.: Discussione: W la scuola pubblica!

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Simone Paleari

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Inserito da Simone Paleari il 12 Gen 2009 - 15:22
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odio dover mettermi nelle discussioni sulla scuola.. ma va bene la dialettica ma c'è un limite a tutto..
ragazzi.. 3 min e 14 secondi di video.. slogan a go go e neanche una proposta... ma ne bastava una.... (a parte che personalmente pensare che ci sia bisogno alle elementari, ELEMENTARI, di un insegnante di inglese specifico.... l'inglese dovrebbe essere una seconda lingua, e se non lo si sa si fa come in tanti altri paesi dove gli insegnanti sono andati a fare corsi di aggiornamento).. ma siamo in Italia... tant'è..

diamo un po di numeri ufficiali del 2006
Roma, 13 apr. (Apcom) - L'Italia si conferma come il paese in Europa con il più basso rapporto allievi-docente: negli ultimi 10 anni la media di allievi per insegnante è infatti solo lievemente aumentata passando dal 10,9 del 1995-96 all' 11,2 del 2005-06. Il dato è stato oggi pubblicato dal ministero della Pubblica Istruzione, attraverso il proprio sito internet, all'interno dei risultati dello studio "La scuola in cifre 2006". Secondo la ricerca, l'aumento si deve soprattutto alla scuola media e superiore: "il rapporto allievi-docente - commenta una nota di viale Trastevere - resta il più basso in ambito europeo (nel Regno Unito, per esempio, è 17 a 1) ed è più basso anche il numero di ore di insegnamento frontale per gli insegnanti. Il carico orario per gli studenti, viceversa, è mediamente più alto che in Europa". Quella che può sembrare un'anomalia tutta italiana deve però tenere conto del fatto che il nostro paese ha almeno due fattori che incidono su queste percentuali: prima di tutto la conformazione disarmonica del territorio, che soprattutto a livello di scuola dell'obbligo prevede la creazione di classi con anche con numeri esigui (basti pensare ai diversi comuni di montagna o delle tante piccole isole. Un secondo dato rilevante che in qualche modo 'blocca' il rapporto complessivo docenti-studenti è poi quello del supporto ai ragazzi con handicap: nell'ultimo decennio l'Italia si è contraddistinta per aver formato e inserito in aula un numero sempre più alto di docenti di sostegno: erano 65.615 nel 2000-2001, sono 83.761 nel 2005-2006. Una conseguenza di questa politica a favore dell'integrazione è che è risulta in deciso aumento anche il numero di ragazzi diversamente abili che frequentano un corso di studi: "sono il 2,4% nella scuola primaria, il 3,1% nella scuola media, l'1,4% nella scuola secondaria superiore". A queste spiegazioni si deve poi aggiungere un'altra caratteristica tipica italiana: l'alto numero di docenti che per motivi disparati non insegnano. Si va dall'utilizzazione presso altri comparti pubblici, ai distacchi sindacali, fino all'inabilità alla professione di insegnante, agli esoneri e semiesoneri per lo svolgimento di altri incarichi, come ad esempio l'insegnamento presso le Scuole di specializzazione unversitaria. Da un calcolo sommario realizzato dallo stesso ministero della Pubblica Istruzione pochi mesi fa sembra che il numero complessivo di docenti che per vari motivi non pratica la professione sia superiore alle 20 mila unità. 

