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.: Il Blog di Sandro Antoniazzi
Martedì, 14 Marzo, 2006 - 13:02

Immigrazione: cosa fare a Milano?

L’immigrazione è un problema mondiale, destinato a durare e dal carattere irreversibile.
L’economia mondiale è stata rivoluzionata dalla globalizzazone, in pratica è come se fosse successo un terremoto che ha coinvolto il mondo intero e per questo mettendo in moto un importante processo di migrazioni, da cui nessuna regione è esclusa.
Come per la globalizzazione, così per l’immigrazione (che è solo una delle facce della stessa medaglia) è un esercizio privo di senso dichiararsi contrari, perché si tratta di una realtà ormai presente, in continua espansione, che dobbiamo affrontare e con cui fare i conti.
Indubbiamente, i nodi più gravi della questione vanno affrontati a livello nazionale.
Qui l’inutile minacciosità della legge Bossi – Fini non ha frenato niente (come prometteva di fare), con l’unico risultato di fare aumentare nel contempo il numero di clandestini e di opprimere di lavoro burocratico gli organici delle questure.
L’idea di concedere il permesso di entrata a chi ha già disponibile un lavoro è un’ipotesi teorica, che nella pratica si è dimostrata impraticabile: occorre piuttosto allargare la possibilità di soggiorno necessario a cercare lavoro, fissando un termine a questa ricerca.
Già oggi la maggioranza dei clandestini non provengono dagli sbarchi a Lampedusa, in Puglia o da scavalcamenti delle frontiere, bensì da persone che arrivano in Italia con un titolo regolare (ad esempio per studio o per turismo) e poi rimangono e si cercano un’occupazione (il 70%).
D’altra parte, se per 170.000 posti regolari per immigrati programmati per l’anno corrente sono andati a ruba circa 2 milioni di moduli di richiesta, ciò significa che le domande di lavoro degli immigrati non proverranno da del tutto ipotetici lavoratori che se ne stanno al loro paese, ma dalla centinaia di migliaia di clandestini che vivono qui.
Anche riportare l’obbligo del rinnovo del permesso di soggiorno a scadenza biennale, com’era prima della legge Bossi, è una misura ragionevole, che consente di diminuire il numero degli illegali dovuto a difficoltà pratiche e a dimezzare il lavoro d’ufficio delle questure.
Così oggi, se il lavoratore cambia lavoro, è obbligato a ripresentare la documentazione per dimostrare che dispone di un alloggio adeguato.
La vita dell’immigrato è una continua presentazione di documenti. Si fa appena in tempo ad ottenere un permesso, che è già ora di rinnovarlo. Non si può andare in ferie, perché si rischia di perdere il diritto al permesso, si perdono intere giornate di lavoro solo per le pratiche burocratiche. Ci troviamo cioè di fronte a una vera e sistematica pratica vessatoria, tanto inutile, quanto umiliante.
Tra l’altro, un atteggiamento diverso in fatto di ingressi e regolarizzazioni svuoterebbe in amplissima misura i CPT, rendendoli situazioni eccezionali e limitate a casi di particolare gravità.
Anche sul versante della cittadinanza e dell’integrazione civile la Bossi – Fini ha compiuto altri passi indietro rispetto alla legge precedente, già di per sé timorosa.
E’ ormai matura l’esigenza di approvare una legge nazionale che preveda il voto alle amministrative agli immigrati (ad esempio per coloro che sono stabilmente in Italia da 5 anni); è inutile in proposito mascherarsi dietro l’alibi di una legge costituzionale, quando si pensi che con una normale legge  a maggioranza il governo ha cambiato l’intero sistema elettorale nazionale.
Non meno importante è mettere mano alle norme relative alla cittadinanza: ad esempio che i figli di stranieri nati in Italia non abbiano diritto alla cittadinanza sino ai 18 anni rischia di formare ragazzi che non hanno né identità italiana e neppure del Paese di origine, Paese che non hanno forse mai visto.
