.: Discussione: Il Castello aspetta il Cavallo di Leonardo

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Oliverio Gentile

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Inserito da Oliverio Gentile il 5 Gen 2009 - 23:25
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Da ViviMilano - caso del giorno:

http://milano.corriere.it/milano/notizie/caso_del_giorno/08_dicembre_31/caso_cavallo_leonardo-150860680693.shtml

Il Castello aspetta il Cavallo di Leonardo

C'era stato l'impegno del sindaco e di tre assessori, una conferenza stampa, ma nulla di fatto

Caro Schiavi, questa mattina nell'entrare al Castello Sforzesco dalla piazza con la fontana, alcuni turisti italiani (romani) facevano questo commento: in questo grande spiazzo ci vorrebbe una piramide come al Louvre! M'intrometto e ribatto: ma non sarebbe meglio vedere la sagoma del grande cavallone di Leonardo da Vinci? Mi rispondono: «Che piacere trovare un milanese... che la dice giusta! Siamo in quattro ma siamo tutti della sua idea. Magnifica! Perché allora non realizzarla?».

Giovanni Pelli

Chissà se Milano si è accorta del cavallo di Leonardo, se qualche scuola ci porta i bambini, se la domenica c'è qualche visita e qualcuno ricorda ai turisti la storia di un progetto incompiuto e di un sogno realizzato. Avevano detto: lo valorizzeremo, lo renderemo visibile, ne faremo un grande richiamo, ma non si vede mai nessuno nel recinto vicino all'ippodromo, nel verde immenso di San Siro, in quella landa privilegiata o desolata che incrocia lo stadio e i caseggiati popolari, che confina con le ville dei miliardari e la suburra del quartiere Aler. È una cattedrale nel deserto la più grande statua equestre del mondo, quindici tonnellate di peso, più di sette metri d'altezza, un'incompiuta del tardo Quattrocento nella Milano di Ludovico Sforza, un problema irrisolto oggi, nella città dell'Expo, che disegna percorsi leonardeschi ma non sa cosa fare di una statua immensa, di un falso ingombrante piovuto in dono dall'America, di un colosso dal valore simbolico che vuol dire genio, arte, lavoro, grandezza e anche amicizia.

Doveva finire al Castello Sforzesco: in Comune se ne sono dimenticati. C'era stato l'impegno del sindaco e di tre assessori, una conferenza stampa finita sui giornali, qualche polemica, l'approvazione dello storico Carlo Pedretti, il maggiore esperto di Leonardo da Vinci: tutto finito in niente. Il cavallo che dal 1483 al 1499 occupò i giorni e le notti di Leonardo non schioda dall'esilio forzato nel luogo simbolo dell'ippica, delle corse, delle scommesse. Riappare soltanto qua e là, in qualche fantasioso progetto, nei circuiti espositivi immaginati dall'architetto portoghese Alvaro Siza, nei pensieri di qualche ex assessore che lo voleva in piazzetta dei Mercanti o in Cadorna, nell'immaginario di chi aveva pensato alla piazzetta davanti al Museo della Scienza o al posto del contestato cubo di Rossi o perfino nell'atrio di Malpensa.

E adesso rispunta nelle lettere che il Comitato, nato apposta per dare visibilità all'opera, spedisce all'indirizzo di Palazzo Marino: che cosa ne facciamo? C'è tutta Milano in questa storia infinita, c'è la contraddizione di una città che non affronta un problema per evitare di crearne un altro: perché nella somma dei pro e dei contro, quel regalo fatto alla città dal miliardario americano Charles Dent, un ex pilota e collezionista di opere d'arte che ha investito ogni sua risorsa nella riproduzione del grande cavallo, sta bene lì dove nessuno lo vede. Anche se a San Siro c'è arrivato per caso nel 1999, quando non sapevano dove piazzarlo, oggi quel cavallo copre un vuoto, nasconde l'inerzia decennale di iniziative e di idee verso un quartiere che si sente trascurato, che teme la speculazione, il cemento al posto del verde e fa del cavallo un baluardo, una effimera difesa.