prendiamo spunto da alcune riflessioni sui dati di fatto di oggi
  1. Gli stipendi dei docenti italiani sono mediamente più bassi (tra il 40% e l’80%) rispetto agli altri paesi OCSE.
  2. La spesa per la scuola in Italia in percentuale è leggermente inferiore a quella degli altri paesi, ma non nelle proporzioni indicate al punto 1. Si tratta di pochi decimi percentuali, e anche un immediato adeguamento non produrrebbe significati vi aumenti di stipendio, senza contare che maggiori investimenti sulla scuola dovrebbero essere destinati non solo agli stipendi.
Dove sta il trucco? Come mai negli altri paesi, senza spendere per la scuola molto di più, gli stipendi sono nettamente più alti? Basta prendere in esame qualche altra tabella e si scopre facilmente che il rapporto alunni/docenti in Italia è nettamente più basso che altrove; il trucco è tutto qui. Per anni la politica del gonfiamento degli organici, dell’abbassamento del numero alunni per classe, contrabbandato per aumento del miglioramento della qualità della scuola, ha nascosto una politica assistenziale di assorbimento della manodopera "intellettuale" (e non solo: pensiamo ai bidelli) che ha condotto a guasti evidenti. Le categorie - anche pubbliche, come i medici, che hanno voluto difendere prestigio sociale e livelli salariali hanno fatto una politica opposta: numero chiuso, concorsi selettivi. Persino nella scuola, se oggi i Dirigenti scolastici possono sperare in un significativo aumento dei loro stipendi, non sarà per magnanimi atti di riconoscimento del loro lavoro, né per investimenti straordinari, ma sostanzialmente perché la razionalizzazione delle scuole ha fatto sparire tra il 20 e il 30% delle presidenze, e liberato risorse che possono essere ridistribuite.

Allora la soluzione è semplice, persino banale, ma occorre enunciarla chiaramente; si possono aumentare significativamente gli stipendi dei docenti a condizione di diminuirne altrettanto drasticamente il numero. Non esiste nessuna altra strada praticabile. Occorre studiarne le forme di attuazione, evitando ovviamente di ridurre la qualità del servizio. Ma è del tutto evidente che se in Italia c’è un insegnante ogni 10 alunni, e in Europa il rapporto è di 1 a 16, basta adeguarsi a questo rapporto per poter aumentare gli stipendi mediamente del 60%.

Per non ragionare solo in astratto applichiamo l’idea a un caso concreto.

L’Istituto tecnico XY (il nome non lo facciamo, ma i dati sono reali e controllabili) nell’a.s. 1998/99 era frequentato da 1273 studenti, suddivisi su 57 classi, I docenti in servizio 152, ma essendoci 16 tra part-time e spezzoni, ne contiamo solo 144. La media di alunni per classe è di 22,3. Il rapporto alunni per docenti è 8,84: cioè meno di 9 studenti per ogni docente A scanso equivoci precisiamo che non è un dato eccezionale, perché in altre scuole, specie di minori dimensioni e su più plessi, la media degli alunni per classe è ancora più bassa.

Nell’Istituto gli alunni hanno un orario (teorico) di 36 ore settimanali. Nella pratica, per riduzioni dovute a motivi di trasporto, ma soprattutto all’insensatezza di un orario così pesante, ne fanno 30 o poco più (36 ore di 50’). Gli insegnanti sono però pagati per la loro cattedra di 18 ore, come se fossero intere.

Ora, proviamo a fare un semplice ragionamento, del tutto ipotetico:

  • supponiamo che l’orario degli alunni sia portato a 30 ore effettive di 60 minuti (quindi in pratica quello attuale), e che i docenti facciano tutti 18 ore effettive di insegnamento;
  • supponiamo anche che i famosi 25 alunni per classe, anziché essere usato come un parametro per complicate formule alchimistiche diventi il numero medio delle classi di ogni istituto.
Nel caso che stiamo prendendo in esame avremmo nell’IT XY 51 classi con un orario di 30 ore ciascuna: in totale 1530 ore, che a 18 ore cattedra, richiede l’impiego di 85 insegnanti; siccome siamo realisti, e vogliamo far funzionare la scuola, contiamo pure 90 insegnanti, pensando alla necessità di avere docenti esonerati dall’insegnamento per svolgere altre vitali funzioni.

Il monte stipendi ora destinato a 144 docenti, diviso su 90, consentirebbe un aumento di stipendio del 60%. Per capirci, l’attuale stipendio medio netto di 2 milioni quattrocentomila si avvicinerebbe così ai 4 milioni netti mensili. Senza cambiare praticamente nulla della situazione attuale nel rapporto di lavoro e nella quantità e qualità dell’insegnamento.

