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Oliverio Gentile

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Inserito da Oliverio Gentile il 16 Maggio 2010 - 07:35
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Da milano.corriere.it:

Manifesto per Milano

Milano, bella ma soffre di solitudine

Paola Calvetti: «Smog, degrado, cemento: si deve puntare al "faccio" e non al "farò"»

Cara Milano, è strano scrivere una lettera alla città dove sono nata, dove ho studiato, lavorato e messo su famiglia. Ti scrivo da non molto lontano, da una città che ti è sorella, Parigi, che come te si arrabatta - con maggior vigore - nel caos del presente per preservare la sua bellezza, provando a non rinchiuderla nel recinto del suo passato. Ho letto di te, in queste settimane di fortunato esilio volontario, come si legge di un innamorato lasciato per una «pausa di riflessione» ma del quale non si vogliono perdere le tracce. So che ti aspetta una revisione lenta - forse troppo lenta - in vista dell'Esposizione Universale del 2015, dove esibiranno cibo e acqua e prati verdi per sei mesi. E poi, forse, ma forse no, via tutto, come a un festino che, dopo l'ubriacatura, abbandona a terra i suoi cartocci.

Ho letto dei tuoi Navigli sozzi e di una fiera di barche ancorate
alle tue sponde stanche; in questi mesi ho letto di alberi mancati, di artisti nella piazza a gridare lo scontento e la paura di un futuro senza note, né parole. Di quartieri assediati dai volti del «diverso», di autobus maligni e autisti distratti, di ciclopedisti in gabbia tra le auto, di passeggini spinti da mamme con le maschere sul volto; di musei chiusi nella Notte dei Musei, di feste pagane e forse paesane, tra mobili e design di gente intelligente sotto i riflettori accesi. Ho letto dei vecchi che rimpiangono. E di ragazzi che sognano, desiderano, provano. A scappare da te o a rimanerti addosso. Ho visto fotografie dei tuoi quartieri ghetto, di ragazzi sfaccendati nella notte perché di giorno, forse, non hanno di che lavorare; di ricercatori che ricercano e quando trovano non sanno a chi donare i loro frutti, di spettacoli sold out e di eccellenze artistiche, di mostre d'arte con le code fuori ad aspettare il turno di accesso al genio di un artista.

Avevo accarezzato, per te, l'idea delle note di un generoso musicista
in cambio di alberi frondosi, ritroverò il cemento e qualche pianta dentro un vaso. Ho visto foto di cantieri per uffici ancora misteriosi e grattacieli pudicamente vuoti. Per la tua salvezza ho letto in questi giorni parole come merito e selezione. Ho ri-letto slogan abusati come mobilità sostenibile e inglesismi da bar come bike-sharing e car-sharing. Mi è scappato di pensare «life-sharing», che nella nostra bella lingua significa condivisione. Di idee, di polifoniche soluzioni, di generosità e di risparmio intelligente, e poi di spazio che è pubblico e non privatistico, che è possibilità di accesso a tutti e selezione per i migliori, che pretende rispetto e non abuso. Una sintesi di parole lette, quasi invocate, in tuo onore, città mia: merito, competenze ed etica. Morale, aggiungerei. Da qui, la città cartesiana che come te si affanna alla ricerca di un futuro possibile, ho letto la tua storia recente, ho trovato tra le righe di ogni intervento sul forum di lettori del Corriere - autorevole e plebeo, spontaneo o professionale, suadente o perentorio - una parola insinuante e minacciosa: solitudine.

Sei una città ancora bella ma sei sola, amica mia.
La solitudine macina il silenzio bello della riflessione, ma rischia, quando hai paura e non la riconosci, di trasformarsi in reclusione. Ho letto di te tutti i giorni, mia amata Milano, e come fiori cresciuti spontanei e contro ogni logica in campi della periferia triste, ho visto spuntare parole «semplici» dove sta scritto il segreto del tuo avvenire: rispetto, educazione, intelligenza, giovani, speranza, progetto, cultura, ricerca. Parole possibili a patto che i verbi siano declinati al presente. Vorrei dire, a chi ti ha in cura, usate «oggi» e non «domani», non diteci più «farò», ma «faccio», scrivete regole e fatecele rispettare senza violenza, non perdete la memoria su promesse ripetute e puntualmente disattese. Ammettere i propri errori, cambiare e migliorare è l'unica strada percorribile, rinunciando - senza deroghe, né concessioni ma con rigore - al profitto immediato in nome di un profitto durevole. Che non ha i bagliori estemporanei dell'«evento», né il colore grigio del bitume, non ha l'odore fetido dello smog e dei motori accesi, non violenta ma dissuade, obbliga ma non costringe e, soprattutto, ha la forma delle foglie, l'odore della terra nelle aiuole, la curva protettiva dei tronchi di alberi, è declinato nelle più diverse sfumature di verde. Che poi, è l'unico colore della speranza.

Penso a te, Milano, e mi sento come quando ti sei allontanata
da un amore che credevi «per sempre» e non sai se abbandonarlo al suo destino o provare a ricomporne i tratti, scavando fino all'essenziale - il cuore - per riscoprirne l'anima, provando ad amarla e rispettarla nella buona e nella cattiva sorte, ma con occhi finalmente nuovi. Scendendo dal piedistallo del rimpianto sterile e dell'egoismo, plasmando la memoria dei vecchi in nome e per conto degli occhi di quel bambino in passeggino, che con la scuola andrà in visita all'Expo fra cinque anni, ma oggi sobbalza - sgomento e niente affatto divertito - su marciapiedi sporchi e tra striminziti alberi dei quali riconoscerà le forme e il nome solo se noi, da subito, sapremo coltivarle.

Paola Calvetti

16 maggio 2010


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In risposta al messaggio di Oliverio Gentile inserito il 15 Maggio 2010 - 21:39
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