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.: Il Blog di Antonella Fachin
Domenica, 1 Marzo, 2009 - 13:16

HUMOR: posto fisso

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Ciao a tutti precari,
Dove vivo io, la mattina la strada si trasforma in un inferno di lamiere guidate da pecore governate da lupi scaltri come volpi e affamati come squali.
Chi sono? Beh, la nostra classe politica collusa con il sistema produttivo che insegna al popolino a prendere l’auto per andare a lavoro, per andare a comprare il latte, o semplicemente per andare al creatore. Una pecora per auto e il gregge è fatto.
Quando vedo i romani (gli italiani?) affollarsi come bestie da macello sulle nostre strade capisco tutto. Capisco come è facile per i nostri politici, per gli industriali e per i potenti, farci qualsiasi cosa. Questo pensiero si rafforza quando entro in metro e mi rendo conto che lì sotto c’è un altro gregge, di cui faccio parte, obbligato a spartirsi stoicamente un altro pezzo d’indecenza quotidiana di questo paese: vagoni stracolmi come treni di Calcutta che trasformano un viaggio in metro in una odissea.
Penso a quanto è facile per noi italiani buttare al cesso ogni nostro diritto, ogni cosa buona che fino a oggi ha permesso alla maggior parte di noi di vivere una vita senza stenti e di avere accesso a diritti che puntualmente, a causa del popolo che siamo, abbiamo rivolto contro noi stessi come un’arma. Pensate all’uso che le passate generazioni - ma anche le nuove, di prove ce ne sono un’infinità - hanno fatto del posto fisso.
Il tempo indeterminato senza responsabilità ci ha resi pigri e ci ha convinti che ogni cosa è dovuta: che tutto è sempre stato lì e che non c’è mai stato nessuno a lottare e forse morire per darci tutto questo.
Il tempo indeterminato ottenuto in tutti i modi meno che per meriti ci ha trascinato dritti nel baratro dell’incompetenza.

Il tempo indeterminato senza obbiettivi ci ha portato a lasciare i posti di lavoro a gente inadeguata che tiene le aziende e l’azienda Stato Italiano per le palle.
Il tempo indeterminato unito alla parentopoli tutta italiana ha soffocato la ricerca, la mobilità sociale dando vita a vere proprie oligarchie di potere che controllano tutto, anche i fallimenti di queste ultime generazioni.
A volte ho la sensazione che non dare la certezza di un lavoro e di uno stipendio a tutti i costi, avrebbe obbligato tutti a essere più rispettosi di questo paese, delle nostre leggi, delle persone, degli operai, delle puttane e degli immigrati.
Eppure nessuno si è mai davvero ribellato a questo sistema. Non al tempo indeterminato, ovviamente, ma all’italianità imperante. Questa tendenza inarrestabile a sprecare tutto quello di buono che ci viene dato, per logiche che sfuggono alle masse e che arricchiscono, alla fine, solo una cerchia ristretta di potenti.
Nessuno si ribella all’italianità che diventa lega, sinistra litigiosa, destra ossequiosa, finto cattolicesimo e ronda.
Abbiamo trasformato la sanità in un lebbrosario, la scuola in un parcheggio generazionale, il lavoro in smarrimento, il parlamento in un bivacco.
Eppure viviamo in un’epoca in cui essere occidentali ci ha messo in condizione di non vendere fazzoletti ai semafori, di non pulire il culo ai nostri vecchi, di non dover fare lavori di fatica che a cinquant’anni te ne fanno avere ottanta. Eppure abbiamo permesso a chi manovra il sistema di sbatterci ai limiti della povertà con stipendi di base sempre più bassi, al punto che entrare a far parte della “generazione mille euro” sta diventando un obbiettivo.
Ma questo non può fermarci. Possiamo ancora fare tutto ciò che vogliamo di noi stessi: prima di tutto uscire dalla precarietà, quella condizione mentale che fa accettare ogni cosa mese dopo mese.
Dovete chiedere di più a voi stessi, non quando siete su posti di lavoro umilianti, ma quando fuori di lì non decidete di ammazzare quella parte di voi che urla di rabbia per un posto fisso che non avrete mai, ma del quale in fondo non avete bisogno.
Dimenticate la guerra fra poveri che ci oppone a chi ne ha uno. Dimenticate le loro pensioni perché potete star certi che non le avranno mai, proprio perché non ci sarà nessuno a versare i contributi necessari alle nostre come alle loro.
Quello che ci serve è toglierci dalle palle tutta la feccia che pretende di tenerci la testa sotto i propri piedi e l’unico modo è prendere direttamente il loro posto, smettere di leccare quei piedi che ci tengono sotto e cominciare a morderli. Perché quando si vuole conquistare una vetta, si comincia sempre dalla base. - Arnald