.: Discussione: INNSE: irresponsabile chi lavora per chiuderla. 4 operai su 1 gru

Opzioni visualizzazione messaggi

Seleziona la visualizzazione dei messaggi che preferisci e premi "Aggiorna visualizzazione" per attivare i cambiamenti.
:Info Utente:

Oliverio Gentile

:Info Messaggio:
Punteggio: 0
Num.Votanti: 0
Quanto condividi questo messaggio?





Inserito da Oliverio Gentile il 13 Lug 2010 - 11:22
Leggi la risposta a questo messaggio accedi per inviare commenti
Da milano.corriere.it:

Un operaio: ci avevano detto che era finita, avevamo solo bisogno di un padrone

«Un anno fa eravamo sul tetto
Ora lavoriamo anche di notte»


La rinascita dell’Innse di via Rubattino. «Vinta una scommessa»

MILANO - Ogni tre giorni in media arriva un curriculum, certe sere si tira l’alba perché non bastavano primo e secondo turno ora c’è anche il terzo, il prossimo mese sono previste due settimane di ferie e non è detto che tutti le faranno, bisogna vedere. Bisogna vedere se ci saranno commesse urgenti, come a esempio le enormi valvole per metanodotti e gasdotti in fabbricazione. All’Innse, un anno dopo, è così, proprio così: si lavora, tanto, anche di notte — il terzo turno inizia alle 22.30 e finisce alle 6.30 —, da fuori lo sanno, e in portineria si presentano quarantenni e cinquantenni altrove licenziati, una decina al mese, magari all’Innse assumono. Assumeranno a settembre, nel settore amministrativo, si viene a sapere, e non fra gli operai. Anche i simboli, i modelli, e la Innse lo è — quanti l’hanno copiata e mutuata in altre aziende, cassintegrati saliti sui tetti, trincerati in presidi —, anche i simboli e i modelli in fondo hanno dei limiti.

E comunque l’organico è al completo.
Ci sono, gli operai. Ci sono sempre stati. Il problema è che mancava il padrone. «Buono o cattivo non importava, ci serviva un padrone, volevamo un padrone. Sì, fa strano a dirlo. Però è la verità» racconta Max Merlo. Merlo è uno dei quattro del carroponte ed è anche quello di una fotografia. Partiamo da questa. Nella fotografia ci sono due persone. A sinistra Attilio Camozzi, a destra Merlo. Si stringono la mano. È il giorno della svolta. Camozzi guarda il fotografo, è un sorriso un po’ timido. Merlo guarda Camozzi e non ride, anzi è serissimo, pare perfino arrabbiato, forse è soltanto stanco. Sul carroponte rimasero otto giorni. Era l’atto estremo, e sarebbe stato nel bene o nel male l’ultimo atto. Ricordate? Via Rubattino. Periferia di Milano. Uscita della tangenziale. Qualche metro proseguendo sulla sinistra ci sono i Martinitt; qui davanti, invece, si alzano, stendono e sbriciolano i capannoni scheletrici dell’ex Innocenti, dell’ex Maserati: è una zona di storia questa. In mezzo ai capannoni, c’è il padiglione occupato dall’Innse. Ci fabbricavano presse. Poi il proprietario licenziò gli operai, cercò di portarsi via i macchinari, e successe il finimondo.

I lavoratori occuparono, mandarono avanti la produzione
in autogestione, fu resistenza, andarono sui giornali, in televisione, si svegliarono i sindacati e soprattutto i politici, in Prefettura s’aprì un tavolo, i quattro si arrampicarono sul carroponte e senza certezze, senza accordi, non sarebbero più scesi, giuravano; si fece avanti Attilio Camozzi, quello della fotografia con Merlo. Il Cavalier Camozzi, capo dell’omonimo gruppo industriale bresciano, acquisì l’attività della Innse. Camozzi è uno di poche parole. A chiamarlo al telefono, dice «pronto» e dalla voce si capisce che vorrebbe subito chiuderla lì e passare al «d’accordo, arrivederci», è già passato troppo tempo. Figurarsi provare a chiacchierare un po’. Lo avevamo cercato alla fine di marzo, quando alla Innse avevano assunto due ragazzi a tempo determinato. Cavaliere, e le assunzioni? «Ma no, non diciamo niente, manteniamo un basso profilo». Ieri mattina, nuova chiamata. Cavaliere, abbiamo saputo del terzo turno, addirittura, non è un risultato clamoroso? «Ma no, non diciamo niente, manteniamo un basso profilo».

Più tardi, Camozzi farà chiamare dall’avvocato del Gruppo,
il dottor Claudio Tatozzi. Avvocato, in fabbrica gira bene, no? «Ci sono tanti passaggi da completare. Dev’essere deciso come verrà riqualificata tutta questa enorme area sulla quale siamo presenti anche noi. Il Comune e la società proprietaria dei terreni debbono completare l’istruttoria, vediamo gli sviluppi. Le posso dire, in ogni modo, che per il Gruppo la Innse rappresenta un investimento tra i dieci e i quindici milioni di euro complessivi. L’operazione non è stata uno spot. C’è un obiettivo. A lungo termine. In questo progetto crediamo tantissimo ». La Innse è ridipinta a nuovo, giallo e grigio predominano, è stata fatta pulizia, c’è un’aria, un odore, di fabbrica, di tornio, di ingranaggi, di olio, che strano, a Milano, e di questi tempi, con la crisi. Possibile? Il dottor Pietroboni è il direttore dello stabilimento. Dice: «Piano, piano. Il nostro settore, quello della meccanica pesante, è stato colpito a lungo. La ripresa, dicono, avverrà a fine anno. Molto più probabilmente nel primo settembre del 2011. Abbiamo commesse per i prossimi due, tre mesi. Bastano? Non bastano. Puntiamo ad avere commesse per i quattro, cinque mesi successivi, scadenza che garantisce un certo margine». C’è un operaio che tossisce, che sputa. «Lavoriamo moltissima ghisa al posto del ferro. Il motivo? Prendiamo commesse in ghisa anziché in ferro, se ne trova di più sul mercato e non tutti la vogliono lavorare... La ghisa mette in circolo una polverina che invade la gola, scende giù, ti uccide i polmoni».

Ci sono torni che hanno quasi un secolo.
Li han fatti in America, altri in Germania. Non tutti funzionano. «A vero regime dovremmo essere molti di più, almeno centocinquanta operai» raccontano. Difatti metà stabilimento è vuoto, le luci spente, polvere e ruggine. Dicono che Camozzi sistemerà un mega impianto fotovoltaico sul tetto. Dicono anche attorno alla fabbrica sorgeranno alti palazzi e giardini, negozi e piste ciclabili. Il termine ultimo per firmare il progetto di riconversione dell’area è il 31 dicembre prossimo. Le tute della Innse erano blu, queste nuove, della Innse di Camozzi, sono sul grigio. Dei 49 operai che erano, sono 36. In 3 sono andati in pensione, i rimanenti 10 sono in cassintegrazione, «e vanno riportati dentro al più presto», dicono i colleghi. Il terzo turno, gli operai, non lo vedono come vittoria: «Qualcuno avrà sbagliato la programmazione, avrà fatto confusione, ed eccoci allora a dover fare il terzo turno per finire in tempo, per evitare ritardi, per accontentare il padrone».

Andrea Galli

13 luglio 2010

In risposta al messaggio di Antonella Fachin inserito il 4 Ago 2009 - 15:11
[ risposta precedente] [ torna al messaggio] [risposta successiva ]
[Torna alla lista dei messaggi]