A quasi due anni di distanza dal positivo incontro con il sindaco Moratti, il Comitato per il Cavallo torna alla carica: è assurdo nascondere la scultura che l'America ha simbolicamente offerto a Milano, a San Siro la valorizzazione è fallita, si dia corso al trasloco annunciato. E mentre lo storico Pedretti rilancia l'ipotesi del Castello e trova nel «revelino», il baluardo a pianta quadrata a protezione dell'ingresso principale, il luogo ideale per la sua collocazione, nel Comitato si parla di un'ipotesi nuova: la stazione Centrale, al centro, in piazza Duca d'Aosta, come benvenuto a chi arriva con il treno in città. È un modo per smuovere le acque dopo la falsa partenza verso il Castello e il lungo silenzio del Comune. Così si rimette in moto la stessa macchina che già due anni fa aveva chiesto l'intervento del sindaco. C'è anche Peter Dent, il nipote di chi era riuscito nell'impresa memorabile della fusione in bronzo, costata oltre sei milioni di dollari e vent'anni di preparativi.

Nella primavera del 2007 il posto indicato per la collocazione del cavallo leonardesco era il lato destro del Castello, dalla parte di via Gadio: l'aveva promesso Letizia Moratti e lo avevano confermato gli assessori Cadeo, Simini e Verga. Sgarbi era scettico, ma sul simbolo era d'accordo. Pedretti aveva corretto la scelta, suggerendo la collocazione sull'asse Torre del Filarete-Arco della Pace. Con il pragmatismo dell'imprenditore, il presidente del Comitato, Carlo Orlandini, si era incaricato subito dei sopralluoghi, assieme all'ingegnere capo del Comune, Antonio Acerbo e ai tecnici di Atm e Aem: ma per le dimensioni del cavallo i problemi erano simili a quelli del trasferimento del sommergibile Toti. Spostare il cavallo è un'impresa. Facciamone un grande evento, dice qualcuno. Si pensa di sollevarlo dal basamento con l'unico elicottero al mondo in grado di farlo, quello delle fonderie Tallix, nell'ex Unione Sovietica. Ma l'idea del cavallo di Leonardo imbragato e in volo su Milano è un rischio troppo grande. E allora si calcolano i costi per l'attraversamento delle vie di Milano su un grande camion: prima stima, 250 mila euro.

Nessuna spesa a carico del Comune, nessuna sottrazione di fondi pubblici: tutto è finanziato dal Comitato e dagli sponsor. Orlandini è pronto al trasloco nel settembre 2007. Il Comitato per la tutela di San Siro protesta: e al posto del cavallo cosa offre il Comune? Imbarazzo, silenzio. Nessuno vuole fare polemiche: ognuno fa la sua parte. Il presidente del Comitato, un po' deluso, sedici mesi dopo torna a rimboccarsi le maniche: «Penso all'Expo del 2015, alla necessità di inserire Milano nel patrimonio mondiale dell'Umanità e all'importanza di far riconoscere Milano come città di Leonardo» dice. Il cavallo è lì che ci guarda: niente di quel che era stato promesso da Milano è stato attuato. A San Siro, dove Pedretti non accettò di andare per l'inaugurazione («Mi sono sempre rifiutato di sottoscrivere l'idea del cavallo di Leonardo all'ippodromo — spiega —: è un non senso culturale») si doveva creare un parco tematico: così era scritto. Mai visto.

Sembra una beffa del destino: il cavallo di Leonardo non ha pace. Nel 1493, quando il modello in creta era pronto per il Castello, mancava il bronzo per la fusione. Sei anni dopo, quando tutto era deciso per l'unica colata, le 79 tonnellate di bronzo vennero dirottate da Ludovico Sforza al cognato, Ercole d'Este, per fabbricare cannoni. A Milano arrivarono i francesi. Il cavallo venne abbattuto e usato come bersaglio dagli archibugieri. Ogni tentativo di recuperare lo stampo fu inutile. Rimasero soltanto alcuni disegni. Quelli che hanno consentito di realizzare il sogno del collezionista americano. Un cavallo gigantesco, una copia leonardesca dal valore simbolico. Un colosso, un po' come quello di Rodi, che a Milano non è mai diventato una meta turistica: molti non sanno nemmeno che c'è.

Giangiacomo Schiavi
31 dicembre 2008