Vi sono proposte per riconoscere loro la cittadinanza dopo 6 anni, al momento dell’ingresso scolastico. Analogamente occorre favorire la carta di soggiorno dopo 5 anni e rendere meno difficoltoso l’ottenimento della cittadinanza.
Veniamo così al problema Milano, dove si concentra – come a Roma e in genere nelle metropoli – un alto numero di immigrati (ufficialmente 143.125 alla fine del 2004, ma questo dato comprende anche americani, inglesi, tedeschi, ecc.).
A livello locale naturalmente il problema maggiore è quello dell’integrazione, della convivenza, di realizzare un intervento che consenta la coesione sociale della città; occorre evitare che si creino ghetti, bisogna impedire il diffondersi di pregiudizi; serve che tradizioni ed usi differenti trovino modo di adattarsi alla nostra realtà.
Il Comune può fare moltissimo, più che per le competenze dirette, per una più generale funzione di responsabilità del bene comune e della convivenza cittadina.
In questa prospettiva, con l’insieme dei suoi servizi, delle sue aziende, delle sue attività il Comune potrebbe avviare interventi sociali, lavorativi, abitativi, culturali di grande importanza.
Innanzitutto finchè le leggi nazionali non sono in grado di risolvere i problemi il Comune dovrebbe mettere a disposizione i propri uffici e il proprio personale per istruire le pratiche relative ai permessi da consegnare alla questura.
Sul problema del lavoro, il Comune potrebbe impegnarsi assieme ad altre istituzioni pubbliche per contrastare il lavoro nero (ad esempio negli appalti), favorire la regolarizzazione del lavoro domestico, assumere immigrati nelle proprie strutture, avviando percorsi specifici di valorizzazione professionale.
Sul piano scolastico, si deve investire ampiamente in corsi di sostegno per apprendere la lingua italiana, in corsi che garantiscano anche spazio alla cultura e alla lingua d’origine, in attività di istruzione professionale, e così via.
Il Comune potrebbe inoltre impegnarsi per il riconoscimento dei titoli di studio dei paesi di origine, che è spesso un handicap per molti immigrati.
Per altri problemi, come quello prioritario della casa, non si tratta di assumere iniziative particolari (e tanto meno di favore): bensì di rispondere a un problema che interessa anche tanti cittadini italiani e all’interno della risposta generale tenere conto anche degli immigrati.
Sempre più importante infine diventa il problema dei giovani, la seconda generazione, molti dei quali, come succede a tanti ragazzi italiani, fanno fatica a proseguire gli studi dopo l’obbligo e non trovano facilmente lavoro.
Senza prefigurare ciò che è successo in Francia, a questa situazione va prestata la massima attenzione, progettando nuovi tipi di intervento.
Il Comune, infine, potrebbe fare una cosa in più a carattere innovativo: dare vita ad una Agenzia per la promozione dei diritti di cittadinanza e per la lotta contro le discriminazioni, dal valore altamente simbolico, per difendere chi spesso si trova in una situazione di debolezza e garantire il rispetto e la dignità.
Per concludere, la cose da fare sono certamente molte, ma innanzitutto si tratta di cambiare lo spirito con cui affrontare i problemi di queste persone, che vengono da altri paesi.
Occorre passare da un atteggiamento di sopportazione e più spesso di aperta inimiciaiza (come spesso ha espresso questa Giunta, anche strumentalmente), ad un atteggiamento di apertura, di disponibilità al dialogo, di volontà di incontro.
In altre parole, bisogna che Milano dimostri di volere essere non una piccola cittadella chiusa, ma una grande città europea e mondiale, che fa dell’incontro fra culture una ricchezza per la sua vita civile e per il suo futuro.
Sandro Antoniazzi

