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.: Il Blog di Angelo Valdameri
Mercoledì, 28 Gennaio, 2009 - 15:29

Dijana Pavlovic:Appello contro il crimine dell'indifferenza

Stamattina davanti a casa mia, sotto le scale di un centro commerciale, è morta Florenzia, una ragazza di 22 anni, l'ottava vittima del freddo e dell'indifferenza di questa città. Vi invio questo appello con preghiera di diffonderlo e di aderire.

Dijana Pavlovic
 
Appello contro il crimine dell’indifferenza

 

La parola poetica, a differenza di quella politica, dice sempre la verità, senza infingimenti, senza ipocrisie. Di fronte all’ennesimo dramma di una persona anziana morta in solitudine nel capoluogo lombardo, Alda Merini ha detto che «C’è indifferenza a Milano, ed è il crimine più grosso».
Come una coperta spessa l’indifferenza attutisce le grida di dolore, nasconde i bisogni di tante persone. Assieme e grazie ad essa cresce anche l’insofferenza e l’intolleranza: per il diverso, per chi disturba. Anche solo la vista, attraverso la sua presenza pur silenziosa: immigrati, poveri, rom, senza dimora sono vissuti come ingombro da rimuovere e allontanare non come problema sociale da affrontare.
Un problema di fronte al quale bisogna agire molto di più, come ha richiamato a fare il cardinal Tettamanzi.
Bisogna fare di più. O almeno quanto è giusto e sufficiente. I sei morti di freddo e di stenti in poche settimane a Milano dicono che quel che viene fatto per i più deboli è drammaticamente poco.
Nel capoluogo lombardo e nel paese intero.
Oggi e ieri.
Ma oggi, complice la profonda crisi globale che mette a rischio masse crescenti di lavoratori e di famiglie, la condizione di povertà, anche estrema, non è più realtà lontana e impensabile, che riguarda solo “gli altri”, qualche sfortunato. È un evento traumatico nel quale molti possono precipitare anche semplicemente a causa della perdita del lavoro o della casa, per la rottura del nucleo famigliare o per un’improvvisa malattia.
Guardare ai morti di freddo, alla solitudine degli anziani, alle preoccupazioni economiche di molte famiglie non solo con compassione ma anche con indignazione per le responsabilità e le insufficienze non è sufficiente.
Occorre mobilitarsi per dire che queste morti erano evitabili, così come lo sono le prossime.
Occorre mobilitarsi per costruire risposte vere, immediate e concrete ai bisogni dei più deboli. Bisogni che richiedono politiche sociali adeguate e sufficienti. C’è necessità di affermazione di diritti e di riconoscimento di dignità.
Occorre mobilitarsi per dire che la questione delle povertà, le scelte legislative sull’’immigrazione, la mancanza di serie politiche abitative e di edilizia sociale, il progressivo venir meno del welfare, la privatizzazione di servizi sociali così come le risposte insufficienti che vengono date ai disoccupati e ai lavoratori precari e in mobilità sono capitoli di uno stesso discorso.
Non si tratta solo di dare risposte di emergenza alle urgenze. Si tratta di fornire le risposte giuste e le più efficaci. Ad esempio, installare costosi tendoni per i senza dimora non risolve alcun problema, giacché chi ha problemi ad andare nei dormitori (perché senza documenti, perché straniero irregolare o perché quelle strutture sono ad “alta soglia”, soggette a regole e imposizioni spesso eccessive – le strutture pubbliche debbono essere al servizio dei loro utenti, non viceversa) li ha anche a recarsi nei tendoni. Assai più pratico e accessibile sarebbe lasciare aperte le stazioni delle metropolitane nelle ore notturne, come avviene in altre città, e rafforzare i servizi mobili di sostegno e cura. E così pure sarebbe auspicabile che fosse consentito l’accesso notturno ad alcune altre strutture, ad esempio gli oratori. Certo, la Chiesa e le parrocchie già fanno molto, spesso più di quello che viene garantito dai servizi pubblici, ma questa ulteriore disponibilità sarebbe un segno ancora più forte e capace di scuotere maggiormente le coscienze e quelle forze politiche sorde e distratte.
Non è, del resto, solo problema di strutture e di risorse. Prima ancora, è questione di culture: se la politica lancia messaggi criminalizzanti nei confronti delle persone immigrate è del tutto conseguente e a quel punto inevitabile che costoro avranno timore a recarsi nei dormitori o negli ospedali per farsi curare. C’è una responsabilità nelle parole e nei messaggi, non solo nelle omissioni. E il rimedio non è certo il ricovero coatto. È decisamente ipocrita e intollerabile rovesciare la responsabilità sui senza dimora, sulla loro supposta indisponibilità a essere aiutati.
L’accoglienza è uno sguardo e un approccio, una concezione della città e della comunità prima ancora che un insieme di risposte organizzative, pure evidentemente necessarie.
Per sollecitarle entrambe, per chiedere che la Milano dell’’Expo e delle Banche diventi anche la città dei più deboli, dei poveri, degli esclusi, dei lavoratori in difficoltà, degli anziani lasciati soli; per chiedere che le istituzioni locali e centrali mutino radicalmente le proprie politiche nei confronti delle aree di fragilità sociale dando vita a una nuova stagione di politiche sociali; per il diritto al lavoro, all’’abitare, alla cura e al sostegno, lanciamo questo appello, anche in vista di una prossima iniziativa da costruirsi a Milano.

Per aderire manda una mail a: noindifferenza@dirittiglobali.it
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