Moratti, che ci ha comunicato il tema, l’area scelta e il budget a disposizione. Nessun vincolo: neppure con la nascita della società e l’arrivo di Stanca, che anzi che ci ha spronati a continuare quando ci si stava bloccando perché si era diffusa la preoccupazione sul dopo».
Da dove si comincia a progettare un’Expo?
«Intanto dalle nostre storie, visto che tra noi c’è chi ha lavorato per il G8 della Maddalena, chi per le Olimpiadi di Londra, chi per quelle di Barcellona. Ma poi abbiamo voluto cercare qualcosa di nuovo per superare il modello tradizionale di Expo, dove nostri prodotti o proponi rappresentazioni a distanza. L’idea è stata di puntare sull’esperienza diretta e il tema dell’alimentazione ci ha agevolato: sperimentare come si coltiva, raccoglie, confeziona, distribuisce, consuma».
E Petrini?
«L’incontro con lui è avvenuto quasi subito ed è stato decisivo: ci ha parlato della opportunità di valorizzare le colture di prossimità, di mettere in moto l’agricoltura vicino alla città. In fondo la destinazione originaria del terreno scelto per Expo è agricola..».
Architetto, il concept è più frutto di una suggestione o delle ristrettezze della crisi?
«Con o senza crisi, la proposta sarebbe stata quella. Diciamo che, alla luce della situazione attuale, è ancora più ragionevole».
Quale sarà il messaggio di Expo?
«La pensiamo come un momento non solo divulgativo, ma di avanzamento del sapere: sarà occasione per lanciare un nuovo modo di pensare, per dare visioni soprattutto ai giovani. Certo, è un progetto molto ambizioso che richiede una politica di altissimo profilo, e la società Expo deve entrare da subito in contatto con i Paesi espositori per capire come organizzarsi anche dal punto di vista tecnico».
Come si porta il deserto o la foresta amazzonica a Milano?
«Ci sono diverse esperienze di ricostruzioni di biomi o microclimi. Certo, qui sarà più complicato perché li ricostruiamo tutti e poi li dobbiamo rapportare all’agricoltura, nel senso che se facciamo un pezzo di foresta tropicale, lì accanto poi partiranno le piantagioni di caffè. Ma si può fare».
Il cardinale sostiene che non si è pensato al tema dell’accoglienza.
«Eppure abbiamo fatto un progetto sulle cascine, che sono sicuramente uno dei luoghi più importanti di accoglienza a Milano. A Parco Lambro, ad esempio, ce ne sono 5 e lì operano don Mazzi e don Colmegna, suor Ancilla e una comunità per i giovani. È una ricchezza che va consolidata. Poi, vorremmo trasformarne alcune in luoghi di residenza temporanea per studenti, visitatori e anche uomini d’affari».
Un sito con poco cemento. Non temete la rivolta dei costruttori?
«Burdett diceva che nelle valutazioni per Londra 2012 hanno calcolato che quando c’è l’acqua, il valore delle case aumenta del 25 per cento. Con il verde, arriviamo anche al 50 per cento. Neppure gli immobiliaristi più ottusi possono ignorare questi aspetti e la necessità di lavorare in modo selettivo puntando sulla qualità, per rispondere ad una domanda che è anche in calo».
Elisabetta Soglio
11 settembre 2009