.: Discussione: Via padova, integrazione fallita - I residenti: traditi dal Comune

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Oliverio Gentile

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Inserito da Oliverio Gentile il 29 Ott 2009 - 12:14
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Da milano.corriere.it:

dalla parte del cittadino

Cinquanta nazionalità in 4 chilometri
Via Padova, la rabbia dei dimenticati


I residenti: più attenzione dal Comune, qui nessuno ci difende dai rom. Don Piero: sfida quotidiana

MILANO - Di italiano, nel negozietto, c’è mezza insegna e la lacca Splendor: la titolare, alla cassa, è cinese; il parrucchiere, alle forbici, è algerino; il taglio, sen­za shampoo e scontrino, costa 8 euro. Trenta metri più in là, sul marciapiedi di fronte, la «Boutique del fumatore» marca e fotocopia la differenza sui vo­lantini, che i clienti lo sappia­no: «Prodotti italiani, qualità italiana, professionalità italia­na, personale italiano». In mez­zo c’è tutta via Padova. Trentadue mesi fa il quartie­re scese in piazza: una marcia per la sicurezza, contro il degra­do. Ieri, alla fermata della 56, il comitato «Riprendiamoci Mila­no» raccoglieva ancora le firme contro il campo rom di via Idro: «Siamo oltre 5 mila». Sem­pre ieri, nel cortile al 144 di via Padova, i residenti dei palazzi di ringhiera hanno ribadito che «convivere con il centro cultu­rale islamico, in queste condi­zioni, è impossibile»: nella mo­schea di condominio si prega anche su tre turni, il venerdì. Il parroco di San Giovanni Criso­stomo, don Piero Cecchi, sostie­ne che «la gente non era pronta a un’immigrazione così veloce e numerosa» e che ora è una fa­tica ricucire le fratture, supera­re le diffidenze, cercare il dialo­go: «Ma dobbiamo farlo. Trova­re una convivenza civile nella conoscenza e nel rispetto delle regole».

Da Loreto allo svincolo sulla tangenziale, in poco meno
di 4 chilometri, convivono 50 nazio­nalità, azeri inclusi (oltre la me­tà degli alunni della Casa del So­le-Rinaldi, ormai, è frequentata da figli d’immigrati). Per la Ca­mera di commercio questa è la strada più straniera di Milano: 1.311 imprese, oltre una su tre. Le associazioni «Il ponte» e «Vi­vere in zona 2» hanno censito 436 negozi, dai kebap ai phone center: di questi, 101 sono gesti­ti da immigrati (per metà cine­si). Ieri l’altro, gli abitanti di via Pietro Crespi hanno spedito una raccolta di firme a sindaco e prefetto: «L’assembramento di individui ubriachi o sotto l’ef­fetto di sostanze stupefacenti provoca risse, atti vandalici e in­sicurezza per donne e bambi­ni». Otto vetrine su dieci, in via Crespi, sono euromarket e risto­ranti etnici (Sri Lanka, Egitto, Marocco).

Il valore delle case, dopo un aumento del 66,7 per cento in dieci anni, nel 2009 ha perso due punti. In via Vittorelli, dietro lo spiazzo dei giostrai e del merca­to, i palazzi non hanno ancora le fogne: scaricano nella fossa biologica, passa l’impresa spur­ghi. Eppure, qui, i problemi «sentiti» sono altri: gli stranie­ri, i musulmani, i rom. Anche sui bus, dove un passeggero su sette non paga — la media peg­giore della città, 6.744 multe in sei mesi — il portoghese è «sempre» straniero: «Uno scan­dalo », dicono gl’italiani. E la moschea? «Noi facciamo un grande sforzo per non creare di­sagi », assicura il presidente del­la Casa della cultura islamica, Asfa Mahmoud. La comunità, per altro, ha già subito una scis­sione: parte dei fedeli ha traslo­cato nello stabile ex Enel al nu­mero 266 («Regolarmente ac­quistato»). Così, nonostante i divieti del Comune, le case isla­miche sono attualmente due. Non solo: il capannone in via Cesarotti 8 è in ristrutturazio­ne, diventerà una chiesa cristia­no copta, i residenti non sono contenti.

Vittoria Alberoni ha compra­to una bella villetta lungo la Martesana, nel 1988, in via Idro 61: «Qui di fronte avrebbe do­vuto nascere un parco». Il Co­mune, nel 1989, ha aperto un campo nomadi provvisorio: «Ecco, è lì da vent’anni». Quat­tro ragazzini, all’ingresso, urla­no «vi uccidiamo!». La signora Vittoria, dopo aver subito tre furti, ha sbarrato porte e fine­stre: «È come stare in carcere». «Insisto. Ci vuole dialogo, co­noscenza reciproca». Don Piero Cecchi sa cosa vuol dire «inte­grazione»: al primo anno di ca­techismo un bimbo su due è fi­glio d’immigrati, tra gli anima­tori ha un ragazzo buddhista e gli adolescenti islamici giocano sul campetto con gli altri. E non è solo, don Piero: i volonta­ri della scuola d’italiano di via Meucci seguono 130 studenti di 31 nazionalità ogni quadri­mestre. Silvia Scopece è un’inse­gnante in pensione: «I proble­mi ci sono, impossibile non ve­derli. Ma bisogna fare di via Pa­dova un laboratorio, investire di più». Ha pensato anche al ti­tolo del progetto: «Il mondo in una strada». Rende bene l’idea.

Cesare Giuzzi Armando Stella
29 ottobre 2009

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In risposta al messaggio di Oliverio Gentile inserito il 4 Mar 2009 - 13:28
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