Caro Sandro,

consentimi un’osservazione garbata su un argomento da te affrontato durante la cena dell’Ulivo di venerdì trascorso.
La tua visita in viale Jenner.
La tua tranquillizzante considerazione rivolta ai commensali, sullo stato d’assoluta normalità per quanto riguarda la situazione di richiesta per un luogo di culto religioso in cui esercitare sacrosantamente le preghiere e i riti islamici da parte dei musulmani, ha francamente lasciato perplessi non pochi convenuti.
Non è proprio come asserisci.
Non è un’avversità per superficiali pregiudizi religiosi che fa motivare e alimentare la diffidenza di una parte (una larga parte) della cittadinanza milanese schierata a Sinistra.
No. E’ la sincera ignoranza di molti milanesi sulla sincerità della dottrina islamica, e su quanto in forma laica, si trova difficilmente riflesso nei costumi sociali civili e quotidiani di quel popolo che è fortemente l’immagine e la somiglianza dei suoi dogmi.
Se riflettiamo su quanto sia stata la Sacra Romana Chiesa, depositaria di tanti errori madornali e scellerati nei secoli trascorsi, e per quanto ancora ai giorni nostri essa assuma (lecitamente) delle precise posizioni di pensiero nelle politiche dello Stato della Repubblica italiana, al punto tale da conformare alcuni stili di vita individuale, ci pare acqua fresca se al confronto riflettiamo sulla religione islamica e sui proseliti di quel popolo, incapace ammettiamolo, di una coscienziosa autocritica, di una costruttiva negazione, di un intraprendente laicismo, e di una coraggiosa autonomia dalla religione loro.
Non mi sembra e vorrei davvero essere smentito, che ci sia stato finora un dialogo di reciproca intesa e intermediazione tra le etnie; loro e nostra.
Per quanto poi a fatica e pertinacia ci stiamo liberando come popolo civile industriale europeo, dal senso oppressivo del peccato originale (cerchiamo di provarci per lo meno), non capisco perché gli italiani e in stretto orizzonte i milanesi, debbano suggestionarsi o mortificarsi l’animo con dei profondi sensi di colpa per un disagio provocato a codesti ospiti.
Non sarà forse che, per il gradimento altrui (cioè loro), questa Sinistra vuole indurre i cittadini a prodigarsi nel nome della tolleranza e dello spirito pacifista, rischiando non poco di perdere di far vista la propria di immagine e somiglianza?
Non che Shamir o Hamed sia chiaro, non possano mai un domani dirsi italiani e milanesi a tutti gli effetti, per quanto Corlioni o D’Maggio si sentano da ieri degli statunitensi; ma ieri: con quali regole e principi i Corleone e i Di Maggio sono stati integrati negli Stati Uniti ?
E soprattutto: quanto quelle regole e quei principi hanno condizionato il loro sentimento patriottico ? al punto tale da essere rimasti senza nostalgia proprio là dove le loro origini si sono trasformate per riconoscersi liberi di stato in un nuovo Stato libero, senza alcuno sradicamento della memoria.
Allora Sandro, con affetto: il popolo di Sinistra credo cominci ad averne le tasche piene di tollerare, da destra a sinistra, la sopraffazione; il rischio è non di trovarsi sconfitti alle elezioni, ma semplicemente orfani perché destituiti dei propri rappresentanti.
Sarebbe però il minor dei mali l’avvio e la realizzazione di un cosiddetto rinnovamento delle dirigenze politiche.
Come si è letto su un quotidiano urbano dopo la nuova formazione del Governo Prodi, riguardo a una del fetta del 50% degli elettori: coglioni certamente sì, ma fessi no.

Ti saluto con affetto cordiale,

Angelo

Commento di Angelo Errico Utente non registrato inserito Ven, 26/05/2006 07:08
Caro Errico,
 
nella tua lettera metti insieme problemi diversi su cui, almeno per risponderti, è necessario fare una distinzione.
Su via Jenner sostengo un piccolo pensiero pratico, che potrebbe essere facilmente accettato da tutto il popolo della sinistra e da molte persone ragionevoli.
Poiché viene sempre citata come esperienza negativa per il disagio che crea, penso che trovare un altro ambiente adatto non sarebbe difficile per il Comune di Milano e ciò toglierebbe dal tappeto questo problema (ho invece l’impressione che si voglia mantenere la situazione così per farne periodicamente il capro espiatorio).
Ma il problema centrale che poni è quello della possibilità dei popoli arabi di accedere a una visione laica che consenta una vera integrazione nella nostra società.
Il tema è enorme, è uno dei problemi già presente ma smosso e amplificato dalla globalizzazione, una delle questioni politiche prioritarie dell’agenda politica, almeno per tutto questo secolo.
Come vedi, sono tutt’altro che buonista e tranquillizzante.
Ma tanto più il problema è grave e profondo, tanto prima va affrontato in modo adeguato.
I modi, semplificando, mi sembrano due: a livello internazionale non con gli interventi armati (ho l’impressione che la guerra in Iraq abbia aggravato sia il terrorismo, che il fondamentalismo) ma chiedendo con calma ai paesi arabi di introdurre riforme di democratizzazione e laicizzazione; a livello milanese, dimostrando che si possono affermare situazioni di convivenza civile, rispettare delle leggi e delle regole, che costituiscano un esempio e un contributo anche sulla scala mondiale.
Non mi nascondo le difficoltà, ma penso che dobbiamo operare proprio per ricondurle  a situazioni più accettabili.
Dopo tante esperienze negative (ti ricordi l’Iran di Mossadeq, il socialismo di molti di questi paesi, il Libano considerato la Svizzera del Medio Oriente), gli arabi hanno trovato nella religione il simbolo della loro religiosità: una specie di corto circuito.
Storicamente è ben comprensibile.
Occorrerà lavorare storicamente per superarlo.
Per concludere, i pericoli ci sono, non facciamo i buonisti, stiamo attenti, però lavoriamo con gli islamici per abituarci e abituarli al confronto.
Grazie comunque per gli stimoli.
 
Sandro Antoniazzi

Commento di Sandro Antoniazzi inserito Gio, 01/06/2006 15:56