.: Discussione: Innse Presse al Rubattino

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Antonella Fachin

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Inserito da Antonella Fachin il 13 Feb 2009 - 15:54
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Per informazione riporto l'articolo sull'INNSE Tratto da Altreconomia  n° 102.

Cordiali saluti a tutte/i
Antonella Fachin
Consigliere di Zona 3
Capogruppo Uniti con Dario Fo per Milano
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All'alba del 10 febbraio, i carabinieri hanno sgomberato il presidio degli operati della Innse, che dal settembre 2008 stazionava davanti all'azienda metalmeccanica di Lambrate (zona Nordest di Milano) per impedire lo smembramento dello stabilimento. Per oltre tre mesi, tra maggio e settembre, gli operai avevano autogestito la fabbrica, contrari alla decisione del proprietario, che vorrebbe chiudere nonostante le commesse ricevute. La storia della Innse e dei suoi operai l'abbiamo raccontata sul numero di febbraio di Ae nell'articolo che leggete qui sotto. 

La esoneriamo dal prestare attività. Distinti saluti. La Direzione”.
La dismissione di una fabbrica fa ancora notizia? Gli stabilimenti della Innse sono a Lambrate, zona Nord Est di Milano. Ultimo baluardo di una città che non ha più fabbriche, sono circondati da edifici dismessi, ricordo di come questo fosse il quartiere dell’Innocenti, che arrivò a produrre sino a 140mila esemplari l’anno della mitica Lambretta. A Lambrate lavoravano migliaia di operai: oggi l’area attende una riconversione per residenze, centri commerciali, parcheggi. Anche il terreno dove sorge la Innse è finito sotto la sguardo di immobiliaristi e palazzinari. È per questo che il 31 maggio 2008, con uno stringato telegramma, la proprietà comunica la chiusura dello stabilimento ai suoi 50 dipendenti.
Il telegramma dovrebbe suggellare una fine, ma segna invece l’inizio di una storia fatta di lotta, solidarietà, speculazione, difesa del posto di lavoro e di un’economia reale, e non di carta. Una storia di altri tempi, a quattro passi dal centro di Milano.
La vicenda dell’Innse si apre nel 1971, quando il settore della meccanica pesante della Innocenti viene ceduto alla Finsider (gruppo Iri) e, fondendosi con la Sant’Eustachio di Brescia, dà vita a un grande complesso per la produzione di macchine utensili e impianti per la siderurgia. Rimane uno dei leader mondiale del settore sino alla privatizzazione dell’Iri. Nel 2003 la Innse, ormai in mano al gruppo Manzoni, storico nome della meccanica lombarda, va in crisi, entrando in amministrazione controllata.
La fabbrica però ha personale qualificato e strumentazione all’avanguardia, in grado di produrre macchine utensili, presse meccaniche e idrauliche. Una legge del governo Prodi sull’amministrazione straordinaria ne facilita la vendita, permettendo l’acquisto a un valore più basso di quello di mercato, con un vincolo però: investire e rilanciare l’attività. Grazie a queste agevolazioni, nel 2006, il torinese Silvano Genta acquista l’Innse per “soli” 700mila euro. La Genta spa si è sempre occupata di compravendita di presse, fresatrici, alesatrici e torni, mai di produzione. La strategia di rilancio non si vede, non vengono fatti investimenti e, dopo alcuni mesi, per i lavoratori viene chiesta la Cassa integrazione straordinaria.
Motivazione ufficiale: caldaie non a norma. La mobilitazione operaia blocca questo tentativo e si mette in attesa del successivo, che giunge il 31 maggio 2008 e ha la forma di una lettera di licenziamento. Mentre i lavoratori aprono la posta, in fabbrica sono già arrivate guardie private per impedire l’accesso allo stabilimento. Gli operai, a quel punto, irrompono e occupano la fabbrica. Non siamo nella Milano degli anni 70, o nella Buenos Aires delle fabbriche recuperate, ma solo in via Rubattino 81, nel deserto delle aree dismesse, tra archeologia operaia e ipoteche sul futuro. I lavoratori chiedono di evitare lo smantellamento e la vendita dei macchinari, di dimostrare che alla Innse ci sono professionalità, tecnologia e commesse che hanno pochi concorrenti in Italia. E di mantenere il posto di lavoro.
La produzione quindi non viene fermata.
Provate ad immaginarli questi 50 operai, età media 40 anni, solo una manciata le donne, che mantengono i loro turni, rassicurano i clienti, concludono e fatturano le commesse anche se sono stati licenziati e sono in mobilità. Tutti danno la disponibilità a svolgere le mansioni necessarie per completare i lavori in sospeso. Ad esempio a costruire quella traversa di 14 metri per la Dalmine di Segrate. Oppure le commesse per la Ormis di Brescia, così soddisfatta della qualità del lavoro svolto che ne dà altro e si propone come acquirente. Il gruppo bresciano è disponibile a pagare gli stipendi degli operai, fino a quando durerà la trattativa, continuando a fornire commesse. È un offerta seria, appoggiata da sindacati e Provincia, l’unica istituzione che pare vicina alla lotta degli operai. Ma non smuove il proprietario. Silvano Genta tira in ballo Aedes, la società proprietaria del terreno: sostiene che non vuole rinnovare il contratto di affitto. Aedes è un’immobiliare milanese storica. È quotata in Borsa ma controllata dalla famiglia Castelli attraverso una holding lussemburghese, la Crescendo Family Holding. Tra gli azionisti c’è anche il premier, Silvio Berlusconi. Aedes, che attraverso alcune controllate gestisce una serie di shopping center, ha un bilancio gravato da una fortissima esposizione con le banche. E sin da aprile 2008 ha rivelato di voler fare di via Rubattino un nuovo polo residenziale.
Lo sgombero della fabbrica avviene il 17 settembre alle 5 di mattina, dopo 100 giorni di produzione autonoma. La Polizia fa irruzione in via Rubattino, fa uscire gli operai e appone i sigilli alle porte.
I lavoratori rispondono con un presidio davanti alla fabbrica -sette giorni su sette- e una serie infinita di iniziative con circoli Arci, centri sociali, gruppi artistici e culturali, organizzazioni dell’economia solidale come la cooperativa “Chico Mendes”. Al presidio va in scena una solidarietà di altri tempi: arrivano cittadini a dare un contributo, portare la legna per alimentare la stufa e cibo per organizzare pranzo e cena. C’è chi cucina e chi passa a salutare e per cercare di capire come mai non si trovi l’accordo, visto la disponibilità all’acquisto della Ormis e la delibera del Consiglio comunale di Milano, che all’unanimità si esprime per mantenere in attività la Innse. A tutti quelli che chiedono spiegazioni, i lavoratori ripetono che si tratta di un gioco delle parti: il Comune che vuole modificare la destinazione d’uso dell’area, Aedes che desidera far fruttare meglio i suoi 24mila metri quadri e Genta che vuole vendere i macchinari. Mentre scriviamo, anche questa notte tre operai hanno dormito fuori casa per impedire che rubassero loro il futuro. Se volete sostenerli: myspace.com/presidioinnse
In risposta al messaggio di Antonella Fachin inserito il 13 Feb 2009 - 12:40
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