Si potrebbe obiettare che in altre scuole, specie dell’obbligo il rapporto è diverso e la cosa non è possibile, per lo meno su dimensioni così macroscopiche.

In realtà con qualche ulteriore piccolo sforzo di fantasia, potremmo scoprire che si possono in modo quasi indolore realizzare altri notevoli risparmi, con liberazioni di risorse aggiuntive da distribuire sui docenti. facciamo alcuni esempi:

1 Basterebbe escludere la compatibilità tra insegnamento a tempo pieno e libera professione; tutti i docenti dovrebbero optare (come hanno fatto i medici) mantenendo la possibilità, per chi esercita la libera professione, di stipulare con le scuole contratti annuali o triennali, eventualmente rinnovabili, per un numero ridotto di ore (così, tra l’altro, si libererebbero molte cattedre per nuove assunzioni).

2. Un’idea un po’ più audace: se accettassimo che gli insegnanti siano pagati in base alle ore effettive e che possano scegliere anche di superare le 18 ore, diciamo fino ad arrivare ad un orario medio di insegnamento di 20 ore settimanali (o meglio ancora a un orario su base annua tra le 700 e le 800 ore contro le attuali 600 teoriche 500 effettive), l’idea di raddoppiare lo stipendio medio sarebbe un’ipotesi del tutto concreta.

3. Ma forse non occorrerebbe neppure tanto. Per contratto i docenti sono tenuti ad insegnare per 18 ore la settimana, ma non sta scritto che questo compito debba esaurirsi in 33 settimane l’anno. Anzi, poiché il contratto prevede anche per i docenti 6 settimane di ferie, e dato che un anno ne contiene 52, basterebbe distribuire l’insegnamento di 18 ore settimanali su 46 settimane (ma siamo buoni, facciamo pure 40) per liberare un altro 10% di risorse. A tutto vantaggio di chi optasse per l’insegnamento a tempo pieno. Magari conservando a tutti coloro che non vogliono accettare un rapporto di lavoro full-time di mantenere una posizione a orario settimanale o annuale ridotto: ma ovviamente con la corrispondente riduzione di stipendio.

4. E non parliamo del personale ATA, che potrebbe essere tranquillamente dimezzato, lasciando un budget alle scuole per specifiche necessità da risolversi secondo le esigenze (appalti delle pulizie, contratti a termine, ecc).


E la qualità della scuola?

Se qualcuno crede davvero che la qualità della scuola sia garantita da qualche alunno in meno e da qualche insegnante in più, è inutile discutere. Se invece si pensa che la scuola deve essere una tale risorsa del paese da attirare le intelligenze e le capacità migliori, allora bisogna poter proporre un lavoro serio e impegnativo con un riconoscimento economico serio.


E i posti di lavoro?

Verrebbe spontaneo rispondere con un’altra domanda: la scuola ha la funzione di garantire lo stipendio al personale o la formazione dei futuri cittadini?

Ma affrontiamo comunque il problema. Poiché un passo come quello qui descritto richiede comunque alcuni anni per essere realizzato, c’è una grande occasione da non perdere. Nei prossimi quattro-cinque anni alcune centinaia di migliaia di insegnanti andranno in pensione (le leve delle immissioni in ruolo degli anni settanta). Ecco allora che se i sindacati facessero veramente l’interesse della categoria, contratterebbero un piano di progressivo innalzamento del rapporto docenti/alunni ottenendo la garanzia che tutti i risparmi così realizzati vengano reimpiegati nello stipendio degli insegnanti (non per tutti però: per chi accetta il tempo pieno e per realizzare una reale progressione economica e professionale). Gli altri investimenti, che pure il governo dovrebbe assicurare, potrebbero allora essere destinati alle strutture e alla formazione dei docenti.



Simone Paleari
In risposta al messaggio di Antonella Fachin inserito il 12 Gen 2009 - 14:57
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