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Venerdì, 22 Agosto, 2008 - 16:38

LA NOSTRA «PRIMAVERA» di Luciana Castellina

LA NOSTRA «PRIMAVERA»
Luciana Castellina
 
www.ilmanifesto.it
 
20 agosto 2008
Il quarantennale del '68 inteso come movimento e quello dell'intervento delle truppe del Patto di Varsavia a Praga coincidono; e nelle celebrazioni si confondono, tanto da dare l'idea che ci fosse un nesso stretto fra i due eventi.
Ci fu, in effetti, ma non fu affatto esplicito. Ad esser investita in pieno dalla vicenda cecoslovacca fu, in realtà, solo quella parte del movimento che poi si collegò con il gruppo che allora era ancora nel Pci e che poi dal partito fu radiato, proprio per via di Praga e per le sue eccessive simpatie per la protesta studentesca. Quello che dette vita al manifesto: rivista prima, organizzazione politica e quotidiano poi. Questo.
Fu così perché la tragedia di quell'agosto di 40 anni fa fu soprattutto dei comunisti: erano loro quelli che avevano sperato in una autoriforma del sistema socialista, che avevano con trepidazione seguito passo passo le mosse di Dubcek e poi ascoltato turbati le minacce con cui Mosca le aveva accolte, seguito col fiato sospeso il fragile compromesso di Cerna, sottoscritto a bordo di un treno fermo nella stazione della piccola località alla frontiera orientale della Cecoslovacchia, sui binari seduto un drappello di operai a segnalare che se Brezhnev avesse voluto tradurre prigioniero in Urss il segretario del loro partito lo avrebbero impedito bloccando il convoglio con i loro corpi. Loro che furono sconvolti quando giunse la notizia, quella mattina del 21 agosto, che i carri armati con la stella rossa erano entrati a Praga nello sgomento dei cittadini ancora increduli, fra loro molti di coloro che 23 anni prima li avevano applauditi come liberatori.
Per gli altri, i non comunisti, la vicenda fu diversa: per la destra Dubcek era poco più di una variante comunque da condannare, al pari del comunismo che si ostinava a proclamare.
Sui muri di Praga, l'indomani dell'invasione, non era forse uscita la scritta ironica ma significativa, che invocava non il presidente degli Stati Uniti, ma il capo della rivoluzione bolscevica: «Lenin svegliati, Brezhnev è impazzito!»?
Per gli altri, i nuovi compagni che da un po' di mesi avevano dato vita alla protesta giovanile, la vicenda praghese era lontana: sul comunismo sovietico non avevano mai puntato, essendo nati quando era già degenerato. Non avevano perciò mai sofferto delusioni e neppure mai sperato che di lì potesse venire un'indicazione valida. Di Dubcek, anzi, e in particolare del suo ministro dell'economia, Ota Sik, diffidavano: troppo di destra. Tutt'al più qualche simpatia generazionale per capelloni e chitarristi che con la «primavera» avevano cominciato a circolare anche per le vie di Praga. Di questa indifferenza fanno prova, oltre la nostra memoria, le pubblicazioni di allora, e non solo del movimento italiano: se si eccettua un accenno in un'intervista di Rudi Dutschke, al problema non fu offerta alcuna attenzione (se ci fu, fu postuma).
Quando arrivarono oltre cortina le tesi del 14mo Congresso che il Pc cecoslovacco, già clandestino, aveva tenuto all'interno della grande fabbrica siderurgica Ckd, protetto dai picchetti operai contro la possibile irruzione degli occupanti sovietici e dei loro alleati locali - l'ala del partito fedele a Mosca - le ignorarono tutti. Fu solo il manifesto a pubblicarle in uno dei suoi primi numeri; e non poteva che essere così: al grosso dei primi sessantottini non interessavano e il Pci non poteva interessarsene perché col Pcus, pur critico, non aveva ancora rotto (e anzi a rompere ci mise altri dieci anni e più).
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Così come ignorati dagli uni e dagli altri restarono i compagni di Dubceck, molti dei quali finirono esuli. Zdenek Mlynar, Jiri Pelikan, Anthonin Liehm, per citare solo alcuni, in Italia ebbero un solo rifugio: la redazione del manifesto, piazza del Grillo prima, poi via Tomacelli. Anche per questo nella memoria ufficiale quanto accadde in quell'agosto di 40 anni fa è stato alla fine rubricato come l'aggressione comunista a una rivolta promossa dai liberali, quasi che ad ispirarla fosse stato uno dei nostri occidentali governi e non invece, come fu, un tentativo di comunisti, e anzi della legittima leadership del Pcc,per salvare il progetto comunista.
Un tentativo troppo tardivo, quando l'Urss era ormai quella irrecuperabile di Breznev. Ma che forse sarebbe stato ancora possibile se una diversa scelta fosse stata fatta dai partiti comunisti occidentali che, non solo in Italia, erano ancora relativamente forti e avrebbero potuto così offrire un punto di riferimento alle nuove energie che dal '68 emergevano. E che stavano avanzando, spesso più come intuizione che con piena consapevolezza, una critica radicale al capitalismo, di cui il movimento avvertiva con anticipo la crisi, per la sua incapacità di garantire soddisfazione ai nuovi bisogni qualitativi emergenti e di dare risposta alle sfide che la sua distorta modernità stava producendo.
Anche il movimento del '68 - ecco il nesso oggettivo - aveva contribuito, con le sue lotte poi non solo studentesche ma anche operaie, a mutare i rapporti di forza internazionali. Come la vittoria vietnamita che già si delineava; e quella di altri paesi di uno schieramento di Bandung non ancora sotterrato. Non era irrealistico, in quella stagione, pensare a una critica da sinistra al comunismo realizzato, entusiasmarsi per quanto a Praga si stava cercando di fare. Vent'anni dopo quella critica ha fatalmente assunto un altro segno.
Questo tentativo - un'alternativa al modello sovietico, ma sempre comunista - è stata la ragion d'essere del manifesto. Anche in altri paesi ci fu, in effetti, chi, per via di Praga, ruppe con i rispettivi partiti comunisti. Ma in generale furono frange. L'esperienza italiana, sia perché aveva alle spalle il retroterra ricco degli anni '60 e un Pc molto speciale, sia perché la dissidenza interna al partito riuscì a incontrarsi con una parte significativa del '68, è stata un'eccezione.
Neppure noi, lo sappiamo, siamo andati molto lontano. Ma in questo quarantennale di Praga, che per tanti versi è stata il nostro atto di nascita, credo possiamo dire che la nostra storia è stata utile. A tutti. Perché ha tenuto in vita l'ipotesi di un comunismo diverso (per questo, anche, non si è sentito il bisogno di rimuovere la dicitura della nostra testata: «quotidiano comunista»)
Almeno fino ad ora. Adesso non so.Esprimo questa incertezza quando penso a tante cose a cui di questi tempi pensiamo tutti. Ma anche alla desolazione di veder cosa è diventata la Cekia di oggi, il più di destra e beceramente asservito a Bush dei membri dell'Unione Europea.Un paese dove le organizzazioni comuniste - peraltro più forti che altrove - vengono denunciate come illegali, proprio per via di quella parola «comunista», ormai illecita. Senza che venga ricordato che comunista erano Dubceck e i suoi compagni della «primavera di Praga». Per questo non mi pare appropriato dire - come molti oggi suggeriscono - che il '68 praghese è stato la prova generale dell'89. Non era questa la democrazia cui la «primavera» aveva puntato.